Ryan. Foto e seduzione

Domenica 1 luglio

«Ti ha rubato l'auto?» Matthew soffocò una risata dentro il flûte di champagne.

Io gli lanciai un'occhiataccia. «Ti sembra divertente?»

Avevo appena finito di raccontargli il mio rocambolesco risveglio di quella mattina. Ad un orario improbabile Sunny era piombata in camera ed era venuta a svegliare Veronika scuotendola per la spalla e beccandosi un pugno di autodifesa in viso quando la ragazzina terrorizzata si era destata di soprassalto.

Impossibile continuare a dormire in quel baccano. "E se fossimo stati nudi?" avevo borbottato, già irritato.

"Dormi con una bella ragazza accanto e pensi di farci sesso? Non saresti tu, Ryan" mi aveva sfottuto la mia deliziosa sorellina.

Veronika aveva trattenuto un sorrisino. Poi si era rassegnata a vestirsi e a seguirla nei suoi giretti. Sunny aveva detto qualcosa a proposito di un albergo, di faccende che doveva sbrigare, di un regista che doveva vedere...

"Veronika, stalle attaccata al culo" ero esploso io, completamente sveglio. "Se si apparta con quel farabutto fammelo sapere."

Le due erano uscite e io ero riuscito a riaddormentarmi, per svegliarmi un paio di ore dopo con l'insistente suoneria del cellulare. Era Sunny, agitata e sconvolta. "Mi ha rubato la macchina, Ryan! Veronika... se ne è andata e ora sono a piedi!"

All'inizio non volevo crederci, ma quando mia sorella era tornata a piedi, con un diavolo per capello e i piedi urlanti a causa dei tacchi alti – "non li ho messi per fare colpo su Chritopher, Ryan" – avevo capito che non stava scherzando. Veronika, mi raccontò, dopo esser sparita per più di un'ora dalla sua vista, le aveva sottratto le chiavi dell'auto dalla borsetta ed era scappata via.

«Beh, coi soldi che hai puoi comprartene altre dieci di auto» mi riportò al presente Matthew.

«Non serve, me l'ha restituita.» Nel tardo pomeriggio, dopo aver bighellonato per la città e consumato tutta la benzina, ma era ritornata.

Io e Sunny eravamo usciti dal condominio, vestiti di tutto punto per la mostra di fotografie cui Matthew mi aveva invitato – e cui il signor regista aveva invitato mia sorella... - e l'avevamo trovata lì, appoggiata alla nostra auto, scura in viso e molto scossa. Aveva riconsegnato le chiavi a Sunny e senza una parola era entrata in casa. Sunny era rimasta a bocca aperta, io avevo sorriso.

«Ci ha fatto un viaggetto di piacere?» indagò Matthew, sempre più curioso.

«E che ne so. Pensi che un'adolescente attraversi anche la fase "sono lieta di darti tutte le spiegazioni che vuoi" oltre a quella "preferisci acidi commenti o tetri silenzi quando hai a che fare con me?"?»

Lui scoppiò a ridere. Ricordavo che era uno dalla risata facile. Era un modo come un altro per conquistare l'attenzione di una donna. «Ti sei infilato in un bel casino. Perché non la riconsegni al suo patrigno?»

«Tu non hai visto come l'ha ridotta. Vorrei solo riuscire a capirla.»

«Ryan generoso; sembri quasi quello di prima.»

L'aveva detto in tono placido, ma mi sentii comunque in colpa. Mi rifacevo vivo dopo esattamente un anno solo perché avevo bisogno di qualcuno con cui parlare. Matthew era stato fin troppo buono a rispondere al telefono e ad organizzare quell'incontro.

«Come ti va la vita?» gli chiesi, cercando di essere, per una volta, meno stronzo.

«Ah, beh, sai, una donna adesso, una tra un'ora...»

«Ti pagano solo per un'ora? Non devi valere tanto.»

Niente, era più forte di me.

Matthew fece un sorrisino, chinandosi su di me. «Perché non mi regali a tua sorella? Ti faccio il prezzo amico.»

