Kaylee. Tradimenti
Salii sul mio jet privato seguita da mia madre, che sicuramente mi avrebbe infastidita per tutto il volo. Eleanor aveva quarantasette anni, ma ne dimostrava molti meno grazie alle punturine di botox cui si sottoponeva fin troppo spesso per i miei gusti. Non avevamo mai avuto un bel rapporto. Lei era sempre stata molto fredda e a volte crudele nei miei confronti e per questo avevo sempre preferito mio padre. Lui abitava in California da quando aveva lasciato mia madre, e dopo i vari casini successi a Washington avevo deciso di trasferirmi da lui.
«Kaylee, non sapevo che questo aereo fosse così lussuoso» disse, sedendosi su una delle poltrone in pelle.
Io mi sedetti di fronte a lei. «Non poteva essere altrimenti, madre. È un Boeing 737 BBJ da 80 milioni di dollari.»
Lei mi guardò e poi fece spallucce. Non poteva lamentarsi, aveva speso un mucchio di soldi per certe cavolate e in più non mi aveva mai vietato di comprare ciò che volevo.
«Comunque, se continui a vestirti da barbona penseranno che l'hai rubato, questo jet» fu la sua risposta. Si spostò un ciuffo biondo dal viso e si mise più comoda. Mi sembrò che dovesse dire qualcosa, ma alla fine non parlò.
Poco dopo il pilota annunciò il decollo e partimmo.
«Mi dispiace per la tua amica. Non doveva finire così, era molto simpatica in fin dei conti» disse Eleanor dopo un po’.
Chiacchiere e bugie, solo questo. Ero certa che non si ricordasse nemmeno il suo nome.
«L'ordine l'hai dato tu, quindi non ti dispiace così tanto» risposi inacidita.
«L'ho fatto solo per proteggerci tutti, sapeva troppe cose. Te l'avevo detto di non fidarti delle amiche e tu hai riposto in lei troppa fiducia, tanto da rivelarle il tuo segreto. Non dovevi farlo, Kaylee.»
«Non fare la moralista ora. Se tu non fossi stata una pessima madre forse non avrei cercato qualcuno con cui sfogarmi e cui raccontare tutti i miei problemi. Clare mi è sempre stata vicina e se mi sono fidata di lei tanto da dirle tutto quello che mi capitava sono affari miei.»
Eleanor mi guardò maligna. «Ah carissima, forse le avrai parlato un po' troppo di quanto il tuo Gabriel fosse bravo a letto, dato che l'ha voluto provare anche lei!»
Oh, non l'aveva detto davvero quella stronza!
Sentii gli occhi pizzicarmi e mi si formò un groppo in gola. "Non posso rovinarmi il trucco per i suoi commenti" pensai.
Ricacciai indietro le lacrime che minacciavano di sgorgare e mi alzai. «Io spero che l'esperienza le sia piaciuta, dato che non la proverà mai più» ribattei glaciale. «E ora vado a dormire. Se hai bisogno di qualcosa chiama la hostess.»
Arrivai alla camera da letto con le lacrime che mi rigavano le guance. Era passato solo un mese da quando la mia vita, più o meno perfetta, si era trasformata in uno schifo e la ferita era ancora fresca.
Mi ero fidanzata con Gabriel tre anni prima e lo amavo davvero tantissimo. Però non gli avevo ancora detto di essere una femme fatale, non avevo idea di come avrebbe potuto prenderla. Come potevo spiegare al mio fidanzato che il mio lavoro era sedurre uomini per avere informazioni, uccidere persone a sangue freddo e salvare il mondo?
Semplicemente non potevo.
Quella sera però mi sentivo pronta a raccontargli tutto e tornai a casa nostra prima. Lo trovai a letto con un'altra, ma non una ragazza qualsiasi. Era con Clare, la mia migliore amica, la sorella che non avevo mai avuto, una delle poche persone in cui riponevo tutta la mia stima. Io e lei ci eravamo conosciute a diciassette anni, Clare aveva cambiato scuola a metà anno ed eravamo subito diventate amiche. Lei era l'unica a cui volevo così bene, le raccontavo tutto della mia vita e le dissi tutto anche del mio lavoro. La portai perfino al quartier generale e le presentai altre spie.
Ma a quanto pare per lei non era abbastanza, visto che decise che il mio ragazzo lo voleva per sé. Non capii mai perché mi avesse tradito così. Forse era gelosa, forse le mancava l'amore o magari era solo stronza e non me n'ero accorta prima.
