Ryan. Litigi

Giovedì 5 luglio, sera

Non staccai gli occhi dal telefono per tutta la serata ma Veronika non rispose a neanche uno dei miei messaggi. Dovetti trattenere l'impulso di scagliare quell'inutile aggeggio contro la parete, limitandomi ad inveire mentalmente contro quella ragazzina; per quale diavolo di motivo le avevo regalato un cellulare se poi non mi cagava neanche di striscio?!

Le ore passavano eterne ed io ero sempre più sulle spine. Anche mia sorella era fuori a bighellonare con la sua amica Emily e per la prima volta da un anno mi sentivo veramente solo. Il silenzio dell'appartamento mi inquietava; neanche quei programmi demenziali alla tv riuscivano a togliermi di dosso quell'assurda ansia.

Cercai di convincermi che Veronika era al sicuro, era con Ivanna, la matrigna di Kaylee nonché zia ritrovata della mia assistente. Assurdo... la mia vita si era trasformata in una soap opera senza che nemmeno notassi le telecamere sparse qua e là.

Non andai a letto fino a quando non sentii dei passi sulle scale del condominio. Mi raddrizzai sulla sedia e sfoderai il migliore dei miei sguardi da "padre incazzato nero perché la figlia ha violato il coprifuoco".

Veronika entrò di soppiatto, senza accendere la luce. Lo feci io, abbagliandola, e incrociai le braccia al petto. «Ti sembra l'ora di tornare a casa?»

Veronika si lasciò scappare un risolino, sfilandosi i tacchi alti. «Pensavo fossi già a letto. Mi hai aspettata, che carino.»

La osservai. Era bellissima fasciata in quell'abito nero, ma era un po' troppo scollata per i miei gusti. Chissà in quanti avevano pensato la stessa cosa, quella sera... Il decolleté di Veronika era in grado di cavare gli occhi del più casto degli uomini. E tu non ne hai ancora approfittato, sussurrò una vocina maligna nella mia testa.

La cacciai via e inquisii: «Perché non hai risposto ai miei messaggi?»

Veronika ripescò il telefonino dalla pochette, lo accese e fece spallucce. «Scusa, devo ancora abituarmi ad avere un cellulare, non ci ho fatto caso.»

Smettila di starle addosso, mi ordinò la vocina. Mi sforzai di controllare l'irritazione e di capire anche da cosa fosse causata. Ma la risposta era semplice: per la prima volta non avevo avuto Veronika tutta per me.

«Ti sei divertita?»

«Molto. Ritrovare Ivanna è stato...» sollevò gli occhi al cielo, e la vidi sorridere come una bambina a Natale, «siamo state benissimo, abbiamo parlato tutto il tempo, anche mentre mangiavamo, non c'è stato un singolo minuto di imbarazzante silenzio.»

Era chiaramente ancora emozionata per quella scoperta. Mossi la carrozzina in avanti. «Domani mi racconterai tutto di lei. È uno dei tuoi vestiti nuovi?»

«No, me l'ha regalato Kaylee.» Veronika mi fissò, strinse le palpebre e mi puntò contro l'indice. «Non ci provare.»

«Non ho detto nulla» risposi trattenendo un ghigno.

«So cosa stavi per ribattere: "lo vedi che alla fine non è così male?"» Veronika fece un versaccio ben poco femminile. «Finché ti sta lontana non avremo problemi, questo l'abbiamo chiarito.»

«Mi serviva proprio una guardia del corpo.» Andai verso la camera. «Ti aspetto a letto.»

Quando lei mi raggiunse, una mezz'ora dopo, aveva i capelli umidi e la pelle che sapeva di arancia e vaniglia. Un mix inebriante che, unito al fatto che indossava uno dei suoi nuovi completi di Victoria's Secret e che quella sera mi era dannatamente mancata, mi tolse ogni freno inibitore.

Probabilmente lei si accorse del mio sguardo acceso perché rallentò i movimenti che stava facendo per scivolare sotto le lenzuola. «Cosa c'è? Sono sporca di dentifricio?» chiese passandosi un dito sull'angolo delle labbra.

Scossi la testa. «Mi fa piacere che ti sia divertita, stasera.»

Lei mi si sedette accanto. «Dimmi cos'hai.»

Non avrei mai potuto. Non ero mai stato bravo ad esprimere i miei sentimenti, e l'unica volta che mi ero aperto con Veronika avevo finito per citare frasi del romanzo di mia sorella.

Ma a volte non servono parole.

