Jona. Relax
Giovedì 28 giugno
Il caldo notturno in quei giorni mi rendeva irritabile. Per non parlare della pressione che sentivo, non solo per la mostra ma per quel Christopher che mi stava col fiato sul collo.
Non avevo presentato le mie foto a nessuna agenzia in vita mia e ora che i miei lavori iniziavano ad essere pubblici venivo contattato per qualsiasi cosa.
Avevo letto giusto le prime due righe della mail che mi aveva mandato. Un film. Non sapevo nemmeno di cosa trattasse, a me non interessava quel genere di lavori.
Ero da ore davanti al pc ad organizzare i vari punti con la coordinatrice dell'evento di domenica. Mi sembrava di non venirne mai a capo.
Volevo una disposizione ben precisa dei mie scatti, per me avevano senso solo in quel modo. Non me ne fregava un cazzo delle luci, degli spazi, oppure che il direttore volesse diversamente.
Più chiaro di così non avrei saputo scriverlo, eppure eravamo sempre allo stesso punto.
Non avrei accettato compromessi; se volevano me, avrebbero dovuto prendersi le mie condizioni. Era il San Diego Museum of Art, un’occasione irripetibile.
Dopo l'ennesima risposta negativa, staccai il MacBook, mi fiondai in auto ed andai a bere.
«Una birra scura...»
«...doppio malto e gradazione alta, scommetto.» Si voltò, col suo sorriso smagliante. Stringemmo l'uno la mano dell'altro, facendo risuonare un forte schiocco.
«Amico, è da un po' che non ti si vede da queste parti, problemi?»
«Il lavoro...»
Si poggiò al bancone, era davvero un bell'uomo dai lineamenti marcati, moro, riccioli scompigliati, alto. Quello che tutte vogliono. E lui non se ne lasciava sfuggire nessuna.
«E cosa ti sta snervando di più, l'evento al SDMA, il regista...?»
Non mi andava di discuterne, stavo sprecando tutte le mie energie e il mio tempo a parlare del mio lavoro. Ma dove ero finito? Le mie foto erano improvvisazioni della vita quotidiana. Questa dannata ossessione di programmare tutto, perchè gli altri lo necessitavano, mi stava spegnendo.
Lo guardai storto e un po' stizzito. Alzò le mani.
«Ok, ok. Ho capito. Ti lascio bere, questa la offre la casa.»
«Grazie Matthew!»
Mi voltò le spalle ed io diedi un lungo sorso alla mia Dragon Pale. Avevo bisogno dannatamente di un diversivo.
E il volantino che faceva da sotto bicchiere alla mia birra me lo stava offrendo.
«Questo?»
Matthew si voltò nuovamente verso di me, non prima di aver riposto la bottiglia di Cointreau sullo scaffale.
«Ah, quello? Prima è venuta una ragazza, voleva lasciarmi credere che non fosse suo.»
«E tu come l'hai beccata? Lascia perdere, le avrai fatto uno dei tuoi giochetti.»
«Senti perchè non la chiami, sta ancora distribuendo quei cosi, non credo abbia l'agenda piena.»
Continuai a tracannare birra, ascoltando i suoi consigli da amico misti a Latin Lover.
«È una gran bella ragazza.»
Si avvicinò al mio volto calcando la parola gran, come se volesse intendere che avremmo potuto quasi sicuramente fare roba.
«Non me la devo mica portare a letto!»
«Volevi o no una distrazione? È bella, giovane e massaggiatrice. Vedila così; mal che vada ti sarai rilassato prima della mostra e chissà che non possa ispirare qualche tuo scatto. Maestro.»
Era un gran figlio di una buona donna, Matt. E mi convinse.
Digitai il numero stampato sul volantino, fu questione di pochi minuti. Una voce dolce e sottile traspariva dall'altro capo del telefono.
Molto probabilmente mi stavo mettendo nelle mani di una ragazzina. Ma non aveva importanza, avevo bisogno di tempo per me e un po' di relax. Le lasciai l'indirizzo, ci saremmo visti l’indomani alle 8.30.
Venerdi 29 giugno
«Un momento!»
