Kat. Sono innocente
Lunedì 16 Luglio
«Non capisco perché tu stia abbandonando tutto solo per lavorare come modella» disse Alex seguendomi mentre mi avvicinavo alla porta del suo ufficio.
«Perché ho bisogno di soldi immediatamente» replicai indossando gli occhiali da sole e infilando le mani in tasca, come se non mi interessasse minimamente che stessi mandando a puttane il mio lavoro. «E la carriera della scrittrice non mi dona.»
«Kat, ti prego, non farlo» disse parandosi di fronte alla porta. «Hai scritto cose magnifiche, perché abbandonare tutto per soldi?»
«Perché. Ho. Bisogno. Di. Soldi. Immediatamente» sbottai aprendo la porta e travolgendolo. «Chiaro adesso il concetto?» e scesi le scale il più rapidamente possibile.
Ma perché gli uomini tendevano ad essere così duri di comprendonio? Che diamine!
«Kat! Maledizione!» sentii imprecare ancora dietro di me, ma ormai ero già abbastanza lontana per perdere tempo con lui.
Non sapevo per quale assurda ragione, ma quella vita mi sembrava una continua perdita di tempo. Non facevo altro che andare avanti e indietro, sempre con le stesse persone, come se fossi continuamente alla ricerca di perdono o di aiuto. Non riuscivo in alcun modo a staccarmi dalle persone che avevano avuto un certe peso nella mia vita eppure, sapevo che dovevo andare avanti.
Sapevo che avrei dovuto rivelare la mia vera identità invece di nascondermi dietro quel nome fittizio. Sapevo che dovevo essere più ragionevole con Gonçalo, visto che prima che corresse da Kaylee avevamo addirittura concordato di non serbare alcun rancore. Sapevo che dovevo lasciare Emile lì nella mia testa e non tirarlo fuori come giustificazione ogni volta che le cose non andavano bene.
Sapevo tante cose ma era difficile metterle in pratica. Era la cosa più difficile che si potesse fare.
Ero così assorta nei miei pensieri che quasi non mi resi conto di essermi scontrata contro una stangona simile ad una dea, o forse era stata lei a venirmi addosso volontariamente? Quando mi ero scusata lei era parsa fin troppo felice, come se l’avesse scampata per un pelo dall’essere scoperta.
Avevo avuto modo di ascoltare delle scuse con un forte accento francese, poi era scomparsa, sgusciata fra le persone come fosse un’ombra.
Lì per lì rimasi perplessa, poi ricordandomi di non aver controllato per tutta la mattinata il cellulare, frugai nella borsa alla sua ricerca, ma non lo trovai… possibile che lo avessi lasciato a casa?
Non badavo molto a quel diamine di aggeggio da un po’ di tempo ormai, non me ne preoccupavo nemmeno più, ragion per cui feci finta di nulla e proseguii dritto per la mia strada.
Martedì 17 Luglio
Non ero riuscita a trovare il cellulare neppure a casa mia, dunque o lo avevo lasciato involontariamente nell’ufficio di Alex, o a casa di Ryan domenica durante quelle prove che avevamo fatto.
Fortunatamente avevo già fissato con il signor Goya il nostro appuntamento: aveva deciso di cominciare immediatamente con quel servizio, perché era convinto di avere dell’ottimo materiale su cui lavorare e non aveva intenzione di perdere tempo con altre stupidaggini.
Mi ero presentata lì di buon’ora in modo da dedicarmi a quelle solite formalità a cui era costretta ogni modella. Impiegai almeno due ore buone per definirmi pronta, ma furono ben spese, poiché già mi immaginavo la faccia di Jona quando avrebbe capito che in realtà la Vanille che lo aveva mandato a chiamare, era solo Kat, la ragazza che probabilmente stava mandando un po’ in frantumi tutti i suoi piani.
Mi compiacqui particolarmente, infatti, nel vedere quei suoi splendidi occhi totalmente attanagliati dal dubbio, dalla sorpresa…come se davanti ai suoi occhi stessero scorrendo in un istante solo migliaia di fotogrammi che si ricongiungevano in un’unica immagine nonché io.
Sentii leggeri brividi percorrermi la colonna vertebrale, come lievi tocchi, quando mi prese per un polso e sussurrò flebilmente il mio nome.
Era qualcosa di intimo, magico… la prima volta che uno sconosciuto mi chiamava con quel nome.
«Sì, Jona… mi chiamo Vanille» dissi mentre ritraevo la mano, convinta che ciò che lo stesse animando in quel momento fosse semplice stupore.
«È impossibile…» replicò con un tono di voce ancora più basso, come se la sua mente fosse persa in qualche antro remoto della sua testa, della sua memoria.
«Avevi ragione tu sul fatto che non sono una santarellina come voglio lasciar credere a tutti» ammisi continuando sulla mia linea difensiva. «Infatti non sono sicuramente una brava persona, non lo sono mai stata, ce l’ho nel sangue…»
«Come scusa, che intendi dire?»
