Kat. Verità
Giovedì 12 Luglio
Un letto vuoto. Ecco cosa mi ero ritrovata al mio risveglio: il vuoto.
Da sola nel letto del ragazzo che avevo creduto di amare da una vita, ma che invece si era rivelato l’ennesimo fallimento, l’ennesima perdita di fiducia in me stessa e nel resto del mondo. Come avevo fatto ad essere tanto stupida? Cosa credevo che sarebbe accaduto?
Passai tutta la mattinata in quel letto ormai inquietante e pormi quelle domande, per le quali conoscevo già la risposta: Gonçalo non era più mio, forse, non lo era mai stato.
Che diavolo ci facevo ancora abbindolata a lui allora? Perché continuare a mantenere vivo qualcosa che non riguardava più entrambi?
Era andato via, senza dire una parola. Mi aveva lasciata lì con il solo ricordo di quel famoso “Ti proteggerò io.”
Balle. Tutte balle.
Lui non era capace di proteggermi. Per quanto potesse finire nei guai pur di salvarmi, per quante volte avesse giurato che nessuno mi avrebbe torto un capello, non si era reso conto che l’unico da cui doveva proteggermi era proprio se stesso.
Gonçalo era nocivo, tossico, pericoloso. Non poteva davvero prendersi cura di me se non aveva la più pallida idea di come gestirmi e di cosa fare della sua vita.
Era corso da Kaylee, lo sentivo dentro: lei era diventata per lui ciò che io avrei tanto voluto essere, e che probabilmente non sarei mai riuscita a diventare per nessun’altro.
Dovevo ammetterlo a me stessa: io non servivo, non ero nulla di importante e, per quanto desiderassi mostrare di essere indipendente e felice da sola, in realtà sapevo di aver bisogno di qualcuno che ci tenesse, che mi aspettasse sempre e comunque.
Cosa potrai mai fare adesso, Kat?
Distrutta e sconsolata, mi misi alla ricerca delle chiavi della macchina, parcheggiata nel garage. Volevo andare via di lì e non avere più a che fare con Gonçalo, né con altro che lo riguardasse strettamente da vicino.
Avevo tutto il tempo del mondo per poter decidere come muovermi, d’altronde lui non sarebbe tornato; e fu per quell’insolita calma che misi gli occhi su qualcosa che forse sarebbe stato meglio non trovare mai.
Era lì. Proprio vicino a quelle chiavi, nascoste in un cassettone della scrivania, in quello che doveva essere l’ufficio di Gonçalo.
Era lì, l’avevo vista chiaramente: una lettera con la calligrafia di Emile.
Solo lui mi aveva scritto lettere, sapendo quanto adorassi riceverle, e lo aveva adottato anche come metodo per poter comunicare con me, quando mi aveva tenuta nascosta in un piccolo paese francese prima di spedirmi in America.
Abbandonai ogni cosa e mi concentrai solo su quella calligrafia: non la vedevo da così tanto che quasi mi sembrava un sogno, proprio come vedere scritto il mio nome.
Vanille, la mia vera identità. Quella di cui Gonçalo si era appropriato.
Cominciai a leggerla senza alcuna esitazione, anche se mi chiedevo come mai Gonçalo avesse con sé una lettera destinata a me. Lui non mi aveva mai nascosto niente.
~~~~~~~~~~~
Cara Vanille,
mi spiace non averti potuto scrivere prima, ma purtroppo ci sono stati tanti problemi fra me Gonçalo… sai credo che lui non sia chi abbiamo sempre pensato che fosse, ed è per questo che voglio tenerti alla larga da noi e soprattutto da lui.
Comincio a non fidarmi. Tutto sta andando storto e l’unico a sapere delle mie intenzioni e azioni è solo lui. Ho il sospetto che ci stia tradendo ed è per questo che devi andare via da lì. Ti mando tutto il necessario per spostarti in Polinesia. Mi spiace non poterti fornire altre indicazioni utili…ma devi sbrigarti, non abbiamo molto tempo.
Sta’ tranquilla, ad attenderti lì ci sarà una mia conoscenza e di lui mi posso fidare ciecamente. Sa già chi sei e ti terrà al sicuro fin quando non arriverò io.
Ti prego di non odiarmi per questo, ma devi capire che Gonçalo non è un bene, né per te né per me.
Resisti ancora un po’ sorellina, presto sarò da te.
Ti voglio bene, Emile.
~~~~~~~~~~~~
Strabuzzai gli occhi nel leggere quelle parole. Poche righe contenenti segreti strazianti.
Polinesia? Gonçalo un traditore? Cosa cazzo significava?
