Kat. Ritorno al passato
Martedì 10 luglio, sera
Due giorni mi erano bastati per realizzare una fuga a dir poco perfetta: stavolta sarebbe stata Katelyn Reynolds a far perdere le sue tracce ma, a differenza di quanto era accaduto con Vanille, sarei stata molto più attenta.
Non avevo bisogno di un diversivo per muovermi indisturbata, chi mi avrebbe cercata d’altronde?
Jona era stato abbastanza chiaro dicendo di non voler essere un terzo incomodo e, per quanto mi dispiacesse ammetterlo, non avrei potuto pienamente abbandonarmi fra le sue braccia senza pensare a Gonçalo, a cosa sarebbe potuto succedere se non ci fosse stato alcun intoppo nel nostro percorso.
Provavo una forte attrazione per Jona, sia mentalmente che fisicamente, inutile negarlo… ma non potevo scendere a compromessi né con lui né con quel diavolo di Gonçalo.
Lui non si sarebbe preoccupato, forse avrebbe tirato un bel sospiro di sollievo non vedendomi più ronzare intorno a disturbare i suoi affari e le sue relazioni con Kaylee: sarebbe stato finalmente libero dal mio vincolo, nessun fardello da sopportare.
Avevo apprezzato il modo in cui cercava di rimanere legato a me e a tutto il nostro passato, attraverso il ricordo di Emile… ma era il momento di guardare in faccia la realtà: non aveva davvero bisogno di me. Nessuno aveva bisogno di me: ero solo un peso, come lo ero stata cinque anni fa.
Potevo ancora rivivere la scena mentre riempivo un borsone con lo stretto indispensabile.
Tutto era cambiato in una notte, una notte d’estate proprio come quella, ma anziché ritrovarmi in una caotica San Diego, ero comodamente seduta su di un puff di pelle bianca a leggere come al solito qualche romanzo d’amore.
Emile mi aveva pregato di uscire con lui quella sera.
«Sciogli quella trecciolina da ragazza perbene e tieni compagnia al tuo fratellone: non ci impiegheremo molto» mi aveva detto tirandomi leggermente una ciocca scomposta di capelli, sdraiandosi sul divano accanto a me.
«Odio le tue feste» avevo sbuffato alzandomi, quasi infastidita dal contatto con lui. Non avevo mai sopportato il fatto di dover essere sballottata da persona a persona, in modo da essere costantemente tenuta d’occhio, mentre lui sbrigava chissà quale losca faccenda.
Odiavo ogni cosa mi proponesse di sera… eppure in quel momento, lì da sola, immersa nella mia nuova casa, pronta ad abbandonare tutto ancora una volta, avrei dato qualsiasi cosa pur di riaverlo accanto a me, anche solo per qualche minuto.
All’epoca non avevo capito quanto fosse necessario stargli vicino, non capivo che faceva tutto solo per salvarmi, e, testarda, mi ero chiusa in casa con la sola compagnia di una candela profumata al posto di quelle fastidiose luci al neon.
Non c’era vento, ma più volte avevo sentito strani fruscii attorno alla casa: avevo pensato fosse solo qualche scoiattolo, qualche altro strano animale. Non mi ero minimamente preoccupata e non avrei mai potuto commettere sbaglio peggiore.
Mentre sistemavo gli ultimi documenti nella mia tracolla non potevo smettere di pensare a quella serata e, inevitabilmente, l’intera atmosfera mi parve la stessa.
Ad un tratto un rumore metallico aveva impregnato fastidiosamente tutta l’atmosfera tranquilla che mi ero creata e, voltandomi impaurita, anche la sottile fiammella della candela si spense.
Non poteva essere Emile. Lui mi avrebbe chiamata da fuori e avrebbe fatto tintinnare le chiavi, mentre le lanciava in aria come un’idiota. In quel momento però non c’erano rumori.
Anche lì a San Diego c’era uno strano silenzio e, nonostante sentissi che la tensione era dovuta al semplice fatto di essere consapevole di quella fuga codarda, sentivo che qualcosa non andava.
