Kaylee. Incontri

Giovedì 28 giugno

Arrivai davanti alla casa di mio padre distrutta ma emozionatissima. Era troppo tempo che non lo vedevo e avevamo parlato solo via Skype o per telefono. Mi mancava tantissimo.

Pagai il tassista e uscii dall'auto. Lui poi ci aiutò a tirare fuori le numerose valigie. Salii i pochi scalini che mi separavano dalla porta della villa e suonai il campanello. Ero davvero ansiosa dato che mio padre non sapeva che ero lì, era tutto una sorpresa. Mi stavo torturando le mani e stavo pensando a cosa dirgli, quando la porta si aprì. Alzai la testa e lo vidi lì davanti a me.

Rimasi immobile, mi sembrava un sogno. Mi buttai tra le sue braccia e lo strinsi fortissimo. Dopo lo shock iniziale anche lui ricambiò il mio abbraccio.

«Kaylee, piccola mia, cosa ci fai qui? Mi sei mancata così tanto.»

Alcune lacrime di gioia mi rigarono le guance e, quando mi staccai da papà, notai che anche lui aveva gli occhi lucidi.

Poi vide mia madre.
I loro sguardi erano pieni di ostilità e venni pervasa da una brutta sensazione.

«Eleanor» disse papà cercando di sorridere e porgendole la mano.

«Luke» rispose lei inespressiva.

Fai almeno finta di sorridere.

Continuavano a fissarsi e si era creato un silenzio totalmente imbarazzante, quindi decisi di intromettermi.
«Okay, okay, ora basta. Papà perché non mi fai vedere la casa e portiamo dentro le mie valigie?»

«Aspetta... ti trasferisci qui?» chiese speranzoso.

«Certo, sennò perché avrei portato tutte le mie cose? Non vedi quante borse?»

Lui si sporse sull'uscio e spalancò gli occhi. «Tesoro mio, ti sei portata tutta la casa?»

«Non tutta, ma quasi» risposi ridendo.

Dopo aver portato tutte le valigie di sopra, in quella che sarebbe stata la mia stanza momentaneamente, mi sistemai il trucco. Poi andai in salotto e mi sedetti sul divano accanto a mio padre. Guardai l'orologio appeso sul muro; erano già le sette e mezza. «Quando andiamo a cenare?» chiesi.

«Dobbiamo aspettare Ivanna prima» rispose mio padre. «Sta per arrivare.»

Chi era questa Ivanna? Perché papà non mi aveva mai parlato di lei? Trovai risposta alle mie domande quando sentii la porta aprirsi.

«Ciao amore!» gridò lei dal corridoio. Aveva un accento strano, anche se non era molto marcato, sicuramente non era americana.

Entrò in salotto e rimase sorpresa.
Era una delle donne più belle che io avessi visto nella mia vita. I lunghi capelli scuri le ricadevano sulle spalle e gli occhi erano di un verde smeraldo.

«Oh mio dio, ma tu sei Kaylee? Tuo padre mi ha parlato tantissimo di te. Ma sei bellissima, tesoro, alzati e fatti guardare meglio!» mi disse emozionata.

Mi alzai, le andai incontro e lei mi abbracciò. Rimasi stupita da tutto l'affetto che mi stava dimostrando. Mi vedeva per la prima volta nella sua vita ed era già più dolce di Eleanor.

Ricambiai il suo abbraccio e poi lei si staccò. «Luke, non me l'avevi descritta così bella e questa cosa non mi va giù» rise. Si girò verso mia madre, seduta su una poltroncina nera, e le sorrise. «Tu sei Eleanor, vero? È un grandissimo piacere conoscerti.»

La osservai mentre parlava per beccare qualche segno che mi suggerisse che mentiva, ma no era totalmente sincera. Strano, visto che aveva davanti la ex-moglie del suo compagno. Ivanna era una persona dolcissima, simpatica e anche cordiale. Mio padre aveva fatto centro questa volta.

«Allora, siete tutte pronte? Andiamo a mangiare fuori per festeggiare il vostro arrivo!»

Uscimmo tutti e quattro insieme e andammo in uno dei ristoranti in riva al mare più eleganti della città. San Diego era un posto bellissimo, avevo fatto la scelta giusta trasferendomi qui.

La cena fu perfetta, tranne per il fatto che Eleanor non disse una parola. Noi altri parlammo tantissimo e Ivanna si presentò per bene. Aveva trentaquattro anni, cioè lei e mio padre avevano undici anni di differenza. Scoprii che anche lei lavorava G.S.S.O e faceva l'hacker, era una delle più brave nell'organizzazione. Era lì che aveva conosciuto papà. Parlai più con lei in quell'ora, di quanto avevo fatto con mia madre in ventiquattro anni.

