Jona. Ritorni
Giovedì 12 luglio, sera
Erano passati circa quindici minuti dal nostro amplesso.
Eravamo rimasti così per un po', nudi dentro e fuori, la sua nuca sul mio braccio, le gambe intrecciate, gli occhi al cielo e il silenzio di quella stanza.
Sembrava quasi che non fossimo in quello stupido club per quanto era isolata quella camera, come se ci fossimo annullati e non esistessimo che noi e a fanculo i problemi, le paranoie, le relazioni, le complicazioni. Io ed Ari potevamo darci tutto quello di cui avevamo bisogno: sesso. Insano, sadico, sporco, libero. Qualcosa che scinde dall'amore, qualcosa di nostro, sciolto dalle abitudini e comprensibile solo ai nostri corpi.
Solo noi due poveri pezzi di carne, che sanno di poter avanzare solo fondendosi in uno.
Ci bastò riaprire quella porta per lasciare che la realtà ci piombasse addosso. Alla fine del corridoio, lì nel bel mezzo del frastuono e in un posto dove non avrei mai immaginato di trovarla, Kat.
L'espressione di stupore sulle facce di tutti e tre fu evidente, le circostanze erano assurde, i personaggi idem.
Cercai la mano di Arleen e la strinsi, non perchè volevo che Kat vedesse, io non dovevo dimostrarle nulla, fu un movimento del tutto spontaneo e incondizionato, come se Ari fosse il mio appoggio.
«Ti trovo meglio» le dissi, cercando di captare i lineamenti del suo volto e la sua espressione, nonostante le luci soffuse del club.
«Si...» rispose in maniera cinica e fredda. «Gonçalo...»
Le parole le morirono in bocca, appena mi voltai verso Arleen. Non mi interessava sapere i dettagli; solo vederla, e per giunta in quel club, mi aveva smorzato il respiro. Ero cosciente di non dovermela prendere dopotutto, non sapevo nulla di lei e di certo non ero il suo cavaliere dall'armatura scintillante.
Chiesi ad Arleen di concedermi del tempo e lei lo fece, tanto da perderla di vista. Sentivo il bisogno di chiarire alcune cose con Kat, e predere una qualche posizione.
«Puoi allontanarti?»
Mi portai un paio di passi avanti a lei, anche se non aspettai la sua risposta sentii che mi stava seguendo.
Percorremmo l'intero club e ci trovammo fuori. Il giardino era artificialmente costruito a dovere, la fontana, le luci giuste e profumo inteso di fiori ovunque. Il set perfetto per un film romantico, nulla a che vedere col dentro.
Mi accesi una sigaretta, aspirando un po' più velocemente, come un trespolo mi accomodai sul bracciolo di una poltrona.
Kat era qualche centimetro lontana da me e ciò nonostante il suo profumo mi invadeva le narici.
Le tesi il braccio aspettando la sua mano, la tranquillità con cui la chiamai a me quasi mi commuoveva.
«Come funziona, dovrei ringraziare Gonçalo adesso?»
Lo ammetto, sbagliavo a parlarle in quel modo, come se lei fosse mia. Come se dovesse importarle qualcosa di me, Jona l'estraneo maniaco infatuato di lei.
«Ed io dovrei ringraziare Arleen?!»
Scrollai le spalle e intrecciai le dita alle sue portandola tra le mie gambe.
«Se proprio vuoi... sarebbe un gesto carino da parte tua.»
«Stronzo.»
Risi tra i denti, non glielo avrei permesso, non le avrei lasciato credere che io fossi lì per lei nonostante tutto. Io non ero il bamboccio con cui poteva giocare a piacimento e lei era palesemente invaghita di Llanos.
Poteva tentarmi in qualsiasi modo possibile ma non mi sarei fatto abbindolare dalle parole di quella graziosa ragazzina ancora una volta. Lei e Gonçalo avevano qualcosa che io non avrei potuto darle, un passato, un anello forgiato dal fuoco che nessuno avrebbe potuto spezzare; questo non era solo evidenziato dalla foto che Kaylee mi aveva premurosamente inviato, quella che mi aveva fatto torcere le budella appena visualizzata. Questo me lo aveva detto lei tra le righe dopo avermi lasciato dai Morgan andandosene col suo eroe.
Non c'era più spazio per andare avanti dopo quello che era successo.
Portai la bocca al suo orecchio inalando quello che mi costrinsi a negarmi, il mio fiato le arrivò come un suono lasciando vibrare la sua membrana acustica e non solo. Stavo imparando a conoscerla e i suoi occhi oltre la mia nuca erano di certo chiusi, giocai con lei mostrandole la mia sicurezza, volevo piegarla, farle sentire cosa le avrei dato, cosa le stavo togliendo.
