Jona. Subbuglio

Mercoledì 4 luglio

Non riuscivo a ricordare un giorno così intenso come questo. La successione rapida di eventi mi aveva tramortito.
La mattinata passata con Arleen era stata epica, anche se non era riuscita a lasciarsi totalmente andare con me.

Bloccato nel traffico californiano ed affacciato al finestrino aperto del mio taxi, non potei far altro che ricordare.
Sentivo ancora le sue piccole mani sulla mia pelle calda e la mia bocca sulla sua candida. Era bella Arleen, di una bellezza consapevole e nitida. Ma in lei c'era molto di più e avrei lasciato che fosse lei a mostramelo, prima o poi.

Respirai chiudendo gli occhi e rilassando le spalle, il suo profumo agrumato si mescolò a quello ambrato di Kat.
I capelli fuoco avvolti tra le mie dita divennero del colore della terra ed occhi ampi e ipnotici si sostituirono a due fessure scure e profonde.

Mi ero perso, si ma dov'ero?! Le immagini passavano come slide appena accennate nella mia mente, ma erano vivide e vissute. E se la mia memoria mi stava dando dei suggerimenti, non erano di certo sbagliati.
A mano a mano, piccoli squarci di qualche notte precedente iniziavano a farsi spazio nella mia testa. Quella lingerie, qualche parola in francese, quella finta ostilità, le sue labbra. Cazzo!

Scossi la testa, costringendomi a tirarmi fuori da quel pensiero troppo scomodo.
Mi sfregai gli occhi come dopo un’incredula apparizione, il mio pensiero andò alle foto, poi al sesso, poi a Kat. Dovevo parlarle, ero in enormi casini.

Sbuffai, il mio gomito sul bracciolo della portiera, le mie dita alle tempie, non potevo non averlo ricordato. Cosa diavolo ti succede, Jona!
Eppure il nulla, fino a questa mattina.

«Sono venti dollari, signore.»

La voce del tassista mi fece trasalire, non mi ero reso conto di essere arrivato all'hotel di Llanos. Allungai la banconota al tizio abbronzato, ed andai a recuperare la mia attrezzatura nel bagagliaio. Un nuovo flash mi passò per la mente. Llanos. Che ci faceva a casa mia e come diavolo sapeva che ero in compagnia di una donna, cosa c'entrava lui con Kat?! Rimasi lì per qualche istante.

«Signore, la mano» mi incitò il tassista, riconducendomi nuovamente alla realtà.

«Sì, mi scusi.»

Lasciai immediatamente il bagagliaio e, ponendomi il treppiede in spalla, mi diressi all'ingresso.

Era pressapoco passata l'ora di pranzo quando Chris, diede inizio ai provini per ruoli femminili.
Sarebbe stato di certo un duro lavoro pensai, non difficile ma più che altro snervante e faticoso. Di certo avere a che fare con donne di un'età compresa tra i 20 e i 30 anni, ognuna convinta delle proprie capacità o delle proprie doti fisiche, con la probabilità che la metà di loro fosse in fase premestruale, agguerrite per avere una parte a tutti i costi e con la presenza di Roberts, tutte chiuse nella stessa stanza... non sarebbe stato di certo facile.

Posizionai le lampade cercando di trovare la luce perfetta, mentre Christopher fece inginocchiare le ragazze disposte in due file dinanzi ai miei occhi.
Mi aggiravo tra loro sistemando ciocche di capelli qua e là e facendo sistemare sbavature di trucco da un'assistente del regista. Non ebbi tempo però di portare a termine il lavoro che, tra l'altro, ancora doveva avere inizio.

Senza alcun motivo apparente Chris mandò via le donne, che vociferavano deluse, tranne una. Quella ragazza, l'unica che era rimasta in piedi. Non ci feci realmente caso; se mandare via tutte significava meno lavoro per me da dedicare a questo progetto, mi sarei preso una pausa.

Erano ormai passati quaranta minuti e due caffè e del regista nessun segno. Di lì ad un paio di ore il mio lavoro avrebbe dovuto finire, per poter poi andare a sviluppare i miei scatti.
Esausto mi diressi nel suo ufficio, ma quello che vi trovai fu tutt'altro che il viso sbarbato di Christopher.

Si presentò in maniera ironica, era una ragazza bellissima, dai lineamenti marcati e dalla faccia vissuta che mostrava qualche vecchio livido qua e là. Il suo carattere peperino mi colpì all'istante, era troppo ostentato a dirla tutta. Ma decisi che mi piaceva.