Le presi il viso nella conca della mia mano e lei vi adagiò la guancia, con un movimento spontaneo, fissandomi coi suoi grandi occhi di ossidiana. I lividi erano quasi scomparsi del tutto, e con essi qualsiasi traccia del suo rocambolesco passato.

Le sfregai un taglietto cicatrizzato sullo zigomo; poi il pollice scese a sfiorarle le labbra turgide e perfettamente disegnate. Lei le schiuse sotto il mio tocco, trattenendo il respiro. Vederla così in attesa, trepidante, disposta a prendere tutto quello che avrei potuto offrirle, mi accelerò i battiti cardiaci, e ancor più quando lei mi prese la mano tra le sue e depose un bacio sul pollice che ancora riposava tra le sue labbra, prima di farlo scivolare giù, in una mossa che per un secondo le scoprì i denti inferiori.

Veronika non aveva la più pallida idea di quanto quel momento mi stesse infuocando i lombi. O forse sì.

Non saprei dire se fui io a tirarla verso di me o lei a chinarsi sul mio viso. In un secondo le nostre labbra si incontrarono, chiudendosi in un soffice e umido bacio. Nelle narici mi entrò prepotente il profumo di lei; vaniglia, arancia, donna, Veronika. Sentivo il suo naso rotto e deturpato dai pugni fregarmi contro la guancia, la sua mano sottile posarsi sul mio petto, la sua gamba snella allungarsi piano sopra le mie.

Le mie gambe insensibili e morte.

Frenai i miei baci e, quando capii che lei non si sarebbe arresa, le presi il viso tra le mani, allontanandola. La solita lotta interiore mi stava devastando.

Veronika mi carezzò il viso e annuì. «Lo so.»

Aggrottai la fronte ma prima che potessi chiedere spiegazioni lei continuò: «Capisco quello che provi. Credere di non essere all'altezza... pensare di non farcela. Io vengo dalla strada, Ryan. Mike mi ha addestrata a non credere in me stessa. Perché solo così potevo essere la sua cagnetta, la sua schiava. Le puttane non hanno orgoglio, lo devono seppellire se vogliono sopravvivere. Io l'ho tenuto a freno per tanto tempo ma non appena è riaffiorato Mike mi ha quasi uccisa. Tantissime volte ho creduto di non farcela. Anche adesso penso che non potrei mai essere felice con te. Perché tu sei tutto quello di cui ho bisogno, Ryan, ma io sono fatta per mandare a puttane le cose belle che mi capitano. Nessuno è perfetto, ma...» Veronika si morse il labbro, esitante, «possiamo provare ad essere perfetti l'uno per l'altra.»

Rimasi per un istante ammutolito. Poi dissi: «Se non ti fossi morsa il labbro in quel modo, ti avrei quasi creduto.»

Lei ridacchiò. «Ci sto lavorando! Non è mica facile dire una battuta così sdolcinata stando seri.»

«Sarai una sottomessa terribile.»

Veronika si mise a cavalcioni su di me e mi sollevò il mento con un dito, socchiudendo gli occhi. «Permettimi di dimostrarti quanto hai ragione.» Si impadronì delle mie labbra in un dolce assalto, leccandole, esplorandole, assaggiandole, mordendole.

Stavolta non mi tirai indietro. Forse quell'ultima frase poteva essere stata tratta da un romanzo erotico, ma tutto il resto era vero. Tutto il resto era Veronika.

Risposi al bacio e le posai le mani sulle ginocchia ripiegate, salendo lungo le cosce e i fianchi, sollevandole il baby-doll color prugna. Veronika mi aiutò a rimuoverlo e rimase ferma a farsi ammirare. L'avevo già vista altre volte a seno nudo in passato ma non l'avevo mai toccata, non mi ero mai permesso.

Le carezzai i seni col palmo della mano, godendomi la loro abbondante consistenza. Coi pollici sfregai i capezzoli larghi e scuri, fino a farli inturgidire.

Veronika mi guardò con sfida. «Non mordono mica.»

Sollevai un sopracciglio. «Ma io sì.»

Mi piegai in avanti, avvolgendo le labbra intorno all'areola sensibile. Veronika gettò indietro la testa, infilandomi le dita tra i capelli e tenendomi stretto a sé. Le presi il capezzolo tra i denti, titillandolo con la lingua fino a strapparle un gemito genuino che mi accapponò la pelle. Lo succhiai piano mentre con l'altra mano palpavo tutto quel ben di Dio, eccitandomi sempre di più nel sentire la ragazza contorcersi sotto le mie dolci torture.