Mio padre aveva chiesto se volevamo girare un po', ma rifiutai stanchissima e tornammo a casa.

«Eleanor, vieni che ti accompagno nella tua stanza» si offrì Ivanna.

«Ah no, io ho già un hotel prenotato per stasera, quindi vado.»

«Allora non insisto, ma almeno domani vieni con noi in spiaggia?»

«Mi spiace, ma parto alle otto domattina e torno a Washington.»

«Ma che peccato! Verrai a farci visita qualche volta, no?»

«Sì sì. Ora vi saluto perché il taxi mi aspetta fuori.»

Diede la mano a mio padre, poi Ivanna la strinse in un abbraccio. Si avvicinò a me, mi abbracciò e mi diede anche un bacio sulla guancia.
«Fai la brava Kay, mi mancherai.»

«Ho ventiquattro anni non cinque, mamma. Anche tu mi mancherai.»

Dopo che Eleanor andò via, diedi la buonanotte e andai nella mia stanza. Mi tolsi i tacchi e mi buttai sul letto morbidissimo. Prima di cambiarmi decisi di prendere il telefono e scorrere un po' tra i social. Avevo profili falsi ovunque, era per la mia sicurezza, dicevano i miei.

Controllai da tutte le parti, ma del mio cellulare non c'era traccia. Mi ricordai che l'avevo dato a mia madre quando eravamo al ristorante dato che non volevo tenerlo in mano.

Oh perfetto, dovevo uscire di casa a mezzanotte e andare fino al famoso hotel a prenderlo!

Mi infilai di nuovo le scarpe e scesi le scale. Mio padre stava andando nella sua stanza. «Kay, dove vai?»

«Eleonor ha il mio cellulare, devo andare a prenderlo.»

«Va bene, prendi le chiavi in corridoio prima di uscire. È nell'hotel di Gonçalo Llanos, dillo al tassista, tutti sanno dov'è. E stai attenta lì, per favore.»

Arrivai davanti all'hotel immenso ed entrai con passo sicuro. Andai dalla reception che sollevò appena lo sguardo.
Che educazione in un hotel così prestigioso.

«Salve, cosa desidera?» mi chiese finalmente, quando capì che non avevo intenzione di andarmene.

«Salve, ho bisogno del numero della stanza di Eleanor Ross.»

Lei mi squadrò e fece una bolla con il chewing gum che aveva in bocca. «E lei chi è, mi scusi?»

«Sono sua figlia e ho bisogno di vedere mia madre.»

«Beh, non può. È per la privacy e sicurezza dei clienti, io non so se lei è davvero sua figlia.»

«Senta, mi serve il numero della sua stanza devo prendere il mio telefono e poi vado via.»

«Non posso darle il numero della stanza, signorina.»

«Ma mi serve! È importante.»
Stavo perdendo la pazienza e non era una buona cosa.

«Capisce che non posso darle il numero o le serve un disegnino per facilitarle la comprensione?» mi chiede acida alzando il tono di voce.

Mi avvicinai di più al bancone. «Senti qui tu, non hai capito con chi stai parlando e tanto meno che se voglio ti posso rovinare la vita in pochi attimi. Ora dammi il numero della stanza o fammi incontrare il tuo capo.»

Le mie minacce funzionavano sempre e infatti disse che mi avrebbe fatta parlare con il suo capo. Digitò un numero sul telefono e iniziò a mordersi le unghie. Aveva così tanta ansia nel parlare con lui?

Dopo aver mormorato qualche parola, la ragazza mi diede le indicazioni per arrivare nel suo ufficio. Bussai e aspettai che mi desse il permesso per entrare.

«Avanti.»

Aprii la porta e davanti a me si presentó una visione paradisiaca.

Un ragazzo era seduto tranquillamente alla sua scrivania e stava fumando una sigaretta. Era decisamente perfetto con la camicia leggermente aperta e gli occhi intensi che mi squadravano da capo a piedi, mentre andavo verso di lui.

Fece un sorrisino malizioso e poi mi invitò a sedermi di fronte a lui. Mi sedetti su una delle poltroncine e accavallai le gambe. Gonçalo seguì con gli occhi tutti i miei movimenti, il suo sguardo mi bruciava addosso.

Tossicchiò leggermente. «Allora, qual è il problema?»

«La sua recepsionist è maleducata e sgradevole, in più non mi dà le informazioni che le chiedo.»