Mordicchiai la punta del suo padiglione, lasciando che il calore del mio fiato si mischiasse alla sensazione più fresca della saliva.
«Potrei farti venire senza toccarti, lo sai.»
Le sue movenze spasmodiche confermarono le miei parole. Le gambe avvolte dai pantaloni a vita alta in pelle, sfregavano l'una all'altra mostrandomi il suo impellente desiderio. Il suo respiro più pesante e la mano che stritolava la mia mi suggerivano di continuare e lo avrei fatto molto volentieri in circostanze diverse.
«Ma il tuo cavaliere sarà già nelle mutande di un'altra donzella a quest'ora, dovresti raggiungerlo.»
Si raggelò all'istante. Eccolo, il momento in cui ero riuscito a spezzare tutto e tornare lo stronzo di un tempo.
Non disse nulla, si limitò a staccarsi da me, aveva capito.
«Jona, perché fai questo? Non sembri nemmeno tu.»
«Come fai a dirlo? Noi non ci conosciamo così bene dopo tutto.»
Non era affatto vero. Sì, i momenti passati insieme si contavano sulle dita di una mano, ma erano stati intensi tanto da sembrare di esserci passata una vita di mezzo. Lei mi conosceva, aveva visto esattamente l'uomo che non riuscivo a mostrare a nessuno.
Ed io avevo visto la sua fragilità, quella che doveva nascondere per paura, di cosa?
Ecco, appunto. Quello spettava solo a Gonçalo saperlo.
«Sono esattamente quello che credevi io fossi. E tu non sei così santarellina come vuoi lasciar credere a tutti.»
Mi alzai portando entrambe le mani in tasca.
«Guardati, cosa ci fai qui dentro?» Feci cenno con il capo guardandomi intorno. «Non credo ti abbia costretta Llanos ad essere qui, non sei un ingenua, quindi...»
«Non dire cose che non sai!»
«Non lo faccio! Osservo ed elaboro.»
Se avesse potuto avrebbe imprecato con tutta l'aria che aveva in corpo.
«Devo molto a Gonçalo, lui è l'unica famiglia che mi rimane!»
La sua espressione era un concentrato di malinconia e rabbia, l'uomo cotto di lei avrebbe voluto stringerla tra le braccia, chiedendole di tacere e calmarsi.
Le avrebbe detto che ancora una volta aveva parlato senza ragionare e che se lei avesse voluto spiegare un giorno, lui l'avrebbe ascoltata.
Ma non ora, non questa sera. Jona doveva mettere un punto prima ancora di scrivere la parola inizio.
«Non voglio saperlo, non credo siano affari che riguardino il tuo diffamatore. Spero solo che la tua "famiglia" ti abbia accudita nel migliore dei modi, l'altra notte. Ora, se vuoi scusarmi...»
E non so se per quello che le avevo detto o per quello che ci era successo fin ad ora o solo perchè aveva voglia di sfogarsi, mi schiaffeggiò. Il rumore fu acuto tanto da far girare qualcuno degli ospiti, nessuno però ci diede peso più di tanto da quello che potevano sapere, lei sarebbe potuta essere la mia mistress.
E poteva sembrare assurda l'intimità profonda che provai in quel gesto, un gesto che non partì dalla ragione, istinto puro forte come un pugno ma con l'effetto di una carezza.
Le sorrisi massaggiandomi la guancia, per quella sera era tutto e andava bene così.
«Mi piacerebbe fotografarti di nuovo, un giorno o l'altro.»
La lascia lì incamminandomi con un sorriso stampato in faccia, potevo immaginarla dietro di me nera, con il fumo che le usciva dalle orecchie e i pugni stretti lungo le braccia.
Venerdì 13 luglio
Le riprese erano andate piuttosto bene anche perchè Arleen era riuscita a girare le scene in maniera impeccabile lasciando uscire il personaggio di Cloè e sfogandosi praticamente su Matthew.
Qualcosa non andava per il verso giusto, captai, e avrei voluto che per una volta lei si aprisse con me.
Così l'aspettai qualche ora dopo fuori la sua suite al Parco Dei Principi.
Quando la vidi arrivare fu sorpresa di trovarmi lì, eppure c'ero. Non l'avrei lasciata sola, non eravamo grandi amici ma eravamo la cosa che più ci si avvicinava.
Poteva anche lasciar credere agli altri di essere una donna emancipata tutto sesso e massaggi, ma lei era molto di più.
Una donna ferita con un trascorso non del tutto facile, ma questo me lo raccontò durante la serata.
Stretta tra le mie braccia dopo ore di chiacchiere e buon vino rosso, iniziai a comprendere molto di lei. Forte, caparbia e con un certo debole per Matthew.
