Kaylee. Guai

Giovedì 5 luglio

Seguii Kat tutta la mattinata, come avevo fatto il giorno prima d'altronde.
Avevo deciso che avrei perso la scommessa con Gonçalo e, visto che non avrei ricevuto informazioni su di lei, dovevo fare tutto da sola. La motivazione per cui avrei perso era semplice: volevo accantonare il mio orgoglio e la voglia di vincere per una volta e fare ciò che mi sentivo. Volevo davvero passare quella settimana con lui nonostante quello che avevo detto a Ryan, più per autoconvincermi che per altro. Lui d'altronde era stato un ottimo amico e consigliere il giorno prima e aveva cercato di avvertirmi dei pericoli che correvo, ma io avrei fatto di testa mia comunque.

Per le registrazioni avrei trovato una maniera, mentre per la questione Katelyn avrei continuato ad indagare e forse Gonçalo mi avrebbe spiegato tutto un giorno.

La vita di lei era abbastanza monotona, non faceva altro che andare in posti affollati e scrivere, scrivere e scrivere. Non aveva più incontrato Gonçalo e la cosa mi faceva più che piacere, anche se sarebbe potuto accadere in qualunque momento. Decisi di defilarmi quando notai che si stava guardando un po' troppo attorno, l'ultima cosa che volevo era che mi vedesse.

Quello che mi aveva detto Gonçalo la sera prima mi aveva destabilizzato e non poco.

Cosa volevano Matthew e Iris da me? Si conoscevano, e questo l'avevo capito, ma perché lei non mi aveva detto nulla? Perché lui fingeva di volermi come amica?

Tutte domande che non trovavano risposta. Decisi che ne avrei parlato direttamente con Iris e sicura di trovarla all'hotel andai lì.

Peccato che non appena ci arrivai sentii delle urla e dopo che Ryan mi disse del litigio andai a controllare.
Gonçalo e un ragazzo si stavano prendendo a pugni. Entrambi erano lividi di rabbia ed ero certa che non sarebbe finita bene se qualcuno non fosse intervenuto. Nessuno pareva davvero interessato alla situazione, oppure erano tutti troppo spaventati, quindi decisi di accorrere.

«Ragazzi, basta!» gridai.

Nessuno dei due però parve sentirmi.
Cercai di tirare Gonçalo per un braccio, ma lui non si mosse di un millimetro.

«Jona, non la devi toccare mai più» sibilò poi.

Sapevo di chi stava parlando, ero sicura che fosse lei. Di quale altra ragazza poteva essere così geloso? Nessuna.
Kat era sempre tra i suoi pensieri.

Lo vidi caricare un altro pugno e d'istinto mi buttai tra i due. Sentii un colpo dritto allo stomaco e un dolore lancinante espandersi. Boccheggiai, ma non emisi nessun verso né mi mossi.

Jona mi rivolse uno sguardo preoccupato. «Dio mio, stai bene? Devo chiamare qualcuno?»

Feci un respiro profondo. «No, non ce n'è bisogno» risposi. D'altro canto non era la prima volta che mi beccavo un pugno.

Gonçalo, ripresosi dal suo stato di rabbia, si avvicinò di più a me. Rivolse uno sguardo assassino al ragazzo e gli intimò di andarsene, con la promessa che non sarebbe finta lì.
«Dovevi per forza metterti in mezzo?» mi chiese irritato.

«Certo che sì! Pensavi di ucciderlo per caso?»

«Quello era il mio obiettivo, ma tu l'hai salvato.»

Mi passai una mano tra i capelli, mi prendeva in giro?
«Perché litigavate?» chiesi.

«Non importa, tu stai bene? Era un pugno piuttosto forte.»

Perché cambiava argomento e si ostinava a mentirmi su Kat? Ormai avevo capito che teneva a lei.

«Io sto benissimo, guarda la tua mano piuttosto. Ti sei aperto le nocche, dovresti fartele fasciare se vuoi usare le mani stasera.»

Lui annuì e mi chiese se l'avrei accompagnato. Declinai la sua richiesta dicendo che ero impegnata, ma la verità era che se fossi andata con lui l'avrei ucciso in preda alla gelosia.
Katelyn iniziava ad essere troppo in mezzo per i miei gusti.

...

