Kat. Riprendi il controllo

Venerdì 6 luglio sera

Mi ero convinta dopo un pomeriggio intero a parlare di quelle foto con Gonçalo, ci avevo pensato e ripensato, rischiando perfino di apparire paranoica, ma poi avevo capito che solo lui era in grado di aiutarmi, l’unico che poteva capirmi sul serio e che avrebbe potuto fare qualcosa per me.

Le mie certezze crollarono non appena distrattamente, mentre lo aspettavo nella sua suite, avevo notato delle foto sulla sua scrivania, stranamente in disordine, nella sua camera da letto.

Le avevo prese per pura curiosità, ero una donna d’altronde, volevo ficcare il naso ovunque; ma quando mi ritrovai davanti le mie stesse foto impallidii di colpo.

Da quanto tempo erano lì? Perché Gonçalo non me ne aveva parlato?

Insomma, impossibile che gli fossero arrivate quella sera stessa, ma allora quando? E soprattutto, da chi?

Temevo che quello fosse un altro scherzetto da parte del caro regista Cristopher Roberts, e a confermare la mia teoria fu un altro biglietto che mostrava la stessa calligrafia: "Fotografia. Un’austera e sfolgorante poesia del vero."

Mi stava prendendo per il culo?

Volevo scappare da lì, inutile discutere; disintegrarmi all’istante e non farmi vedere mai più. Mi sentivo umiliata e tradita.

Lo ammetto, come era mia consuetudine, stavo per abbandonare la nave, altro che affondarci insieme.

Presi le foto e tutto ciò che le accompagnava e le infilai in borsa.

Se pensi di non potercela fare, taglia la corda e fai perdere le tue tracce mi aveva sempre detto Emile in caso di problemi grossi e, sì, Gonçalo in quella vicenda per me poteva diventare un grossissimo problema. Il tentativo di fuggire con lui non avrebbe retto, ne ero più che sicura, ma mi avrebbe fatto guadagnare un po’ di tempo giusto per schiarirmi le idee, e sapere davvero come affrontarlo: forse parlare con lui quella sera non era stata una buona idea.

Mi avvicinai alla porta pronta ad uscire quand'ecco che sentii bussare.

Non poteva essere Gonçalo, non avrebbe mai bussato.

Aprii, sicura di trovarmi uno dei suoi uomini che magari dovevano informarlo di qualcosa; invece, con mio grande stupore mi ritrovai di fronte ad un Jona malconcio e sicuramente ubriaco, visto lo sguardo così perso e iniettato di sangue, oltre al fatto che si stava reggendo al muro, come se fosse tremendamente affaticato.

«Jona!» esclamai, seriamente stupita di trovarlo lì. Cosa diamine ci faceva lì? Gonçalo lo avrebbe ucciso.

«Kat…» disse lui alquanto stupito di vedermi.

Tentò di mettersi in piedi ma barcollò in avanti appoggiandosi con la fronte sulla mia spalla sospirando. Non si reggeva neppure in piedi. Tentai di tenerlo in piedi, anche se mi veniva quasi impossibile e a momenti cadevamo entrambi, e gli chiesi: «Cosa ci fai qui?»

«Dov’è Llanos?» chiese lui affondando ancora di più nella mia spalla e inspirando a pieno.

«Non c’è adesso. Cosa sei venuto a fare qui?» continuai ancora, cercando di guardarlo negli occhi  e accarezzandogli i capelli.

Si tirò su e guardandomi fin troppo intensamente negli occhi rispose: «Voglio vederlo in ginocchio per tutto quel che mi ha fatto.»

«Cosa?!» esclamai strabuzzando gli occhi e guardandomi attorno nella speranza che ancora non fosse arrivato nessuno. «Quello ti ammazza se ti vede qui, ti rendi conto?»

«Non me ne frega un cazzo» cominciò a blaterare lui alzando il tono della voce. «Non può avere tutto quello che vuole.» E cominciò ad accarezzarmi il viso.

«Jona, ti prego, va’ via prima che ti veda» dissi scostandomi bruscamente dal suo tocco; non che mi desse fastidio, ma non era né il luogo né il momento adatto.  

«Hai paura che mi veda o che ci veda?» mi chiese sghignazzando. Doveva aver trovato il senso dell’umorismo anche in quello stato così pietoso.

Rimasi per un istante senza parole, poi scossi la testa e dissi: «Sei ubriaco fradicio, non capisci quello che dici.»

«Capisco eccome» riprese infuriandosi di colpo. «Capisco anche che mi hai denunciato perché credi che abbia approfittato di te.»

