Ryan. La verità

Lunedì 16 luglio

Svegliarmi accanto a lei fu come continuare il meraviglioso sogno che aveva addolcito quella notte.

Veronika dormiva profondamente, le labbra socchiuse che sfioravano il mio petto, una gamba gettata di traverso sopra le mie in un groviglio di carne e lenzuola.

Contemplando il suo viso rilassato e in pace, del tutto dimentico della crisi che l’aveva colta quella notte, sentii il cuore allargarsi e non potei fare a meno di circondarla col braccio e tirarla di più verso di me, anche a costo di svegliarla. La tenni stretta, godendomi il profumo dei suoi capelli, con gli occhi chiusi.

Se un Dio esisteva da qualche parte, avrebbe dovuto concedermi di congelare quell’istante così perfetto.

L’avevo ritrovata proprio quando pensavo di averla perduta, proprio quando le labbra di Kaylee avevano cercato di ricordarmi che Veronika non era la sola al mondo.

Ma l’intento di Kaylee era stato proprio l’opposto. Me l’aveva riportata. Forse poteva essere pessima nelle sue relazioni, ma era un’amica leale e avrei dovuto ringraziarla prima che Veronika le facesse la pelle.

La ragazza si mosse al mio fianco e io la strinsi di più. Lei si lamentò, mugugnando: «Mi soffochi…»

«Ti farò un funerale stupendo.»

Veronika sbadigliò sorridendo e schiuse gli occhi. «Buongiorno.»

Io non le risposi, preferendo premere le mie labbra sulle sue. Quello era il mio buongiorno. Lei lo era.

Sunny era partita quella mattina presto, lasciandomi solo un biglietto.

“Vado da papà. Ti chiamo appena arrivo. Sono contenta che V sia tornata” e aveva aggiunto anche una faccina sorridente.

Io e “V” passammo una giornata tranquilla, casalinga, come una giovane coppia di sposi. Veronika preparò il pranzo – cotolette bruciate e insalata scondita perché nessuno aveva provveduto a fare la spesa – poi ci rilassammo sul divano come se non avessimo un solo pensiero al mondo.

Sunny chiamò per informarci che il volo in Irlanda era andato bene, che le condizioni di nostro padre erano stabili ma i dottori non avevano speranze che uscisse dal coma. La mamma era distrutta dal dolore e Sunny si sarebbe fermata almeno fino al prossimo weekend. Le dissi che non c’erano problemi e che abbracciasse la mamma da parte mia.

Poco prima di salutarmi, Sunny aggiunse: «Potresti ricevere visite oggi. Marie è in città, ha saputo che ci siamo trasferiti qui e voleva passare a fare un saluto.»

Marie. Non la vedevo dal funerale di Kate e Zoey. Era stata una mia collega di lavoro, una modella bellissima, grintosa e simpatica che aveva rubato il cuore di molti all’epoca. Il mondo della moda si era vestito a lutto quando aveva deciso di appendere le Loboutin al chiodo e di cambiare vita. Non aveva mai spiegato il motivo, trincerandosi dietro un generico: “la bellezza non dura per sempre.”

Avevamo mantenuto i contatti. Lei e Kate erano amiche inseparabili, ero quasi geloso del loro rapporto. Erano tanto intime, non avevano problemi a farsi la doccia insieme o ad entrare nello stesso camerino quando andavano a fare shopping. Ogni volta che uscivo con loro la gente pensava fossi l’amico gay di due lesbiche.

Con la morte di Kate era venuta meno l’unica cosa che ci legava. Non l’avevo biasimata quando era scomparsa nel nulla. Io stesso dopo l’incidente mi ero chiuso in me stesso, escludendo il mondo.

«Comportati bene» si raccomandò mia sorella prima di riattaccare.

Poco prima che Marie suonasse al campanello, Veronika andò a farsi la doccia. Andai quindi io ad aprire la porta e mi trovai davanti forse la ragazza più bella del mondo. Gli anni non avevano scalfito minimamente il suo fascino; conservava la stessa aria da eterna ragazzina, lo stesso fisico flessuoso e atletico slanciato da scarpe altissime e shorts attillati.