«Non cominciare, che non le è ancora passata la sbandata che si è presa per te.»

«Era una ragazzina l'ultima volta che l'ho vista.»

«Ora è cresciuta ed è più pericolosa.»

«Non ti preoccupare, ho altro in mente.»

«Vuoi dire altro, oltre alla tua piccola cerchia di amanti?»

«Se non la smetti di prendermi per il culo vado da tua sorella e me la porto in bagno.»

«Provaci e ti gambizzo.»

Ci sorridemmo. Avevamo trovato l'antica sintonia.

Una ragazza ci si avvicinò, e la riconobbi subito per via di quegli occhi di smeraldo. «Ciao Ryan.»

«Ciao. Matthew, lei è Kat, un'amica di mia sorella. Lui è Matthew Evans, professione...»

«Piacere di conoscerti» mi interruppe lui, facendole un baciamano coi fiocchi. «Non serviva che Ryan specificasse che eri amica di sua sorella. L'unico tramite tra lui e il mondo esterno è quella benedetta e sfortunata ragazza.»

Kat sorrise. Io pensai: sul serio funzionano queste battutine? Per l'amor del cielo!

«Ti sta piacendo la mostra?» continuò il seduttore.

«Non molto.» Kat si rivolse a me, e il mio interesse si risvegliò. Una donna che non cadeva ai piedi di Matthew Evans! Wow, dovevo ricredermi sul gentil sesso.

«Volevo chiederti se hai sentito la notizia.»

«Che notizia?»

«Il tizio che è entrato a casa tua giovedì sera. Quel Mike. Lo hanno arrestato oggi, ho appena sentito.»

Mi chiesi se avesse a che fare con gli avvenimenti della mattina. «Bene. Sarai più tranquilla ora.»

«Lo sono sempre stata.»

Perché si ostinava a mentire? Avevo visto quanto si era sconvolta all'arrivo di quel tipo. Non sapevo che rispondere, quindi mi tolsi d'impiccio. «Forse dovrei avvisare Veronika. Scusatemi.»

Mi allontanai con la sedia e chiamai a casa. Veronika non aveva un cellulare, avrei dovuto comprargliene uno.

Mi irritai per quel pensiero. Non è tua figlia, Ryan; già le dai vitto, alloggio e uno stipendio niente male. Basta regalini, che poi si monta la testa.

La ragazza non rispose e la cosa mi irritò. Non sapevo neanche se era ancora nell'appartamento o se era entrata solo per svaligiarlo e poi scappare di nuovo via, questa volta per sempre. Era totalmente imprevedibile.

Andai a fare una scappata in bagno. "Scappata" non era proprio il termine adatto per uno come me, ma mi rifiutai di andare alla ricerca di Sunny. Mi aveva abbandonato per salutare una sua vecchia amica, che ricordavo davvero vagamente e che in quel momento vidi intenta a conversare col regista davanti a una parete di fotografie. Bene, almeno Sunny non era con quel damerino strisciante...

Entrai in bagno e mi ingegnai per riuscire a pisciare senza cadere dentro la tazza.

Quindici minuti dopo mi stavo lavando le mani quando sentii una voce femminile fuori dal bagno.

«Perché non puoi lasciarmi in pace?» Sembrava sull'orlo di una crisi di nervi.

«Voglio solo godermi una mostra di fotografia» disse l'uomo che era con lei, con un accenno di derisione.

«Sei qui per controllarmi.»

«Non mi serve esserti vicino per controllarti. Ho occhi ovunque.»

«Me ne sono andata da casa tua perché volevo più libertà, per riordinare i miei pensieri, ma così mi soffochi.»

Sentii un gemito, e poi la voce più bassa dell'uomo. «Lo so che ti manco, Iris. So che tornerai da me.»

Uscii dal bagno e vidi l'uomo lasciare immediatamente andare la ragazza che aveva stretto a sé. Lei si voltò, mi vide e qualcosa passò nei suoi occhi di un colore indefinito; azzurri, ma azzurri come l'universo, pieni di pagliuzze di varie tonalità di blu e ceruleo. Non avevo mai visto occhi così attraenti.