«Jona, smettila» gli ordinai prima che potesse dire qualche altra sciocchezza.

«No» e mettendosi in ginocchio cominciò a dire guardandomi con gli occhi lucidi. «Kat, ti prego ascoltami. Non volevo che succedesse tutto questo. Ho fatto quelle foto perché eri splendida in quel letto e in quel modo. Non volevo mandare le tue foto a Cristopher, è stata una svista, ti do la mia parola che non le avrei mai fatte vedere a nessuno.»

Non sapevo cosa dire. Mi aveva letteralmente colta di sorpresa e in quel momento non avrei potuto far finta di niente.

Era in ginocchio davanti a me, ubriaco fradicio e implorante il mio perdono.

Mi aveva sempre detto la verità.

Feci per parlare ma solo allora mi accorsi che erano appena arrivati Gonçalo e Kaylee. Mano nella mano.

Che mi ero persa?

Il conflitto fra Gonçalo e Jona fu inevitabile e sia io che Kaylee provammo a separarli, ma Gonçalo infuriato ci ordinò di entrare nella suite. Ci avrebbe pensato lui, e si sperava senza omicidi.

«Dobbiamo fermarli» dissi una volta dentro sentendo da fuori la voce alterata di Gonçalo.

«Non faremo un bel niente» si oppose Kaylee voltandomi le spalle per andare nella camera da letto.

«Forse a te non interessa» provai a dire, «ma Gonçalo potrebbe…»

«È un problema di Jona» mi interruppe fulminandomi con lo sguardo. «E un problema tuo, visto che è colpa tua se noi siamo dovuti ritornare qui.» E mi puntò un dito contro.

«Non credevo che fosse uscito con Miss Non Toccatemi Che Sono di Vetro. Altrimenti non avrei mai chiamato.»

«Beh è il caso di farci l’abitudine allora, visto che io e lui stiamo insieme. Eravamo a casa dei miei, per cena e per prendere tutti i miei vestiti. Per la tua gioia mi trasferirò qui» disse tagliente come un rasoio e chiudendo gli occhi in due fessure.

Mi sforzai con tutta me stessa di non spalancare la bocca e di non mostrarmi fragile e vulnerabile, pronta a scoppiare in lacrime probabilmente.

Tutto aveva un senso.

Gli avevo detto che Kaylee mi aveva spiato per quasi una settimana e anziché infuriarsi a morte, aveva semplicemente detto: “Me ne occuperò io”, come se non fosse stato peggiore rispetto al fatto che fossi stata in casa di Jona.

Che stupida!

«I miei più sentiti complimenti allora» replicai mostrando un sorriso sfavillante.

Non gliel’avrei mai data vinta a una stronza del genere. E sicuramente Gonçalo non l’avrebbe passata liscia. Era il caso di dare un taglio a tutta quella storia una volta per sempre.

«Lo so che non lo pensi davvero» disse lei quasi soddisfatta di ciò che aveva appena detto.

«Credi che spiarmi per qualche giorno ti dia automaticamente accesso alla mia mente?» scoppiai a ridere. «Povera illusa.»

«Sei solo una ragazzina che cerca le attenzioni di Gonçalo.»

«Sempre meglio che gatta morta, ma ovviamente sono punti di vista» dissi molto serenamente. «Ah e, tanto per essere precisi, io le attenzioni di Gonçalo, come le chiami tu, le ho da molto più tempo di te» e le feci un occhiolino, come per avvertirla che se avessi voluto, me lo sarei preso molto tempo fa.

«Perché non sparisci per un po’ dalla sua vita allora?» chiese diventando seria di colpo.

«Oh, farò di meglio, stanne certa» la rassicurai mettendomi a braccia conserte e mostrandole a mia volta un sorriso soddisfatto.

Ancora non aveva capito con chi aveva a che fare.

La nostra conversazione non ebbe modo di proseguire, la causa di tutto aveva appena fatto il suo ingresso, e io non riuscii a non far indispettire ulteriormente Kaylee: così gli corsi incontro e lo abbracciai.

«Cosa succede?» mi chiese stupito.

«Te ne parlo mentre mi accompagni a casa, va bene?» dissi con una voce allegra e fin troppo smielata, come se non avessi occhi che per lui.

«Certo, andiamo» disse, ma prima che potesse uscire si voltò verso Kaylee per poterle parlare.

No, non c’erano più dubbi in quel momento.

Chiamai l’ascensore e attesi con pazienza: era arrivato il momento di dimostrargli chi ero diventata davvero.