«Ciao Ryan» mi salutò con un sorriso, baciandomi sulle guance e travolgendomi col suo Chanel.

«Quanto tempo» la feci entrare.

Marie parve notare un velo di rimprovero nella mia voce. «Sarei dovuta venire prima, lo so. Ma è stato difficile.»

«Anche per me.»

«Lo so. Posso solo chiederti scusa.»

Le feci segno di accomodarsi sul divano. «Sono contento di vederti. Cosa ci fai a San Diego?»

«Devo risolvere delle faccende e vedere delle persone. Tu?»

«È una città come un’altra in cui vivere.»

Marie accavallò le gambe abbronzate. «E come te la passi?»

«È passato tanto tempo, inizia a fare meno male.»

«Io invece ci penso continuamente.» Marie si morse il labbro turgido e rosso, esitante. Poi si allungò verso di me, con sguardo tormentato. «Ryan, la ragione per cui non sono più venuta a trovarti dopo l’incidente…»

Si interruppe, fissando gli occhi oltre le mie spalle. Io sentii i passi nudi di Veronika sul marmo e poco dopo fu al mio fianco, una mano posata con fare possessivo sul mio braccio. «Salve, io sono Veronika, la fidanzata di Ryan» mise subito bene in chiaro.

Marie era impallidita come se avesse appena visto un fantasma. Alternò lo sguardo sconvolto tra me e lei, incapace di parlare. Alla fine sillabò: «Piacere.»

Veronika si fece subito sospettosa per quella reazione insolita. «Vi ho interrotti?» chiese. Potei quasi sentirla affilare gli artigli sulla parete.

«No… io… devo andare.» Marie scattò in piedi e si slanciò verso la porta.

Veronika sorrise vittoriosa, forse convinta di aver appena avuto la meglio su una potenziale rivale, ma io la rincorsi con la carrozzina.

«Aspetta, stavi per dirmi qualcosa.»

Marie si girò, ma fissò Veronika. Il suo intento era chiaro.

«Veronika, aspettami nella Jacuzzi per favore» dissi.

Lei spalancò la bocca, oltraggiata. «Non puoi cacciarmi come un cane!»

«Per. Favore.»

Veronika sapeva quando non doveva contestare le mie decisioni. Mise il broncio e marciò fuori in terrazza, strappandosi l’asciugamano dalla testa e strizzandosi con rabbia i capelli umidi.

Marie la seguì con lo sguardo e poi si accasciò su una poltrona. «Oddio… Davvero ti sei messo con quella?!»

«È una ragazza fantastica» dissi, in modo da impedirle di procedere oltre su quel sentiero.

«Tu non sai… lei non è… Non può essere.» Marie si coprì la bocca. Non era più sgomenta, iniziava ad essere adirata.

«Parla chiaro oppure vattene, Marie. Non ti permetterò di insultarla.»

«Lo faresti anche tu se sapessi…»

«Sapessi cosa?!»

Marie reagì al mio tono incazzato fissandomi con ira. «È colpa sua se hai fatto quell’incidente. È colpa sua se Kate è morta.»

Il mio cuore mancò un battito. «Che cazzo stai dicendo?»

«Lo sai che è una prostituta, almeno? Quella sera stava andando da un cliente. Non era lei a guidare ma… un’altra persona che la stava portando. A un certo punto quella pazza squilibrata ha dato di matto e ha cercato di prendere il controllo del veicolo ma ha fatto solo un disastro.»

Quello stupido muscolo chiamato cuore non voleva saperne di tornare a battere. Non lo percepivo più, sentivo solo un fastidioso ronzio in testa. Forse stavo per avere un infarto. Sarebbe stato bello. Morire così e non sapere altro.

Ecco perché dicono beata ignoranza.

«Come sai queste cose?» domandò una voce che non mi apparteneva.

«Me le ha dette il guidatore.»

