Jona. Indipendence day
Lunedi 2 luglio
Kat, Kat, Kat. Che diavolo avevamo combinato.
Avevo bevuto così tanto che la notte precedente era sfocata nei miei ricordi. Ogni cosa che credevo di ricordare, non sapevo se l'avevo realmente vissuta.
Com'era possibile che non ricordassi nitidamente i suoi occhi su di me o le mie mani sul suo corpo?
Io non ero un pervertito, Kat non mi conosceva affatto, e il solo fatto che lo credesse mi mandava in tilt. Le avrei preparato la colazione, le avrei parlato e chiesto scusa se fosse stato necessario.
Tornai da lei ma il suono del campanello mi portò qualche passo indietro. Uno Llanos nervoso, affannato e dalla fronte leggermente umida, era impalato sull'uscio di casa mia. Le sue domande partirono a raffica seguite dalle sue mani intorno al mio collo.
Lo conoscevo da qualche anno, avevo svolto dei servizi "privati" per lui, ma non ci eravamo mai piaciuti molto.
Lo ricordavo un uomo introverso, un po' scontroso e sopra le righe ma di lì a un irruzione in casa, per una donna poi, c'è ne voleva.
Tentati di fermarlo ma fu più veloce di me. Fui sorpreso quanto lui di non trovare Kat in camera da letto e solo in quel momento realizzai che probabilmente sarebbe potuta essere la sua donna.
Ero confuso, stanco e avevo un mal di testa inimmaginabile. Dopo l'ultima minaccia di Gonzalo lo avvicinai all'uscita tenendogli la porta spalancata. In quello stesso istante una piccola e formosa donna si fece spazio in casa mia.
Sembrava una sottospecie di segretaria sexy, era graziosa ma non sapeva di esserlo, aveva gli occhi nascosti dietro quegli occhiali dalla montatura in osso doppio e i capelli troppo legati in maniera impeccabile per una donna della sua età.
«Niente testimoni di geova.»
«Ma in verità io non...»
«Allora niente pubblicità, né offerte, né dichiarazioni, non mi interessa nulla» apostrofai disturbato dalla sua presenza, chiudendole la porta in faccia.
Non passò molto prima che il suo dito si incollasse al campanello. Cercai di non farci caso ma il mal di testa era troppo fitto per poter eclissare quel suono.
«Insomma, cosa vuole!»
«Sono Marguerite, la segretaria personale di Christopher Roberts. Il regista la sta aspettando per i casting, ora se mi fa strada verso il suo armadio le trovo qualcosa da mettersi e poi, ovviamente dopo essersi dato una giusta rinfrescata, raggiungeremo l'hotel Parco dei principi.»
Ci fu qualche attimo di silenzio, prima che la mia risata partisse senza controllo.
«Sei reale?»
Solo allora la vidi arrossire, io ero ancora in mutande e lei lì a darmi ordini.
«Nessuno mi dice cosa fare, Marguerite.» Mi avvicinai di qualche passo e lei in risposta indietreggiò.
Dovevo lavorare per Chris, oramai la cosa era stata ufficializzata e avrei dovuto farlo nell'hotel di Llanos. Ero in trappola, ma la cosa l'avrei sfruttata a mio vantaggio per una volta.
«Lavorerò per il tuo capo ma alle mie regole, me lo deve.»
Lei strinse i denti, cercando di non contraddirmi.
«A tempo debito soddisferai le mie richieste.»
«Perchè dovrei farlo?»
Non le risposi, sapevo esattamente come avrei fatto a potare la bella Marguerite dalla mia parte.
Un'ora dopo, un Christopher ammaccato parlava con una giovane ragazza nella biblioteca al Parco dei Principi. Avevo un ghigno soddisfatto sulla faccia, non che godessi nel vedere gli altri soffrire, ma il Karma mi aveva dato una grande mano.
Fosse fu quello a far sì che il servizio con la giovane studentessa risultasse gratificante.
