Kat. Scoperta

Martedì 3 Luglio

«Fiore, datti una mossa, siamo già in ritardo!» sbottò nervoso Gonçalo appoggiandosi allo stipite della porta e guardando il suo orologio da polso.

La sua puntualità era sempre impeccabile e anche la sua impazienza.  

Sbuffai mentre indossavo l’ultimo orecchino: «E smettila di brontolare. Ho finito!» e mi alzai in piedi afferrando la pochette che giaceva sulla specchiera per poi voltarmi immediatamente verso di lui e scoprirlo abbastanza stupito nel vedermi in quel modo.

Insomma, ancora non si era completamente abituato alla mia presenza, o per meglio dire, non si era abituato al fatto che fossi capace di badare da sola a me stessa, che non fossi più sotto il suo controllo.

«Cosa c’è?» chiesi inarcando le sopracciglia e vedendo che non mi scollava di dosso gli occhi.

Mi osservò nuovamente dalla testa ai piedi e, puntando il suo sguardo severo ma allo stesso tempo invitante, mi chiese: «Dovevi per forza vestirti così?»

Cos'avevo che non andava? Insomma era un comunissimo vestito in macramè bianco con qualche trasparenza, ma nulla di estremamente esagerato.

Alzai gli occhi al cielo e sbuffai: «Sì, era necessario.» Poi tentando di oltrepassarlo continuai: «Come è necessario che non studi troppo attentamente il mio abbigliamento, non sono più una ragazzina.»

Mi sembrava di avere la vittoria in tasca, quand'ecco che Gonçalo mi afferrò per un polso trascinandomi a sé e disse con voce suadente: «Tu sei una ragazzina, Fiore.»

«Mi chiamo Kat, adesso» lo corressi guardandolo intensamente negli occhi.

Non era semplice ignorare la sua presenza o trattarlo come tutti gli altri, Gonçalo era nettamente superiore a tutto. Era stato uno dei migliori amici di mio fratello, ma lui aveva sempre avuto quel qualcosa in più, quel qualcosa che ti spingeva ad allontanarti ma allo stesso tempo che ti sussurrava di stargli vicino, di cadere in tentazione.

Mi ero affezionata a lui fin da subito, probabilmente, avevo riposto in lui tutta la mia fiducia, e doveva averlo fatto anche mio fratello Emile, perché era stato proprio Gonçalo, quella notte, a salvarmi dalle grinfie di Xavier, portandomi via dalla Francia e dal mio passato.

«Sarai sempre Fiore, per me» disse lui con un accenno di sorriso mentre mi accarezzava il viso.

Fiore.

Gli avevo chiesto più volte il perché di quel nomignolo e lui lo aveva sempre associato a Vanille, nonché Vaniglia.

Sorrisi fra me e me, in fondo non mi dispiaceva che mi chiamasse così, era il ricordo di ciò che ero e mi faceva pensare che almeno qualcuno a questo mondo non si era scordato completamente di me, anche se avevo dubitato anche di lui… ma ero felice che tutto si fosse risolto e che avessi al mio fianco qualcuno di meravigliosamente familiare.

«Andiamo» disse poi con un altro sorriso e lasciandomi un bacio sulla punta del naso.

Andare a cena da Sunny e Ryan era stata una mia idea, ma non credevo che a noi si unisse qualcun altro, ragion per cui rimasi quasi confusa nel vedere in casa loro una ragazza dai capelli neri e gli occhi verdi, la quale a momenti rimaneva a bocca aperta vedendoci entrare.

Feci finta di niente quando si avvicinò a me con un sorrisino per stringermi la mano e presentarsi… ma l’irritazione fu pressappoco incontrollabile quando la vidi trattare con una certa freddezza Gonçalo, come se già avesse avuto a che fare con lui.

Credevo che fosse solo una mia impressione, ma anche l’uomo al mio fianco mostrò un certo distacco da quella ragazza per me sconosciuta.

Qualcosa non quadrava.

La cena fu alquanto tranquilla, non eccessivamente movimentata, anche se le uniche a parlare effettivamente eravamo io e Sunny, ogni tanto Gonçalo mi diceva qualcosa di esilarante all’orecchio e automaticamente Kaylee, seduta di fronte a me, sembrava risvegliarsi dal suo torpore e, se avesse potuto, sono certa mi avrebbe uccisa.

Cosa diavolo era successo fra Gonçalo e Kaylee? Insomma, era palese che ci fosse nascosto qualcosa sotto.

Ad un tratto il mio accompagnatore si alzò per andare a fumare e, subito dopo, lo fece anche Kaylee.

Se non fossi stata altamente attenta e sospettosa, avrei dato la colpa alla mia paranoia o avrei pensato che si trattasse solo di una coincidenza… ma tutto accadeva per una ragione, e il display dell’iPhone di quella ragazza aveva confermato la mia teoria.

