Kat. La resa dei conti

Mercoledì 18 luglio

Non avrei mai pensato di andare a trovare qualcuno in galera, o per meglio dire, non avevo mai creduto che un giorno avrei dovuto far visita ad Emile o a Gonçalo in carcere… eppure, eccomi lì: pronta ad affrontare la realtà, come uno schiaffo in pieno volto.

Cosa avrei dovuto dirgli?

Avevo capito a stenti il motivo per cui lui fosse lì.

Non riuscivo a capacitarmene.

Sì, lo avevo creduto responsabile della morte di Emile, ma sentirsi dire da tutti che lui fosse l’assassino di un’intera famiglia, era tutt’altra storia.

Non sapevo più come vederlo o se vederlo, ma ormai ero arrivata fino a quella minuscola stanzetta in attesa del suo arrivo e ancora poco sicura sul da farsi.

Attesi giusto qualche minuto, ma parve un’infinità di tempo, come tutti gli incontri che avvengono fra due persone che si trovano ad un punto in certo del loro rapporto, qualunque esso sia. Il mio con Gonçalo non era certamente dei migliori ormai: eravamo passati da una specie di rapporto morboso di protezione, ad un rapporto confinante quasi con l'odio.

Eravamo destinati a rimanere ancora legati in qualche modo?

Con un cigolio raccapricciante la porta si aprì e apparve Gonçalo in uno dei suoi aspetti peggiori. Non aveva più nulla dell’uomo elegante e potente che ero solita aver visto in quel mese alquanto travagliato. Non somigliava neanche più all’immagine ben chiara che avevo sempre avuto di lui.

Era più un uomo colpito, affondato, ma animato da rabbia, da tanta rabbia forse troppa.

Me ne accorsi soprattutto quando si rese conto che ero io: mi guardava con odio, rabbia e qualsiasi altro sentimento negativo inerente all’astio, mentre io rimanevo ancora ben lontana a guardarlo spaventata.

«Va’ via. Non ho  più niente da dirti, Vanille» e rimase in piedi squadrandomi dalla testa ai piedi.

Feci per parlare, ma mi interruppe bruscamente dicendo: «Risparmiati le scuse o le finte scenate di dispiacere… non sei più credibile. Ho capito adesso che razza di persona tu sia e, francamente, ti puoi levare di torno non voglio avere più niente a che fare con te.»

«A cosa devo tutto questo rancore nei miei confronti stavolta?» chiesi confusamente e con un sorriso isterico in modo da trattenere le lacrime quanto più possibile.

«Alla tua intera esistenza, probabilmente, e soprattutto alla tua presenza nella mia vita, Vanille.»

«Perché mi chiami così adesso?»

«Perché è il tuo vero nome, per cui mi sono rotto il culo affinché nessuno lo sapesse e ti scoprisse. E poi, tu cosa fai? Lo sbandieri ai quattro venti, dicendolo a destra e a sinistra. Brava! Complimenti! Mi fa piacere che finalmente tu abbia trovato il coraggio di riconoscerti, ma adesso fuori dai coglioni una volta per tutte!» mi urlò contro mantenendo quello sguardo carico d’odio.

«Ma cosa dici?!» esclamai piangendo silenziosamente.

«La verità. Mi hai mandato a salutare quando sono finito qui dentro. Da Vanille Lemoine ha detto quello stronzo. Anche Ryan lo saprà probabilmente, e non me ne frega un cazzo che si sia assunto tutta la responsabilità di questa merda. Non gli credo. Tu sei responsabile quanto lui. Nessuno si sarebbe sognato di metterti in mezzo a casaccio.» Sputò rabbioso.

«Non ho fatto nulla» mi difesi per quel che potevo tentando di avvicinarmi a lui.

«Sta’ lontana! Sta’ lontana da me, prima che ti faccia del male!» mi avvertì.

«Non puoi pensare una cosa simile, su di me!» urlai a mia volta ritrovandomi di fronte a lui, il quale mi spinse via scaraventandomi quasi contro il tavolo, nonostante avesse le manette ai polsi.

