Matthew. La fortuna aiuta gli audaci
Domenica 1 luglio
«Ivanna? Come stai, dolcezza?»
«Mat! Meravigliosamente, tu? Come te la passi?»
«Da quando non ti vedo più, non così bene.»
«Adulatore! Sai meglio di me che non credo a una sola parola di quello che dici.»
Sorrido istintivamente, mentre mi rilasso avvolto dall’odore di pino silvestre impregnato nell’abitacolo della mia automobile. Ivanna è davvero un angelo: me l’hanno presentata perché avevo bisogno di una persona fidata che riuscisse a cancellare tutte le informazioni reperibili sul mio conto qualora fosse necessario, a causa di clienti troppo invadenti o mariti imbestialiti; dalla prima volta in cui le ho parlato è diventata il mio braccio destro informatico preferito.
Il mio preferito, nonchè l’unico, in realtà: le persone di cui mi fido si possono realmente contare sulle dita di una mano. Poche, ma buone.
Da quando, giovedì, Eleanor mi ha nominato Gina e David, facendo riaffiorare l’angoscia fino ad ora nascosta sempre lì, sotto pelle, sono rimasto talmente turbato che ormai riesco a prendere difficilmente sonno e il mio unico rimedio sono le benzodiazepine.
Questo mi causa due problemi non indifferenti: incapacità di bere, non potendo mischiare sonniferi e alcol, e un paio di occhiaie violacee che mi accompagnano per tutta la giornata: per quanto possano anche apparire sexy, agli occhi delle donne, odio non essere perfettamente fresco e riposato, prima di andare a lavoro.
Se mi sono fatto un nome, nel mio campo, è perché niente è lasciato al caso.
Così ho deciso di togliermi questo sassolino dalla scarpa e ho pensato subito a Ivanna, talmente brava a smanettare con quel pc che potrebbe quasi competere con un hacker: perché non fare un tentativo con una ricerca in rete?
«Touchè, mi conosci fin troppo bene» rispondo. «Comunque, è una vita che non ci vediamo, bellezza: hai qualcosa da fare in serata?»
«Se escludiamo un’estenuante seduta di shopping con una mia amica, Kaylee, nulla di nulla. Avevi in mente qualcosa?»
All’improvviso il nodo del papillon nero mi inizia a sembrare troppo stretto e per poco non mi strozzo con la mia stessa saliva, iniziando a tossire in maniera convulsa. Cos’ha appena detto?
«Mat? Tutto bene?»
«Sì, ehm, certo, certo.» Quante possibilità ci sono che sia esattamente quella Kaylee? Vicine allo zero, sicuramente, ma in numero comunque sufficiente a tentare di scoprire se il destino ha deciso di darmi una mano. Improvvisamente, la storia di Gina e David passa in secondo piano.
«Pensavo» proseguo «che potresti passare a trovarmi al bar per un saluto, magari anche con – come hai detto che si chiama? – Caterine…»
«Kaylee, si chiama Kaylee.»
«Kaylee, sì, certo. A proposito: quanti anni ha? Sai, è da un po’ che stavo pensando di mettere la testa a posto…»
Stronzate.
«…e, magari, potrei uscire con questa ragazza e vedere se da cosa nasce cosa, non si sa mai. Ci terrei davvero a conoscerla.»
Enormi stronzate.
«Matthew, non crederei che tu abbia intenzione di mettere la testa a posto nemmeno se ti vedessi con i miei occhi, ma sono comunque felice di presentarti Kaylee: è pane per i tuoi denti. Perché no? Potrebbe essere la persona giusta per smontarti un po’ quell’ego da pavone che ti ritrovi.»
«Ne dubito fortemente, Ivanna, ma non vedo perché non fare un tentativo.» Sorrido piano, mentre infilo una sigaretta tra le labbra. «A tra poco, allora, dolcezza.»
«A tra poco.»