Mi scrutò attentamente con lo sguardo come a cercare qualcosa di losco che mi appartenesse, oppure voleva solo capire se potersi fidare. Evidentemente decise di non farlo se pochi istanti dopo l'ingresso del regista mi fu svelato il suo vero nome.

L'intrigante Veronika rimase lì ad origliare le nostre inutili chiacchiere, non passò molto prima di ritrovarci soli. Io, lei e la mia fotocamera.

Mi divertii a vedere quella ragazza sexy, intimorita dai miei scatti e dalle mie parole che la invogliavano a liberarsi da tutto quello che la opprimeva fuori e dentro.
La vidi venire verso di me con naturalezza, come se spogliarsi dinanzi a uno sconosciuto fosse qualcosa di quotidiano e no, in lei non vedevo una sottomessa, per nulla. Rise spensierata e mordendosi il labbro mi provocò in maniera sfacciata, lasciando che la camera si infatuasse di lei.

Era sexy, questo era fuori discussione ed anche quel suo tipo di sensualità era particolare. Vivace, sguaiato, appariscente.
Particolari verità che amavo imprimere su pellicola.

Non capii come però, incastrato da Marguerite e dall'autrice del libro, mi ritrovai mezz'ora dopo ad osservare le sinuose curve di Veronika da Victoria's Secret.

Questa Christopher me l'avrebbe pagata di certo.

Il colmo fu dovermi sorbire, non che non apprezzassi, la sfilata in bodysuit in pizzo con aggiunta di autoreggenti di Veronika, davanti agli occhi di Kat.
Era da quella sera che non la vedevo e tra la lingerie e la situazione, decisamente assurda, mi stava venendo il mal di testa.

«Devo tornare all'hotel» riferii alle donne, alzandomi dalla poltrona e dirigendomi verso l'uscita.
Quella giornata stava prendendo una brutta piega, considerando come era cominciata.

Durante il viaggio di ritorno, non feci altro che cercare lo sguardo di Kat. Volevo che lei capisse, che sapesse che ricordavo, che volevo scusarmi di non averlo fatto prima, di averla fatta sentire un oggetto.
Non era vero, non era da me, per me le donne erano un culto. Kat era stata il mio appiglio quella sera ed ero sicuro che anche lei si fosse retta a me.

Scesi dall'auto non perdendola di vista, calcai i suoi passi e mi fu quasi difficile fermarla per quanto stesse accelerando il passo.
Si precipitò verso le scale, la morbida e lunga treccia le oscillava sulla schiena ad ogni falcata ed io non fui capace di distogliere lo sguardo da quello che c'era più in basso, perfettamente fasciato dai suoi jeans.

«Kat, aspetta!»

«Lasciami stare, pervertito.»

La fermai di colpo, voltandola verso i miei occhi. Era sconvolta e incazzata; anche senza parlare percepii le mille imprecazioni che riservava per me.

«Voglio solo...»

Si scollò di dosso la stretta della mia mano, urlandomi in faccia senza contegno. «Tu non vuoi, Jona! Tu prendi senza permesso, io non ti conosco nemmeno e tu hai approfittato di me regalando i miei scatti a Roberts. Perchè, dimmelo! Cos'è, ti diverti a sfoggiare le tue conquiste? Che gioco perverso è? Ah ma tranquillo, ti denuncerò, signor fotografo, sempre che tu riesca a rimanere vivo.»

Restai basito dalle sue accuse insensate. Non sapevo di cosa parlasse, erano scatti personali e non li avrei condivisi con nessuno. Figuriamoci con Chris.

«È una cosa assurda. Fermati Kat, ti prego.»

Guardai per l'ultima volta i suoi occhi intrisi di lacrime, avevo provocato io quel dolore e non riuscivo a comprenderne il motivo.
La osservai, forse per la prima volta veramente, soffermandomi sul piccolo neo che aveva sullo zigomo destro, un particolare che mi era sfuggito; il verde delle sue iridi si fece scuro e avvolgente, un mare in tempesta.
Quelle onde cristalline mi entrarono dentro, mettendo a soqquadro ogni angolo del mio essere, con prepotenza. Il cuore era in fibrillazione e una scarica elettrica si espanse lungo tutto il corpo arrivando alla punta delle dita. Strinsi le mani in due pugni ed abbassai la testa, non riuscii a sostenere quello sguardo, mi aveva scombussolato.

La lasciai andare, uscendo di scena, prima che lo facesse lei. Forse quelle emozioni erano troppo anche per me o probabilmente, ero solo stressato.
Avrei dovuto pensare a come redimermi ma prima avrei dovuto capire il perchè di quelle accuse e come mai una serie di fortuiti eventi mi facesse in modo di sembrare un mostro agli occhi di Kat.
Dovevo partire da Christopher, lei aveva fatto il suo nome, lui c'entrava sempre. Ma lo avrei fatto con calma dopo la colazione, l'indomani.