Mi sentivo come immersa in uno dei miei sogni inquietanti, uno di quelli in cui recitavo sempre la parte della donzella in pericolo, alla continua ricerca o di Emile o di Gonçalo, come se dipendessi costantemente da una figura maschile. Ma io potevo farcela da sola. Fino a quel momento c’ero sempre riuscita e avrei continuato a farcela.
Mi accostai per qualche istante ai vetri, per essere certa che la mia fuga, non venisse ostacolata da niente e nessuno; così mi accorsi della presenza di un’auto nera posteggiata proprio sotto casa. Due figure che uscivano e si precipitavano al portone dell’ingresso.
Vidi come delle ombre muoversi attorno alla casa, grazie alle fessure lasciate dalle tende: capii che era necessario svignarsela da lì. Non avevo mai pensato che un giorno tutto ciò che Emile mi aveva insegnato, sarebbe servito a qualcosa… ma in quel momento mi avrebbe tirata fuori dai guai.
I movimenti di chiunque fosse lì fuori erano lenti, fin troppo lenti e io potevo guadagnare qualche punto a riguardo. Strinsi il coltellino svizzero che avevo in tasca e mi acquattai su pavimento, strisciando come un serpente fino alla soglia della porta che mi avrebbe condotta alle scale senza troppi problemi..
Non sapevo con chi avevo a che fare, ma sentivo solo di essere in serio pericolo.
Una rapida scrutata attorno e, accertatami che nessun’ombra si stesse muovendo, mi mossi rapidamente, cercando di aderire il più possibile alla superficie del pavimento.
Altri rumori fuori mi stavano preannunciando che qualcosa di terribile stava per succedere.
Silenzio.
Non udivo neppure il mio respiro o il mio cuore, come se fossi morta.
Ero così in preda al panico che mi mossi automaticamente verso la porta d’emergenza del palazzo, non so con quale rapidità né guidata da quale istinto, vista la paura che mi stava facendo tremare come una foglia e che non mi faceva pensare lucidamente.
CRASH!
Il rumore dei vetri del salone che andavano totalmente in frantumi nello spazio di qualche secondo. Voci sempre più forti e passi di uomini che stavano correndo.
Sentii qualche scheggia ferirmi le gambe, ma dovevo alzarmi e scappare.
Mi tirai su e, non appena raggiunsi le scale, il portone si aprì di colpo lasciando entrare quasi uno stuolo di uomini armati.
Corsi comunque su per le scale, gridando spaventata: era chiaro che non avrei potuto fare niente per salvarmi.
Delle mani mi tirarono per le caviglie facendomi cadere rovinosamente sugli scalini e mi trascinarono con forza verso il basso, incuranti di quanto mi avesse fatto male l’impatto. Continuai a urlare, mentre scalciavo e piangevo, nella speranza di potermi liberare da quella stretta.
Nulla da fare.
BUM.
Il colpo di una pistola e tutto si fermò all’istante. Mi morì la voce in gola e le lacrime agli occhi. Il cuore mi stava esplodendo in petto: sentivo già la morte girovagare e bramare il mio sangue.
«Finalmente un po’ di silenzio» disse una voce mai sentita prima.
L’uomo che mi aveva preso per le caviglie, mi mollò all’istante, anche lui sicuro che non mi sarei mossa, poiché immobilizzata dal terrore di essere uccisa: non ero mai stata tanto vicina al pericolo come in quel momento. E non mi rendevo conto che il diavolo in persona si stava avvicinando per prendermi l’anima, nel suo abito elegante e con i suoi occhi verdi e taglienti.
Tutti i presenti gli fecero largo e solo due rimasero insieme a lui, mentre gli altri si disperdevano in giro per la casa alla ricerca di qualcosa o di qualcuno.
«È la sorella del nostro uomo, Xavier» disse uno dei due.
«Fatela alzare» disse quel ragazzo tanto distinto senza degnarmi neppure di uno sguardo.
L’altro uomo mi agguantò per un braccio e mi tirò su.