Alla fine mi afferrò una mano e la guidò verso le sue mutandine. La carezzai lievemente sopra il tessuto, sentendola già fradicia.

«Guarda come mi riduci» disse tra un sussurro, un ansito e un risolino.

«Perché ancora non ti sei accorta di come tu riduci me.»

Lei ghignò, abbassando una mano fino a ghermirmi in una presa possessiva il pene già eretto da qualche minuto. «Me ne sono accorta eccome. Volevo solo essere sicura che stavolta non scappassi.»

Col cazzo che sarei scappato.

Le infilai le dita nella brasiliana, sfiorandole le grandi labbra e giocherellando col clitoride umido e gonfio. Le dita di Veronika fecero lo stesso, insinuandosi sotto i boxer fino a stringersi intorno al mio membro. Giocherellai con la sua apertura per qualche secondo, godendo nel sentirla muovere il bacino, smaniosa di avere di più. Lei mi torturava allo stesso modo, tirando piano indietro la pelle fino ad esporre il glande rigonfio. Iniziò a percorrerne il disegno con l'unghia mentre io trattenevo il respiro e il cuore mi saliva in gola.

Poi con un movimento brusco le infilai un dito dentro, strappandole un ansito. Allo stesso modo, lei iniziò a muovere la mano su e giù lungo il mio bastone, sempre guardandomi con quegli occhi del colore della notte più profonda. E io guardavo lei, le sue smorfie, i suoi denti perlacei che trafiggevano quel turgido labbro, i suoi seni gonfiarsi al ritmo del respiro, mentre al dito ne aggiungevo un altro e lo muovevo dentro di lei, in cerca del punto più sensibile.

Veronika lanciò un urletto quando lo trovai, conficcandomi le unghie della mano libera nella spalla. Mossi veloce il polpastrello nella sua carne bollente per qualche secondo ma, appena prima di sentirla esplodere, lei mi tolse la mano e mi spinse supino.

Senza una parola, si sbarazzò della brasiliana, mi abbassò i boxer e mi si mise a cavalcioni. Tenendomi il pene bene in verticale, calò piano su di me. Io respirai più affrettatamente quando sentii le sue pareti calde avvolgermi come un abbraccio. Era passato così tanto tempo dall'ultima volta che ero stato con una donna... avevo quasi dimenticato la meravigliosa sensazione.

Veronika iniziò a muovere il bacino circolarmente, permettendomi di sentirla in tutte le angolazioni. Le afferrai i fianchi con le mani, trattenendo un grugnito di puro piacere. Lei mi afferrò una mano e se la portò all'altezza del viso, passando la punta della lingua sul pollice prima di succhiarlo, senza distogliere lo sguardo da me.

Era seduzione allo stato puro e io mi stavo perdendo nella sua magia.

Iniziò a muoversi avanti e indietro, e ad ogni mossa sentivo il mio membro scivolare sempre più in fondo.

Bastarono pochi movimenti perché anche Veronika perdesse ogni freno. Si aggrappò alle mie spalle, allungandosi su di me e iniziando a muoversi più rapida. Dentro, fuori, dentro, fuori. Le afferrai i seni che dondolavano davanti ai miei occhi e allungai il viso per reclamare un bacio che lei mi regalò immediatamente.

Le nostre bocche non si separarono mai, neanche quando i baci si mischiarono ai gemiti e poi al lamento di lei quando si sciolse intorno a me, irrorandomi del suo piacere liquido e bollente, scatenando il mio di conseguenza. Esplosi dentro di lei quasi senza rendermene conto ma non riuscii a preoccuparmi delle conseguenze in quel momento. Affondai la fronte nella spalla di Veronika, le mie braccia ad avvolgerle la vita, il bacino immobile sotto gli ultimi spasmi incontrollati del mio membro.

Veronika mi baciò il collo e si tirò su. I suoi occhi brillavano di estasi. «Grazie.»

Mi venne da ridere e non mi frenai. «Grazie a te. Ma avrei dovuto spingerti via prima...» Mi morsi l'interno della guancia, incredibilmente imbarazzato. «Tu... prendi qualcosa, vero?»

Lei mi fece l'occhiolino. «Lo scoprirai tra nove mesi.»

Deglutii. L'effetto dell'orgasmo era improvvisamente svanito.

Venerdì 6 luglio

Svegliarmi con una Veronika nuda avvinghiata al mio torace mi procurò un sorriso destinato ad aleggiare sulle mie labbra per qualche minuto - un vero record per me.