Nonostante la giornata sembrasse interminabile, potevo salvarne cocci. Non ero uno che si soffermava raramente sulle cose, il che era un pregio ed anche un difetto.
Per questo credevo che tutto fosse accaduto per portarmi al passo successivo.

Non ero tipo da vasca ma quella sera ne avrei voluta una, ero tornato a casa stranamente sobrio e avrei voluto perdermi immerso nell'acqua calda. Invece mi accontentai della mia sterile doccia, situata dinanzi allo specchio del mio minuscolo bagno.

I segni di Arleen ancora sulla pelle. Mi passai istintivamente una mano sulle spalla, nel punto esatto dove aveva battuto il suo frustino con veemenza.
Solo il ricordo fece drizzare il mio amico, lo ammonii mentalmente ne avevamo combinate abbastanza per quella giornata.

Risi tra me e me.
Quel provino era stato decisamente insolito. Sembrava che ci fossimo scambiati i ruoli e che lei avrebbe dovuto scegliere chi meritasse essere suo schiavo; ma non ce ne fu bisogno. Mi prostrai ai suoi piedi, avrei anche strisciato se quello significasse vederla realmente.
E dopo l'episodio con Kat, non mi ero pentito minimamente di quella decisione.

Giocammo a modo suo e non poté comprendere quanto avesse domato il putiferio che sentivo dentro, oltre ad aver domato me.
C'era una linea sottile tra il sesso che ci eravamo concessi quella mattina e quello che lei mi stava facendo.

Ero legato ad una croce e non vedevo praticamente la sua faccia ma sentivo la sua passione assalirmi con impeto.
Non ero più lì, mi aveva catapultato in un mondo che non credevo mi sarebbe piaciuto.
Con gli occhi serrati, come lei mi aveva ordinato, percepivo ogni minimo particolare. La sua camminata, lenta e sexy, il suo sorriso compiaciuto, il prossimo attacco alle spalle, il suo modo di avvertire le mie reazioni.
Quella rossa peperina ci sapeva fare stramaledettamente, era un mix perfetto di trasgressione, ordini e passione dettata dal piacere.

Fece crescere la mia eccitazione ma non lo sfiorò mai. Magari se non fossimo stati in una circostanza così precaria lo avrebbe fatto, eccome. Avrebbe strizzato i miei testicoli fino a farmi urlare, mi avrebbe chiesto quanto mi piacesse, poi avrebbe riso di me. Mi avrebbe stuzzicato fin quando non avessi chiesto pietà ed avrebbe goduto del mio dolore.

Mi massaggiai il petto sotto la scia dell'acqua, riportando alla mente la sensazione di bruciore della piccole pinze che aveva usato su i miei capezzoli. Mi venne da ridere, davvero avrei voluto dirle qualcosa? Mi fece tacere all'istante continuando la sua piccola tortura.
Mi tirò una frustata sul fondoschiena, poi si avvicinò ponendosi davanti.

«Credevi che scherzassi, questo è quello che io sono...»

«Questo è quello che credi di essere, Arleen.»

Arrestò il suo giro intorno a me fulminandomi, forse perchè avevo ragione, fosse perchè lo era davvero, ma in ogni caso non avrei dovuto parlare.

Un'altra frustata mi colpì in pieno le palle, salvaguardate dalla stoffa ruvida dei miei jeans, facendomi sentire le stelle. La smorfia di dolore sul mio viso ne fu la conferma e il sorriso sul suo ne fu la soddisfazione.

Continuammo quel teatrino per non so quanto tempo, ed il dolore che mi stava infliggendo divenne in poco tempo un piacere particolare diverso dal solito. L'erezione tra le mie gambe fu la prova e quella che era comparsa nuovamente ora, anche.
Mi stava facendo diventare matto, stringeva, torturava e negava. Questo era il suo mantra. Fin quando non mi slegò. Mi aveva fatto assaggiare una piccola parte del suo essere ma era servito solo ad alimentare la fame della bestia che si celava in me, ed ero pronto a sbranare.