Non avrei mai voluto il suo male, ma mi stavo rendendo conto che lui non era più chi credevo che fosse. Mi aveva deluso seriamente: avevo creduto che fra di noi ci fosse sempre stato un rapporto sincero, ma mi ero sbagliata… lui con me non lo era stato e io non avevo più motivo di esserlo con lui, né tantomeno di averlo sempre con il fiato sul collo. Sarebbe stato libero, non avrebbe più dovuto preoccuparsi di me.

L’ascensore arrivò e io feci per entrare, lui mi raggiunse all’istante, pensando che sarei salita senza di lui, mi prese per una mano e mi fece voltare verso di lui.

Non so perché lo fece e non mi interessava saperlo; solo, non appena fui faccia a faccia con lui, gli mostrai un sorriso celestiale e gli sferrai una ginocchiata proprio in mezzo alle gambe, facendolo gemere di dolore e costringendolo a inginocchiarsi portandosi la mano sulle sue parti basse.

«Questo era per non aver saputo del tuo fidanzamento» dissi entrando in ascensore senza troppa fatica. «E spero che ti sia chiaro che adesso non voglio vederti mai più.»

«Questa me la paghi, Fiore» disse lui sollevando lo sguardo severo per potermi incenerire.

Non avevo più paura di lui.

«Cercami pure per tutti gli angoli di questa città, se ti aggrada. Stavolta ti assicuro che non ti piacerà rincontrarmi.» E prima che potesse dire qualsiasi cosa le porte dell’ascensore si chiusero.

Arrivai alla hall e uscii da quel posto il più in fretta possibile. Presi immediatamente un taxi e mi diressi verso casa.

Era ora di lasciare il passato alle spalle definitivamente.

Sabato 7 luglio

Mi ero svegliata come se fossi una specie di panda, pallida in volto e maledettamente stanca.

Avevo pianto come una bambina per almeno due ore di seguito, barricata in casa come una povera disperata.

Forse era normale.

Avevo pianto così tanto anche quando avevo saputo di Emile, fin quando non avevo smesso di pensarci e non avevo realmente capito che ero rimasta da sola e potevo contare su di me, solo su di me. Sarebbe capitata la stessa cosa anche in quel caso: Gonçalo era uno come tanti in fondo, ce l’avrei fatta anche senza di lui, come era già accaduto in cinque anni.

Era il caso di prendersi una bella giornata di pausa da tutti e dalla scrittura stessa, quindi perché non andare e rilassarsi in spiaggia come tutte le persone normali?

Giusto Kat, perché non andare in spiaggia?

Non era stata una cattiva idea: sole, mare, aria fresca e piacevole… un paradiso terrestre.

Passai l’intera mattinata a non fare nulla e solo nel tardo pomeriggio, quasi controvoglia, mi alzai dal mio telo-mare per prendere un qualsiasi cocktail di frutta fresca al chioschetto lì vicino. Avevo finito tutte le mie provviste.

Attesi il mio turno molto pazientemente, avevo perfino lasciato il cellulare e gli auricolari a casa, poi quando arrivò il mio turno e feci la mia ordinazione; ecco che mi accorsi che ad un tavolino lì vicino, immersa nei suoi pensieri, stava seduta la stessa ragazza che avevo conosciuto il giorno prima in quello stramaledetto hotel: Iris.

Pagai tutto e mi avvicinai a lei, volevo ringraziarla per avermi avvisata sulla storia di Gonçalo e Kaylee, in fondo anche lei era stata sincera con me e io non avevo voluto crederle, ostinata com’ero a pensare che solo lui potesse dirmi la verità.

«Ehi, Iris, come stai?» chiesi quasi fuori di me accomodandomi davanti a lei.

La ragazza sollevò lo sguardo, che da spento si tramutò quasi in vivace e, rivolgendomi un sorriso che prima certamente non c’era, ricambiò: «Kat, tutto bene, tu?»

«A parte la notte insonne, sto bene» dissi tentando di mostrarmi cordiale.

«Ho passato una nottataccia anch’io e mi sa che adesso passerò un pomeriggio da incubo» disse lei massaggiandosi le tempie. «Ma dimmi un po’, come è andata ieri con Gonçalo?»

Tasto ultradolente.

Sorrisi in maniera forzata e dissi: «Bene, ehm… io in realtà volevo ringraziarti» dissi immediatamente prima che mi venisse in mente di cambiare idea. «Per avermi avvisato riguardo la loro storia, diciamo che… che ne ho avuto conferma ecco» spiegai infine tentando di scacciare dalla mente il ricordo delle parole di Kaylee.