«Jack!» esclamò la ragazza, venendomi incontro a passo svelto. «Oh, quanto tempo! Come stai?»

Mi rivolse un sorriso tirato al massimo, tenendomi una mano irrigidita sulla spalla. Con gli occhi mi implorava di reggerle il gioco. «Bene» risposi. «Il signore ti dà fastidio?»

L'uomo ci stava osservando tra l'irritato e il divertito. Forse aveva capito che quella della sua ragazza era tutta una recita, ma lasciò correre. «Divergenze di opinioni. Ci vediamo, bambina.»

Lei deglutì e abbassò gli occhi. Quando l'uomo ebbe svoltato l'angolo, si lasciò cadere su una panca addossata alla parete. Sembrava non riuscisse a reggersi in piedi.

«Scusami... non volevo tirarti in mezzo.»

«Sarei intervenuto io a breve.» Non mi piacevano gli uomini prepotenti, specialmente nei confronti delle donne.

«Hai sentito?» domandò cauta e imbarazzata lei.

«Non è mia abitudine origliare, ma le pareti del bagno sono sottili. Comunque mi chiamo Ryan, non Jack.»

Lei abbozzò un sorriso incerto. «È il primo nome che mi è venuto in mente.»

«E quello chi era? Vorrei dire "so che non sono fatti miei, ma..." e poi lascerei la frase in sospeso sperando che tu la completi, ma dato che non sono certo se lo faresti preferisco metterti con le spalle al muro rischiando che tu mi dia dell'impiccione presuntuoso.»

Iris parve presa alla sprovvista dalla mia loquacità, e in verità ero io il primo ad esserne sorpreso. Tutta colpa di quegli occhi, mi mandavano ai matti. No, era proprio colpa sua. Era una ragazza bellissima, con un viso dolce, armonioso, labbra morbide, senza un filo di trucco. Una ragazza acqua e sapone con uno sguardo tormentato e un amante irritabile e geloso alle calcagna. Una tentazione squisita per qualunque uomo avesse un grammo di cavalleria in sé.

«Sei un impiccione presuntuoso» stabilì lei, aggrottando la fronte.

«Lo so.»

Lei rimase un istante in silenzio, tormentandosi la pellicina del pollice. «È il mio professore» confessò alla fine.

«E amante.»

Non mi corresse, né confermò. Era chiaro che non ne voleva parlare, ma ero curioso di sapere come una bella e giovane ragazza come lei fosse finita insieme ad un uomo tanto più vecchio.

«Ma qualcosa non funziona, tu vuoi una pausa e lui non ci pensa neanche.»

«Una cosa così. A te che è successo?» cambiò repentinamente argomento, accennando alle mie gambe.

«Giochiamo a chi fa le domande più imbarazzanti?»

Lei arrossì leggermente. «Cerco solo di arrivare alla fine di questa giornata.»

Era il mio stesso obiettivo. «Se dobbiamo continuare una conversazione come questa ho bisogno di bere.» L'alcol aiutava le persone a sciogliersi, lo sapevo bene, ma la mia soglia di tolleranza si era alzata talmente tanto che mi ci sarebbe voluta un'ora di continue bevute per essere almeno brillo. Così avrei fatto parlare Iris di sé senza rivelare nulla di me.

Ovviamente i miei piani fallirono.

Iris sorseggiò appena il suo champagne e lo tenne intatto in mano mentre sfilavamo davanti ai pannelli pieni di fotografie di donne nude e seminude. Iris era attratta da quelle foto. Si soffermò in particolare davanti ad una che ritraeva una ragazza dai fluenti capelli rossi. Era completamente nuda, seduta su un tavolo con le gambe accavallate e i tacchi alti che ondeggiavano nel vuoto. Teneva un calice di rosso in mano e fissava uno sguardo seducente e provocatorio sull'obiettivo. Era forse la foto meno scandalosa là in mezzo; non si vedevano seni né intimità, solo la curva delle natiche poggiate al legno del tavolo.

«Vorrei avere la sua sicurezza» mormorò Iris, così piano che quasi non la udii.