Mi disse di chiamarsi Iris, arcobaleno. Lo stesso che la fotocamera riusciva a catturare.
La fragilità apparente della sua persona veniva velata dalla forza che sprigionava il suo sguardo. Come se avesse tante cose da dire ma fosse frenata dalla paura di spezzarsi da un momento all'altro.
La nostra ora era quasi finita e Chris era lì sulla porta a ricordarcelo. I suoi occhi seguivano i movimenti di Iris con costanza e se il fiuto non mi ingannava quell'uomo ne era attratto.
Approfittai della situazione per confermare la mia tesi. Presi per mano la ragazza con compostezza per condurla sullo sfondo per l'ultimo scatto, lei si guardò intorno improvvisando una posa e indossando un sorriso meraviglioso, che avrebbe incantato chiunque.
«Ok Heart, portami le foto appena pronte.»
La sua voce fuori campo spezzò l'atmosfera. Colpito signor regista.
Baciai la mano della piccola Iris. «È stato un piacere.» Poi la lasciai andare.
Raccolsi le miei cose e ammiccai a Chris - a buon intenditore - poi lasciai la location. Il primo giorno di lavoro mi aveva portato risvolti positivi.
Martedì 3 luglio
Aspettai con ansia quell'appuntamento rimandato con Arleen quella mattina.
La tensione di quel fine settimana andava sciolta e quella sessuale, tra me e lei, allentata.
La accolsi in biancheria intima, in modo di utilizzare tutto il tempo a nostra disposizione.
Un Arleen fintamente distaccata fece ingresso nel mio appartamento.
Evitò il mio sguardo cercando di mantenersi sul professionale, non riuscivo a sopportarlo.
Lei era attratta da me almeno quanto io lo ero di lei.
Non ero un uomo che la mandava a dire e cercai di trattenere i miei pensieri fin quando mi fu possibile.
Era strano come sino ad allora i massaggi per me erano risultati esattamente fonte del proprio scopo. Ma con Arleen era tutto diverso. Anche se lei non riusciva a sentirlo tra noi c'era chimica e involontariamente le sue mani mi trasmettevano i suoi desideri inconsci.
Le chiesi di non smettere e lei non lo fece, passò una mano sui miei addominali bassi fino ad arrivare alla mia protuberanza, per poi lasciarmi a bocca asciutta.
Quando rifece tutto il percorso a ritroso, soffermandosi sulla V all'altezza dell'inguine, i miei occhi si strinsero per un istante; l'omogeneità di Kat si fece largo tra i miei pensieri, i suoi capelli sciolti sul mio addome e il suo sorriso rivolto verso me, scossi la testa lasciando quell'immagine troppo vivida.
«...non pensavo fossi così disperato!»
Scattai a sedere, avevo lottato con troppe persone in quei giorni e decisi di essere chiaro con lei, dicendole esattamente cosa desideravo.
Seguì un rifiuto, con l'assurda conseguenza di annullare ogni nostro futuro appuntamento.
«Non mi piacciono gli uomini!» disse raccogliendo i soldi sul tavolo e senza riflettere le chiesi se fosse omosessuale.
Restai basito delle mie stesse parole, vidi la porta chiudersi senza risposta. Ero stato un idiota, troppo impulsivo, troppo diretto e schietto.
Lei aveva la capacità di farmi perdere la lucidità e sciogliermi la lingua più del solito.
Ormai la corda era troppo tesa. Ma come mi era passato per la testa?!Lesbica! Avrei saputo riconoscerne una da chilometri per quante ne avevo fotografate!
Sbattei ripetutamente la mano sul tavolo amareggiato, incazzato nero e con il forte volere di redimermi.
Il pomeriggio lo dedicai al lavoro intenso. Charlotte era venuta per il suo terzo servizio, lavorava per un club esclusivo e le sue foto dovevano essere rinnovate stagionalmente. Era inverosimile la somiglianza con la regina del porno Tera Patrick, soda, piena e vogliosa. Sempre.