Quasi mi strozzai con la mia stessa saliva quando Veronika chiamò Ivanna zia. Era tra le ultime cose che mi sarei aspettata, ma oltre ad un dolce ritrovo familiare, poteva essere un bene per i miei rapporti con la ragazzina. Forse avrebbe smesso di odiarmi, mi ero accorta degli sguardi assassini che mi rivolgeva ogni volta.

Loro due si abbracciarono per svariati minuti, Veronika piangeva e Ivanna cercava di confortarla. Ero davvero di troppo in quella situazione.
Per non rovinare l'atmosfera parlai dopo che si furono staccate.
«Ci sono i ragazzi fuori, li accompagno a casa e voi potete parlare in pace, va bene?» dissi.

«Quali ragazzi?» chiese subito Ivanna.

«Degli amici.»

Lei annuii anche se poco convinta e poi portò Veronika in cucina.
Uscii di casa e dopo aver spiegato brevemente la situazione ai due curiosi, salimmo in auto.

Accompagnai prima Ryan all'appartamento e poi dovetti portare Matt all'hotel.
Mi fermai nel parcheggio e rimasi in silenzio aspettando che se ne andasse.

«Kay, stai bene?»

«Splendidamente» tentai di essere il più fredda possibile. Ero nera con lui.

«Non mi pare. Se vuoi puoi raccontarmi cosa succede, ti ascolto volentieri.»

La sua falsità mi dava i nervi.
Dato che non davo cenno di vita, posò una mano sulla mia spalla.

«Peccato che io non voglia. Ora esci dalla mia auto e in fretta, non ho abbastanza pazienza.»

Matt mi guardò stranito e scosse la testa. «Va bene, ne parleremo quando non sarai così agitata. Ciao.»

Non mi diede nemmeno tempo di rispondergli che era già sparito.

Una volta tornata a casa ero ancora più dubbiosa su come gestire la situazione con Iris e Matt. Mi buttai sulla poltrona in pelle e cercai di riflettere, ma il pensiero mi portava a Gonçalo. Mancavano poche ore a separarmi da quella settimana con lui ed ero elettrizzata.

Era un male esserne così felice? Forse.
Me ne fregava qualcosa? No.

A risvegliarmi dai miei pensieri fu Ivanna, che entrò in salotto saltellante e tenendo una Veronika altrettanto contenta per mano.
«Tesoro, noi usciamo a cena con tuo padre questa sera. Vieni con noi?» chiese Ivanna.

Vidi la ragazzina rabbuiarsi, non mi voleva proprio.

«No, mi dispiace tantissimo, ma ho un'altro impegno. La prossima volta ci sarò, promesso» dissi.

«Non è un problema, però ho bisogno di un favore. Dalle qualcosa di bello da mettersi, non può uscire a cena in camicia e pantaloni in estate!»

Veronika tentò di protestare, ma Ivanna fu irremovibile e lei alla fine si arrese e mi seguì nella mia stanza.

«Sarà complicato trovarti qualcosa tra i miei vestiti, c'è una piccola differenza di taglie» osservai divertita.

Lei abbassò lo sguardo sul suo seno e io annuii. «Sì parlo proprio di quelle! Siediti pure, la ricerca sarà lunga.»

Non se lo fece ripetere due volte e si accomodò sul letto, osservando attentamente ogni mia mossa.
Iniziai a frugare tra le valigie che non avevo ancora disfatto, sicura che a breve mi sarei trasferita.
Tirai fuori alcuni abiti da farle provare, sperando che ci fosse qualcosa che potesse contenerle il seno.

«Inizia pure a provare le cose che ho appoggiato sul letto» dissi alzandomi e aprendo la porta.

«Dove stai andando?» chiese Veronika.

«Esco, magari non vuoi che una sconosciuta ti fissi mentre ti cambi.»

Lei sorrise, penso fosse la prima volta che lo faceva in mia presenza.
«È la tua stanza, rimani.»

Feci come mi disse e mi sedetti sul letto. La voglia di tempestarla di domande su cosa stava succedendo con la mia matrigna era immensa, ma riuscii a tenere la bocca chiusa per non sembrare troppo invadente.

Dopo che Veronika aveva provato una marea di abiti che le stavano piccoli, ero sul punto di arrendermi. Mi ricordai però del vestito che avevo comprato pochi mesi prima per puro capriccio. Lo tirai fuori speranzosa e le dissi di indossarlo.

«Ti sta! È perfetto» gridai felice.