Devo ammettere che quella ragazzina mi aveva sorpreso. Dopo il primo round ci eravamo entrambi appisolati, ma non era durato molto. Avevo sollevato mezza palpebra sentendo una manina vagare nelle mie zone basse e risvegliare il mio amichetto. L'avevo guardata in faccia con le ciglia sollevate. «Dovrei denunciarti per abuso di invalido.»

Veronika in tutta risposta aveva abbassato la testa tra le mie gambe.

Quella mattina era pronta per ricominciare, lo vidi dall'espressione furbetta che si stampò in faccia non appena aprì gli occhi, ma Sunny venne a bussare alla porta.

«Si può?» domandò, senza aspettare risposta prima di entrare.

Veronika non si preoccupò di coprirsi sotto il lenzuolo, ma inclinò la testa su una spalla mentre Sunny si immobilizzava sulla soglia e spalancava la bocca nel vederla a seno nudo.

«Certo, che succede?» domandò la ragazzina, stiracchiandosi in modo vistoso.

Sunny mi guardò, io feci spallucce. A quel punto mia sorella fece un sorrisone. Temetti quasi che avrebbe iniziato un applauso da stadio. Invece disse a Veronika: «Non prendere impegni per stasera...»

«Sono già impegnata con mia zia a cena.»

«Per il dopocena allora: usciamo.»

Mi inserii subito. «Dove pensate di andare?»

«Devo mostrare a Veronika quel localino carinissimo sulla spiaggia. Faremo tardi, non aspettarci sveglio.»

Guardai Veronika titubante ma lei aveva già esibito un sorriso luminoso. «Fantastico! Così potrò provare tutta quella roba da discoteca che mi hai fatto prendere.»

«Dovrai avere la mia autorizzazione prima di uscire di casa, d'ora in avanti» bofonchiai. Il buonumore mi era già passato ma, appena Sunny si degnò di uscire dalla stanza e lasciarci soli, Veronika si adoperò per farmi tornare il sorriso.

...

Dopo aver passato un pomeriggio tranquillo con Veronika nel cortile del condominio - lei a mollo nella piscina, il corpo baciato dai raggi del sole, io sul bordo che ogni tanto la innaffiavo con la canna dell'acqua facendola urlare e imprecare - decisi che non volevo essere l'unico a passare una serata noiosa. Telefonai a Matthew per invitarlo a mangiare una pizza da me, approfittando dell'assenza delle mie coinquiline. Volevo anche sapere come fosse andato il provino. Il gigolò mi chiese se poteva portare un amico, che si rivelò essere Jona, il fotografo che si era scazzottato con Llanos nella hall il giorno prima.

Era un giovanotto simpatico e di compagnia, anche se quella sera sembrava leggermente giù di corda, e non solo per le botte che aveva preso. Quando per la terza volta lo vidi sussultare e riempirsi il bicchiere di vino al nome di Arleen, capii - ci arriviamo anche noi uomini, ma ci vuole più tempo - che non poteva essere un caso e che Jona doveva avere qualche problema irrisolto con la bella massaggiatrice verso cui anche Matthew mostrava grande interesse.

Le rosse, pensai, felice di chiamarmi fuori da quel dibattito. Nonostante avessi risposto a Matt che non mi curavo delle donne, ero felice di sapere che la mia situazione sentimentale fosse molto meno incasinata della loro. Certo, non pensavo che Veronika fosse la mia ragazza o chissà che altro. Per ora stavamo bene così, ed era quel "per ora" che mi interessava. "Cogli l'attimo e non pensare al domani", diceva uno degli adagi più vecchi del mondo. Era quella la mia filosofia di vita.

Quando Jona se ne andò, con intenti combattivi per sconfiggere una volta per tutte il malvagio Llanos e trarre in salvo la bella principessa Kat, Matt pretese più confidenze da me, che per tutto il tempo ero stato abbastanza reticente a parlare di Veronika. Fui costretto a raccontargli della notte prima e Matt mi riempì il bicchiere per festeggiare, ululando congratulazioni neanche mi fossi sposato.

«Hai rotto il tuo voto di castità, complimenti!» ghignò il gigolò. «Quanti ne hai riempiti, eh?»

Mi schiarii la voce. «In realtà, neanche uno.»

Matt mi scrutò, cercando di capire cosa intendessi. Poi esclamò: «Non dirmi che non avete usato precauzioni! Ryan! Tuo padre non ti ha insegnato come funziona?»