«Cambiati che abbiamo finito.»
Risposi al cellullare che non la smetteva di squillare da circa un'ora.
«Heart, sono Marguerite. Ti volevo informare che sarai a cena a casa dell'autrice...»
«No, non ci sarò!»
«Forse non ti è chiaro che Chris...»
«Forse non è chiaro a te che non devi darmi ordini, io non sono una vostra proprietà. Dì al tuo Christopher che sa dove può ficcarsi la sua cena!»
Mi voltai e alle mie spalle Charlotte era poggiata allo stipite della porta, slip e maglietta, quella maglietta, e un dito fra le labbra.
«Problemi in paradiso?»
La superai.
«Togli quella maglietta!»
Lo fece e mi si parò davanti.
«Charlotte ti prego.»
Bloccò il mio passaggio, era esattamente quello che avrebbe potuto distrarmi da questi giorni infernali.
«Sai che posso distrarti dai tuoi pensieri.»
Tentò di aggrapparsi al mio collo ma la fermai, bloccandola per i polsi.
«Non è il caso.»
«Cosa c'è fotografo, nessuna donna ti ha mai fermato.»
Mi poggiò le mani sulle spalle facendo pressione con le dita per sporgersi.
Il suo profumo troppo dolce si insinuò nelle mie narici, ne avevo bisogno ma non era lei che volevo.
«Non c'è nessuna donna!»
Staccai le sue mani dal mio collo e la lasciai lì nello studio.
Qualche ora dopo ero al bar dove lavorava Matthew ma lui non era ancora lì.
«Quello che numero è?»
La sua voce mi arrivò alle spalle.
«Ehi Matt, dov'eri finito?»
«Ho spostato il mio turno, una lunga storia.» Si rivolse alla biondina al bancone con un gesto che lei captò al volo. «Dammi una pinta.»
«Allora, quante donzelle hai fatto piangere stasera?»
«Soltanto una» disse sorridendo. «Tu sei più bravo di me, Jona.»
Alzò nuovamente lo sguardo portandolo verso il rumore di una bottiglia rotta.
«E mi sa che la biondina laggiù sarà la seconda. Se vuoi scusarmi vado, prima che mi sfasci il bar.»
Ritornai composto, e notati il suo smatphone sul bancone.
Mi alzai per portargielo e in quel preciso istante mi vibrò nelle mani e un pop-up di Arleen, mi richiamò all'attenzione.
Non potevo e non dovevo leggere tutto il messaggio. Mi convinsi che non erano affari miei e soprattutto che se non volevo essere scoperto, dovevo stare al mio posto.
Grazie del passaggio...
Quindi erano stati insieme, ecco cosa impediva Arleen di lasciarsi andare. Matt non andava bene per lei, era un mio amico, gli volevo bene ma non era adatto per una donna così. Lui l'avrebbe sopraffatta. Ma chi ero io per decidere?
Lo avrebbe fatto lei, vidi la mia opportunità e la colsi.
Ancora col cellulare tra le mani, raggiunsi la rubrica arrivando al suo contattato, sapevo che Matt avrebbe salvato il suo indirizzo e lo memorizzai mentalmente.
Portai l'oggetto al suo padrone e decisi che l'indomani avrei iniziato la mia partita a scacchi. Prima mossa.
Mercoledì 4 luglio
Con le strade trafficate e la folla di gente in giro per la festa dell'indipendenza, fu un impresa arrivare quasi dall'altra parte della città.
Stando ai dati di Matthew, il palazzo doveva essere esattamente quello che avevo di fronte. Ma realizzai che il suo cognome non era sul citofono. Bussai un po' a tutti chiedendo di una massaggiatrice e facendo il suo nome. Un signore anziano scorbutico mi indicò l'interno, chiedendomi se in cambio le avrei fatto una bella strigliata.