Veronika si guardò allo specchio. L'abito Armani le fasciava le curve alla perfezione e lo scollo a V metteva in mostra il seno, ma non in maniera volgare.
Fortunatamente portavamo lo stesso numero di scarpe e le diedi anche un paio di stivaletti con il tacco.

«Sai portarli vero?» chiesi.

Veronika scoppiò a ridere. Cosa c'era di divertente nella mia domanda?

«Ci sono nata sui tacchi.»

«Mi fido allora. Ora vieni che ti sistemo trucco e capelli, finiamo l'opera.»

Lei si affidò a me, senza contestare questa volta, e mi sembrò di rivivere un pomeriggio con Clare, solo con una ragazza molto più silenziosa.

Una volta finito di prepararla, Veronika si alzò in piedi e si specchiò.

«Sei bellissima, cioè più del solito» le dissi sincera.

«Grazie.»

«Di nulla, è la verità.»

Sorrisi e Veronika ricambiò.
«Ti faccio riavere tutto la prossima volta che vieni a fare visita a Ryan» disse lei.

«Oh, ma certo che no!»

«Non posso tenere le tue cose.»

«Certo che puoi! Sono nuove, considerale come un regalo di benvenuto in famiglia. Va bene?»

Lei annuì. «Grazie Kaylee.»

«Non mi ringraziare, non ho fatto nulla di che. Scendiamo ora, Ivanna e papà ti staranno aspettando.»

...

«Gonçalo, ce l'ho anch'io un'auto, non dovevi venire a prendermi per forza» dissi mentre camminavo verso di lui.

Ero ancora incazzata per quello che era successo all'hotel e il fatto che avesse evitato l'argomento peggiorava il tutto.

«Volevo fare il gentiluomo, bambolina» rispose, appoggiato alla carrozzeria dell'auto.

«Non ce n'era bisogno.»

Feci per aprire la portiera, ma lui mi afferrò il braccio e mi fermò.
«Cos'hai?» chiese serio.

«Nulla, va tutto bene.»

«Pretendi che io ti creda?»

«Dovresti, dato che è la verità» dissi cercando di tirarmi via dalla sua presa.

«Dammi un bacio.»

«Fattelo dare da Kat, accetterebbe volentieri.»

Lui rise. Ero caduta nella sua trappola.
«Sei ancora gelosa di lei?» mi chiese sollevando un sopracciglio.

«Non dovrei? Hai picchiato Jona per lei che ha 23 anni e può fare quello che vuole. Tutto ciò non ha senso.»

«Non sai la nostra storia e non puoi capire.»

Come dovevo fare a saperla se non me l'aveva raccontata?

«Senti, vaffanculo» dissi e, una volta sfuggita alla sua presa, salii in auto.

Gonçalo salì dopo di me e sbattè la portiera così forte che temetti l'avrebbe rotta. Forse l'avevo fatto arrabbiare.

Il tragitto verso il poligono fu silenzioso. Un silenzio carico di tensione e parole non dette. Dovevo chiedergli scusa per caso? Magari avrei sistemato la situazione.
Anche se non era colpa mia se lui non mi raccontava la verità. Decisi di fare la persona matura e prima di entrare nell'edificio, presi un respiro profondo e parlai.
«Scusa.»

Gonçalo mi guardò stupito.
«Sai, mi sembravi troppo orgogliosa per chiedere scusa, bambolina.»

«Lo sono di solito.»

«Ma stavolta credi di avere torto?» domandò divertito.

«Assolutamente no, anzi tutto il contrario. Io ho sempre ragione» dissi convinta. Gli stampai un bacio sulle labbra e poi entrai al poligono, senza che potesse ribattere.

«Allora per farla semplice sei proiettili a testa, chi centra gli obiettivi con più precisione vince.»

«Vedo che hai tanta fretta di perdere. Per questo ti concedo di iniziare.»

«Un vero onore per me mostrarti come si spara» dissi, indossando la cuffia.

«Chi ti ha insegnato a sparare, bambolina? Tua madre scommetto.»

Come faceva a conoscere mia madre?
Ignorai la sua domanda, fingendo di non averla sentita.

Mi misi in postazione, con la risata di Gonçalo che faceva da sottofondo, e afferrai la pistola. Il metallo freddo faceva contrasto con la mia mano bollente e un brivido mi attraversò la schiena. Sparare era sempre un'emozione, quello a cui ero stata abituata, quello per cui ero nata. Non avrei mai smesso anche se avessi dovuto continuare per puro hobby.