Ancora una volta non demorsi dalla mia fuga disperata e tentai di liberarmi, ma quella volta fu proprio Xavier a vedersela con me. Mi afferrò con brutalità per i capelli e mi sbatté con il volto al muro, mentre mi immobilizzava tutto il corpo.
«Meriteresti di morire adesso per tutto quello che mi hanno fatto quei due figli di puttana che tu conosci bene, e sarebbe una bella visuale vedere il sangue scivolare via da questo bellissimo collo» e facendomi voltare posò una mano proprio su di esso.
«Io non ne so niente» dissi in preda al panico mentre continuavo a piangere come una ragazzina.
Xavier rise malignamente: «Non ti ucciderò per adesso, un visino così bello va torturato e poi lasciato morire lentamente.»
Mi si raggelò il sangue nelle vene.
«Portate nella mia auto questa puttana, non ho ancora finito con lei per stasera.» E con la stessa rapidità e abilità di prima, mi fece voltare e mi legò per i polsi con delle corde consumate e già sporche di sangue.
Quelle corde che erano diventate il mio più grande incubo e di cui ancora portavo i segni sui polsi.
Avevo gridato il nome di Gonçalo quella notte. Lo ricordavo bene.
Non avevo idea di come fossi riuscita a scampare ancora una volta al pericolo, mentre in testa rivivevo lo stesso trauma di cinque anni prima. Mi ero mossa come se tentassi di scappare dalla stessa situazione, come se fossi tornata indietro nel tempo e potessi evitare tutto ciò che mi era successo.
Il rapimento. Xavier. La tortura.
Ero così terrorizzata che potesse ricapitare di nuovo, nonostante non fossi riuscita a riconoscere i miei due aggressori, che corsi a perdifiato per tutto l’isolato per arrivare a casa di Ryan e Sunny, mentre provavo a chiamare Gonçalo al telefono.
Una, due, tre, quattro volte.
Gonçalo continuava a non rispondere.
Iniziai a bussare alla porta incessantemente mentre imploravo Dio che Gonçalo rispondesse presto a una sola di quelle fottute chiamate.
Mi aprì Veronika e chiusi la mia chiamata.
Avrei scritto io il mio destino.
Mercoledì 11 Luglio
Dopo la sbronza proposta da Sunny, ero riuscita finalmente a chiudere occhio e quasi mi meravigliai di star stringendo la mano di un ragazzo, intrecciata alla mia. Non ne fui spaventata stranamente, poiché in testa stavano tornando lucide le memorie di quando Jona era accorso in casa di Sunny e mi aveva tenuto compagnia per tutta la notte.
Chiusi gli occhi e mi strinsi ancora di più al suo petto, mentre lentamente portavo la sua mano alle labbra per poterla baciare dolcemente.
Quasi contemporaneamente lui mi posò un bacio sul capo e stringendo ancora di più le dita alle mie, mi chiese in un sussurro: «Kat…tutto bene?»
Inspirai profondamente e chiudendo gli occhi risposi: «Credo di sì.»
«Ti va di raccontarmi cos’è successo ieri sera?» chiese cautamente mentre con il pollice disegnava il contorno delle mie labbra.
Cos’era successo ieri…
«È difficile da spiegare…» dissi provando a distogliere lo sguardo.
Come avrei potuto raccontargli tutta la verità? Rivelargli che ero una bugiarda continuamente in fuga? E che la sera prima avevo meditato di scomparire per sempre anche per via di ciò che mi aveva detto in casa sua?
Se c’era una cosa che non avevo mai perso della persona che ero prima, era stato proprio quel continuo fuggire dai problemi e quel nascondere ostinatamente ogni cosa, pur di non complicare ulteriormente le cose.
«Provaci» mi incitò senza scomporsi minimante. «Sono venuto qui per aiutarti, lo sai.»
Sorrisi debolmente. Nessuno poteva aiutarmi.
«Non saprei da dove cominciare.»
«Dall’inizio» disse lui facendomi accoccolare di più al suo petto, come se volesse semplicemente guardarmi meglio. «Se non racconti tutto dal principio, sarà difficile aiutarti. Lo sai, vero?»