Chiudo la comunicazione e mi concedo una brevissima occhiata allo specchietto retrovisore prima di scendere dalla macchina e iniziare il mio turno di lavoro: perfetto, impeccabile, come sempre. Peccato per le occhiaie.
Mi dirigo verso il bar con una sola certezza in tasca: se la ragazza che Ivanna mi presenterà sarà davvero la figlia di Eleonor, otterrò il suo numero, ci uscirò insieme e la sedurrò, riuscendo a entrare nelle sue grazie e a scoprire quello che le passa per la mente.
Mi dispiace darla vinta a Eleonor, ma non posso fare altrimenti: mi ha in pugno.
...
Seduto sugli scalini all’ingresso dell’SDMA, osservo il mio bicchiere di champagne, indeciso se berlo o no. Suvvia: un sorso non mi ammazzerà e questa è una serata di merda. Davvero di merda.
Faccio un breve riepilogo mentale, mentre, arreso, scolo fino all’ultima goccia lo champagne: ho incontrato una ragazza potenzialmente interessante, Kat, ma non ho fatto in tempo a formulare l’accenno di un pensiero che comprendesse me, lei e una qualunque superficie da utilizzare per conoscerci meglio, che ha rivolto immediatamente la sua attenzione a Ryan.
Quest’ultimo, prima di lasciarsi distrarre dai numerosi drammi familiari, ha farneticato qualcosa sul fatto che un famoso regista abbia deciso di girare un film basato sul libro di Sunny e di cercare attori che, più che avere grandi doti recitative, debbano essere, nella vita reale, quello che i personaggi sono nel libro. A quanto pare, la dolce sorellina ha dedicato ampio spazio narrativo a un gigolò e Ryan vorrebbe che mi proponessi al regista come attore: “Immagina cosa potrebbe accadere”, aveva detto, “se conoscesse un altro bastardo che desidererebbe solo portarsela a letto! Di te mi fido, invece.”
Io, un attore. Ma scherziamo? Ho liquidato il tutto con una risata e sono passato ad argomenti più interessanti, ma quel discorso mi ha fatto tintinnare un campanello d’allarme in testa che non vuole saperne di smettere di suonare.
In aggiunta a questa storia, non ho ancora incontrato Kaylee alla mostra e, seppure l’incontro al bar di questa sera sia andato ancora meglio del previsto e sia riuscito per davvero a rimediare il suo numero, non ho di certo intenzione di chiamarla così presto, andrebbe contro tutti i miei principi.
Arleen, infine, mi ha dato il colpo di grazia, dandomi indirettamente dello squallido. Squallido.
Cosa ne vuole sapere una ragazzina come lei, tutta superbia e niente arrosto, di cosa sia il vero squallore e di cosa, invece, si celi dietro la nobile arte della seduzione, seppure a pagamento?
L’arte si paga, in qualunque sua forma. Ognuno di noi spenderebbe fior di quattrini per un bel quadro, per una bella foto, come quelle di Jona, per un bel concerto, qualunque cosa: appena si parla di spendere soldi per una bella scopata, però, tutti lì a fare i moralisti.
Le farei vedere io cosa vuol dire stare davvero con un uomo abile, devoto a te, pronto a soddisfare ogni tuo desiderio, soprattutto quelli inespressi, quelli che preferisco. Li riesco a scoprire dopo una meticolosa mappatura del corpo, attento a notare ogni tremore, ogni sguardo, ogni gemito soffocato: qualunque indizio possa guidare la mia mano e la mia bocca verso i posti che ne hanno maggiormente bisogno.
L’erezione mi tira prepotente la patta dei pantaloni, mentre penso a quello che potrei fare per farle cambiare idea, piccola, spocchiosa, indisponente ragazzina.