Dopo aver caricato la pistola e tolto la sicura, mi misi in posizione: le gambe leggermente divaricate, il braccio destro sollevato a formare un preciso angolo di novanta gradi e l'arma stretta in una presa salda. Presi la mira con precisione e premetti il grilletto. Come mi aspettavo riuscii a centrare pienamente i dieci punti.
Sorrisi fiera e sparai un altro colpo, perfetto quanto il primo.

Ero pronta per il terzo proiettile, quando sentii le mani di Gonçalo poggiarsi sui miei fianchi e le sue labbra sul collo. Voleva distrarmi e ci riuscì alla perfezione.

Premetti comunque il grilletto, ma il colpo si rivelò storto. Lo sentii sorridere sul mio collo, prima di allontanarsi e mettersi anche lui nella sua postazione. I suoi colpi furono tutti perfetti. Eravamo sei a cinque, avevo perso come previsto.

Una volta fuori dalla stanza, Gonçalo si mise al mio fianco e mi avvolse con un braccio.
«Te l'avevo detto, bambolina. Io non perdo mai. Ci divertiremo insieme.»

«Lo spero, proprio.»

«Stanne certa.»

...

«Entra pure, i miei sono a cena fuori» dissi aprendo la porta.

Mi ero fatta accompagnare a casa di mio padre per prendere le mie cose.
Salii le scale seguita da Gonçalo e ci dirigemmo verso la mia stanza.
Accesi la luce e notai con piacere che tutto era come l'avevo lasciato poche ore prima. I vestiti buttati sul letto, i trucchi sparsi per la toeletta e le valigie aperte sul pavimento. Quello era il mio caotico ordine e mi rispecchiava più di quanto volessi far credere alle persone attorno a me.

Presi la valigia più grande che avevo, quella che avevo riempito con le scatole delle scarpe, e la svuotai.

«Vuoi prendere quella per davvero?» chiese Gonçalo che nel frattempo si era comodamente sdraiato sul letto.

«Ti sembra che io stia scherzando?»

«Il punto è che sarai nuda la maggior parte del tempo e non ne vedo l'utilità» disse maliziosamente.

«Sfacciato» ribattei secca.

«Lo so, ma è per questo che ti piaccio.»

Sbuffai. Odiavo quando quando una persona aveva ragione.

Ero riuscita a scegliere gli indumenti e le scarpe da portare con me in tempo record. Infilai tutto in borsa, sotto lo sguardo vigile di Gonçalo, e poi andai in bagno a recuperare spazzolino, shampoo, balsamo e bagnoschiuma. Buttai anche queste in valigia, insieme al mio profumo preferito, e poi la chiusi.

«Non c'era bisogno che ti portassi persino il bagnoschiuma. Chi la porta giù questa valigia adesso?» chiese Gonçalo.

«Tu.»

Sollevò gli occhi al cielo e mi incitò a muovermi.

«Come mai tutta questa fretta?» chiesi, avvicinandomi a lui che era ancora sdraiato.

«Sono stanco.»

Mi misi a cavalcioni su di lui e posai le mani sul suo petto.
«Di già? Allora aspettiamo la prossima occasione.»

Fui molto ambigua, ma Gonçalo sembrò intendere perfettamente le mie intenzioni.
Mi avvicinai alle sue labbra e le mordicchiai prima di unirle alle mie in un bacio passionale. Sentii una strana sensazione espandersi nel basso ventre, ma provai a non farci caso.

Lui si mise a sedere e spostò le labbra sul mio collo, facendomi gemere leggermente. La mia camera da letto, quella dove dormivo da bambina, con le pareti rosa pastello e i mobili bianchi si stava trasformando in un luogo di peccato. Stavo peccando di lussuria. Desideravo Gonçalo. Volevo che mi facessa sua, volevo essere sua, volevo essere speciale per lui. Il suo corpo unito al mio era l'obiettivo della serata e non avrei desistito per nulla al mondo.

Fremetti quando iniziò a sbottonarmi la camicetta, ogni bottone fuori dall'asola corrispondeva ad essere un passo più vicino a quello che desideravo.

