Iris. Principessa
Abitavo in California già da cinque anni.
Ero fuggita dal mio paese al compiere della maggiore età, avevo perso i miei genitori all'età di quattordici anni. All'improvviso mi ero ritrovata sola e con un patrimonio vastissimo. Ricordo ancora come al funerale dei miei genitori eravamo solo io, il prete, e qualche collega di mio padre. Mia madre era russa, non avevo mai saputo nulla delle sue origini, mi aveva sempre detto che il suo non era un mondo fatto di rose e fiori. Aveva conosciuto mio padre ed in seguito avevano costruito la loro famiglia. Fu proprio un collega di mio padre, dopo il loro funerale, a portami in un convento. I miei genitori avevano preventivato tutto, a partire dal convento dove avrei dovuto stare fino alla maggiore età, e il patrimonio che avrei acquisito dopo il mio diploma. Era come se sapessero che mi avrebbero abbandonato prima del tempo. Terminato il liceo presi tutto quello che mi spettava, vendetti tutti gli immobili di mio padre e scomparvi.
Iris Aurora Maria Belvento a Napoli non esisteva più. Qui in California ero semplicemente Iris. Non avrei mai dimenticato le mie origini, sognavo un giorno di tornare a Napoli, così come non avrei mai dimenticato il significato del mio nome. Ogni notte sognavo le parole della buonanotte di mio padre.
«Papà, perché ho tre nomi?»
Ogni sera mi sorrideva dolcemente a questa domanda e sedendosi accanto a me mi raccontava il perché di quel nome, che per me era così particolare. La sua spiegazione diventava ogni sera la mia favola della buonanotte.
«Bambina mia, tu sei il nostro piccolo gioiello. Quando sei nata non avevamo ancora pensato al tuo nome, ma quando ti abbiamo visto non abbiamo avuto dubbi. "Iris" significa arcobaleno. Tu piccolina sei stata il nostro arcobaleno dopo anni di tempesta. "Aurora" perché sei la nostra luce. "Maria" è molto semplice; oltre ad essere il nome della madre di Gesù, come tu sai, deriva dall'ebraico Maryàm e significa principessa. Tu sei la nostra principessa. Iris Aurora Maria, da grande trova un uomo che ti tratti come una principessa. Promettimelo.»
«Te lo prometto papà.»
«Un uomo che sappia apprezzarti per quello che sei, e che ti ami più della sua stessa vita. Oltre alla sua principessa devi essere la sua luce e il suo arcobaleno nei giorni di tempesta. Trova quest’uomo, Iris, e sarai felice, ed anche io e la mamma saremo felici per te piccolina.»
Ogni sera mi chiedeva di promettergli di trovare un uomo che mi trattasse da principessa. Ed io quell'uomo credevo di averlo trovato qui in California.
Eravamo a fine giugno ed ero impegnata nella tanto temuta sessione estiva. Studiavo giurisprudenza e sognavo di diventare un giorno un grande avvocato.
Uscii dalla facoltà alle sette del pomeriggio, pronta per andare a casa, quando sentì una voce chiamarmi.
«Iris, fermati un attimo.»
Riconobbi subito la voce, era Trevor, un ragazzo che mi andava dietro sin dal primo anno. Con la coda dell'occhio vidi anche la Mercedes nera che mi aspettava come ogni giorno. Mi dispiaceva per Trevor, ma non mi sarei beccata una punizione per lui. Feci finta di non sentire la sua voce e mi fiondai in auto, sedendomi e salutando lui.
«Buongiorno bimba.»
«Buongiorno.»
Dopo venti minuti arrivammo nella sua villa. Entrammo in casa e mandò via la domestica. Quando c'ero io in casa dovevamo essere solo io e lui, e questo accadeva sempre. Nessuno doveva sapere quello che facevamo. Ci sedemmo a tavola, e io presi posto sedendomi decentemente. Spalle dritte e posizione composta - non so quante bacchettate i primi tempi avevo ricevuto per essermi seduta come una poco di buono.