Chiudo gli occhi ed è di fronte a me: stesa su un letto dalle lenzuola panna, che mettono in risalto ancor di più i suoi capelli, e le mani in alto, sopra alla testa, legate alla testiera del letto con la mia cravatta blu notte di Hermes. Gli occhi spalancati, le pupille dilatate per l’eccitazione, la rabbia e l’aspettativa; le labbra appena schiuse, pronte a farsi sfuggire piccoli, incontrollabili gemiti.
Indossa un foulard in testa, di un rosa cipria… Gioca a fare la Barbie, ma con me non attacca. Lo sfilo e lo utilizzo per bendarle gli occhi, poi, con il solo indice, le sfioro la guancia, il contorno delle labbra, il collo, la clavicola per tutta la sua lunghezza, fino a scendere sotto l’impalpabile tessuto di raso della camicetta che indossa e inoltrarmi all’interno della coppa destra del reggiseno in pizzo nero. Gioco col capezzolo, piano, mentre inarca la schiena e serra le labbra, fermamente decisa a non farmi vedere quanto le piaccia questo gioco.
Ah, sì? Sorrido, piano, quasi un movimento accennato.
Stringo forte il capezzolo, all’improvviso, e si lascia sfuggire un gemito di piacere. La testardaggine non paga.
Ingenua.
Ritorno alla mia consueta delicatezza e sfilo uno per uno i bottoni della sua camicetta dalle asole, lentamente, non c’è fretta. Espongo l’addome all’aria della notte, che entra dalla finestra socchiusa in rivoli ghiacciati, e percorro con il polpastrello la linea che arriva fino all’ombelico, poi ancora più giù, fino allo slip coordinato al reggiseno. Gioco con l’elastico, divertendomi a tirarlo piano e poi lasciarlo andare sulla pelle, prima di infilarci un dito e accarezzare la cute perfettamente depilata.
«Sei bagnata, Arleen?»
In tutta risposta, tenta di tirarmi un calcio dritto nel punto dove suppone ci siano i testicoli, ma riesco a schivarlo per un pelo, spostandomi appena di lato. Emette un verso strozzato per la frustrazione.
«Risposta sbagliata, Cherì.»
Il tempo dei giochi è finito. Infilo il dito dentro di lei, improvvisamente, non incontrando la minima resistenza: è fradicia. Non riesce a fare a meno di lasciarsi sfuggire un verso gutturale che risulta alle mie orecchie come un mix di sorpresa, piacere e furia cieca: non vorrebbe essere qui, eppure lo vorrebbe.
La guardo, mentre ancora la esploro all’interno. Tiene imprigionato il labbro inferiore tra i denti così forte che potrebbe sanguinare da un momento all’altro e conficca le unghie nella morbida pelle del palmo, stringendo le mani in un pugno. Forse vorrebbe semplicemente essere lei a prendere in mano le redini di questa partita? Oh, sì, è questo che vorrebbe. Sono certo che, se non fosse bendata, sarebbe capacissima di imprimere le sue unghie su di me, invece che su se stessa.
Sorrido al solo pensiero: troppo tardi, dolcezza.
Inizio a muovere il dito dentro di lei con un ritmo serrato, mentr...
«A cosa pensa?»
Sussulto come colto con le mani in pasta – letteralmente. Accanto a me, un uomo mi guarda con le sopracciglia aggrottate: ma da quanto diavolo di tempo è qui?
«Facevo il resoconto della serata, nulla di impegnativo. E lei? Cosa la spinge a sedersi qui fuori, accanto a uno sconosciuto, e impicciarsi dei suoi affari?»
«Tirare le somme di una serata produttiva: il suo stesso bisogno, signor...?»
«Evans. Matthew Evans.» Offro la mia mano allo sconosciuto, che la stringe con una presa salda e virile: una presa quasi studiata, oserei dire, tipica di un uomo abituato a stipulare accordi e conoscere nuova gente.
«Christopher Roberts, è un piacere. Dunque, come le accennavo prima, oggi è stata una giornata particolarmente proficua e trovo che per concludere in bellezza non ci sia nulla di meglio di una bella chiacchierata tra uomini, meglio se sconosciuti, non trova?»