«Era troppo impegnato a girare per il mondo e a tradire mia madre in ogni capitale.» Mio padre era un pilota, ora in pensione. E mentre lui viaggiava in lungo e in largo collezionando amanti, io e Sunny aspettavamo il suo ritorno e le conseguenti sfuriate di gelosia di mia madre, che faceva la traduttrice per restare il più possibile insieme a noi. Non si fidava delle baby-sitter da quando ne aveva beccata una intenta a darsi lo smalto mentre Sunny mangiava la colla.

Matthew non si fece distrarre dal mio tono frivolo. «Sul serio, Ryan, a che pensavi?»

Non pensavo, Evans, almeno non col cervello... «Ho fatto un casino, lo so. Spero solo che lei fosse sicura.»

«Non lo era?!»

«È stata enigmatica.»

Matthew scosse la testa, con una smorfia. «Ti sei appena fottuto, amico. Voglio dire, quanto bene la conosci questa ragazza? Ti è capitata in casa senza che l'avessi mai vista prima, è diventata la tua assistente, le hai dato la carta di credito, l'auto e ora i tuoi genitali. Non capisci cosa sta succedendo?»

Lo fissai negli occhi. Capivo dove voleva arrivare, ma avrei solo voluto che tacesse. Non volevo ascoltarlo.

«Non voglio fare lo stronzo, magari tieni davvero a quella ragazzina e lei tiene a te, ma ti suggerisco di andarci coi piedi di piombo. Non vorrei mai che dopo tutto quello che hai passato prendessi una mazzata.»

Sorseggiai il mio vino, fingendo una calma che non provavo. Ripensai al modo in cui Veronika si era insinuata nella mia vita, così dal nulla, e al suo sorrisetto birichino quando aveva detto "lo scoprirai tra nove mesi".

Maledetto Evans. Non potevi stare zitto?!

«Grazie del consiglio, Matt» risposi placido.

Matt mi osservava attentamente. In quel momento sospirò e mi diede una pacca sul ginocchio. «Mi sono ufficialmente pentito di avertelo detto, amico. Si vede che quella ragazza ti fa bene.»

Soffiai dalle narici. «Non esagerare adesso.»

Matthew si impegnò per alleggerire l'atmosfera e qualche bicchiere in più mi aiutò a distendere i nervi, anche se non smisi del tutto di pensare alle sue insinuazioni. Veronika, una prostituta senza casa, senza famiglia, senza denaro. Si sarebbe davvero fatta mettere incinta per garantirsi un futuro? Mi avrebbe davvero ingannato in quel modo?

Era appena passata mezzanotte quando Veronika, palesemente ubriaca, si catapultò nell'appartamento. Le moine, i sorrisini e soprattutto quella palpata al culo di Matthew non migliorò il mio umore, e mi affrettai a cacciarlo via prima che potesse fare ulteriori danni.

Una volta soli, Veronika mi prese il viso tra le mani e mi diede un lungo bacio che sapeva di alcol, terminando con un sorriso. «Mi sei mancato.»

«Dov'è Sunny?» glissai.

«Giù a vomitare in un'aiuola. Arriverà a breve.»

«Siete troppo giovani per bere così tanto.»

«Io l'alcol lo reggo benissimo. Se vieni in camera ti mostro tutto il mio equilibrio» insinuò maliziosa.

L'allontanai quando cercò di baciarmi di nuovo. «Aspetta. Dobbiamo parlare.»

Lei roteò gli occhi. «Odio quella frase, ma nessuno me l'aveva detta prima, quindi non so che aspettarmi.»

«Devo sapere se usi degli anticoncezionali» le chiesi con serietà.

Lei fece spallucce e rispose tranquilla: «No, non li uso.»

Il cuore mi sprofondò nello stomaco e per un attimo fui lì lì per rimettere tutto l'alcol che avevo ingerito.

«Che cazzo, Veronika...» iniziai a esplodere, ma lei mi bloccò.

«Non posso restare incinta. Ho fatto i controlli anni fa, con Mike. A quanto pare c'è qualcosa che non funziona...» fece spallucce, disinteressata, «non lo so, non mi è mai importato. Tanto non voglio figli, non li ho mai voluti. E poi, essendo una puttana, non avrei mai potuto in ogni caso.»

Quella rivelazione mi lasciò scioccato. Per qualche istante non seppi che dire. Riuscivo solo a pensare: sono un vero stronzo. «Mi dispiace.»

«A me no.»

Deglutii. Sentivo che dovevo dirglielo, lei era stata sincera con me e io la contraccambiavo dubitando di lei. «No, mi dispiace avere pensato per un istante che volessi fregarmi.»

Veronika aggrottò la fronte, alzandosi dalle mie ginocchia. «Sei serio?»