Per un secondo una domanda mi passò nella testa, come mai i bastardi come lui e Llanos riuscivano ad avere sempre la meglio. Poi però mi concentrai su di lei, su quello che aveva da dirmi e l'ascoltai, quello ero bravo a farlo.
Pensai che ci fosse di sicuro un motivo, a parte il suo lavoro, per il quale Matthew stesse cercando di allontanarla.
Erano simili, loro due, come uno strano gioco di equilibri contrapposti.
Cercai di aprirle gli occhi non allontanandola però da quello che sapevo lei stesse provando, Matthew non era un uomo facile da "amare", ed Arleen era l'unica cosa che poteva farlo vacillare.
Le raccontai qualcosa di me, tralasciando i particolari le parlai di Marie e di come in qualche modo mi legasse a Llanos, le accennai di Kat e di come avessi chiuso con lei la sera precedente. Un messaggio scosse la nostra ritrovata quiete.
Gli occhi di Arleen erani impauriti e pieni di domande, non aveva idea del perchè le arrivassero quella specie di avvertimenti. Mi confermò che non era stato il primo e di come le sembrasse assurdo che coincidesse con il suo allontanamento da Matthew.
Un nome senza alcuna ragione mi venne in mente, quasi come se fosse il subconscio a suggerirmelo. Kevin Hilton. Scossi la testa, Dio solo sa perchè quell'uomo era tra i miei pensieri. Qualunque cosa fosse stata, io quella notte la mia Ari non l'avrei lasciata sola.
Sabato 14 luglio
La chiamata che avevo ricevuto di buon ora, fece si che mi allontanassi dalla camera di Arleen e dall'hotel.
Non potevo credere di essere stato chiamato a giudizio, evidentemente mi ero sbagliato pensando che Kat avrebbe ritirato la denuncia.
E se lo avesse fatto solo in virtù di quello che era successo qualche sera prima? Beh, era un colpo troppo basso, anche per lei.
Mi recai in tribunale con gli abiti del giorno precedente, infuriato per quella sgradevole sorpresa.
Il giudice mi stava aspettando insieme al mio avvocato e a quello di Kat ma di lei, nemmeno l'ombra.
«Signor Heart.» Il mio avvocato mi strinse la mano ed io feci lo stesso, visibilmente preoccupato.
«Finn, che succede?»
«Si rilassi, è solo la routine. Ora il giudice le farà delle domande e poi verrà rinviato il tutto.»
Non riuscivo a capire nulla, perchè gli avvocati girassero intorno alle questioni sarebbe restato sempre un mistero per me.
«Io non voglio rinviare un bel niente, questa questione si deve chiudere qua e poi come mai così presto?»
«Abbiamo solo accelerato i tempi, essendo lei un personaggio di un certo spessore.»
Mi passai una mano tra i capelli, il martelletto del giudice mi fece riportare i pensieri in aula, dato che in quegli attimi si erano spostati da Kat a Christopher.
«Signor Jonathan Heart, ai fini dell'art. 595 Codice Penale e articolo 52 , comma 2, lettera a; lei è chiamato a rispondere in giudizio per il reato di diffamazione nei confronti della Signora Katelyn Raynolds.»
Lo ascoltai parlare e confermai ogni accusa assecondando il volere del mio avvocato e quello di Kat.
«L'imputato ha la possibilità, data la collaborazione, di mettersi d'accordo col querelante per un risarcimento monetario. Qualora non ci fosse un accordo, la cifra o la condanna verranno elaborate dal tribunale. Con questo, dichiaro rimandata la causa.»
Uscii come un'animale, avrei voluto non aver fatto quelle foto, avrei pagato fino all'ultimo centesimo pur di chiudere una volta per tuttte quell'assurda storia, anche se quello avesse voluto dire rovinarmi.
Appoggiata al muro in pietra del tribunale, lei. In tutto il suo splendore, uno splendore che andava punito.
Non mi fermai continuai a camminare, non volevo parlarle né tanto meno ascoltarla.
Sarei imploso, tutto questo rasentava il ridicolo, la dilettante che gioca col fuoco senza nemmeno saperlo.
«Jona!»
«Lasciami in pace!» le urlai da dietro le mie spalle.
«Fermati immediatamente.»
Mi bloccai strattonandole un braccio. Ero incazzato nero e quella sua aria dispiaciuta e afflitta non migliorava la situazione.
«Tu non mi dai ordini, capito ragazzina? Sei venuta a controllare? Non temere, ti pagherò fino all'ultimo centesimo per qualcosa che non ho fatto, dopodichè non mi vedrai mai più. Siamo intesi?»
«Io non lo sapevo, mi ha chiamato il mio avvocato per avvertirmi e appena ho saputo sono venuta qua. Non voglio che tu paghi, non ho avuto il tempo di chiudere questa cosa.»