Avrei tanto voluto seguirli, origliare la loro conversazione, ma mi limitai semplicemente a dirigermi verso il bagno, giurando di uscire immediatamente… visto che i due fratelli erano rimasti soli a tavola, probabilmente: Veronika si era dileguata, da come sembrava.

Volevo sapere a tutti i costi cosa stesse succedendo fuori fra quei due, perché ero sicura che Kaylee fosse andata da Gonçalo, era il mio solito sesto senso che, purtroppo o per fortuna, non sbagliava mai. Eppure, non avevo il coraggio di seguirli e mettermi ad ascoltare, in fondo Gonçalo era un uomo come tanti per me, era un amico, colui che mi aveva salvata, ma non avevo alcun diritto su di lui, nessuna precedenza.

Ma perché averla, poi?

Mi guardai allo specchio.

Kat, Kat, Kat… cos’è, dolcezza? Perché ti stai preoccupando così tanto di quello che sta facendo Gonçalo con quella ragazza? Stai forse tornando ad essere quella sedicenne che osservava di nascosto suo fratello con il suo migliore amico, mentre confabulavano in salotto? Stai ritornando ad avere interesse per lui?

Scossi la testa.

No Kat. Tu non vuoi nessun legame con il passato.

Mi stavo facendo un lavaggio del cervello da sola e in silenzio. Era da tanto che non facevo un soliloquio, più precisamente da quando Gonçalo aveva cominciato a farsi sentire sempre meno, facendomi anche capire che non sarebbe mai tornato per incontrarmi o ritrovarmi.

Sembrava essere un’eternità quel suo Presto ti verrò a trovare, e lo era stata. Lui non era mai venuto a cercarmi, non aveva prestato fede alla sua promessa; ero stata io, anche se inconsapevolmente, a mettermi proprio sotto il suo naso.

Lui non aveva quel tipo di interesse per me, non lo aveva mai avuto: era solo un maniaco del controllo probabilmente, si sentiva obbligato a farmi da fratello maggiore.

Gonçalo era diventato un fratello maggiore.

Allora toglietelo dalla testa Kat. Lui può fare quello che vuole e tu non sei nessuno per intrometterti o fare scenate.

E come sempre alla fine mi davo ottimi consigli: lasciar perdere qualcosa se non faceva per me.

Ma avrei seguito davvero il mio stesso consiglio? Mi sarei fatta da parte facendo finta di nulla, passando per la scema della situazione che non si accorgeva neppure di quello che accadeva davanti agli occhi?

Oh beh, quella era una gran bella domanda.

Meglio interrompere quella conversazione con me stessa, o avrei finito per decidere che la cosa giusta da fare era uccidere quella tizia che gli ronzava intorno e, inoltre, sarebbe stato un problema trovare un complice che mi aiutasse a nascondere il cadavere. Anche se Emile mi aveva spiegato un paio di cosette a riguardo...

Uscii dal bagno e mi diressi nuovamente da tutti gli altri.

Forse ero rimasta un po’ troppo chiusa là dentro, visto che quando tornai di nuovo al salone, vidi due nuovi personaggi. Ma in che cosa si stava trasformando quella cena?

Feci giusto qualche passo incerta, tentando di passare anche inosservata, quando ecco che sentii Gonçalo chiamarmi: «Kat, vieni, ti presento Christopher Roberts.»

Come se già non lo conoscessero anche le pietre.

«Ho sentito tanto parlare di lei» dissi con un falso sorriso mentre stringevo la mano di quell’uomo così sicuro di sé e che tutti apprezzavano per una cosa o per l’altra.

«Non dubitavo» disse lui rivolgendomi un sorriso quasi indecifrabile poi continuò: «Ma io non credo di aver avuto il suo stesso piacere. Lei è...»

«Katelyn Reynolds» risposi osservando Cristopher che si esibiva in una sorta di baciamano.

«Bellissimo nome» disse poi guardandomi fin troppo intensamente, con una luce piuttosto maliziosa anche.

Ad un tratto però ecco che sentimmo esclamare: «Tu! Ridammi la collana!» e in men che non si dica, notai che Arleen (appena arrivata anche lei) percorse a grandi falcate la distanza che la separava da Veronika, abbandonando la conversazione già abbastanza accesa che mi sembrava stesse avendo con Sunny.

«Finalmente te ne sei accorta!» disse Veronika con un sorriso quasi allegro, come se il suo misfatto fosse stato un grande onore.

Era particolarmente strana quella ragazza.

Non riuscivo a capire esattamente che tipa fosse, insomma, una pazza squilibrata o una ragazza che tentava di attirare l’attenzione con certi gesti?