Non indossare il reggiseno si era rivelata una scelta intelligente, un indumento in meno da togliere in quel momento. Lui passò a martoriarmi il seno con la bocca e le mani. Stringeva, succhiava, mordeva. Ero sempre più eccitata, continui versi abbandonavano le mie labbra e sembravano echeggiare nella casa vuota.
Un secondo dopo mi ritrovai sdraiata sul letto, Gonçalo mi stava sfilando i pantaloni.

«Sei ancora vestito» sussurrai.
«Lasciami rimediare a questo disastro.»

Mi misi in ginocchio davanti a lui e sbottonai frettolosamente la camicia, togliendola subito dopo e gettandola in un angolo remoto della stanza.
La prima cosa che mi saltò alla vista oltre al suo fisico statuario, furono due corna che spuntavano dai pantaloni. Accarezzai la sua erezione ancora bloccata dai pantaloni e poi sbottonai anche quelli, ma Gonçalo non mi permise di levarglieli. Mi fece tornare sdraiata e dopo un altro rapido bacio, si abbassò ad accarezzarmi l'interno coscia. Il mio respiro tornò ad essere anche più affanoso di prima, quando mi privò della brasiliana. Mi lasciò umidi baci sulla pancia, poi scese fino alla mia intimità e vi si dedicò totalmente.
La sua lingua abile giocava con il mio clitoride, provocandomi piacere. Strinse il seno sinistro con una mano e mi stappò un urletto.
Avevo bisogno di lui, subito.

«Fammi tua» mugolai.

Gonçalo non se lo fece ripetere e si abbassò i jeans. Rimasi impietrita quando notai le sue dimensioni e mi sembrò di essere una verginella spaventata dalla prima prestazione.
Si avvicinò al mio orecchio e si posizionò vicino alla mia entrata.

«Goditi la serata, perché per oggi sono solo tuo» soffiò nel mio orecchio.

Entrò in me lentamente, anche se con grande facilità, e io inarcai la schiena. Gemetti rumorosamente mentre Gonçalo si muoveva, tentando di abituarmi a quella dolce intrusione.
Allacciai le gambe al suo bacino e le sue spinte diventarono più profonde e veloci, mentre le mie unghie gli graffiavano la schiena.

Mi guardò negli occhi e ordinò: «Dì a chi appartieni.»

«Sono solo tua, Gonçalo» ansimai.

Subito dopo venni insieme a lui e posso dire di non aver mai provato una sensazione più appagante. Dopo avermi stampato un bacio sulle labbra, Gonçalo appoggiò la testa sul mio petto e io iniziai ad accarezzargli i capelli.

Quando i nostri respiri tornarono regolari, decidemmo che era il caso di rivestirci e che ci saremo fatti la doccia all'hotel, era inutile rischiare ulteriormente di essere scoperti.

Arrivammo nella suite sfiniti e la prima cosa che pensai di fare fu buttarmi sul letto, mentre Gonçalo andò direttamente in bagno. Le palpebre si fecere pesanti, la stanchezza si fece sentire e, nonostante non fosse nei miei piani, mi addormentai.

Venerdì 6 luglio

Ero furiosa. Come si era permesso quello stronzo?

Corsi dritta nel suo ufficio, pronta a dirgliene quattro, quando trovai Iris che parlava con Gonçalo.
Chi dei due dovevo uccidere prima?

Iris, fortunatamente, notò il mio pessimo umore e decise di lasciarmi sola con lui. Noi ci saremo viste il giorno dopo e le avrei detto ciò che sapevo.

«Ciao, bambolina. Come stai?»

«Gonçalo come ti sei permesso!» dissi nera.

«Non ti capisco» rise divertito.

Non c'era nulla di divertente in tutta questa storia.
«Mi hai chiusa in questo posto. I tuoi gorilla non mi lasciano uscire!»

«Così imparerai ad essere più disponibile quando ti chiamo. Ti ho cercata tutta la mattinata e tu non eri da nessuna parte, per evitare altri inconvenienti come questo starai in hotel.»

«Non puoi farmi questo!» mi lagnai come una bambina.

«Posso eccome, invece. Sei mia per una settimana, ricordi?»

Che essere insopportabile, egocentrico e pieno di sè.

«Ora torna nella suite, quando arrivo io ne riparliamo» aggiunse, prima di liquidarmi con un gesto della mano.
Uscii dall'ufficio ancora più arrabbiata di quando ero entrata.