«Chi c’era alla guida, Marie? Me lo devi. Lo devi a Kate.»

Lei parve combattuta, ma poi si strinse nelle spalle. «Tanto non lo conosci. Si chiama Llanos.»

Il mio petto si espanse.

Proprio in quel momento Veronika riapparve nel suo accappatoio bianco, il volto congestionato dalla rabbia e dall’incredulità. Subito iniziò a strillare: «Non è vero! Quella stronza mente! Non crederle, Ryan, ha sparato solo un sacco di stronzate da quella bocca maledetta! Non ho mai causato nessun incidente, tantomeno il tuo! Mi ricordo quella sera. Ricordo che Gonçalo mi stava portando da quei pazzi perversi dei suoi clienti. Mike mi aveva venduta per una bella somma ma sapeva che io non volevo. C’ero già passata. Quelli non erano uomini, erano mostri.»

Veronika si abbassò la scollatura dell’accappatoio fino a mostrare un capezzolo. E in particolare, la cicatrice che stava sotto di esso. «La vedi questa? Me l’hanno fatta loro. Me l’hanno quasi staccato. E non ti dico i danni che mi hanno causato dentro. C’è voluto un mese perché mi riprendessi. È stato dopo quel fatto che ho saputo che non sarei potuta rimanere incinta.»

Veronika strinse i pugni. «Mike mi aveva venduta di nuovo. Gonçalo doveva portarmi da loro. Mi avevano drogata perché non mi ribellassi, ma non avevano calcolato la dose giusta. Mi svegliai nell’auto di Gonçalo e cercai subito di scappare. Aprii la portiera e mi gettai sull’asfalto. Mi lussai il fianco, lo sai, ne porto ancora i segni. Corsi nei campi fino ad essere al sicuro. Non ho visto nessun incidente ma ho sentito il rumore. I freni, l’impatto. E poi ho visto le fiamme. Ma non pensavo fosse stato Gonçalo. Non pensavo fossi tu.»

Veronika scattò verso Marie. «Tu parli di cose di cui non sai un cazzo! Perché proteggi quella merda? Non sai di cosa è capace!» Tornò con un balzo da me, accucciandosi ai miei piedi e prendendomi una mano inerte tra le sue. «Ma ora lo abbiamo in pugno. Questa stronza ha ammesso che lui era alla guida, che lui ha causato l’incidente. Lui ha ucciso la tua famiglia. Non io, io non c’entro nulla!»

«L’hai fatto andare tu fuori strada!» gridò Marie con le guance arrossate. «Tu gli hai strappato il volante di mano, tu hai fatto inversione impattando con l’auto di Kate! Da quando Gonçalo mi ha raccontato la verità quella notte non ho fatto altro che cercarti ma il tuo pappone ti aveva portata via appena saputo il casino che avevi combinato. Ora che ti ho ritrovata però pagherai per quello che hai fatto.»

«Non ho fatto niente! Sono solo scappata da quel pedofilo puttaniere di Gonçalo Llanos!»

Le due cominciarono ad inveire una contro l’altra. Io restavo immobile ma non impassibile. L’inferno si stava scatenando nella mia mente.

Approfittai della loro esigenza di respirare per intromettermi: «È meglio che te ne vai, Marie.»

Lei parve incredula che la stessi cacciando ma puntò il dito contro Veronika. «Non finisce qui, puttana» sibilò, uscendo e sbattendo la porta.

«Perché lo difendono tutte?!» gridò Veronika, afferrandosi la testa. «Kaylee, questa stronza… Perché nessuno crede a me

«Ti credo io.»

Veronika parve acquietarsi alle mie parole. Mi si sedette in braccio e mi avvolse il collo con le mani. «Mi dispiace un casino, Ryan» sussurrò. «Se avessi saputo che c’eri tu in quell’auto… non lo so, magari sarei tornata indietro, ti avrei dato una mano.»