Avrei voluto dirle che era l'unica plausibile risposta che mi aspettavo da una "relazione" come quella. Avrei voluto dirle che non capivo come una ragazza piena di possibilità e potenziale come lei potesse scegliere di stare con un paraplegico che non avrebbe mai potuto nuotare con lei in piscina o stendersi al sole senza chiedere aiuto per rialzarsi o fare escursioni in montagna o anche solo passare una notte in un motel da quattro soldi senza ascensore.

Tutto quello che riuscii a dire fu solo: «Scusa.»

Lei strinse le labbra, raggrinzendo il viso come se stesse per mettersi a piangere. «Che stronzo» mormorò e corse via.

Quella notte non ci furono sesso né coccole, solo lei che vomitava in un secchio e io che la vegliai finché non la vidi crollare sul cuscino.

Domenica 8 luglio

Seduto al tavolo della colazione mi tenevo la testa con una mano, osservando il mio caffè raffreddarsi poco a poco. Sunny, seduta dinanzi a me ancora in tuta da jogging, mi scrutava da almeno cinque minuti, chiacchierando di ovvietà cui io neanche rispondevo.

Alla fine si schiarì la voce e disse: «Okay. Mi dici cos'hai?»

Bofonchiai un "niente" poco convinto e lei accavallò le gambe e inforcò gli occhiali da lettura. Era convinta che le dessero un aspetto intimidatorio e professionale. ;Sunny passione psicologa" in arrivo.

«Il tuo "niente" c'entra col fatto che è da ieri che Veronika non ti rivolge la parola? Cos'è, ha scoperto che non sei così bravo a letto?» fece un sorrisetto che io gelai con un solo sguardo, rifiutandomi di rispondere.

Era vero, ieri Veronika mi aveva evitato tutto il tempo. Quando mi ero svegliato al suo posto avevo trovato un biglietto con su scritto: "vado con Sunny alla conferenza del film". Peccato che sapessi benissimo che la conferenza in cui il regista avrebbe annunciato il cast di "Passione segreta" in diretta nazionale si sarebbe tenuta solo quel pomeriggio. Cosa avrebbe potuto fare una ragazza arrabbiata e coi postumi di una sbornia insieme a mia sorella?

Come scoprii solo la sera - dopo aver passato una giornata di noia mortale seduto davanti alla tv - erano state al mare. L'avrei comunque dedotto dalla scottatura della loro pelle quando rientrarono quella sera. Sunny si precipitò subito a cambiarsi, dicendo di avere un appuntamento per cena, mentre Veronika si chiuse nella mia - nostra - stanza e ne uscì solo per cucinare in fretta e malamente un piatto di pesce surgelato che causò ad entrambi un'indigestione poco piacevole, specie quando nel mio caso ci mettevo molto più di cinque minuti per passare dalla camera da letto al bagno.

E in tutto questo, Veronika non mi aveva mai rivolto la parola, come giustamente aveva notato anche Sunny.

«Cosa le hai fatto?» insisté.

«Perché dovrebbe essere colpa mia?!»

«Perché è lei ad essere furiosa con te mentre tu la segui tutto il tempo con sguardo da cucciolo affranto.»

«Non paragonarmi più ad un cucciolo se vuoi continuare a vivere qui» ringhiai, addentando una fetta biscottata. «Comunque non ne voglio parlare.»

Sunny si arrese e intrecciò le mani sul tavolo. «Forse la notizia che sto per darti ti rallegrerà: ho deciso di lasciar perdere Christopher. Continueremo ovviamente a lavorare al film, ma niente più di quello.»

Sollevai il sopracciglio. «Qual è stata la tua illuminazione sulla via di Damasco?»

«Si è scordato di avermi invitato a cena, ieri sera. Ne avevamo parlato tempo fa, ed effettivamente poi non si è fatto più sentire, fatto sta che io non dimentico quando vado a cena con un figo del genere e mi sono presentata alla sua porta solo per scoprire che era con un'altra donna. E non una qualsiasi: Kat, la scrittrice.» Alzò i palmi delle mani. «Ora, francamente non mi importa essere stata dimenticata come spazzatura sul ciglio della strada, ma un pochino mi irrita essere stata sostituita da una mia collega.» Fece spallucce, sorseggiando la sua spremuta d'arancia. «Ma va be', sono stata diplomatica. Quando si è scusato e ha proposto di rivederci oggi a colazione ho detto che avevo da fare.» Mi fissò e fece una smorfia. «Puoi anche smettere di gongolare, sai? Ed evita il "te l'avevo detto".»