«Potresti. Basterebbe che ti lasciassi andare. Ogni donna ha una fiamma segreta in sé.»

«Non io. Non riesco a dire di no quando dovrei. Non riesco a dire di sì quando lo vorrei.» Si girò verso di me. «Cosa faresti se una donna ti guardasse in quel modo?»

Osservai la fotografia, sentendo un crampo di tensione all'inguine. «Le metterei qualcosa addosso» risposi, muovendo la sedia lontano da lì.

Non era stata la foto a turbarmi, ma lo sguardo di Iris. Per un attimo avevo immaginato lei su quel tavolo, nuda, davanti a me, a guardarmi con quei suoi grandi occhi color universo. Col cazzo che le avrei messo qualcosa addosso. L'avrei presa seduta stante su quel tavolo.

Peccato che fosse impossibile.

Serrai la mascella. Avevo bisogno di bere.

Tornammo al buffet. Iris mi era sempre alle calcagna. Sembrava spaventata all'idea di restare da sola. Mi riempii un bicchiere di vino, lo bevvi tutto e la guardai. Era ancora pensierosa.

«Potresti trovare qualcuno di meglio, sai.»

«Ci penso, a volte. Ma... Thomas...» Curvò le spalle. «Mi ha salvata, davvero. Tu sei fidanzato?»

«No.»

«Ma lo sei stato?»

«Sì.»

«Allora sai cosa vuol dire amare una persona e avere paura di perderla.»

«Davvero non penso che si possano paragonare le nostre relazioni, Iris» risposi trattenendo l'irritazione. Detestavo quando la gente mi chiedeva di lei. «Kate era perfetta e mi è stata strappata via.»

«Nessuno è perfetto. Possiamo solo cercare la persona che compensi le nostre imperfezioni.»

Mentre ragionavo sulle sue parole, venimmo interrotti da una ragazza alta e carina, dai capelli ramati, che salutò Iris. Era l'amica di mia sorella, ma mi sfuggiva il nome. Approfittando della situazione mi defilai, andando alla sua ricerca. Mi ero stancato di fotografie erotiche e chiacchiere. Volevo andare a casa.

«Sunny!» gridai nel mezzo della hall silenziosa, quando la vidi intenta a flirtare in un angolo con quel maledetto regista.

Lei sobbalzò, arrossendo fino alla punta delle orecchie, mentre tutti si giravano a guardarmi.

«Cristo, Ryan!» sibilò quando le arrivai accanto. «Dov'eri finito? Ti ho cercato ovunque!»

«Penso che sei stata tu quella che si è imboscata» replicai, fissando uno sguardo truce sul belloccio che era con lei. «Signor regista.»

«Signor Morgan» mi fece un cenno lui.

«Se ha finito di circuire mia sorella, leviamo il disturbo.»

Sunny levò gli occhi al cielo. «Lo deve scusare, è fatto così.»

«Sono ancora in grado di prenderti per le orecchie, Sunny. Muoviti o torno da solo.»

«Ti do le chiavi, vuoi guidare tu?»

«Non fare la simpaticona.»

...

Quando arrivammo a casa, Veronika era lì ad aspettarci. Stava guardando la tv, sdraiata scomposta sul divano in pelle.

«Ti sei persa una mostra fantastica!» esordì mia sorella, con forzato entusiasmo. In macchina avevamo discusso sul modo migliore di risolvere quella faccenda. La nostra ospite – e mia badante – non poteva continuare a scomparire e riapparire come meglio credeva; e di certo non potevamo tenerla in casa col rischio che ci rubasse l'argenteria.

Alla fine, avevo lasciato a lei l'incombenza di parlarle, ma il giorno dopo. Per quella sera avevo altre idee.

«Immagino» rispose lei, laconica, senza distogliere lo sguardo dalla tv.

«Ho bisogno di aiuto per la vasca, Veronika» la richiamai all'ordine, in tono duro.

«E ti devo aiutare io?» domandò lei, sorpresa e infastidita. Fino ad allora non le avevo mai chiesto di farmi il bagno, ci pensava Sunny. Ma come ho già detto, avevo altre idee.