«Taci e va’ via! Non voglio più sapere nulla di te né della tua vita! Vattene! Al diavolo quella promessa di merda! Tu per me non sei più niente. Non esisti.»

Persi qualche battito al sentire certe parole.

Non poteva averle detto sul serio, non il mio Gonçalo.

Lo guardai continuando a piangere in silenzio, ma mi accorsi che nei suoi occhi non c’era più lo stesso uomo con cui avevo sempre avuto a che fare: lui mi disprezzava, non serbava nemmeno un briciolo di compassione per me che, nel bene e nel male, ero sempre stata al suo fianco.

Inutile riproporgli il discorso che per me la questione di Emile era ormai conclusa: non mi avrebbe creduta, non più.

Raccolsi quel briciolo di dignità che avevo e me ne andai, senza neanche guardarlo o salutarlo.

«Ho finito» dissi semplicemente ad alta voce, in modo che la guardia fuori udisse e mi facesse uscire da lì.

Né un addio, né un saluto, neppure uno sguardo.

Gonçalo Llanos mi aveva scacciato dalla sua vita una volta per tutte e io avrei rispettato la sua decisione.

Venerdì 19 luglio

Molto più rapidamente di quanto immaginassi il signor Goya mi fece ricevere il denaro che mi spettava. Non avrei mai immaginato che avrebbe potuto vendere delle mie foto tanto rapidamente eppure, avendone venduta qualcuno ero riuscita a racimolare la somma giusta per il mio viaggio e anche qualcosa in più.

Non avevo perso tempo a fare due biglietti di sola andata per Tahiti.

Uno per me e uno per l’unica persona che mi sembrava adatta ad affrontare le cose insieme a me.

Fu proprio per quel biglietto che decisi di avviarmi nell’appartamento di Jona quella mattina, nel mio aspetto migliore e autoritario, come se volessi convincerlo del fatto che dentro di me non c’era nulla che fosse fuori posto e che non avessi alcuna debolezza.

L’unica occasione in cui indossai delle décolleté di mattina e, per giunta, di mia spontanea volontà. L’unica volta in cui mi pentii di una scelta simile quasi subito, non appena vidi uscire dal portone principale la figura di una ragazza alquanto volgare che, con capelli disordinati e strucco sfatto, sembrava avesse appena finito di fare qualche servizietto.

Avrei potuto tornarmene indietro e sparire nel nulla come mi era solito fare, ma da buona ragazza masochista, avevo fatto il mio ingresso sentendo la segreteria di Arleen al vivavoce.

Non riuscii ad evitare che i miei tacchi facessero tutto quel baccano, ecco perché lui sbottò con un beffardo: “ Hai dimenticato le mutande oppure vuoi un’altra lezione?”

Mi aveva scambiata per quella tipa.

«Ho dimenticato quanto fossi stronzo!» sbottai irritata fermandomi proprio davanti a lui con un’espressione fin troppo seriosa anche per me.

«Kat… perché sei..?» cominciò a farfugliare quasi in imbarazzo.

«Perché sono qui?» lo precedetti zittendolo seduta stante. «Beh, non lo so neanche io adesso!»

«Non fare tutte queste storie» tentò di giustificarsi. «Era solo una che mi sono portato a letto perché sono fin troppo stressato.»

«Oh, e immagino che anche Arleen sia un antistress. Ecco perché la stavi chiamando, non è così?» lo incalzai senza nulla in mia difesa.

Come se fosse sensata la mia scenata di gelosia in quel momento.

Anche con lui non c’era un vero rapporto, c’era stato quando avevo avuto bisogno, ma nemmeno lui sembrava essere ben distinto nel mio panorama… cosa mi sarei dovuta aspettare quando avevo avuto la folle idea di chiedermi di seguirmi?

«Kat, io e te non stiamo insieme… qual è il tuo problema?» tentò di farmi ragionare.