«Temo di no, in realtà. Tendo ad apprezzare maggiormente la bellezza della solitudine.»
«Lei già mi piace» ghigna Roberts, togliendosi della polvere invisibile dai pantaloni con ampi movimenti della mano. «Anch’io sono come lei di solito, sa? Non amo mescolarmi con la gente, se non per lavoro, anzi: spesso preferisco sparire dalla circolazione. Credo proprio che questo tratto ci accomuni.»
«Più di quanto creda: per deformazione professionale ho l’abitudine di avere intimamente a che fare con i miei clienti, ma quando smonto amo crogiolarmi nei fatti miei.»
«Potremmo essere grandi amici io e lei, sa? Talmente tanto che, complice la buona riuscita della serata, complice quel meraviglioso champagne, voglio farle una confessione: lo vede, questo gioiello?»
Roberts estrae dalla tasca dei pantaloni un collier di brillanti, che sfavilla sotto la luce della luna.
«Bello, vero? L’ho sottratto a un gioiello ancora più prezioso, stasera» prosegue, facendomi penzolare il gioiello davanti agli occhi. «Lei è già mia, ma né lei, né colui che crede di possederla, lo sanno ancora.»
Roberts tiene ancora il girocollo tra l’indice e il pollice, osservando estasiato i giochi di luce tra le sue pietre. Devo ammettere che è un pezzo davvero bello, elegante nella sua semplicità e all’apparenza anche estremamente costoso. Sembra quasi un collare di lusso.
Non facciamo in tempo a renderci conto di cosa stia accadendo che un ragazzo sbuca dal nulla, glielo strappa dalle mani e, nel giro di pochi secondi, veloce com’è arrivato fugge via. Se non fosse che Christopher effettivamente non ha più tra le mani il gioiello, giurerei di aver sognato tutto.
«Ehi!» ci alziamo di scatto, ma il ladruncolo sembra essere già stato inghiottito dal buio. «Ehi, ragazzino!»
Roberts mi pianta in asso, scomparendo nel buio per rincorrere il ragazzo: credo proprio che la sua serata, fino ad ora perfetta, abbia preso una piega decisamente pessima.
Faccio per rientrare alla mostra quando, in lontananza, vedo l’ultima persona che vorrei incontrare sulla faccia della terra: sta svoltando l’angolo e cammina nella mia stessa direzione. Ho pochissimo tempo, prima che si accorga che io sono qui.
Mi guardo intorno con fare circospetto, mentre inizio a sudare freddo. Devo sparire – e devo farlo adesso - ma per raggiungere la mia Porsche dovrei andare proprio nella direzione che sarebbe meglio evitare.
Cosa posso fare?
Inizio ad aumentare il passo e di fronte a me vedo Kaylee discutere animatamente con Llanos e, poco distante, un’automobile con lo sportello già aperto: che sia la sua? Un’occasione troppo ghiotta, per essere sprecata.
Mi infilo velocemente nell’abitacolo – le chiavi sono addirittura inserite nel quadro, che colpo di fortuna! Dovrà essere scesa per pochi minuti – e Kay inizia a urlare non so quali improperi nella mia direzione. Mentre sto per mettere in moto, mi accorgo della ragazza seduta sul sedile accanto al mio, che mi osserva con gli occhi sgranati, colmi di paura. Indossa un tubino nero senza spalline e i capelli, legati in una coda, le lasciano libero il volto pulito, dolce, dai lineamenti di una bambina.
È bellissima.
«Scusami dolcezza, di solito sono un gentleman, ma per questa volta credo salteremo i convenevoli. Per adesso, posso solo dirti che non ho cattive intenzioni, non voglio torcerti nemmeno un capello. Tieniti forte.»
Ingrano la marcia e sgommo via, senza aspettare oltre, lungo il viale semideserto.
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