Iris sembrò quasi cambiare espressione: come me tentava di nascondere ciò che sentiva realmente, ciò che pensava… ma credo che in fondo lei fosse molto più preparata di me a quella notizia, d’altronde lei stessa me l’aveva riferita. Ma era comunque come se un barlume nei suoi occhi si fosse spento.

«Mi spiace» disse lei facendo spallucce e posando una mano sulla mia come per confortarmi.

«Oh no, tranquilla» dissi mostrando un sorriso e ritirando leggermente la mano - non avevo mai sopportato granché il contatto fisico. «Insomma, dovevo aspettarmelo ma non era comunque affar mio. Lui è libero di fare ciò che vuole» dissi più a me stessa anziché a lei.

«Siete stati insieme?»

«No» risposi secca. «Siamo amici ma…» provai a dire, poi una marea di ricordi mi assalirono e quasi mi morirono in gola.

Gonçalo non era stato davvero un semplice amico per me, non sapevo nemmeno io cosa fosse stato. Pensare ad un semplice “salvatore” avrebbe solo sminuito l’importanza della sua figura: lui era stato quel ragazzo che mi consolava quando Emile non tornava per giorni a casa; era quello che mi viziava quando litigavo con mio fratello e che mi faceva sorridere quando avevo visto solo il nero davanti ai miei occhi.

Lui era l’unica persona che mi fosse appartenuta davvero. E anch’io credevo di essere lo stesso per lui.

«È complicato da spiegare» dissi infine con un sorriso rassicurante.

Parlammo per almeno trenta minuti, poi dovette andar via per via di un impegno, disse. La lasciai andare e corsi a fare un ultimo bagno prima del mio rientro a casa.

Più decidevo di non pensare a Gonçalo e più me lo ritrovavo conficcato nelle viscere. Ma che diamine!

Dopo un bagno alquanto lungo, mi infilai sotto una delle docce pubbliche in totale tranquillità: la spiaggia lentamente si stava spopolando ed erano rimaste poche persone al tramonto, e ne era giunta una che avrei proprio voluto prendere a schiaffi.

Ero voltata di spalle quando avvertii la sua presenza a un paio di passi da me; ero intenta a far scivolare via tutto il sale dai capelli, ma mi voltai all’istante, non appena ebbi la sensazione che si stesse avvicinando e dissi fredda: «Ha finito di godersi lo spettacolo mentre sono sotto la doccia o preferisce che continui?» e, chiuso il rubinetto dell’acqua, mi avvolsi immediatamente il telo-mare attorno al corpo per non far vedere a quell’essere infimo altro.

«Affascinante e aggressiva» disse il regista sollevando gli occhiali da sole sul capo e sogghignando appena. «Ho sempre intuito per certe cose.»

«Immagino allora abbia anche intuito che voglio sapere perché diavolo ha mandato quelle foto a me e a Gonçalo Llanos» lo incalzai immediatamente fulminandolo con lo sguardo, mentre sistemavo la mia roba per andare via lontano da lui.

«Austera e folgorante poesia del vero» replicò infastidendomi ulteriormente.

«Allora ho proprio denunciato la persona sbagliata» dissi chiudendo gli occhi in due fessure.

Non avevo mai visto un serpente dal vivo, ma ero certa che Cristopher Roberts fosse altamente più viscido di un rettile.

Scoppiò a ridere e disse: «Non credevo che Llanos te le facesse vedere.»

«Cosa vuole da me?» chiesi secca e impaziente.

Mi prudevano le mani dalla voglia di lanciarmi contro e colpirlo fin quando non avessi visto il sangue scorrere da quel viso a cui sembrava tenere così tanto.

Avevo davvero sbagliato a prendermela solo con Jona. Lui sì aveva sbagliato, ma almeno aveva avuto la decenza di tenere tutto per sé e scusarsi perfino. Cristopher invece mi stava facendo passare le pene dell’inferno per due scatti che erano malauguratamente finiti fra le sue grinfie.

«Signorina Reynolds» mi scimmiottò utilizzando la terza persona come stavo facendo io con lui. «È un discorso davvero troppo delicato per essere trattato qui.»

«Perché è venuto da me allora?»

«È stato un caso» rispose Cristopher. «Io non inseguo nessuno» e mi strinse una mano facendomi avvicinare di più a lui. «Ora, se vuole posso illustrarle il motivo, ma magari seduti di fronte ad un buon bicchiere di vino rosso a cena.»

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