Controllai la data e notai che corrispondeva esattamente a qualche giorno prima che io partissi per l’America, ed ero doppiamente certa che quella fosse la calligrafia di Emile: avevo vissuto per mesi aspettando solo una delle sue lettere, dunque, non avrei mai potuto confonderla o scordarla.
Mi accasciai per terra per qualche istante tentando di calmare il mio respiro e placare quell’attacco di panico pronto a esplodere da un momento all’altro.
Non avevo mai sentito parlare della Polinesia! Gonçalo non me ne aveva mai parlato! Perché?
Il fatto che possedesse una tale lettera, mi inquietava terribilmente, soprattutto dopo aver scontato che non avevo sentito più Emile da prima che mi fosse spedita quella lettera. Poteva essere successo la qualunque fra loro due e Gonçalo aveva preso il messaggio prima che mi venisse recapitato.
Che c’entrasse lui qualcosa con la morte di Emile?
Non potevo fare a meno di pensarci e di crederci perfino. C’erano troppe coincidenze…
“Presto, Fiore. Dobbiamo andare via, immediatamente” aveva detto Gonçalo entrando nella casa dove ero rifugiata. Aveva un tono quasi arrabbiato, ma anche spaventato allo stesso tempo.
Non mi aveva dato tempo neppure di capire cosa diamine stesse accadendo. Mi aveva presa per un braccio e, con l’altra mano, aveva afferrato il borsone che tenevo sempre pronto per le emergenze.
Era stato tutto troppo veloce, troppo improvvisato… non mi era parso neppure da Gonçalo un’azione simile. Eppure, mi aveva portata via dalla Francia quel giorno stesso, senza neppure accennare a un qualcosa riguardante Emile.
Era stato strano, ma non avevo osato fare domande. Avevo avuto paura e basta.
Rimasi incatenata a quel ricordo cercando un qualsiasi indizio, un qualcosa che allora mi avrebbe dovuto fatto credere che Gonçalo avesse compiuto un simile reato.
Non poteva essere successo davvero, ma non riuscivo a bloccare la mia testa e liberarla da quel pesante macigno che mi ero volontariamente piantata addosso.
Presi la lettera e le chiavi, decisa ad andar via e risolvere i miei guai da sola. Gli avrei torto il collo se non mi avesse raccontato come erano andate le cose per filo e per segno. Ma in quel momento avevo anche bisogno di un qualche conforto e in quel momento colui che poteva offrirmelo si trovava all’Hotel, in uno squallido club che non avevo mai notato, insieme ad Arleen.
Venerdì 13 Luglio
Scappare o cercare conforto non erano risultate come le tecniche più efficaci per venire a capo di tutta quella situazione, dunque non mi rimaneva che l’ultima opzione: stringere i denti e cavarmela da sola.
Il giorno precedente era stato asfissiante da qualsiasi punto di vista: non avevo trovato nulla di eclatante nell’ufficio di Gonçalo al suo hotel, dove mi ero ritrovata a scovare documenti qui e là come se fossi una ladra. Per giunta, frugando in certi documenti mi ero accorta di un progetto che risuonava alquanto strano da leggere e da vedere… era stato principalmente per quel motivo che di punto in bianco mi ero ritrovata in una specie di club a luci rosse.
Nulla mi sembrava particolarmente familiare se non il pensiero che lì dentro qualcuno potesse provare ciò che avevo dovuto subire io con Xavier: essere legata e soddisfare le perversioni di un maniaco.
Ero rimasta per qualche istante lì imbambolata e stupefatta che quel Gonçalo, che avevo conosciuto da ragazzina e che avevo desiderato così tanto fino a quella mattina, non esistesse più. Ero rimasta ferma ad attendere che una specie di rivelazione mi si parasse davanti e, come ad esaudire il mio desiderio, avevo trovato Jona con la sua adorata rossa.
Una ramanzina. La sua solita ramanzina, in cui si mostrava sicuro, stronzo fino al midollo e maledettamente eroico, perfino. Si stava salvando da solo dal mostro che ero, me lo aveva fatto capire chiaramente.
Insisteva su Gonçalo, sulla nostra relazione, sul fatto che mi fossi divertita con lui come se sapesse appunto della nostra nottata di sesso che non mi aveva appagata pienamente.
«Mi piacerebbe fotografarti di nuovo un giorno o l’altro» aveva poi detto come se fra me e lui non fosse successo assolutamente nulla, se non qualche semplice scatto che aveva messo in pericolo la mia esistenza a momenti.
Guardandolo andare via avevo pensato che forse lui era uno dei pochi capaci a tenermi testa, uno dei miei salvatori in quel mondo patriarcale che mi ero costruita, l’unico che nel profondo avrei sempre voluto avere e che stavo perdendo inevitabilmente. Ogni passo che faceva per allontanarsi da me, era un passo che mi spingeva a desiderarlo di più: era quel feticcio, quella cosa proibita che volevo avere a tutti i costi e che, non avrei potuto nemmeno provare ad avvicinare.