Mi misi dritto, afferrando quella visione peccaminosa dietro la nuca. Lanciò un gridolino di piacere seguito da una risata beffarda, l'altra mia mano le era legata saldamente in vita avrei voluto prenderla subito e sarei scoppiato in pochi colpi, certamente.
Avrei concluso quel gioco con piacere, mostrandole che non ero affatto un dolce bambolotto da coccolare. Le morsi il labbro e succhiai avvicinandola alla mia asta ormai indolenzita dalle pulsazioni. Lasciò cadere il nerbo dalle sue mani e chiuse gli occhi solo per un attimo avvicinandosi.

«Oh.»

«Tempo scaduto signor Heart!»

Mi allontanai immediatamente all'ingresso di Christopher il gustafeste ma di certo non sarebbe finita così tra me e la mia bella Anna dai capelli rossi.

Giovedì 5 luglio

Mi svegliai prima dell'alba guardando il soffitto buio, le coperte ancora calde avvolte attorno al corpo, mentre la nebbia del sonno iniziava a diradarsi.
Scalciai le coperte mettendomi a sedere e mi sorressi la testa; ancora non riuscivo a capacitarmi di tutto quello che era accaduto il giorno prima.

Mi feci una bella corsetta mattutina, accompagnato solo dal cinguettio degli uccelli e dai camion dei netturbini che stavano per finire il loro turno.

Un'altra giornata in quell’infernale hotel mi attendeva e il pensiero che più mi premeva era quello di parlare con Chris.

L'odore di pancetta e caffè si fece strada tra le mie narici. Avevo proprio bisogno di una colazione dignitosa ma invece non fu così. Uno Llanos incazzato come sempre era pronto a riceverci. Mi lanciò stupide frecciatine per tutta la durata dell'incontro e con mio enorme stupore, fui contento di come il regista lo rimise al suo posto.

Almeno fin quando qualche tempo dopo non lo vidi scaraventarsi su di me come una furia. Non ebbi tempo di reagire, Llanos era un uomo impulsivo e noncurante del decoro.
Mi sferrò un nuovo colpo distruggendo la mia macchina fotografica e, con mia soddisfazione, anche la sua mano.

Il fratello della scrittrice, Veronika e pochi altri erano concentrati su quella zuffa iniziata dal nulla. Fin quando Llanos non nominò quelle stramaledette foto, le stesse di cui parlava Kat.

«Jona, non la devi toccare mai più.»

Chi cazzo era lui per Kat da prendersela così tanto e perchè sapeva delle foto? Forse erano amanti? Ma se fosse stato così, Kat non si sarebbe nemmeno avvicinata a me.

Ero furioso e indolenzito. Non avrei sopportato una parola di più. Concentrai tutta la mia forza nelle nocche della mano destra, ma quello che colpì non fu un ammasso di muscoli.

La mia mano si posò nello stomaco di una giovane ragazza bruna, un'altra delle amichette del proprietario.

Fermai quella stupida contesa rivolgendomi a lei e preoccupandomi che non le fosse accaduto nulla, dopodiché uscii di scena.
Senza allarmarmi minimamente delle mie ferite e con gli occhi iniettati di sangue, mi avviai a grandi falcate nell'ufficio di Christopher.

«Tu!» dissi prendendolo per il bavero della giacca.

«Vedo che sei ridotto piuttosto male, fotografo.»

«Dammi le mie foto!»

Se la rise, ultimamente tutti volevano prendersi gioco di me, a quanto pareva.

«Le tue foto mi appartengono per contratto.»

«Ho detto: ridammi le mie foto!»

Il mio sguardo era preciso, diretto. Un unico messaggio. Le foto per il fotografo, oppure alla rassegna stampa avrei avuto tanto da sputtanare. Con annessa foto, cambio connotati del regista.
Si staccò da me lisciandosi il petto a lancia delle giacca, poi si avviò dietro la scrivania.
Aprii il cassetto centrale e tirò fuori una busta, con una micro SD all'interno.

«Sai, sei proprio un gran fotografo, Jona. È un peccato che tu non possa fare un provino anche a quella bellissima ragazza, come si chiama?» Finse di portarsi una mano alla testa. «Ah già, Kat. Ha una silhouette straordinaria ed ha un aspetto ingenuo da far girar la testa.»

La pressione mi salì alle stelle, posai la macchina distrutta sulla scrivania, recuperando quello che era mio, anche se ormai troppo tardi.
Sbattei le mani con forza sul ripiano in legno e lo guardai dritto negli occhi. Cercai di mantenere il controllo per non spaccargli la faccia. Ma anche se avvertii una certa gratitudine nel ferirlo verbalmente, non riuscii a fare a meno di prenderlo per la gola.

«Cosa speravi di ottenere? Non hai il diritto di frugare nella mia vita senza permesso.»