«Sì.»

Devo darle credito: non sbuffò. Si limitò a spegnere la tv e a spingermi in bagno, dove fece partire l'acqua calda nella grande vasca quadrangolare.

«A cosa pensi?» domandai, osservando il suo profilo serio e ammaccato.

Lei si girò, sogghignando. «Se dopo essere andati a letto insieme ti vedrò finalmente nudo.»

«Non ci sperare. Riempi la vasca fino a qui, versa il bagnoschiuma e aiutami a spogliarmi, ma non avvicinarti alle mie mutande.»

«Ti fai il bagno vestito?»

«Certo. Ho una mia dignità.»

Veronika iniziò a sbottonarmi la camicia nera. «E se ti dicessi che non mi imbarazzerei a vedere il tuo uccello penzolante?»

«Ti direi che sei troppo volgare per la tua età.»

Rimosso l'indumento, tolse anche la canottiera che portavo sotto. «Non sono esattamente cresciuta in un palazzo.»

«Non ci hai detto molto di te.»

«Non c'è molto da dire.» Le sue mani si abbassarono verso la patta dei pantaloni eleganti che Sunny mi aveva costretto ad indossare. «I miei genitori sono morti e sono cresciuta col mio patrigno.»

«Vuoi dire, tu e le tue sorelle?» domandai, cercando di non guardare le sue dita sottili che armeggiavano con la cerniera.

«Non ho sorelle. Mike si riferiva alle altre prostitute.»

Era la prima volta che lo ammetteva, anche se io lo avevo capito da tempo. Non sollevò lo sguardo ma intuii dal suo irrigidimento che aspettava un mio commento.

Rimasi zitto, cercando di collaborare quando iniziò a sfilarmi i pantaloni dopo avermi slacciato le scarpe di vernice.

«Aiutami ad entrare» ordinai.

Veronika ubbidì. Con una mano mi aggrappai alla vasca, con l'altra alle sue spalle. In qualche modo, tra sbuffi e spruzzi, riuscii ad entrare in acqua.

«A proposito, il tuo patrigno è stato arrestato» dissi, per ignorare l'imbarazzo di trovarmi in completa balia di quella ragazzina.

«Lo so. C'ero quando l'hanno portato via.»

«Mi vuoi dire cosa ti è successo in quell'hotel?»

Veronika non mi rispose. Aveva trovato la bottiglia di Champagne che avevo confiscato al buffet con la complicità di Matthew e del suo amico Jona, il fotografo che aveva allestito la mostra. Ero riuscito a nasconderla nella sedia. Sunny era stata troppo presa dalle sue chiacchiere per perquisirmi come faceva di solito. E poi, avrei avuto davvero la faccia tosta di rubare in un museo di fama internazionale?

«Questa volevi nasconderla?» mi domandò con un sorrisetto.

«L'ho presa per te. Volevo che anche tu ti divertissi un po'.»

Lei parve colpita e la stappò subito. «A me e te, allora.»

Bevve alcuni lunghi sorsi, lasciandomi fissare la sua gola fare su e giù mentre deglutiva. Quindi si pulì la bocca col dorso della mano e me la tese. Si alzò in piedi e iniziò a spogliarsi.

«Cosa fai?»

«Ti aiuto a lavarti.»

«Non serve.»

«Devo lavarmi anch'io. Va bene se mi spoglio del tutto? Ho le mutande di tua sorella, non vorrei bagnarle per niente.»

Non seppi che rispondere. Dovevo fare la figura del verginello offeso nel pudore? In realtà volevo vedere fin dove si sarebbe spinta quella piccola peste.

«Fai pure.»

Veronika lasciò cadere gli indumenti a terra. Distolsi lo sguardo quando si tolse anche la brasiliana ed entrò in acqua davanti a me. La vasca era abbastanza grande per due, ma non mi era mai sembrata così piccola.

Lei sospirò di piacere, lasciandosi andare sott'acqua e lavandosi i capelli. Io fissai il suo viso ancora tumefatto per le botte, ma stava guarendo pian piano.