«Non c’era niente da fare.» Il mio tono era vago, distante. Mi sembrava di essere un semplice spettatore della bugia che avevo vissuto in quell’ultimo anno. «Per tutto questo tempo ho pensato di essere stato io la causa dell’incidente. Avevo bevuto, anche se avevo promesso a Kate che non l’avrei fatto. Stavamo discutendo in macchina. Zoey piangeva sentendoci urlare. È l’ultima cosa che ricordo. I rimproveri di Kate, le lacrime di mia figlia. Pensavo di essermi distratto, pensavo di essere stato io a sbandare. Pensavo di avere i sensi annebbiati dall’alcol.»

«E invece è stato Llanos. Puoi smetterla di incolparti, adesso.» Veronika aspettò una reazione che non ebbi. Quindi poggiò la testa contro la mia. «Cos’hai intenzione di fare?»

Non lo sapevo. Non sapevo più nulla.

“Ascoltami Ryan, scusami se sono sbottata in quel modo. Sicuramente sarai sconvolto e non dovevo aggredirti così ma quella ragazza è pericolosa, è meglio se te ne sbarazzi. Gonçalo non mi avrebbe mai mentito, non è stata colpa sua. Mi pare di aver capito che lo conosci… Ti prego, non fare nulla di avventato. Se lo ritenessi colpevole, nonostante sia amico mio lo avrei ucciso con le mie stesse mani per Kate. Ma mi ha giurato che è stata Veronika a…”

Interruppi il messaggio in segreteria scaraventando il telefono fuori dalla finestra aperta. Mi portai alle labbra il collo della bottiglia di rosso che avevo fatto comprare a Veronika. Lei dormiva, era notte fonda. Io non ci riuscivo. Forse non ci sarei riuscito mai più.

Lasciai che l’alcol mi riempisse le vene, mi annacquasse il cervello. Lasciai che mi uccidesse una volta ancora. Ma come sempre l’unico risultato che ottenni fu una feroce emicrania e il sapore acre del vomito sulla lingua.

Martedì 17 luglio

Avrei voluto tenerla fuori. Avrei voluto condurre le indagini a modo mio. Ma niente poteva fermare Veronika quando si metteva in testa qualcosa.

Era andata all’hotel senza dirmi nulla, la sera prima. E quella mattina mi aveva raccontato tutto. Del club, delle prostitute. Di Arleen. Anche lei era coinvolta. La bella massaggiatrice dalle maniere rozze e i capelli di fuoco faceva la dominante nell’hotel di Gonçalo Llanos.

Non la condannavo. L’unico di cui mi importava era lui.

Ci pensai, ci ripensai. Veronika mi lasciò in pace tutta la giornata. Solo la sera mi decisi.

Raccontai alla polizia tutto quello che sapevo, quello che mi aveva detto Marie, quello che Gonçalo aveva confermato con la sua stessa bocca, quello che Veronika aveva visto. Magari avevo preso un abbaglio, magari sarebbe stato scagionato. Mi importava solo una cosa: sapere se era vero che Llanos era fuggito dal luogo dell’incidente un anno prima, e perché.

Era notte fonda quando suonarono alla porta. Veronika si lamentò, assonnata, e fui io ad alzarmi, facendo una fatica boia a mettermi sulla carrozzina.

Ad attendermi dietro la porta c’era una ragazza decisamente sbronza e con l’aria distrutta di chi non dormiva da un mese.

«Kat.»

«Mi serve il cellulare» bofonchiò lei, lottando per non barcollare. «Non lo trovo più, mi sa che l’ho lasciato da te domenica.»

«Mi chiedevo quando te ne saresti accorta.» Andai a prenderle il cellulare che avevo poggiato sulla credenza in salotto. Prima di darglielo, però, la fissai dritto negli occhi. «Hai la segreteria automatica. Non ho potuto fare a meno di ascoltare un messaggio da parte di Llanos. Parlava di Emile.»

Lei aggrottò la fronte, cercando di capire cosa stessi dicendo. Sapevo che non era in sé ma avevo bisogno che si concentrasse per un minuto. Le presi la mano e la feci sedere su una poltrona, cercando di essere il più delicato e paziente possibile.