Mi stava chiedendo implicitamente di rivelare la mia identità perché aveva intuito qualcosa?
Non feci quasi in tempo ad aprir bocca che vidi il display del mio cellulare illuminarsi. Il nome di Gonçalo apparve a caratteri cubitali.
«Rispondi» disse Jona prontamente. «So bene che qualsiasi cosa ti accada, riguarda anche lui.» E mi accarezzò le spalle come per farmi coraggio.
Gonçalo d’altronde non chiese nulla se non dove mi trovassi e, dopo circa dieci minuti, fu lì a bussare alla porta, fortunatamente senza svegliare nessuno, visto che Sunny era già in piedi e gentilmente si era offerta di preparare la colazione, aiutata da Veronika.
Andai ad aprire alla porta e mi ritrovai di fronte ad un Gonçalo visibilmente preoccupato, il quale non appena mi vide mi abbracciò stretta a sé, facendomi perdere il respiro e anche qualche battito… sembrava passata un’eternità da quando mi aveva abbracciata in quel modo.
«Cos’è successo?» chiese immediatamente staccandosi da me e guardandomi dritta negli occhi.
La sera prima lo avevo chiamato innumerevoli volte e non aver avuto sentito più mie notizie lo aveva certamente scombussolato, come accadeva quando ancora eravamo a Parigi e io avevo bisogno di lui.
«Ti conviene sederti» disse Jona alle mie spalle.
«Cosa ci fa lui qui?» mi chiese sprezzante Gonçalo senza degnarlo neanche di uno sguardo.
«Ti spiegherò, ora ti prego, vieni dentro» dissi prendendolo per mano e guardandolo negli occhi, come per fargli intendere che avevo seriamente bisogno di tutto il suo aiuto. Che ancora una volta eravamo io e lui, contro qualcosa che solo noi potevamo sapere.
Si lasciò convincere, e una volta che fummo tutti a tavola raccontai tutti gli spezzoni che mi erano rimasti impressi della sera prima.
L’auto nera, la mia corsa alle scale di emergenza, mentre sentivo il vociare di quei due energumeni. La fuga, l’inseguimento, la casa di Ryan, Veronika… insomma tutto quello che stava sorgendo dal mio attacco di panico.
Quando finii non ebbi il coraggio di guardarli in faccia, anche perché non avrei potuto spiegare perché fossi così spaventata, cosa stesse ritornando dal passato… avevo il vago sospetto che c’entrasse con Xavier. Ma non volevo essere troppo affrettata.
Fummo interrotti ancora una volta, ma da Ryan, e dopo una ramanzina che mi spettò in privato da parte sua, consigli di cui non potevo neppure usufruire visto che mettere di mezzo le autorità avrebbe ulteriormente complicato la mia situazione, ritornai dai miei due uomini che già stavano discutendo sul da farsi: come se fosse stata esclusivamente una loro scelta.
«Smettetela!» dissi quasi in preda ad un attacco isterico. «Sono stanca delle vostre liti del cazzo, non mi siete per niente d’aiuto.»
«Prendi le tue cose» disse Gonçalo avvicinandosi a me, prima forse che potesse raggiungermi Jona. «Stasera ti passerò a prendere e ti porterò al sicuro.»
«Cosa?!» esclamai mentre Jona esclamò arrabbiato: «Non puoi decidere per lei.»
«Posso ed è quello che farò, Heart» replicò Gonçalo voltandosi verso il fotografo e congelandolo con lo sguardo. «Le sono molto più utile io che tu.»
«Cosa te lo fa credere?»
«Mi sono occupato di lei già in passato e Kat, sa perfettamente che finché è con me non le succederà nulla.»
Jona mi rivolse uno sguardo come per chiedermi conferma. Non avevo il coraggio di dire nulla, ancora una volta.
«Voglio sapere dove la porterai» disse Jona stringendo i pugni. «Me ne frego delle tue manie di controllo. Stavolta non mi fotti.»
Guardai entrambi confusa.