Mi trascinai fuori dal letto, guardai il polso ma non avevo l'orologio, ero praticamente in mutande.
«Chi è!» sbraitai aprendo la porta. Una donna dalla chioma ramata tirata in una morbida treccia mi dava le spalle.
«Arleen?!»
Quando i suoi occhi azzurri si incrociarono ai miei, i muscoli anchilosati del mio viso iniziarono a darmi degli impulsi e non solo quelli.
Il mio membro era turgido, anche troppo per essere solo uno che era appena sceso dal letto.
«Signor Heart. Stavo andando via, mi scusi non volevo disturbare. Si dev'essere appena alzato.»
Aveva gli occhi fissi sulle mie mutande e non provava vergogna, anzi. Spalancai la porta mettendomi da un lato, invitandola ad entrare. Certo che si era appena alzato e non voleva proprio saperne di stare giù.
Ero imbarazzato? Non ero mai imbarazzato.
Rise tra i denti, si stava beffando di me. Il mio uccello ebbe un fremito. Cazzo, Jona, dovresti fare più sesso, pensai.
«Accomodati pure nel mio studio, lì in fondo.»
La lasciai camminare poi sparii dietro la sua schiena, infilandomi in bagno. Uscii qualche minuto dopo, leggermente più presentabile e con l'alito fresco.
La trovai in piedi ad osservare gli scatti alla parete. Aveva un corpo esile ma pieno nei punti giusti; aveva coperto i suoi abiti indossando un camice bianco striminzito dalle maniche corte.
Per un attimo, i pensieri mi portarono ad immaginarla nuda lì sotto. Il suo sedere era rotondo e sodo ed al contrario della maggior parte delle donne, qui a San Diego, la sua pelle non era molto abbronzata.
«Queste sono sue?»
Non sembrava disgustata dai miei scatti, al contrario. Aveva gli occhi curiosi e il sorriso sulle labbra.
«Sì. Spero non ti creino imbarazzo e... sono Jona.»
«Imbarazzo, non mi conosci. E comunque, Jona, le trovo profonde.»
Il modo in cui calcò quella parola mi fece trasalire. La sua voce era sottile e suadente, come se ogni parola pronunciata potesse avvolgerti.
Fissai quelle labbra ed ebbi il pressante desiderio di assaggiarle.
Probabilmente ero solo frustrato e stanco. E il mio amico li sotto ne sapeva qualcosa. Vedevo donne nude, vogliose, regalarsi orgasmi davanti ai miei occhi e non mi concedevo mai un premio.
«Stenditi.»
Sembrava quasi un ordine. Fece qualche passo in avanti e mi ritrovai appoggiato al lettino.
Sapeva il fatto suo, la massaggiatrice. Arleen era una a cui piaceva prendere l'iniziativa e questo trapelava in ogni suo gesto.
«Rilassati.»
Ancora un ordine.
Prese appena un po' d'olio e lo scaldò tra le mani, in modo da rendere il suo tocco più fluido.
Poggiò le mani gelide sulle ossa coccigee, aveva un tocco delicato e fermo. La pressione delle sue esili dita era leggera, alternata a movimenti profondi.
La fonte della mia distrazione mi stava portando a pensieri pericolosi, pregai Dio che il mio membro non rispondesse a quei richiami. Cosa stava facendo, quello non era un semplice massaggio! C'era sesso in ogni fibra della sua mano e potevo percepirlo.
«E da tanto che lì fai? I massaggi intendo.»
«Studio medicina e no.. ma è una lunga storia non vuoi veramente sentirla.»
No, probabilmente non me ne fregava nulla dei suoi studi in medicina, ma volevo sentirla parlare ancora. Mi strinse i muscoli risalendo la schiena sino alla spalle. Abbassò leggermente il suo busto su di me, sfiorandomi involontariamente col suo seno.
Arleen avrebbe dovuto smetterla prima di rendere il tutto pericoloso.
Le mani salirono, ripetendo i movimenti in maniera troppo meccanica, mentre io pensavo solo a quanto sarebbero meravigliose avvolte intorno alla mia asta.