Okay, lo ammetto: in quel momento non mi interessavano i contorni del suo viso, cercavo semplicemente di non guardare altrove.

Speravo solo che non entrasse mia sorella. Sarebbe stata una situazione estremamente imbarazzante da spiegare.

«Allora, raccontami, quante ragazze ti hanno abbordato oggi?» mi chiese Veronika, allungandosi verso di me per prendere lo shampoo.

Distolsi lo sguardo, ma non potevo negare di aver intravisto, per un millisecondo, i suoi seni procaci ballonzolarmi a una spanna dal viso. «In effetti c'erano un sacco di ragazze seducenti e poco vestite a quella mostra.»

«Ne hai approfittato?»

«Di cosa?»

Veronika si mise in ginocchio, esponendo così la parte superiore del suo corpo, e iniziò a insaponarsi i corti capelli neri. «Di almeno una ragazza seducente e poco vestita.»

Non potei farne a meno, la fissai. I seni si muovevano lentamente al ritmo delle sue mani. I capezzoli si erano inturgiditi, diventando simili a piccoli sassolini appuntiti che avrei voluto tanto assaggiare.

Avrei potuto, lei non chiedeva altro. Mi bastava ordinarglielo, e lo avrebbe fatto. Quando quell'idea mi sfiorò la mente, sentì l'inquilino del piano di sotto dare un sobbalzo. Eh no, questo non potevo permetterlo! Se ne sarebbe accorta subito.

«Veronika, per favore» dissi duramente.

Lei sorrise, tornando ad abbassarsi sotto il livello dell'acqua. «Scusa, mi diverto a provocare. Deformazione professionale, penso.»

«Puoi per favore lavarti e poi uscire?»

«Hai paura di insaponare certe zone davanti a me?»

No, ho paura che se lo tirassi fuori adesso somiglierebbe a un grattacielo.

Se le avessi risposto così le avrei tolto ogni freno inibitore. Quindi incrociai le braccia al petto. «Esci da qui o ti licenzio.»

Lei si fece seria. «Davvero?»

«Davvero.»

Veronika esitò un attimo; poi immerse la testa sott'acqua, si sciacquò i capelli, riemerse ed uscì dalla vasca. Stavolta permisi al mio sguardo di indugiare sul suo corpo - quei fianchi troppo larghi, quelle natiche sode, quei seni alti e trionfali, quel vitino da vespa...

Indossò l'accappatoio di mia sorella ed uscì dal bagno sbattendo la porta.

...

Non mi tenne il muso a lungo, solo per tutta la durata della cena tardiva. Sunny decise di stappare una bottiglia per festeggiare la firma del suo contratto col regista. Era fatta: avrebbero fatto un film del suo romanzo erotico.

Veronika ci diede dentro con l'alcol e dopo pochi bicchieri era già ubriaca, come mia sorella. Iniziarono a ridere come delle bambine, a spettegolare e sparlare anche del sottoscritto lì presente, finché, stufo di essere preso di mira da quelle due bulle adolescenti, annunciai che mi sarei ritirato in camera da letto, anche se erano appena le dieci.

Veronika stabilì che sarebbe stato estremamente divertente spingere la sedia a rotelle a folle velocità attraverso i corridoi dell'appartamento, nonostante le mie urla di protesta e imprecazioni.

Arrivai sano e salvo in camera, col fiato corto e i segni delle mie unghie sui braccioli.

«Posso provare la tua sedia?» mi chiese di punto in bianco Veronika, cercando di placare la sua risata irrefrenabile. Si stava spogliando, gettando i suoi abiti alla rinfusa.

«Sei proprio una bambina.»

«Pensavo mi avresti dato della stronza insensibile.»

«Quello è il mio ruolo. Aiutami a stendermi a letto e poi fatti le gincane che vuoi.»

«Non serve che scendi.» Veronika mi si accucciò tranquillamente in braccio, lasciandomi spiazzato. Indossava solo un paio di mutandine e la canottiera, senza reggiseno. Le sue natiche rotonde poggiavano fermamente sulle mie cosce, e il mio pacco c'era finito proprio in mezzo.