Salii al piano e fu proprio lei ad aprirmi.
Aveva l'aria incredula e stupita.
«Che ci fa lei qui? È uno stalker per caso?»
«Ancora con il lei? Allora posso ritenermi un suo cliente di nuovo.»
«No, solo un estraneo fastidioso a casa mia» ribattè cercando di chiudere la porta. La trattenni con un piede ed entrai senza essere invitato.
«Sei sola?»
«Perché, vuoi uccidermi?»
Sorrisi, adoravo il suo sarcasmo, aveva sempre la risposta pronta. E questo mi faceva impazzire.
«Volevo restituiti questa.»
«Tutta questa strada per una maglietta?» chiese chiudendo la porta.
«Non ce ne era bisogno, è il 4 luglio, non dovresti essere da qualche parte a festeggiare, a fotografare o che so io?!»
«Sono qui per farti le mie scuse.»
Si avvicinò lentamente sogghignando. Era adorabile struccata e con i capelli scompigliati.
«E dimmi cosa dovresti farti perdonare, la tua insolenza? Il tuo problema con l'omofobia? Il tuo uccello che non vuole stare nei pantaloni?»
«Non sono omofobo e tu non sei lesbica e non se ne è accorto solo lui.» Le indicai con gli occhi il mio amico laggiù che stava cominciando a farsi sentire.
«Come fai ad esserne così sicuro? Potrei saperlo mascherare bene.»
La sua mano tamburellò sulla consolle a richiamarmi, una cornice dai contorni agentei mostrava un foto di un bacio passionale tra lei ed un'altra donna.
Non avrebbe mai vinto con me quella messa in scena.
«Dimentichi chi sono, Arleen.»
«Ah già, cosa vuoi esattamente da me? Perché mi giri così tanto intorno, non riesci a procurati qualcuna, fotografo?»
Lei mi mandava in confusione. Il suoi occhi e il suo corpo mi chiedevano di essere posseduti ma il suo atteggiamento, le sue fredde parole mi tenevano a debita distanza. Poggiai quello che le apparteneva lì, sulla sedia del grande tavolo in salone.
«Non ti disturberò più, Arleen.»
Carezzai il suo volto e per la prima volta sentii sotto le mie dita la sua pelle setosa.
Arleen non si sarebbe mai lasciata amare, la sua anima morbida era un seme, chiuso in una matrioska di cemento.
Chiuse per un attimo gli occhi sospirando con leggerezza ma quando li riaprì qualcosa era cambiato.
Mi portai via conservando quello sguardo ma la sua voce mi raggiunse.
«Fermati!»
Non era una richiesta era un ordine. I miei piedi si bloccarono automaticamente.
E lasciai che il felino sprigionato da quell'esile corpo mi guidasse.
Non seguì un non farlo, ma un semplice voltati.
Ed io eseguii senza battere ciglio.
Ci scontrammo con lo sguardo e ne fui quasi intimidito. Volevo mi chiedesse di restare, volevo che lottassimo nudi in un incontro di corpi passionali e desiderosi, volevo lei. Ma fu lei ad avermi.
Con la sua finta aria ingenua e il suo vestito leggero si avvicinò, sembrava una dolce ragazzina intenta a combinare qualche guaio ma brava a nasconderlo.
«Smettila di guardarmi in quel modo. Baciami!»
Non desideravo altro ma furono le sue labbra a incollarsi alle mie, che lasciai schiudere senza problemi.
La sua lingua si insinuò violenta nella mia bocca, giocava alternando i suoi denti a un risucchio spudorato.
Non c'era nulla di pulito in quel bacio e mi piaceva.
Faci un passo in più schiacciandomi al suo corpo, il mio sesso era già pronto nei pantaloni e volevo che lei lo sapesse. La sua mano si allungò, sfiorando con un labile tocco delle dita il mio membro per poi risalire lentamente lungo il torace sino ad appigliarsi alla nuca.