«Cosa hai fatto oggi Iris?»
«Ho passato il tempo in biblioteca a studiare economia politica, tra quindici giorni ho l'ultimo esame della sessione estiva.»
Sorseggiava il suo vino e ascoltava tutto quello che gli dicevo. Dopo aver finito di cenare, schioccò le dita.
«Sparecchia e metti tutto in lavastoviglie, ti aspetto di sopra. Ripeterai un po' con me.»
Annuii con terrore, sapendo cosa mi aspettava.
Quando si trasformava nel mio professore diventava il mio incubo. Era stato anche il mio professore, era proprio in facoltà che lo avevo conosciuto. Ero al mio primo anno e lui teneva il corso di diritto privato. Il giorno che lo vidi pensai che fosse l'uomo più bello del mondo ed ancora oggi lo penso. Quel giorno non sapevo cosa sarebbe accaduto, ma dopo sei mesi mi ritrovai qui nella sua casa e da allora ebbe inizio la nostra strana relazione. Ho sempre pensato che lui mi aspettasse da tempo. Era come se mi conoscesse sin dal primo giorno che mi vide nella sua aula.
Dopo aver sparecchiato e sistemato la cucina entrai nel suo studio. Dopo dieci minuti ero nuda, seduta su un cuscino a gambe incrociate, al centro della stanza, e lui mi girava intorno mangiandomi con gli occhi. Le sue ripetizioni erano strane, ma questo mi permetteva di superare ogni esame con il massimo dei voti, anche perché un voto basso con lui non era concesso. Ed oggi aveva in mano anche la bacchetta; sapevo già che significava, in fin dei conti ero abituata.
«Parlami delle economie di scala e delle diseconomie con la critica di Saffra a Marshall.»
Merda! Lui sapeva che odiavo quell'argomento, ed erano giorni che cercavo di capirlo senza risultati.
«Hai studiato oggi in biblioteca o hai guardato le nuvole? Come pensi di superare l'esame?»
«Signore, lei sa che non ho compreso quell'argomento.»
«Ed io te l'ho spiegato ben due volte. Mi ascolti quando parlo?»
Una bacchettata arrivò dietro la mia spalla. Con il tempo avevo imparato ad amare il dolore, ora ne avevo bisogno, lo bramavo, perché lui era solo questo che mi dava. Il piacere diceva che dovevo meritarlo e dopo quattro anni ancora non lo meritavo. Non mi permetteva di toccarmi ed ero ancora vergine. A 26 anni forse potevo affermare di essere la ragazza più strana del mondo, ero ancora vergine pur avendo una relazione con un uomo da quattro anni. Lui mi aveva messo perfino un lucchetto sulle labbra vaginali. Lui aveva la chiave, che toglieva solo nei miei giorni e quando stavamo insieme. Lui sapeva tutto, ogni mia azione la scopriva. Non potevo sbagliare nulla. Per lui non mi ero concessa amicizie, solo in questo ultimo periodo mi ero resa conto di essere completamente sola. Quest'anno mi ero domandata molte volte se questa fosse vita, ma poi, quando quelle rare volte lui compiva dei piccoli e dolci gesti d’amore, ogni mio dubbio scompariva.
Velocemente un'altra bacchettata arrivò sul mio capezzolo destro. Le mie mutandine erano bagnate dei miei umori. Una scarica mi invase il corpo. Lui non mi aveva mai detto perché le sue punizioni mi facevano raggiungere ciò, ma io un’idea me la ero fatta. Delle parole che ancora non volevo ammettere con me stessa. Lui si eccitava nel procurarmi dolore ed io mi eccitavo a sentirlo. Lui non aveva bisogno di fare sesso, anche se sapevo che si sfogava con altre donne.
«Iris, alzati e se trovo le mutandine bagnate ti beccherai 20 frustate.»
«Sono bagnate, Signore.»
«Bene, va in camera e stenditi sul letto. Metti una benda sugli occhi. Ti raggiungo tra un po'.»