Serrai le dita sui braccioli, ma lei mi spostò le mani per prendere i comandi della levetta. «Okay, allora se la spingo in qua...»

La sedia fece una giravolta su sé stessa, sbalzando quasi via la ragazza, che scoppiò in una ridarella infinita, cosa che non fece che scuoterla ancora di più. Si sistemò meglio e io strinsi i denti. Non potevo impedirlo; il membro mi si stava irrigidendo di nuovo e lei se ne sarebbe accorta ben presto, se già non lo aveva notato.

Iniziai a respirare più a fondo, ma avevo il cervello paralizzato. Avrei voluto strapparle le mutandine, strapparmi i pantaloni e impalarla lì com'era, stringendole le natiche e dandole la spinta per saltare ancora più in alto e sprofondare ancora più in basso. Potevo quasi avvertire la sensazione del mio uccello stretto tra le sue pareti calde e umide. Potevo quasi sentire i suoi gemiti vogliosi, la sua testa calata sulla mia spalla mentre inarcava la schiena e muoveva il bacino...

«Scendi.»

Veronika mi ignorò, riprendendo la levetta tra le dita. «Io sto comoda.»

«Veronika, scendi

Il mio tono l'allarmò e scese subito, guardandomi storta. Poi il suo sguardo si abbassò, mentre io serravo la mascella, pieno di vergogna nel venire ispezionato in quel modo.

«È una cosa normale, Ryan» mormorò dolcemente, ma sotto sotto vedevo che ne era lusingata. Lo aveva voluto lei, in fondo, quella stronza.

La rabbia prese il controllo su di me e parlai prima di pensarci a fondo: «Normale per gli uomini che ti fottevi a ogni ora del giorno, forse.»

Veronika restò immobile per qualche secondo. Poi allungò una mano, stampandomela sulla guancia. Per la seconda volta quel giorno, se ne andò sbattendo la porta.

...

Cercavo invano di dormire da ore. Era mezzanotte passata e ancora non ero riuscito a chiudere occhio. Il desiderio mi dilaniava i lombi. Se fossi stato solo in casa, probabilmente mi sarei guardato un bel porno e avrei posto fine a quello strazio. Ma non riuscivo a decidermi. Sapere che Veronika era al piano di sopra, nella stanza degli ospiti, seminuda come prima, mi faceva impazzire. Se fossi stato ancora un uomo mi sarei tolto lo sfizio già da un po'.

Ma se fossi stato ancora un uomo non avrei fatto tutto quel casino.

Sospirai e mi risolsi ad alzarmi.

Ero appena riuscito ad avvicinare la sedia al letto quando la porta si aprì e lei entrò. Mi osservò e chiese, con un tono che non faceva presagire nulla delle emozioni che provava: «Hai bisogno di aiuto? Devi andare in bagno?»

«Sì.» Mi rimangiai quella menzogna. Smettila di fare l'orgoglioso, Ryan. Sii meno testa di cazzo, per una volta. «No. In realtà volevo venire a scusarmi.»

Veronika mi si avvicinò e si sedette accanto a me sul letto. «Non serve. Vorrei che capissi una cosa, Ryan. Tu non sei questa sedia. Sei un uomo eccezionale e il fatto che tieni lontane le persone ti rende solo un grande egoista. Ci sono un sacco di donne che avrebbero bisogno di un uomo come te. Hai un carattere di merda, ma so che qui» mi posò una mano sul petto rivestito solo da una t-shirt, «batte un grande cuore. Altrimenti non cercheresti sempre di salvare tutti.»

Non riuscivo a starla a sentire, dovevo impedire che quelle parole mi penetrassero nel cervello. Perché quelle parole portavano con sé speranza, ed era l'ultima delusione che un uomo rassegnato potesse accettare.

Ma Veronika non se ne andava, restava lì con me e mi guardava con quei profondi occhi neri dalle palpebre livide per le percosse.

«Perché non ti dai una possibilità, Ryan?»

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