Voleva farmi morire, il mio controllo stava andando a farai benedire mentre il suo era perfettamente integro.
Mi trascino a sé, indietreggiando seguii i suoi passi e in pochi istanti mi ritrovai con la schiena attaccata al legno del tavolo.
«Non muoverti.»
Mi stava facendo tutto quello che avrei voluto farle. Ad Arleen piaceva giocare e sarei stato al suo gioco. Tutto pur di unirmi a lei.
«Come vuole, padrona.»
Marcai l'ultima parola, notando che i suoi enormi occhi luminosi si spalancano.
Voleva dettare le regole ed io glielo avrei lasciato fare.
Qualcosa scattò in lei, non ci volle molto prima che la vedessi scendere su di me. Mi ritrovai privo dei pantaloni e con il pene caldo e marmoreo avvolto nella sua fredda mano.
Avrei voluto toccarla anche io ma non me lo avrebbe permesso e io non avrei osato.
Mi sarebbe bastato un solo movimento deciso per vederla piegata sotto di me ed invece lasciai che conducesse questo viaggio di sensazioni.
La sua mano esperta massaggiava la mia imponente asta, lentamente, poi sempre più veloce.
Il suo andirivieni mi stava lacerando, le venuzze marcate pulsavano senza sosta e pregai che la sua testa calasse tra le mie gambe.
E come se non avessimo bisogno di parole lei si protese, alitò avvicinandosi al mio inguine e poi con lo sguardo beffardo si tirò indietro.
Cazzo! Non ebbi nemmeno il tempo di prenderla per il collo, lei era il gatto ed io avrei dovuto aspettare la mia sorte come un piccolo, stupido topolino.
Mi spinse nuovamente a distendermi, non ero esattamente comodo ma la lasciai continuare, volevo vedere se era brava almeno quanto me.
«Dammi la macchina.»
Ancora un ordine, acconsentii ancora. Sapeva che ne portavo sempre una con me, e doveva essere sua.
«Prendila.»
«Non dirmi quello che devo fare signor Heart!»
Da finto agnellino a iena. Mi stava facendo impazzire, doveva essere mia. La vidi abbassarsi ancora una volta alla ricerca della mia Lumix, poi mi obbligò a denudarmi, niente di più facile per me.
Inizio a scattare, il bottoncino tenuto un po' più forte passo alla modalità multiscatto, sorrisi e scossi la testa.
«Ti prendi gioco di me?! Non è così che fai, ridicole foto di donne che non potrai avere?»
«Forse non le voglio, no?»
«Tutti vogliono qualcosa, Heart.»
Si mosse procace girandomi intorno e lasciando cadere ad uno ad uno i suoi indumenti in modo lento e meravigliosamente provocante.
Aveva ragione, tutti vogliono qualcosa e io volevo lei.
«E se fossero loro a volere me?»
Era esattamente quella la verità, ero stato con alcune delle donne che avevano ispirato le mie foto ma solo perché loro lo credevano consequenziale ed io le accontentavo.
Non che mi dispiacesse ma sulla punta delle dita potevo contare le donne che avevo adorato amare.
E Arleen doveva essere una di quelle che ti fanno perdere il senno.
Quasi indispettita, la vidi allontanarsi da me, mi donò la schiena, le sue curve sinuose si materializzarono nei miei occhi, l'attrazione si tramutò in desiderio carnale. Mi misi dritto e la raggiunsi tenendola per un braccio.
«Io non sono come loro, tu non potresti darmi nulla di cui ho bisogno, puoi anche andare.»
Sospirai lasciando la sua pelle morbida.
«È questo quello che vuoi, Arleen?»
E il suo viso disse tutto quando si voltò rivolgendomi nuovamente l’attenzione.
Non riusciva a credere ai suoi occhi e nemmeno io, piegato in ginocchio con la testa bassa, le braccia avvolte intorno alle sue gambe, completamente nudo alla sua mercé.
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