A voce strozzata mi ricordò che ero stato io a concedergli di farlo, avevo lasciato come un ingenuo le foto di Kat su quella scheda e ormai non c'era più nulla che potessi fare per risolvere. Almeno non io.

Qualcosa scattò in me ma mi frenai prima di rendere la cosa irreparabile.
La rabbia di sapere che Kat ci aveva rimesso a sue spese e il fastidio che il belloccio e il viscido l'avevano potuta osservare senza veli mi attanagliava le budella. Ancora quella sensazione, come se non potessi fare a meno di proteggerla.

«Hai ragione, è stato un mio errore» ammise, ma il danno era suo.

«Ma lo risolverai tu, signor regista. Fino ad allora il fotografo si eclissa.»

Mi incamminai verso la porta con un sorriso soddisfatto. Avevo una parte della situazione sotto controllo. Se ci teneva minimamente al suo lavoro ed era abbastanza furbo da non violare il nostro contratto, avrebbe quantomeno messo al posto suo Llanos lasciandolo fuori dai giochi.

«Sai benissimo che posso trovarne altri!» mi gridò sulle spalle.

«Sicuro?!» Gli lanciai quella domanda sbattendo poi la porta.

«Fine primo round?» chiese una Marguerite curiosa e spaventata, che aspettava al di fuori della stanza.

«Puoi andare a consolarlo, so che ti va.»

Si spostò dalla parete, rifilandomi una busta.
«È arrivata questa per te.» Poi entrò nell’ufficio di Chris.

Aprii la busta estraendone il contenuto.
Kat lo aveva fatto davvero, mi aveva appena denunciato per diffamazione.
Strinsi la querela in un pugno e mi aggrappai alla speranza di farle cambiare idea, prima della prescrizione. Avevo tre mesi a partire da adesso.

Venerdì 6 luglio

«Ecco qua! Te lo meriti.»
Matt poggiò tutta la bottiglia di scotch sul tavolo e non fui l'unico ad apprezzare.

Anche la mia nuova conoscenza, Ryan il paraplegico, sembrava averne bisogno.
«Tra i tre non so chi sta messo peggio» apostrofò l'uomo dai lineamenti marcati.
«A parte per Matt, lui se la cava sempre egregiamente.»
Prese il telecomando, come se volesse accendere la tv ma poi non lo fece.

«Questione di fascino.»
Un massa di capelli ricci dalla bocca piena, aveva sempre la risposta pronta.

Mi strinsi piegandomi nello stomaco, mi faceva male il costato e sentii un forte bruciore tirare sino all'inguine.

«Ehi amico, se vuoi ti presto la mia sedia!»

Mi alzai in piedi piegando una gamba, giocando a fare l'equilibrista.
«Visto? Sono perfettamente in grado di reggermi da solo, anche senza il tuo fascino, Matthew.»

Ci fu qualche secondo di silenzio. Poi scoppiammo in delle grasse risate sconclusionate.

«Certo! Prendi il lato positivo da una situazione schifosa» esclamò Matt allegro posandomi le mani sulle spalle.

«E quale sarebbe? La denuncia, le costole incrinate o il fatto che mi sono preso una pausa dal film?» Feci finta di riflettere.

«Non mi fido di quel Roberts» borbottò Ryan rabbuiato, con lo sguardo fisso sulla bottiglia.

«È per quella ragazza, quella Veronika?»

«Diamine no, Matt! Quando mai io mi sono preoccupato di una donna?» disse sminuendo la domanda.

«C'entrano sempre le donne!»

Ryan alzò il bicchiere. «E tu ne sai qualcosa, la rossa ti sta facendo penare, eh?»

«Semmai è lei che mi desidera.»

Un altro pugno nello stomaco, ma non potevo reagire. Non parlammo ancora una volta, noi uomini facevamo così, pause tra un drink e l'altro, non ci perdavamo in chiacchiere. Qualche commento sporco, altre pause per andare a pisciare e ancora fiumi di alcool e patatine.

Ma aveva ragione il barista, le donne c'entravano sempre. Kat e Arleen mi erano ormai entrate dentro facendo vacillare le mie convinzioni e scaraventandomi in un vortice da cui mi sarebbe riuscito difficile riemergere.

Qualche ora più tardi, aizzato dai miei compagni e con una buona dose di alcool in corpo, mi ritrovai fuori dalla camera di Llanos.
Dovevo pareggiare almeno i conti e togliermi la soddisfazione di vederlo in ginocchio.
Bussai barcollante, ad aspettai poggiandomi allo stipite.

Ma fui sorpreso da quello che si celava dietro quella porta.

«Jona!»

«Kat...»

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