«Ascoltami, l’ho denunciato. Per tutto quello che ha fatto. Ho raccolto abbastanza prove da prenotargli quantomeno un weekend in galera. Non ho idea di come siano i tuoi rapporti con lui ma devi lasciarlo perdere prima che faccia del male anche a te.»

Kat non capiva, aveva lo sguardo annebbiato e l’alito che sapeva di birra scadente.

Stavo per insistere quando la porta, che avevo dimenticato di chiudere a chiave, si spalancò sbattendo contro i cardini e una furiosa Kaylee si scagliò contro Kat, travolgendola con uno schiaffo sonoro in pieno volto.

«Troia!» strillò la moretta. «Prima te lo scopi e poi lo mandi in galera! Io ti ammazzo, stronza!»

Kat reagì quasi senza sapere quello che faceva. La spinse indietro per tenerla lontana ma Kaylee allungò una mano di nuovo contro il suo volto. Allora Kat le afferrò il polso, sbilanciandola e afferrandola per i capelli.

La situazione stava per degenerare e già sentivo lo scalpiccio di Veronika che correva fuori dalla camera da letto, quando Matthew, che aveva accompagnato Kaylee, le fermò. «Calmatevi!» Tirò Kaylee da una parte e arrestò l’assalto di Kat con un braccio.

Si acquietarono entrambe, col fiatone. Lo sguardo di Kaylee era omicidio puro. Sapevo che se avesse potuto avrebbe ammazzato Kat. L’unica cosa che non capivo era perché.

Matthew, dopo essersi assicurato che la situazione fosse sotto controllo, mi apostrofò: «Ryan, è vero che hai denunciato Llanos?»

Le voci corrono, pensai. «Ha ucciso Kate e Zoey» fu la mia piatta risposta.

Tre paia di occhi si puntarono su di me. Matthew, sconvolto e incredulo, esclamò: «Che cosa?!»

Raccontai in succinto quello che mi aveva detto Marie. La prima ad intervenire, dopo un lunghissimo silenzio, fu Kaylee. «Non ci credo» disse, sicura di sé. «Gonçalo non sarebbe mai scappato.»

La fissai con rabbia. Non potevo credere che dopo tutto quello che aveva passato difendesse ancora quell’uomo. «Questa è l’unica cosa indubbia che ha fatto. Che il volante sia stato mosso da Veronika o da Gonçalo, lui ha girato l’auto ed è fuggito. Poteva aiutarci. Poteva salvare la mia famiglia.» Ignorai il groppo in gola. «Ma è scappato.»

Kaylee, forse capendo che dicevo sul serio e non mi ero inventato tutto di sana pianta per screditare il suo amato, si portò una mano alla gola, pallida in viso. «No… no…»

Il suo balbettio mi fece sbroccare. Ero stanco di trovarmi sempre quell’uomo tra i piedi, stanco del male che mi aveva causato. Prima Veronika, ora Kate. Aveva preso anche Kaylee, l’unica amica che io avessi avuto da lungo tempo.

Ero stanco che prendesse le persone cui tenevo e le facesse a pezzi.

«Quando smetterai di difenderlo?» sbottai, avanzando verso di lei. «Quando ti avrà ammazzata e gettata in un fosso? O forse pensi di essere diversa, di avere un qualche potere su di lui perché siete innamorati? Anzi, addirittura fidanzati, a sentire i giornali. Bell’affare che hai fatto! Avrai la sua fedeltà magari, ma che te ne farai se finirà i suoi giorni in galera? Ma poi vorrei proprio capire come tu, da donna, potresti accettare di stare con un uomo che ha pagato delle minorenni per fare sesso con lui, che ha lasciato morire una madre e una figlia solo per timore delle conseguenze, che nel suo stesso hotel ha un traffico di carni femminili pari a quello dei migliori mafiosi d’America.»