«E cosa le hai chiesto?» Parlava con estrema calma, se qualcuno mi avesse detto qualcosa del genere sui miei dipendenti sarei uscita di senno.

«Ho bisogno del numero della stanza di mia madre» risposi.

«Perché ti serve?»

«Lei ha il mio cellulare e ne ho bisogno.»

«Come si chiama tua madre, bambolina?» chiese concentrandosi un po' troppo sul mio seno.

Adoravo le attenzioni, ma non quando mi fissavano come lui. Sembrava un maniaco.
Schioccai le dita. «I miei occhi sono qui sopra, tesoro. Comunque, mia madre si chiama Eleanor Ross.»

Gonçalo digitò velocemente sul computer e poi mi guardò. «La signora Eleanor non è nella sua stanza.»

Io lo guardai confusa. «E dov'è, allora?»

«Io non mi metto a seguire i miei clienti, non ho idea di dove sia e ora se non ti dispiace ho da fare» disse quasi scocciato.

«Puoi almeno lasciarle un messaggio e dirle di portarmelo domani mattina?» dissi alzandomi in piedi e andando verso la porta.

Lui si alzò a sua volta e si mise davanti a me. Mi sovrastava in altezza nonostante io avessi i tacchi, il che non mi dispiaceva.

Si avvicinò lentamente al mio viso e mi sembrò di prendere fuoco. Sentii un calore espandersi nel basso ventre, provavo una grandissima attrazione fisica nei suoi confronti. Non lo diedi comunque a vedere, ero molto brava a nascondere le mie emozioni.

«Sì, dirò alla recepsionist di provvedere» rispose soffiando sulle mie labbra.

Mi allontanai di qualche passo.
«Grazie.»

«Arrivederci, bambolina» disse aprendomi la porta.

«Arrivederci.»

Una volta uscita dal suo ufficio andai verso le scale. Sembrerà strano, ma preferivo farmi un paio di piani a piedi che prendere l'ascensore. Quegli aggeggi mi mettevano ansia.

Mi tolsi i tacchi e corsi giù per le scale come facevo quando ero una bambina. Ripensai al quasi-bacio di qualche momento prima. Non potevo fare qualche passo avanti, piuttosto che dei passi indietro?  

Per la distrazione andai a sbattere contro qualcuno e gli caddi addosso. Mi alzai velocemente scusandomi e porsi una mano alla ragazza che avevo appena fatto cadere.

«Vestito Prada dell'ultima collezione primavera-estate. Ottima scelta, tesoro, e ti sta da dio» le sorrisi.

«Ah, grazie mille» rispose raggiante.
Era felicissima nonostante l'avessi appena fatta cadere dalle scale. Cos'era successo di così straordinario nella sua vita?

«Mi dispiace se ti ho fatta cadere. Ti offro qualcosa da bere per farmi perdonare, dai vieni con me.»

Lei non era molto convinta.

«Su, sono nuova in città e non conosco davvero nessuno, un'amica mi farebbe bene» cercai di convincerla.

Lei ci pensò ancora un altro momento e poi mi prese a braccetto. «Andiamo allora! Comunque io sono Iris... Il tuo nome è...?»

«Kaylee.»

Scendemmo l'ultima rampa di scale e una volta giù mi rimisi i tacchi. Uscimmo dall'hotel insieme e andammo in un bar in riva al mare.

La compagnia di Iris era molto piacevole, lei era simpaticissima anche se un po' timida. In ogni caso, dopo qualche drink si sciolse e iniziò a parlarmi dell'università. Poi mi chiese di parlarle un po' di me e del perché mi ero trasferita. Le raccontai una mezza verità sul perché ero a San Diego, non potevo dirle tante cose quindi banalizzai un po' tutta la storia del tradimento.

Lei sembrò davvero molto dispiaciuta e dopo un paio di secondi di silenzio decise di sdramatizzare la situazione.
«Senti Kay, mi hanno detto che domenica sera c'è una mostra fotografica e voglio andare a vederla. Ma non volevo andarci da sola, quindi ti va di accompagnarmi?»

«Ma certo! Passerò a prenderti all'hotel alle sei»

«Perfetto! Ora che ne dici di tornare a casa? È tardissimo e domani finirò per non svegliarmi.»

Io annuii e poi accompagnai Iris all'hotel.

Entrai a casa il più silenziosamente possibile e andai in camera mia sfinita. Indossai una leggera vestaglia di seta, mi struccai e poi mi sdraiai sul letto. Ero distrutta e poco dopo mi addormentai.

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