Scossi la testa abbandonando l’idea di menzionare Emile ancora una volta in maniera azzardata e proseguii: «Che mi hai scoperta fin dall’inizio» sorrisi con un angolo della bocca ricordando la nostra prima notte insieme. «Stavo mentendo allora, ho mentito per tutto questo tempo… in realtà il mio nome è Vanille Lemoine.»
Riconoscevo sul suo volto l’incredulità provocata dalla mie parole. Sapevo a cosa stavo andando incontro provando a raccontare a qualcuno il mio segreto, quantomeno una parte. Era stato tutto previsto, anche il silenzio da parte di Jona, il quale apparve anche preoccupato oltre che stupito.
Mi osservava dalla testa ai piedi, come se stesse cercando di riconoscere in me qualcosa, o forse qualcuno.
Era strano il suo modo di fare, fin troppo strano.
«Perché mi stai facendo questo?» chiese ad un tratto puntando i suoi occhi nei miei.
Ne parlava come se si trattasse di una tortura, ma allo stesso tempo che fosse un piacere, un sollievo.
«Devo sdebitarmi con te per la questione della denuncia» dissi senza troppi giri di parole, per poi aggiungere. «E ho bisogno di soldi in fretta per andare via.»
«Andare via?!»
«Vedi ci sono tante cose che non sai di me… ma non ha importanza. L’unica cosa che davvero ti interessa è che mi dovrai sopportare ancora per poco. Cominciamo?» tagliai corto infine mentre mi allontanavo verso il set che avevano allestito per quelle foto.
«Aspetta, voglio che tu mi spieghi questa cosa» mi fermò prima che potessi liberarmi della vestaglietta.
«Non ho altro da dire» replicai facendo spallucce. «Se non che non voglio tu mi restituisca del denaro, visto che ho mandato il mio avvocato a definire questa cosa, e che ti chiedo solo di scattare le più belle foto che tu possa mai fare, utilizzandomi come tua musa, dea, come meglio credi» e smorzai il tutto con una risatina isterica. «Ho solo bisogno di questo favore, perché so già che non ho più modo di far nulla con te, come con nessun’altro» e involontariamente lasciai che la mia mano scivolasse sulla sua guancia.
Era così bello che solo Dio sapeva quanto avrei voluto tornare indietro nel tempo e ricominciare tutto daccapo almeno con lui.
Vederlo lì senza parole a guardarmi con quella strana ma affascinante luce negli occhi, mi istigava ancor di più a gettarmi letteralmente fra le sue braccia; così mi avvicinai lentamente, come per concedermi l’ultimo piacere concessomi in quella vita da Katelyn Reynolds.
Lo avrei baciato.
Lo avrei baciato se solo fosse stato possibile.
Mi ritrassi e con un debole sorriso dissi: «E poi ho già preso la mia decisione.»
«Kat, io…»
«Allora? Ci vogliamo sbrigare signori e signore?» spezzò tutto la possente voce di Max, appena entrato per poter vedere come si stessero svolgendo i lavori. «Forza voi due, il tempo è denaro. Signorina Lemoine, si cominci ad accomodare, prego. E non mi faccia pentire della scelta.»
Il servizio durò molto più del previsto, ma stranamente Jona non aveva detto nemmeno una parola, giusto qualche commento, ma non mi sentii per nulla a mio agio.
Era stato terribile.
Avevo passato tutta la serata fuori e non mi ero fatta molti scrupoli nel rimanere in spiaggia con una bottiglia di birra per dare sfogo ai miei pensieri e alle mie riflessioni. Non riuscivo a spegnere la testa e i pensieri annessi, era impossibile far smettere quel turbinio di ricordi.
Come avevo fatto ad arrivare fino a quel punto?
Ero rimasta lì per ore, ne ero certa, e tutto sembrava essere nella norma quando mi ero alzata dalla sabbia ed ero andata a finire per strada.
Tutto andava bene anche quando ero arrivata a casa di Ryan per cercare il mio cellulare: l’alcol decisamente mi aveva dato alla testa, ma riuscivo ancora a ricordare le cose.
Le cose avevano smesso di andare bene, però, non appena avevo varcato la soglia di quella casa e Ryan mi aveva detto che era stato necessario… che lo aveva fatto anche per il mio bene… aveva assunto incredibilmente le sembianze di una figura paterna. Che dovevo stare tranquilla.
Ma non avevo la più pallida idea di che diavolo stesse dicendo.
Non me ne fu data neanche l’opportunità che a quell’ora tarda della notte, spalancò la porta Kaylee aggredendomi come una furia e colpendomi in pieno viso con un ceffone.
Piangeva gridando che era solo colpa mia se Gonçalo era stato preso.
Non avevo retto, né lei né quella birra da quattro soldi, l’avevo colpita a mia volta tirandole i capelli.
Il ragazzo che accompagnava Kaylee che si mise in mezzo per separarci.
Non capivo più nulla.
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