Ma quello che importava in quel momento era reprimere il mio istinto di ucciderli entrambi. Non gli sparai, non urlai, non feci nulla di scandaloso. Li salutai semplicemente con un addio, loro erano morti per me.
Piansi tantissimo uscita di casa e in più aveva anche iniziato a piovere. Avevo lasciato la macchina parcheggiata abbastanza lontano, perché quella sera ero felicissima e avevo voglia di passeggiare.
Inutile dire che nel tragitto verso l'auto le lacrime si mischiarono alla pioggia e mi ritrovai fradicia e con il trucco colato. Se qualcuno mi avesse vista mi avrebbe scambiata per una psicopatica scappata dal manicomio. Non sapevo dove andare e alla fine decisi di recarmi a casa di mia madre.
Bussai alla sua porta in condizioni pessime e scossa dai singhiozzi, aspettandomi che provasse un po' di pietà per sua figlia, ma lei era una donna orrenda e la pietà non la conosceva. Mi guardò sprezzante e mi fece entrare in casa, ordinandomi di svestirmi in corridoio per non bagnare il suo costoso parquet. Chiamò Linda, una delle domestiche, le disse di occuparsi di me e poi sparì in camera da letto dandoci la buonanotte. Io rimasi senza parole e il mio odio nei suoi confronti crebbe ancora di più. Al dolore per il tradimento scoperto si aggiunse anche quello per ciò che io consideravo un tradimento da parte di mia madre. Non capivo perché mi odiasse così tanto.
Linda fu dolcissima con me, mi parlò e mi coccolò fino a quando non smisi di piangere, e prima che andassi a dormire mi chiese perché stavo così male, ma non le raccontai nulla dell'accaduto. Mi mandò in camera di mia madre per la notte e io non capì il suo gesto. Con le decine di stanze presenti in quella villa, perché dovevo stare proprio con quella vipera?
Mi sdraiai comunque sul letto accanto ad Eleanor e iniziai di nuovo a piangere. Perché piangevo così tanto? Non era assolutamente da me.
Sentii un braccio avvolgermi e rimasi sorpresa dal gesto di mia madre.
«Va tutto bene, sistemeremo tutto domani» mi sussurrò e mi diede un bacio tra i capelli.
Quello fu probabilmente l'unico momento in cui vidi mia madre come una persona con un cuore.
Il giorno dopo trovai una sessantina di chiamate da parte di Gabriel e Clare, ma non richiamai nessuno dei due. Mia madre si comportò come se nulla fosse accaduto nella sua stanza e tornò quella di sempre.
Una settimana più tardi decisi di tornare a casa per riprendere i miei vestiti e lì trovai Gabriel e Clare. Non appena la mia migliore amica mi vide si buttò tra le mie braccia e iniziò a piangere.
«Kaylee, ti giuro che non volevo ferirti in nessuna maniera! Ero ubriaca e non sapevo cosa stavo facendo, davvero. Ti prego, perdonami!» disse tra i singhiozzi.
«Senti, fammi prendere le mie valigie e poi parliamone fuori da qui.»
Gabriel si avvicinò e mi abbracciò anche lui. Lo lasciai fare e, quando si staccò, andai al piano di sopra e raccolsi le mie cose.
«Mi lasci?» chiese Gabriel che si era fermato sullo stipite della porta. Non aveva nemmeno osato entrare e aveva fatto bene.
«Sì, ho bisogno di pensare. Dopo aver parlato con Clare torno e voglio sapere cos'hai da dire anche tu.»
Uscii di casa con Clare e tante valigie. La lasciai a casa sua e le dissi di prepararsi, perché saremo uscite insieme per parlare.
«Kay, grazie mille. Ti voglio tanto bene, non dimenticartelo.» Clare mi abbracciò e mi strinse così forte che ebbi paura che mi avrebbe rotto le ossa.
«Anch'io ti voglio bene» le sussurrai.
Andai a casa di mia madre per lasciare tutte le borse, ma avevo una brutta sensazione che non mi abbandonava. Cercai di lasciar perdere e mi sistemai anch’io, cercando di sembrare il più decente possibile. Un'ora dopo tornai alla sua palazzina e suonai il campanello, ma lei non mi aprì. Continuai a suonare, ma nulla.
Il senso di panico aumentava sempre di più e iniziai a chiamarla anche al cellulare, ma Clare non rispondeva.