Sera
Come promesso, Gonçalo ritornò in casa dei due fratelli per riprendermi e portarmi in un posto più sicuro. In un primo momento avevo pensato all’hotel, d’altronde era l’unico posto in cui poteva tenermi sempre d’occhio, poi mi ricredetti non appena mi resi conto che la strada che aveva imboccato andava da tutt’altra parte.
Non osai dire nulla, fin quando non mi ritrovai di fronte ad una villetta bianca a due piani, situata su di una specie di altura che si collegava perfettamente, tramite una specie di sentiero, alla scogliera.
Un luogo incantevole, isolato e tranquillo, in cui ci si poteva rilassare anche solo guardando l’immenso cielo stellato sopra di noi e ascoltando il suono delle onde che si infrangevano contro le rocce.
«Dove siamo?» chiesi meravigliata, senza riuscire a contenere l’entusiasmo.
«A casa mia» disse Gonçalo fermandosi e scendendo dall’auto, per venire dalla mia parte e aprirmi lo sportello.
«Non sapevo avessi un’altra casa oltre al tuo hotel.»
«Ci sono tante cose che ancora non sai, Fiore» e prendendomi per mano continuò: «Forza, andiamo a mangiare qualcosa. Sarai stanca e affamata.»
Ovviamente parlammo di ciò che mi era accaduto ed entrambi pensammo si trattasse di un ritorno di Xavier, ma specificai che sentendo quegli uomini non mi erano sembrati francesi e Xavier aveva sempre avuto una certa ossessione per avere uomini della sua nazionalità.
Discutemmo a lungo su chi potessero essere e per qualche strano motivo, sentivo che lui potesse sapere qualcosa in più di me su quella storia o forse già sapeva qualcosa, ma anche lui sembrava convinto che quello non potesse essere Xavier. Conosceva bene i suoi movimenti e non avrebbe mai rischiato tanto in maniera così banale. Non era uno sprovveduto, non lo era mai stato.
A parte quel confronto, fu tutto splendido: la cena, lui, le sue carezze, le sue attenzioni… mi sembrava di aver di nuovo a che fare con lo stesso Gonçalo di cinque anni prima; l’amico di mio fratello senza cui non avrei saputo fare a meno, quello che si preoccupava per me e che adoravo osservare segretamente mentre dormiva nel mio stesso letto.
Era di nuovo il mio Gonçalo.
Mi scortò fino alla mia camera e ci sprofondai felice come una bambina, dicendo: «Che bello! Sembra come la mia camera a Parigi. Io adoro questa casa!»
«Vorrei poterti tenere qui, ma non mi sembra neanche questo un luogo adatto» disse Gonçalo sedendosi di fianco a me.
«Credi che si tratti di Xavier?» chiesi posando la mano sulla sua, che si era appena spostata sul mio viso.
«Non lo so» confessò. «Anche se non riesco a capire come abbia fatto a rintracciarti dopo cinque anni.»
Non ne avevo idea neppure io, ma solo in quel momento mi balenò in testa l’idea che se si trattava realmente di Xavier, probabilmente era riuscito a ritrovarmi per via delle foto che Christopher aveva mandato a quelle case di moda.
Tacqui quell’osservazione e, stanca di dover pensare a quella diavolo di situazione e di dover avere a che fare di nuovo con la parte di Gonçalo che mi piaceva meno, gli chiesi innocentemente: «Vai da Kaylee adesso?»
«Credo che per stasera sarà impegnata» disse rivolgendomi un sorriso.
«Quindi rimani con me?» chiesi alzandomi di colpo col il busto con un sorriso raggiante.
«Sì, Fiore.»
Mi gettai fra le sue braccia e presa dall’euforia gli stampai un bacio sulle labbra.
Nulla di strano per noi, era una cosa che avevo sempre fatto, eppure sentii la necessità di spingermi oltre con lui, almeno per una volta, almeno per quella notte.
Intrecciai le mani alle sue, mentre le nostre lingue lottavano in un ring immaginario che stava annientando le nostre debolezze.
Katelyn e Gonçalo ancora una volta insieme. Per una notte. Per la loro notte.
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