Tra il fatto che Kat mi avesse scoperta quella mattina e il fatto che ero rinchiusa e non potevo sistemare la situazione, non sapevo cosa fosse peggio.

Ero beatamente sdraiata sul letto, quando sentii la porta sbattere. Mi misi subito sull'attenti, ma dopo aver sentito la voce di Gonçalo mi tranquillizzai, almeno in parte.

«Kaylee, vieni subito qui» sentii gridare dal salotto. Già il fatto che non mi chiamasse bambolina non lasciava presagire nulla di buono.

Mi alzai e allacciando la vestaglia di seta beige, andai da lui.

«Cosa ti passa per la testa?» gridò, quando entrai nella stanza.

Io non avevo fatto nulla, cosa voleva da me?
«Cosa ho fatto? Quella incazzata dovrei essere io dato che mi hai bloccata qui.»

«Non fare la finta tonta, so tutto.»

Continuavo a non capire cos'era successo.
«Gonçalo, spiegati per favore.»

«Come ti è venuto in mente di seguire Kat?»

Sbiancai. Quella stronza gliel'aveva raccontato. Non sapevo come giustificarmi e iniziai a borbottare frasi sconnesse e insensate.

«Perché l'hai fatto?» continuò ad incalzare.

Mi sentivo troppo sotto pressione in quel momento e sarei esplosa da un momento all'altro.

«Kaylee, parla» ordinò, alzando di nuovo il tono di voce.

«Perché è il mio lavoro. Sono una spia, una femme fatale!»

Cosa avevo combinato!
Gli occhi di Gonçalo si strinsero in due fessure.
«Cosa hai detto?» chiese minaccioso.

Aveva capito perfettamente.
Un nodo mi si formò in gola e non riuscii a parlare.
Lui si avvicinò e mi afferrò il viso.
«Ripeti quello che hai detto.»

«Sono una spia» sussurrai.

«Quello che hai detto dopo, Kaylee.»

«Faccio la femme fatale.»

Gonçalo mi lasciò andare e dopo essersi strofinato il viso, mi rivolse uno sguardo carico di rabbia.
«Hai proprio rubato il mestiere a tua madre. Dovevo aspettarmelo» mi disse.

Ancora con Eleonor? Come faceva a conoscerla?
«Mi ha addestrata fin da piccola, voleva che io avessi un grande futuro davanti a me.»

Lui rise. Sembrava una risata canzonatoria, ma cercai di ignorarla.
«Ti ha addestrata a diventare una puttana» disse sprezzante.

Le sue parole furono come un proiettile che mi attraversò il petto. Mi sentii immensamente ferita e non solo per quelle parole, ma perché era lui ad averle dette. A quella brutta sensazione, si aggiunse anche l'orgoglio che mi portò ad avvicinarmi a Gonçalo e stampargli la mano sulla guancia. Lui non reagì.

«Non lo dire mai più» dissi decisa.

Mi incamminai verso la porta della suite e feci per aprirla, quando Gonçalo mi interruppe.
«Dove cazzo credi di andare?»

«Via da qui, non vedi?»

«Pensi di uscire vestita così?»

Abbassai lo sguardo e notai che il laccio della vestaglia si era sciolto, lasciando in bella mostra il mio intimo in pizzo.

«Sì, così posso mostrare in giro che sono una puttana» ironizzai.

Lui sbuffò irritato. Lo stavo esasperando e se lo meritava totalmente, il cretino.

«Vado via io, non provare a muoverti da questa suite» mi minacciò.

«Io non ci sto qui, non voglio rivederti.»

«Se fai anche un solo passo fuori dalla porta, ti giuro che ti farò pentire di avermi conosciuto.»

Non appena lo sentii uscire mi buttai sul divano. Chi si credeva di essere per darmi ordini? Nemmeno mio padre si era mai permesso, figuriamoci se mi facevo mettere i piedi in testa da lui.

«Non me ne frega nulla delle sue minacce, io me ne vado» dissi ad alta voce.

In un attacco improvviso di rabbia andai verso la camera da letto. Indossai le prime cose che trovai in giro e corsi verso la porta intenta ad uscire dalla suite il più in fretta possibile. Non appena tentai di aprire la porta, venni fermata.

«Vedo che non vuoi proprio ascoltarmi» disse Gonçalo, alle mie spalle.

Ora sì che ero in un mare di guai.

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