Respirai profondamente, tentando di distrarmi con qualche altra domanda. «Riservi a tutti lo stesso trattamento?»
«Sei il primo.»
Quella confessione alquanto spudorata mi fece gemere. Pensai a quante interessanti possibilità avrebbe potuto comportare questa situazione. Forse ero pazzo ma c'era dell'eros in quello che mi stava facendo.
Decisi che se mi volevo almeno un po' di bene dovevo smettere di parlarle, e le lasciai terminare il suo massaggio.
Ma non bastò. Ogni filamento del suo corpo vibrava al contatto col mio. Anche l'aria sembrava carezzarmi, come se mi stesse masturbando con una lentezza maniacale.
Aspettai che passassero i minuti. Quella mattina stavo dando proprio il peggio dei miei pensieri. Avrei voluto tuffarmi tra quelle gambe lisce e omogenee, mi sarei aggrappato al suo corpo e al suo calore.
Il suono del cellulare mi destò da quei pensieri.
«Permetti?»
«Certo, abbiamo comunque finito.»
Probabilmente era solo stata una mia sensazione, ma il fatto di averla fermata l'aveva irritata in qualche modo. E il fatto di aver finito il tutto con dieci minuti di anticipo mi sapeva di punizione.
Risposi, chiedendo di attendere all’uomo dall'altra parte del telefono.
Non volevo che andasse via proprio ora, dovevo trovare il modo di farla restare ancora per un po' o per lo meno di farla tornare.
«Allora questo è quanto mi devi» disse mostrandomi un listino prezzi abbozzato.
«Facciamo che ti pago domani, stessa ora?»
«Ho già un impegno.»
«Ti pago il doppio.»
Mi tese la mano. «Affare fatto.»
Sabato 30 giugno
Lei era stata qui di nuovo. Quelle mani, la sua voce, i capelli legati.
Per qualche assurdo motivo sentivo che avevamo un feeling mentale perverso. Lei era molto di più di quello che voleva lasciar credere.
Mi guardai allo specchio della sala da bagno e spinsi l'immaginazione oltre quei minuti passati con lei in studio.
Ero nudo e oliato. Chiusi gli occhi, solo il rumore dell'acqua a farmi compagnia. Le mie mani viaggiarono, come se fossero le sue, alla ricerca del mio membro. Era duro, pieno ed io avevo un gran bisogno di tornare alla normalità.
Il mio tocco era molto più irruente, ma nella mia testa potevo sentire benissimo la voce della bella Arleen.
...Jona rilassati... non essere così rigido... hai delle belle spalle... La sua risata era sexy oltremodo... so come scioglierti...
E si muoveva disegnando sulla mia pelle, dal basso verso l'altro, proprio come stava facendo la mia mano.
Con la libera giocavo coi miei testicoli, sicuro che se ci fosse stata lei non me lo avrebbe mai permesso.
Mi graffiai involontariamente, mentre davo ancora più ritmo lasciando uscire il prepuzio dal suo guscio. Mi spinsi al limite, provando a immaginare la sensazione delle sue unghie nella mia carne pulsante.
La mia mano continuava a sbattere sul mio pube alla conclusione di ogni vorace movimento, ero giunto all'apice del piacere.
Poggiai una mano sul lavabo e mi piegai in avanti, i lineamenti del suo volto divennero più vividi nella mia testa. Pensai alla mia mano avvolta nelle radici cenere e la sua bocca dischiusa per me. E venni. Le gambe tremanti e fiotti di liquido denso sulla mia mano e lì per terra. Mi sentivo bene ma non benissimo.
Col membro ancora semi eretto, presi il cellulare e scattai. Quel momento andava immortalato, questa era la sensazione che dovevo ricordare quando avrei pensato alla mia massaggiatrice.
"Posso venire martedì" mi aveva confermato nel suo ultimo sms Arleen. Ma io a quelle sue frasi a doppio senso non avrei resistito. E venni subito.
Mi infilai sotto la doccia e lasciai scorrere l'acqua tra i capelli. Era la vigilia di un giorno importante per la mia carriera ed ora potevo dirmi rilassato.
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