«Già, perchè eri impegnata con Llanos! Sai cosa ti dico Kat, io voglio pagare, voglio che tra noi non rimanga nessun conto in sospeso e adesso per favore...»
Ancora una volta cercai di lasciarla lì, ma fui invaso dalla schiera di fotografi che ormai come zanzare mi seguivano ovunque.
Non potevo dare scandalo, chissà quale storiella divertente avrebbero costruito su questa scena.
Dovevo trovate il modo di sviare quella situazione.
Venimmo travolto dalle domande, a cui Kat cercava di rispondere ma la fermai prima che potesse fare altri danni.
Dovetti uscire di scena con lei e la portai con me lasciando che mi seguisse in sella alla mia moto.
Ci immergemmo nella San Diego più trafficata di sempre. Front Street era impraticabile, macchine che strombazzavano e gente nervosa che imprecava tra una macchina e l'altra. Tutto questo a causa di un incidente.
Si vociferava di una ragazza maldestra in moto, sperai che non le fosse accaduto nulla di male e allo stesso tempo che le sarebbe servito di lezione.
Voltai il manubrio e percorrendo pochi metri in contro senso cambiai strada per raggiungere l'hotel.
Avevo spento il motore da qualche secondo ormai, Kat era ancora ben salda alla mia vita con la testa appoggiata alla mia spalla, rannicchiata ad occhi chiusi.
Sistemai lo specchietto, concedendomi il lusso di guardarla ancora.
«Scendi, Kat.»
Aprì i suoi occhioni belli, che riflettevano la luce del sole e di scatto mi mollò scendendo in maniera goffa dalla BMW.
Quella ragazza portava guai, lo avevo capito dal momento in cui mi era entrata istintivamente dentro.
Mi aveva intrigato sin da subito e questo avrebbe dovuto spaventarmi.
La lasciai andare senza aggiungere altro, come doveva essere. La vidi entrare nel momento esatto in cui una Veronika, visibilmente amareggiata e triste, uscì dall'hotel. Mi sarebbe piaciuto poterla aiutare, lasciarla parlare ma decisi che per una volta non erano affari miei, io non ero il buon pastore, avrei fatto invece qualcosa per aiutare me stesso per una volta.
Parcheggia la moto ed entrai nella struttura.
Notai Kaylee e Ryan parlare animatamente, da lontano la loro aurea si poteva sentire, immaginavo già di cosa stessero parlando.
Kaylee mi aveva accennato di quello che era accaduto con Veronika e di quanto le cose si stessero complicando un po' per tutti.
Ci scambiammo uno sguardo di sottecchi, avevamo entrambi qualcosa in sospeso di cui parlare e le avrei dovuto dire che io sarei sceso dalla giostra.
Girai alla mia sinistra seguendo le frecce della direzione, strada che ormai conoscevo a memoria.
Percorsi l'intero corridoio sino all'ascensore, volevo parlare con Llanos, gli avrei dato esattamente quello che voleva, carta bianca.
Mi stavo mettendo in discussione, mi stavo prendendo le miei responsabilità anche se questo significava soffocare i miei desideri e le mie necessità.
Le porte si aprirono e una Iris fresca e spensierata apparve all'intero.
Le cuffiette alle orecchie e le braccia incrociate dietro la schiena, canticchiava muovendosi da destra a sinistra coi fianchi.
Le sorrisi, era veramente buffa, in maniera piacevole.
«Buondì fotografo.»
Non uscì, rimase lì dentro ed io senza indugiare pigiai il numero del piano.
«Già, buondì.»
«Tutto bene?!» mi chiese poggiandomi la mano stranamente fredda sulla spalla.
«Direi benissimo.»
Il mio sarcasmo era trasparente.
In poco tempo le porte si aprirono e arrivai al piano interessato.
«Che fai, scendi con me?»
Notando dove ero diretto scosse la testa.
«Ci vediamo domani per quegli scatti, Iris, vedi di esserci, ho promesso al regista che lo avremmo fatto impazzire.»
Le lasciai il mio bigliettino con l'indirizzo di casa mia, avremmo lavorato a modo mio per una volta.
Mi incamminai verso la direzione, convinto di voler mettere fine al sortilegio amoroso di quella donna, mi sarei risvegliato.
Sperai che i nervi non mi giocassero brutti scherzi e che non avrei dato modo all'impulso di prendere il sopravvento. Mantenni il mio aplomb ma ci misi un istante a cedere.
Svoltai l'angolo e come un eco da dietro le mie spalle e contemporaneamente alla mia voce, Llanos ed io pronunciammo quel nome: Marie!
Ancora una volta non ci sarebbe stata tregua tra me e il farabutto.
Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top