Non avevo avuto modo di studiarla attentamente e forse non ne avevo neppure voglia, mi inquietava e mi spaventava: allo stesso tempo però avrei voluto parlarle giusto per capire come impostare il mio secondo libro, visto che l’ispirazione era giunta proprio da una scena che la riguardava.

Sembrava essere piena di sorprese, oltre che imprevedibile e infatti, eccola che si gettò a capofitto sulle labbra di Arleen, mentre il regista si preparò a immortalare il momento.

Un click che nessuno avrebbe dovuto sentire, ma che invece fu l’unico suono percepibile in quel silenzio asfissiante che aveva preso il sopravvento su ogni parola, su ogni conversazione, su ogni azione.

Tutti ci voltammo istintivamente verso Cristopher, il quale ignorò tutti quegli sguardi puntati su lui e disse: «Tranquilla Veronika, non c’è bisogno di fare tutte queste scenate» e finalmente guardò proprio Veronika, in quel momento, l’unica degna del suo interesse. «Farai il provino come tutte le altre, questa la terrò per anticipare al nostro fotografo con chi ha a che fare» disse riferendosi alla foto.

La ragazza non sembrò scomporsi più di tanto, nessuna espressione decifrabile, come al solito.

Improvvisamente e inaspettatamente cominciò una sorta di rissa che vide come protagonisti Ryan e Cristopher, ai quali ovviamente si unirono le donne, giusto per evitare il contrasto fisico. Non si arrivò mai fortunatamente ad un punto tanto estremo, ma quantomeno il regista venne allontanato, Sunny e Veronika si schierarono dalla parte di Ryan, Arleen scomparve a sua volta, probabilmente seguendo il regista, ed eravamo rimasti fuori dal contesto, perfino in maniera inutile, i fantastici tre, in cui io sembravo essere la terza incomoda.

Capimmo che era il momento di abbandonare quella casa, anche per via del sottile invito di Sunny a vederci in un’altra occasione.

«Che serata strana, non trovate?» provò a dire Kaylee una volta che fummo fuori mentre si sistemava per bene la borsetta in spalla.

«Decisamente» risposi in tono fin troppo tagliente, senza rendermene conto.

Ovviamente si accorsero del mio tono e Gonçalo, già capendo tutto, mi chiese: «Torniamo a casa? Mi sembri stanca.»

«Sì» dissi mantenendo gli occhi fissi su Kaylee, mentre la scrutavo dalla testa ai piedi: non mi piaceva, neanche un po’.

«Bene… ehm...» farfugliò la ragazza. «Io allora vi lascio. Buona serata» e si dileguò immediatamente da noi camminando con passo svelto e felino verso la sua auto.

Il viaggio fu maledettamente snervante, nessuno dei due che riusciva a parlare, o per meglio dire, io che non riuscivo a parlare e Gonçalo che si stava trattenendo nel farlo: se avesse potuto mi avrebbe uccisa, aveva intuito qualcosa.

Parcheggiò nel viottolo di casa mia e, prima che potessi scendere senza neanche salutare, bloccò le sicure e ruggì quasi: «Non scendi di qui, fin quando non mi dici cosa cazzo ti passa per la testa.»

«Fammi scendere» dissi guardandolo rabbiosamente.

«Ti ho detto di no.»

«Mi dovrai far scendere prima o poi» lo sfidai tentando di concentrarmi sul sarcasmo anziché sul sentimento rabbioso che mi stava divorando lo stomaco.

«Non costringermi a metterti le mani addosso» mi minacciò.

«Non lo farai» dissi. «Emile sa che mi terrai sempre al sicuro. Non mi faresti mai del male.»

«Dimmi perché ti stai comportando così, Fiore» mi ordinò.

«Ti ho detto che sono Kat!» urlai in preda alla rabbia e sentendo gli occhi bruciare. «E smettila di chiamarmi così e di controllarmi. Mi sono stancata.»

Mi afferrò per il viso e anche lui si mise ad urlare: «Che cazzo vuoi dire? Credi di poter fare quello che meglio credi solo perché hai un altro nome? Sei quello che sei grazie a me!»

Era un discorso che non sembrava c’entrar niente con quello che lui voleva sapere da me, o forse un po’ sì?

Mi stava dicendo implicitamente anche lui che non potevo decidere qualcosa, che non potevo scegliere di comportarmi come volevo o di pensare quello che volevo se ero in sua compagnia, perché solo lui sapeva cos’era giusto e sbagliato.

Stavo fraintendendo?

Ero sempre più confusa e la gelosia, la voglia di poter recuperare con lui tutto il tempo perso in quegli anni, la gioia nell’averlo di nuovo al mio fianco, si stavano fondendo incessantemente, facendomi dire cosa senza senso e fare soprattutto cose insensate.

Ma non potevo controllarmi.

«Lasciami andare via. Non voglio vederti mai più.»