Battei due volte le mani, con una violenza che la fece sobbalzare. «Svegliati Kaylee. Pensi davvero che questo sia amore? Se lo pensi, allora siete proprio fatti l’uno per l’altra. Ma non fare la morale a me per aver avuto le palle che non hai tu.»

Kaylee era sul punto di scoppiare a piangere ma non mi importava. Non mi interessava più nulla.

«Ti sono grato per ciò che hai fatto per me e Veronika ma certe cose non possono essere perdonate» conclusi freddamente; poi precisai: «Ho denunciato io Gonçalo Llanos. Kat non ha niente a che fare con questa storia, a meno che non lo voglia lei.»

Era un suggerimento e glielo feci capire con un’occhiata. Capivo la sua paura di esporsi ma il messaggio che Llanos aveva lasciato in segreteria mi aveva fatto capire che erano tanti altri gli scheletri che custodiva nel suo armadio.

Quella discussione mi aveva esaurito. Feci un cenno a Matthew. «Porta Kaylee a casa, per favore.»

«E Kat?» mormorò lui con voce arrochita. La storia di Marie aveva sconvolto pure lui. Come tutti quelli che avevano conosciuto Kate, aveva imparato ad apprezzare la sua purezza d’animo, così rara in una persona che di mestiere sfilava in passerella.

«Ci penso io.»

I due se ne andarono. Kaylee sembrava prosciugata di ogni forza e Matthew la portò via come una bambola di pezza, sorreggendola.

Kat tornò ad accasciarsi sulla poltrona. «L’ha fatto davvero?» mormorò. Forse cominciava a tornare lucida.

«Sarà la parola di Marie e Gonçalo contro quella di Veronika.» Mi guardai intorno. Ero sicuro che Veronika fosse entrata in salotto e avesse sentito tutta la discussione, ma ora non la vedevo da nessuna parte.

Kat mi fissò. «Tu credi a lei, ovviamente. Non sei diverso da Kaylee. Entrambi difendete colore che amate. Ma, se guardi bene, ti accorgerai che anche tu stai ignorando delle prove a sfavore di Veronika.»

Avrei voluto mollarla lì e andarmene ma mi dissi che non sapeva quello che diceva, che era ubriaca. Presi il suo cellulare e mandai un messaggio. «Jona sarà qui a momenti» riferii.

«Sarà stufo di correre a risolvere i miei problemi…» sospirò lei.

«Se lo fosse, non starebbe arrivando. Sono uomini come lui quelli da tenersi stretti. Non voglio sapere cosa ti ha fatto Gonçalo, né chi sia Emile. Lo sai tu cosa è meglio fare in proposito. E scappare non è la soluzione.»

Lei inclinò la testa indietro, appoggiandola alla poltrona. «Sono troppo sbronza per starti a sentire» tagliò corto, chiudendo gli occhi.

Raccomandai a Jona che le facesse entrare un po’ di buonsenso in testa e li lasciai soli.

Dopo un quarto d’ora, il fotografo mi raggiunse in terrazza, dove mi stavo godendo la solitudine con un bicchiere di whisky in mano.

«Mi ha raccontato tutto» disse in tono lugubre. Non sapevo a cosa si riferisse. Probabilmente non all’incidente dato che proseguì: «Se sono veri i suoi sospetti, voglio che Gonçalo paghi. E ho qualcosa che potrebbe aiutare.»

Mi mostrò delle foto nel cellulare. Lo stomaco mi si attorcigliò e posai il bicchiere prima di rovesciarne il contenuto. Presi un profondo respiro e guardai Jona negli occhi.

«È fottuto.»

Non ci fu verso di dormire quella notte. Rimasi in terrazza una vita, ad assaporare la fresca brezza del mattino. Poi sentii delle mani sul collo sciogliere la tensione dei muscoli.

«Perché mi difendi?»

«Cosa vuoi dire?»

Veronika comparve nel mio spazio visivo, seria. «Ho sentito quello che ha detto Kat. Ha ragione, sai. Molte volte ho dimostrato di perdere il controllo. A volte impazzisco. Perché non pensi che Marie dica la verità?»