Non ero dell'umore giusto per gongolare, ma dovevo ammettere che era davvero una bella notizia. «Sono solo felice che hai capito finalmente quello che io ho intuito dal primo momento che l'ho visto. Sarà anche un bravo regista, ma come uomo non è affidabile e non va bene per mia sorella.»

«Quando smetterai di fare il fratellone iperprotettivo?»

«Quando ti sarai sposata con un uomo che avrò scelto io e avrai almeno un pronipote.»

Lei rise. «Molto probabilmente per allora sarai già morto ed io in casa di riposo a raccontare alle altre vecchiette di quella volta che girarono un film tratto da un mio libro erotico.»

Veronika ci raggiunse e l'atmosfera si raggelò immediatamente. Sunny la salutò disinvolta e Veronika risposte: «Buongiorno Sunny.»

Peggio di un calcio nelle palle.

Sunny mi lanciò uno sguardo d'intesa e in meno di un secondo si volatilizzò in bagno. Veronika si riempì una tazzina di caffè e lo sorseggiò in piedi.

Addirittura?

La pazienza non era mai stato il mio forte e la sera prima non avevo avuto modo di affrontarla come si deve, ma ora ne avevo abbastanza.

«Senti, quante volte ti devo chiedere scusa?» sbottai, dando una manata al tavolo che le fece sollevare gli occhi.

Veronika continuò a bere il suo caffè, sciacquò la tazzina nel lavabo e la mise a posto. Solo allora si voltò verso di me, inchiodandomi coi suoi occhi cupi. «Forse non ti rendi conto di quanto mi hai ferita. Pensare che tutto quello che faccio, penso e provo sia per approfittare di te... Sappi una cosa, Ryan; se Christopher mi darà il ruolo, gli chiederò un prestito per andare via di qua, così non dovrai più dormire con la paura di svegliarti senza portafoglio o senza auto.»

Era seria, mortalmente seria. Era chiaro che non aveva preso quella decisione in cinque secondi. Forse ci pensava già da due giorni.

«Non voglio che tu te ne vada» dissi con voce rauca.

«Sembrava il contrario, venerdì.»

Non era giusto che desse a me tutta la colpa. «Non è che tu mi renda le cose facili. Non so nulla di te. Non mi hai ancora detto chi è Ivanna. Io non ti conosco, Veronika.»

«Ed è più facile sommergere una persona di sospetti invece che imparare a conoscerla, eh?» Veronika mi sorpassò, a passi larghi.

«Non mi voltare le spalle» sibilai, una vena che iniziava a pulsarmi lungo il collo.

Lei si voltò indietro, tra le ciglia due fuochi che brillavano di rabbia. «Non sei il mio padrone, e se le cose vanno come voglio non sarai il mio capo ancora per molto.»

La sua ira scatenò la mia. «Vuoi andartene? Va bene.» Mossi la carrozzina fino al soggiorno, aprii un mobiletto ed estrassi il libretto degli assegni e una penna. Scarabocchiai qualcosa e poi glielo tesi: «Diecimila dovrebbero bastare come inizio.»

Veronika osservò il pezzetto di carta che mi pendeva dalle dita. Poi, con un verso a metà tra un ruggito animale e un lamento di rabbia, lo afferrò e lo fece a pezzi, calpestandolo, saltandoci sopra. La stava possedendo la stessa furia che l'aveva portata a distruggere la carta da parati della mia camera, solo che in soggiorno c'erano cimeli di valore per la cui perdita Sunny sarebbe entrata in lutto.

«Basta, Veronika!» gridai, vedendola colpire il mobiletto in legno con le nocche arrossate.

Le arrivai accanto con la carrozzina e le afferrai i polsi, strattonandola verso di me. Il suo viso accaldato era a pochi centimetri dal mio.

«Basta» ripetei.

Lei si sciolse, cadendo in ginocchio e sprofondando il viso nelle mie ginocchia. I singhiozzi la scossero come una febbre e io non potei far altro che carezzarle il capo, mentre pian piano mi calmavo anch'io. Ero stato ad un passo dal perderla. Non volevo che capitasse mai più.

...

Veronika guidava calma per le strade. Ogni tanto le davo un'occhiata, per assicurarmi che stesse davvero bene. Dopo quel pianto liberatorio, la ragazza aveva sussurrato che allontanarsi da me era l'ultima cosa che voleva, e quando le avevo offerto l'assegno si era sentita trattare come la puttana che era stata. Io non avevo neanche pensato a quell'aspetto: volevo solo che fosse in grado di rifarsi una vita. Mi sentivo proprio un coglione.