Decisi così di suonare il campanello di uno dei vicini e dissi di essere la postina. L'uomo aprì il portone ed entrai.
Corsi su per le scale fino al quarto piano, rischiando più volte di cadere, e bussai un paio di volte, ma della mia amica nessuna traccia. Il terrore mi possedeva ormai, ero sicura che le fosse successo qualcosa. Mi ricordai che Clare teneva una chiave di riserva nel fondo del portaombrelli e la recuperai aprendo la porta.
Entrai in casa e trovai lo specchio rotto in mezzo al corridoio, con delle macchie di sangue che si trascinavano fino al bagno. Tirai fuori la pistola in preda al panico e girai silenziosamente per l'appartamento. Chiunque fosse stato lì dentro, poteva essere ancora nascosto da qualche parte.
Dopo aver perlustrato la casa velocemente, e aver constatato che non c'era nessuno di estraneo, andai verso il bagno e sentii il suono dell'acqua che scorreva. Posai la mano sulla maniglia e presi un respiro profondo.
Aprii la porta e vidi Clare sdraiata sul pavimento con uno dei pezzi dello specchio in mano e il braccio sanguinante. Non poteva essere, quello era un incubo. Io e lei dovevamo chiarire, l'avrei perdonata e saremo tornate amiche come al solito, con le nostre maratone di film e schifezze il giovedì e la sua goffaggine immensa!
Lei tossì leggermente. Era viva! Chiamai subito il 911, spiegai l'emergenza e diedi l'indirizzo, sperando che arrivassero il prima possibile.
Clare mi disse di avere un diario sotto al cuscino e di prenderlo, lì avrei trovato le mie spiegazioni. «Kay, questo non l'ho fatto io, è entrato qualcuno ed è successo tutto velocemente» sussurrò lei flebile. «Non odiarmi, io sarò sempre con te. Ti voglio bene e non tornare con Gabriel, leggi e capirai.» Sorrise e poi chiuse gli occhi.
Capii di averla persa per sempre.
Corsi a prendere il suo diario, lo infilai in borsa e tornai in bagno in lacrime. I soccorsi arrivarono, ma erano inutili ormai.
Mi portarono via da lì e mi fecero le classiche domande, poi chiamarono i genitori di Clare e mi mandarono via.
Dopo che Clare mi aveva detto di non essere stata lei ad uccidersi, capii subito che era stato qualcuno della G.S.S.O. (Global Secret Security Organization) sotto ordine di mia madre. E capì anche perché mia madre era stata così buona con me quella sera, voleva sentirsi meno in colpa per il suo piano.
Dopo l'accaduto e dopo aver letto il diario di Clare, non incontrai nemmeno più Gabriel, mi faceva ribrezzo quell'essere. Dopo aver assistito al funerale di Clare, pensai che ormai a Washington D.C. non c'era più nulla per me, se non il mio lavoro. Comunque, quello avrei potuto continuarlo anche da mio padre, dato che lui ed Eleanor si erano divisi l'organizzazione e c'erano due sedi. Decisi che mi sarei trasferita a San Diego da lui, una nuova vita lontano da tutti i ricordi mi avrebbe fatto solo bene.
Quindi ero ormai su un aereo per la Californiai. Mi asciugai le lacrime per la milionesima volta e mi ripromisi che mi sarei scordata tutto quello che era successo il mese prima. Sarei tornata la solita Kaylee e avrei continuato la mia carriera di Ms.Fatale, la migliore nel mio lavoro e senza nessuna rivale.
Mi alzai dal pavimento e presi la valigia dove avevo messo gli abiti midi, decisa a togliermi l'osceno outfit che avevo addosso. Non mi ero mai vestita così male nemmeno per andare a dormire! Presi un bel vestito Chloé off shoulder di pizzo nero e lo poggiai sul letto.
Per le scarpe scelsi delle décolleté Louboutin nere. Avevo ancora un'ora di viaggio, quindi mi andai a lavare velocemente. Finita la doccia mi avvolsi in un accapatoio bianco e tornai in stanza. Indossai l'intimo, mi asciugai i lunghi capelli corvini e li pettinai. Per il trucco optai per eyeliner e mascara, più una bella tinta labbra rossa abbinata alle scarpe. Alla fine mi vestii e mi spruzzai un po' del mio Chantal Thomass.
Mi specchiai. Ero io di nuovo, persino meglio del solito.
Tremate carissimi, Kaylee è tornata.
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