«Perché la verità l’ho vista nei tuoi occhi. Non ho bisogno di altre garanzie.»

Lei si sciolse, come se le avessi tolto un immenso peso dalle spalle. Si sporse per baciarmi sulle labbra e io mi godetti la sensazione della sua pelle contro la mia. Non sapevo quanto sarebbe durato.

Veronika mi si sedette in braccio. «Gonçalo è potente. Potrebbe uscire anche con un milione di accuse.»

Io presi un grosso sospiro e la staccai da me. «Per questo te ne devi andare.»

Mercoledì 18 luglio

«Avete dieci minuti» stabilì il secondino, lasciandomi entrare nella stanza di cemento.

Ammanettato al tavolo, Gonçalo Llanos mi fissò con furia. «Mi spieghi perché sono qui?»

Mi accostai al tavolo. «Penso tu lo sappia bene.»

«Ancora questa storia di Veronika? Ti ho detto che non sapevo che fosse minorenne.»

«Anche lo sfruttamento della prostituzione è un reto. Pagare una donna per scopare è illegale. Affittare donne nel proprio hotel per il piacere dei proprio clienti è illegale.>>

L’irritante sicurezza dell’uomo vacillò. Lo vidi combattere tra tentativi di negare e voglia di sapere la verità. Alla fine cedette. «Da chi l’hai saputo?»

«Nessuno ti sta accusando a parte me, Llanos. Questo deve esserti chiaro.»

«E che mi dici di Kat?»

Non capivo perché sia lui che Kaylee tirassero in ballo la scrittrice. «Non c’entra nulla. Questa è una questione tra te e me. A quest’ora le prove che ho raccolto sono state visionate dall’FBI, tra cui anche l’uomo che hai torturato e ucciso. Il tuo hotel è sotto sequestro. Le tue donne sono sotto interrogatorio. Tutte tranne Arleen, che hai fatto tempestivamente sparire.»

In quel momento vidi crescere la preoccupazione sul volto dell’uomo. «Non so che fine ha fatto Arleen, lo giuro. Qualcuno l’ha presa ed è su questo che dovrebbe indagare l’FBI.»

«Generoso. Altruista. Perché non hai dimostrato gli stessi sentimenti quando hai ammazzato la mia famiglia?»

«Di cosa parli?»

«Marie mi ha detto tutto.» Il suo sarebbe stato l’unico nome che avrei fatto. Mi aveva tenuto segreta la verità per troppo tempo. Era giusto che anche lei pagasse, anche solo con la vergogna di aver tradito un amico. «Un anno fa hai causato l’incidente che mi ha portato via Kate e mia figlia. Tu mi hai messo su queste ruote. E non ti sei neanche preoccupato di verificare i danni. Sei scappato. Lo neghi?»

Gonçalo era impassibile, come se non avesse udito una sola parola di ciò che avevo detto. Afflosciò le spalle larghe, espirò a lungo e rispose: «No.»

Non mi serviva altro. Gli riconoscevo almeno la decenza di non aver perseverato nella finzione. «Mi hai tolto tutto quello che avevo» mormorai. Non ero neanche più furioso. Ero solo stanco. «Tu non hai nulla oltre al tuo hotel e alla tua vita sfarzosa. Non hai amici, non hai famiglia. Forse uscirai da qui. Sei potente, hai denaro in abbondanza. Se cercherai vendetta, saprai dove trovarmi. Anch’io come te non ho nulla da perdere. Sono su questa terra per sbaglio, dovevo andarmene un anno fa. Dovevi uccidere anche me.»

«Morgan» mi bloccò Gonçalo quando mi vide allontanarmi. «Mi dispiace. Ho sbagliato. Sono umano, ho avuto paura.»

Lo guardai. Un così bell’uomo, pieno di fascino, potere e soldi, che si rovinava la vita per aver commesso uno sbaglio dietro l’altro.

«Dovevi uccidere anche me» ripetei, e uscii dalla stanza.

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