Con che coraggio poi ci sarei riuscita?
Aveva ragione su tutto: lui non era un giocattolo e io ero solo una ragazzina capricciosa che non aveva la più pallida idea di cosa fare della sua vita. Ecco perché mi ritrovavo sempre da sola e mi aggrappavo al primo appiglio che trovavo lungo la mia strada.
Ero stanca di tutta quella storia, di quel continuo senso di vuoto e incompletezza.
Emile avrebbe voluto andassi in Polinesia e così sarebbe stato. Dovevo solo trovare il modo di guadagnare denaro il più rapidamente possibile e la sola scrittura non bastava. Avevo smesso di rispondere alle mail di Alex e a dedicarmi a quel diavolo di romanzo: nulla più riusciva a darmi ispirazione.
Scrivere, probabilmente, non era la miglior scelta per me in quel momento.
Christopher si era sbagliato sul mio talento, ma per fortuna mi aveva aperto un’altra porta: diverse case di moda ed agenzie varie mi avevano contatto per quelle ridicole foto. Dovevo solo accettare, gettarmi nella mischia e poi sparire. Sarebbe stata anche l’occasione giusta per rendere pan per focaccia al caro Jona e a quella sua frase beffarda del fotografarmi.
Max Goya era stato il nome che mi aveva colpito maggiormente fra tutte le mie opzioni… Goya era, fra le tante altre cose, anche il cognome di uno dei primi pittori che avevo apprezzato maggiormente. Mi ispirava parecchia fiducia.
Affidai nelle sue mani il mio destino, ma ad una condizione: Jona Heart sarebbe stato l’unico a potermi fotografare.
Il signor Goya sorrise malizioso alla mia richiesta una volta stretto il nostro “accordo” e disse semplicemente: «Informerò il signor Heart al più presto e, si prepari, accadrà molto presto.»
Una stretta di mano. Avevo firmato il mio accordo e deciso il mio destino.
Stavo per uscire quando il signor Goya mi chiese: «Signorina Reynolds, ovviamente comunicherò il suo nome al signor Heart… ne è consapevole?»
Mi voltai per un istante solo verso di lui e dissi: «Je suis Vanille Lemoine.»
Mi guardò perplesso e compresi che l’uomo mi avrebbe fatto delle domande riguardanti quella frase che mi era venuta fuori così spontaneamente, ma uscii immediatamente senza dargliene alcuna possibilità.
Per una volta Vanille Lemoine, alias Katelyn Reynolds, avrebbe giocato la sua partita senza essere il burattino di nessuno.
Domenica 15 Luglio
Era stato tutto un gran casino.
Il processo anticipato. Il risarcimento. Jona che avrebbe voluto strangolarmi per quanto fosse incazzato con me, per quanto fosse deluso. Io che non ero riuscita neppure a ritirare una cazzo di denuncia.
Mi ero perfino scontrata con Ryan mentre correvo in ufficio da Gonçalo per avere delle spiegazioni, visto che quello era stato il mio intento fin dall’inizio se quel maledetto di un avvocato non mi avesse rotto le balle con quel diamine di processo.
Infuriata come una belva il giorno prima mi ero precipitata nella sua suite ritrovandola vuota.
Avevo lasciato la lettera di Emile sulla scrivania, senza nessun’altro messaggio.
D’altronde lo avrebbe capito che era da parte mia e che mi avrebbe dovuto dare delle spiegazioni prima o poi, altrimenti avrei fatto saltare il suo meraviglioso progetto del club nascosto.
Ripensavo solo ai dettagli di ciò che mi era passato per la testa in quelle ultime ventiquattro ore mentre mi ritrovavo di fronte alla porta della casa di Ryan, tentando di convincerlo a darmi una mano.
«Cosa ci fai qui, Kat?» mi chiese quasi privo di espressione dopo avermi fatto entrare.
«Ho bisogno del tuo aiuto.»
«Non farò da arbitro nello scontro all’ultimo sangue fra i tuoi due uomini, ti avverto» rispose burbero come al solito.
«Devi solo dirmi come ci si comporta davanti ad un obiettivo» confessai ad un tono di voce più alto per sovrastare il suo.
«Che vuol dire?» chiese inarcando le sopracciglia.
«Ho accettato di fare degli scatti per una questione di denaro. Ma non ho la più pallida idea di come ci si comporti o di cosa si debba fare» ammisi sinceramente guardandolo dritto in faccia. «Puoi aiutarmi?»
Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top