«È che spero sempre di potermi fidare ciecamente di qualcuno e che quel qualcuno sia disposto ad accettarmi così come sono. Ecco qual è il mio fottuto problema» conclusi gettando il biglietto aereo per terra e voltandomi per andare via.

«Cos’è questo?» chiese lui raccogliendo il biglietto da terra.

«Nulla. Non è più nulla» sbottai irata come una ragazzina in preda alle crisi di ciclo e armeggiando con la maniglia del portone per uscire.

Fu il tempo necessario affinché leggesse la destinazione di quel biglietto, poiché immediatamente mi raggiunse bloccando la mia via di fuga ed esclamando: «Tahiti?! Stai scappando sul serio?»

«Lasciami!» ordinai tentando di strattonarlo via e senza dargli una risposta precisa.

«No, non ti lascio!» urlò lui stringendomi il braccio. «Tu non te ne andrai da nessuna parte!»

«Non sono più affari tuoi!» risposi digrignando i denti. «Sei stato solo uno che ho scopato e di cui mi sono fidata anche troppo.»

«Dici cose senza senso. Te ne rendi conto? Non puoi andare laggiù!»

«Perché non posso? Sei tu che decidi cosa posso o non posso fare?»

«Sarebbe una perdita di tempo. E poi cosa faresti una volta arrivata lì? Da sola poi.»

«Volevo mi accompagnassi tu» confessai. «Perché mi sento in un qualche modo più legata a te di qualunque altra persona, ma è stato uno sbaglio. Un grandissimo sbaglio. Ora fammi passare.»

«Perché vuoi andare lì?» chiese lui con uno sguardo atterrito, come se non trovasse alcun modo per fermarmi.

«Devo trovare qualcuno.»

«Non ti basta chi hai qui?»

«Non ho nessuno, né qui né in nessun’altra parte del mondo, al di fuori di quella diamine di Polinesia.» Gridai sentendo ancora una volta le lacrime sgorgare silenziosamente «Non ho più Emile. Non ho più Gonçalo. Non ho più te. Non ho più nessuno!»

«Io ci sono. Sono qui per te, Kat» disse a sua volta provando ad avvicinarsi. «Ma non te ne sei mai accorta, perché eri troppo impegnata a pendere dalle labbra di quel criminale!»

«Smettila!» urlai ancora. «Tu non sai niente.»

«Io so tutto di te, Vanille Lemoine» rispose facendomi tacere categoricamente e meritandosi la mia piena attenzione. «So che vieni dalla Francia e che credi Gonçalo ti abbia sempre protetta. So che ti hanno salvata da un folle e che dovevi andare in Polinesia, come ti aveva detto tuo fratello Emile, perché lì c’era qualcuno che ti stava aspettando.»

«Cosa diamine…?!» chiesi stupefatta e allontanandomi di colpo.

«Sono io quella persona, Kat. Io ero quella persona che ti stava aspettando laggiù» rivelò solennemente e quasi a malincuore, come se non avesse avuto altra scelta. «Ti ho aspettata per più di un mese e non sei mai arrivata. Tuo fratello non è mai arrivato…pensavo ve la foste cavati da soli.»

«Non è possibile…» dissi incredula e scuotendo la testa.

«Devi credermi. Non ti mentirei mai. E poi, come potrei sapere tutte queste cose? Pensaci!»

«Perché non me lo hai detto prima?» urlai a quel punto scoppiando in lacrime.

«Non volevo sapessi nulla e non volevo continuassi a cercare inutilmente qualcuno che in realtà hai avuto sempre con te.»

Provò a prendermi una mano ma non glielo permisi.

Ero troppo scossa per permettergli di abbattere quei muri che mi ero costruita e che già stavano crollando pezzo per pezzo.

Avevo delle certezze prima di tutta quella storia. In quel momento non ne avevo più.

Corsi via.

Non sapevo se credergli, come non sapevo più di chi fidarmi e se fidarmi.

Sapevo solo che il mio volo era fissato per lunedì mattina e che io sarei partita senza pensarci due volte. Non avevo più voglia di aspettare o credere nessuno.

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