Gli piaceva molto questo giochino mentale. Mi mandava in camera, mi faceva bendare, e io aspettavo a volte anche ore che lui arrivasse. Se mi addormentavo la punizione raddoppiava, se non ero nella posizione che lui desiderava la punizione triplicava. Ogni azione sbagliata comportava una punizione.
Dopo non so quanto tempo sentii i suoi passi.
«Brava, i colpi restano venti. Ora respira ed espira.»
Il primo colpo arrivò come un fulmine. Prima di sferrare il secondo colpo, tracciò con le dita il segno del primo e mi preparai a ricevere l'altro. Non dovevo muovermi o emettere alcun suono, altrimenti la punizione quadruplicava. Un giorno mi aveva punito con diversi strumenti fino ad arrivare ad un totale di cento colpi; per una settimana sono stata a letto. Nessun medico, nessuna infermiera, lui sapeva come curarmi, ancora oggi mi chiedo come faccia a conoscere tutte le basi della medicina.
«Signore, io voglio donarle tutta me stessa.»
«Sta arrivando il momento, Iris. Prometto di toglierti il lucchetto al più presto. Presto sarai mia per sempre. Perché appena non sarai più vergine tu sarai mia e solo la morte potrà separarci.»
Dopo il ventesimo colpo mi baciò le labbra e mi mandò a fare un bagno. Aveva già preparato tutto e l'acqua era bollentissima, questo per ricordarmi che era solo lui che decideva della mia vita. Ad oggi non so se questa è vita. Ero una bambina quando mi aveva accolto ed ora ero una donna, mi aveva fatto sbocciare come un fiore. Il suo fiore mi diceva: io ero solo sua.
«Signore posso farle una domanda?»
«Puoi chiedermi ogni cosa, lo sai.»
«Cosa significa amore per lei?»
«Il nostro è amore. Questo è l'amore.»
Lui diceva che il nostro era amore, ma ultimamente pensavo che non stavo mantenendo fede alla promessa fatta a mio padre. Io non mi sentivo una principessa in questo ultimo periodo. Amavo leggere Nicholas Sparks, e l'amore che raccontava lui non era come il nostro. Il nostro era strano. Lui comandava ed io ubbidivo. Non conoscevo nemmeno la parola amicizia e oggi stavo cominciando a pensare che io non conoscevo nemmeno la parola amore. Non mi dimostrava che ero la sua luce, e non ero il suo arcobaleno nei giorni di tempesta, e sopratutto il nostro non era il rapporto che avevano i miei genitori.
Scoppiai a piangere, perché solo dopo quattro anni mi stavo rendendo conto che il nostro si poteva definire tutto tranne che amore.
Mi guardai allo specchio e osservai il mio viso.
Non mi riconoscevo più, i miei occhi non brillavano e non sorridevo quasi più. Volevo un amica con cui confidarmi e ridere, volevo un ragazzo con cui camminare sulla spiaggia e guardare la luna, volevo sentirmi amata.
Dopo quattro anni avevo deciso di rimettermi in gioco. Avrei lottato contro lui, e se non mi avesse dato quello che volevo l’avrei mandato a quel paese.
«Iris.»
Mi girai e lo vidi guardarmi con sospetto.
«Da oggi voglio più libertà. Voglio essere una ragazza della mia età.»
Per un attimo notai paura nei suoi occhi, e quell’attimo mi fece capire che lui sapeva bene che avevo appena capito che il nostro era un rapporto sbagliato.
«Tu sei mia, per sempre. Solo la morte ci separerà. Questo ricordalo anche se ti darò più libertà. Perché tu striscerai ogni volta da me. Quello che ti do io non può dartelo nessuno. Tu ami il dolore che ti concedo. Senza dolore non sei viva. Senza dolore non sei Iris. Tu sei semplice mia, per l’eternità.»
Si avvicinò al mio viso e mi baciò violentemente. Quel bacio suggellava una sfida tra noi, che lui sapeva di vincere.
Ma per una volta credevo che qualcosa avrebbe cambiato per sempre la mia vita.
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