Venerdì 6 Luglio

Per la prima volta in tutta la mia vita arrivai puntuale ad un appuntamento con Alexander: mi aveva detto che aveva un pacco da consegnarmi e che dunque ci saremmo incontrati al solito bar per la colazione, come nostra consuetudine.

Era strano, ma lui sapeva che odiavo le cose troppo professionali, quindi più volte avevamo discusso di lavoro in luoghi pubblici e che mi facevano stare a mio agio, anche se in quel periodo non c’era nulla che mi potesse tener calma.

Continuavo a prendere i miei farmaci per dormire e mi sentivo sempre più osservata, quella volta ero certa che qualcuno mi seguisse, che osservasse attentamente tutte le mie mosse. Non ero più riuscita nemmeno a lavorare da sola in casa e, per scrivere, dovevo spostarmi in luoghi che in un qualche modo potessero infondermi pace.

Andavo al parco, in spiaggia, qualsiasi posto in cui potevo far finta di niente.

Ma non era semplice. Non lo era affatto.

Mi sedetti di fronte a lui travolgendo tutto come un tornado e provai a mostrarmi di buonumore concedendogli un sorriso e un caloroso buongiorno.

«Ti vedo allegra stamattina» disse lui tranquillamente e scrutandomi dalla testa ai piedi. «È successo qualcosa di particolare?»

«Non esattamente» dissi addentando il croissant alle mandorle che mi aveva gentilmente ordinato. «Com’era il capitolo?» chiesi poi istintivamente.

«Eccellente, ovviamente si dovranno fare le solite correzioni di bozza, ma non te la cavi affatto male» mi allietò la giornata mentre sorseggiava il suo caffè.

«Oh, per la prima volta non mi rimproveri» scherzai cominciando a ridere.

«Avrei voluto dirtelo di persona» mi spiegò. «Ma a quanto pare sei introvabile ultimamente. Come mai?» chiese poi toccando quel tasto dolente che avrei preferito evitare.

«Preferisco lavorare all’aperto» mentii mentre ecco che quella fastidiosa sensazione di avere due occhi puntati sulla schiena stava ricomparendo.

«Credevo che odiassi la confusione.»

«Ci sto facendo l’abitudine. San Diego d’altronde è molto caotica.»

Sì, mi stava osservando eccome.

«Mmmm» mugolò lui non troppo convinto dalla mia risposta, poi mi porse una specie di busta per le lettere con su scritto il mio nome e disse: «È arrivata questa per te in ufficio e a quanto pare la manda Cristopher Roberts» e sorrise.

«Cosa?!» esclamai mentre tentavo di non strozzarmi con il cappuccino.

«Beh sembri sconvolta quanto me, eppure credevo che avresti saputo spiegarmi come fa a conoscerti» mi disse mentre ero troppo intenta a immaginare quale potesse essere il contenuto di quella busta. Non potevo di certo aprirla lì dentro sapendo che quella tizia mi seguiva.

«Ti ha detto cosa c’è qui dentro?» chiesi a bassa voce.

«No, Kat. Mi spiace… perché non le apri adesso?»

«Perché ho tutto il tempo per farlo dopo» dissi infilando la busta in borsa.

In realtà morivo dalla voglia di sapere cosa ci fosse là dentro e, non appena scambiai altre quattro chiacchiere con Alex e finii la mia colazione, lo salutai e mi diressi verso l’uscita.

Lei era ancora lì, che stava leggendo una rivista, con gli occhi coperti da degli occhiali da sole scuri firmati.

Chiamai un cameriere e dopo avergli affidato un incarico che comprendeva anche un pagamento di dieci dollari, uscii guardando la reazione dall’esterno della vetrata.

La ragazza lesse stranita il messaggio che le era appena stato recapitato e si tolse gli occhiali da sole un po’ sbigottita. Guardò fuori per un solo istante e la salutai con una mano e un sorriso abbastanza sinistro per poi andare via.

Spero tu ti diverta a seguirmi tutti i giorni, Kaylee avevo scritto su quel biglietto, giusto per informarla che, nonostante non sembrasse, avevo una certa esperienza in casi di inseguimento, spionaggio e roba varia.

Che poi per quale ragione doveva seguirmi? Voleva accertarsi che non stessi con Gonçalo?

Non ci pensai e non appena arrivai in camera, dopo essermi accertata di aver davvero il via libera, aprii la busta freneticamente e mi ritrovai davanti a delle foto. Mie foto.

«Ma che cazz...?!» esclamai fra me e me mentre le osservavo attentamente.

Ero io in lingerie e stavo dormendo. Ed ero sul letto di Jona!

Notai a quel punto un biglietto da parte di Cristopher:

Credo che queste siano tue. Jona deve averci trovato qualcosa di davvero speciale se le ha mandate insieme a delle foto che avevo richiesto, ed effettivamente lo sono.

Spero di poterti parlare al più presto. CS

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