Ma lei mi aveva perdonato, e nel modo più dolce. Non c'era stato sesso riparatore, però, perché mi aveva avvisato che avevamo appuntamento con Gonçalo Llanos nel suo hotel, insieme a Kaylee e ai suoi genitori. Mi aveva raccontato di essersi imbattuta in lui e Kay mentre cenava da sua zia; a quanto pareva, quei due si erano fidanzati.

Forse quel gioco stava sfuggendo di mano alla mia amica...

«Tra te e Llanos» iniziai, scegliendo accuratamente le parole. Non volevo di certo suscitare un vespaio come l'ultima volta. «C'è qualche trascorso di cui non mi hai parlato?»

«Niente affatto. A parte quando mi ha chiusa nella stessa stanza di Mike perché lo intrattenessi il tempo necessario di chiamare la polizia, non l'ho mai visto in vita mia.»

«Davvero non mi spiego cosa voglia da te, allora.»

«Neanch'io» rispose lei, osservando la strada.

Arrivammo puntualissimi; Kaylee fece le presentazioni ufficiali, nonostante avessi già intravisto Ivanna. Era una bella donna, più giovane del suo compagno, Luke, il padre di Kaylee. Goncalo fu - effettivamente - un manuale di galanteria. Ci scortò fino al ristorante, in una saletta appartata dove avremmo potuto chiacchierare senza essere disturbati dagli altri clienti.

Veronika iniziò subito a spettegolare con Ivanna, mentre Luke non aspettò neanche l'arrivo dei menù per fare il terzo grado a Llanos. Io e Kay ci ritrovammo ad ascoltare un po' gli uni un po' gli altri.

Poi lei mi sorrise, dicendo tra i denti: «Chi pensi la spunterà? Mio padre mi ripudierà o Gonçalo sceglierà una preda sorvegliata da un drago più docile?»

«A questo proposito, che diavolo significa che vi siete fidanzati?»

«È una lunga storia.»

«Lunga non credo; il latte che ho in frigo ha una scadenza più lunga dei giorni che avete passato insieme.»

Lei rise dietro la mano. «Intendo che è complicato. Ti spiegherò tutto quando saremo soli. E tra te e Veronika come va?»

«È una lunga storia» le feci il verso, strappandole un altro sorriso che non sfuggì né a Veronika né a Gonçalo. Non saprei dire chi dei due ci guardò peggio.

Allungai una mano a stringere quella che Veronika aveva posato sulla gamba e lei fece una smorfia, ma capii che aveva apprezzato quando me la strinse di rimando.

Il pranzo andò benone fino alla pausa sigaretta. Solo Goncalo e Veronika si alzarono per fumare e Kaylee lo fulminò leggermente con lo sguardo quando lo vide posare una mano sulla schiena della ragazza per guidarla all'esterno.

I minuti passavano, e i due non tornavano. Kaylee continuava a tamburellare il piede nel vuoto e anch'io mi stavo facendo nervoso.

Ad un certo punto dissi: «Forse...»

«Sì» rispose subito la ragazza, scattando in piedi e andando alla loro ricerca.

La vidi tornare dopo poco meno di un minuto, furibonda e quasi in lacrime. Mi scusai con Luke e Ivanna e la rincorsi, per quanto mi permetteva la carrozzina. Kay non era tornata al nostro tavolo, ma si stava inoltrando nei corridoi dell'hotel.

«Kaylee!» la chiamai.

Lei si bloccò, inspirando ed espirando. Le andai davanti e vidi che stava sul serio piangendo.

«Che diavolo...»

«Che fosse un pezzo di stronzo misogino lo sapevo ma che andasse pure a puttane!» singhiozzò lei con rabbia.

Poi si tappò la bocca con la mano, gli occhi sgranati per quello che si era lasciata sfuggire.

Io mi ero irrigidito. «In che senso?» scandii.

«No, Ryan, non intendevo...» Le lacrime le si erano cristallizzate sulle guance. «Non adesso. Li ho sentiti parlare di una cosa che... è successa anni fa.»

Anni fa. Veronika era minorenne.

Lo uccido.

Girai lentamente la sedia quando sentii i passi affrettati dei due alle nostre spalle. Kay si asciugò il viso, fermò il tremito delle labbra e si volse a fronteggiarli insieme a me.

Io ringraziai Dio di non avere una pistola in mano in quel momento, o Goncalo Llanos non avrebbe neanche avuto il tempo di emettere l'ultimo respiro.

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