Christopher. Il collier
«Christopher, che cosa ti è successo?»
Sbuffai. Che diavolo ci faceva Marguerite a casa mia di prima mattina?
La guardai in cagnesco nel tentativo di farle capire che aveva oltrepassato i limiti, ma lei era troppo concentata a guardami l'addome per rendersene conto. Cercai di infilare la manica della camicia per coprire i lividi violacei che erano diventati ormai uno strato unico dal petto all'inguine.
«Aspetta, ti aiuto.»
Arrivò in mio soccorso, anche se nessuno glielo aveva chiesto, anche se io continuavo a cercare di tenerla a distanza. E mio malgrado mi fu di aiuto.
«Allora si può sapere cosa diavolo è accaduto?» le ringhiai contro e lei sobbalzò facendo un passo indietro. Ero acciaccato, decisamente sotto tono, ma non le avrei certo permesso di prendere il sopravvento sulla situazione. Erano cazzi miei! Se anche avessi voluto tuffarmi sotto un treno in corsa non sarei certo andato a rendere conto a lei prima.
«Che cosa sei venuta a fare, Marguerite?»
«I provini, la scaletta, i produttori, c'è una folla di gente in fila davanti all'hotel Parco dei Principi e tu sei in ritardo» mi rimbrottò.
Con non poco sforzo finii di abbottonare la camicia in modo che i lividi fossero ben nascosti. Stronzi. Ci avevano dato dentro di brutto quei bastardi.
«Continueranno ad aspettare finché io non sarò pronto.» Ero stato troppo schietto? Forse. Non aveva importanza.
Se c'era una cosa che apprezzavo di Marguerite era che capiva al volo quando eclissarsi. Anche ora aveva intuito che non era il posto e il momento giusto e stava già facendo dietro front.
«Cosa dico ad Alfred?» chiese quando era ormai arrivata alla porta.
«Che arriverò quando mi andrà di farlo.»
Sbuffando si chiuse la porta dietro di sé ed io potei appoggiarmi al bracciolo della poltrona che gridava a gran voce il mio nome. Tre costole incrinate si facevano sentire, ma l'ultima cosa che potevo permettermi era di stare a poltrire a letto. Oltre al film ormai c'erano troppe cose che non mi quadravano.
Avrei pagato oro per potermi scolare un bel bicchiere di whisky e dimenticare il giorno in cui ero nato, invece presi il cellulare.
«Kaylee?» ringhiai alla cornetta. Lei impiegò un secondo di troppo a rispondere.
«Dove diavolo sei? Pensavo di pagarti per proteggermi non per poltrire!»
Sì. Ero di cattivo umore. Chi non lo sarebbe stato al mio posto? Lei ovviamente non gradì né le parole, né il tono.
«Veramente non sono la tu babysitter. Avevi parlato di raccogliere informazioni. »
Sbuffai. La sua obiettività era snervante. Avevo bisogno di lei. Punto.
«Te la do io qualche informazione» continuai. «Ieri sera dopo la mostra sono stato aggredito...»
Non mi fece finire di parlare. «Aggredito? Da chi? Perché? Come?»
Ah, le donne! Sempre impazienti. «Fammi finire di parlare.» Aprii il cassetto della scrivania e presi il collier di Iris, lo tastai, lo strinsi fino a farmi imprimere il segno sui palmi. Mi era costato caro recuperare quel gingillo.
«Avevo in mano qualcosa di valore e un ragazzetto me l'ha rubato. Nessuno si prende quello che mi appartiene.» Strinsi i denti al ricordo. Ancora mi rodeva quello smacco. «L'ho inseguito ed ho scoperto che non era solo. Mi aspettava un gruppo di amici.»
Sentii Kaylee ridacchiare. «Forse avresti dovuto chiamarmi prima di gettarti all'inseguimento, non dopo, e in ogni caso gli scippi e i teppistelli non sono il mio campo.»
Sospirai. «Kaylee, Kaylee, credevo fossi una professionista. Dov'è il tuo fiuto da spy girl? »
«Senti, smettila con questi giochetti e finisci di raccontare.»
«I teppisti, come li chiami tu, mi stavano aspettando. Era una trappola. Da quando in qua i ladruncoli di strada bazzicano la zona del MopA?»
Si era fatta silenziosa tutt'un tratto. Iniziava a capire. «Uhm. La tua ipotesi mi sembra un po' azzardata. Ladri ce ne sono ovunque.»
«Ladri che ti restituiscono la refurtiva? Dopo averti preso a botte in ogni posto tranne che in faccia?»
Strinsi il collier con forza. Quello era stata l'esca, avrebbero trovato in ogni caso un altro espediente per farmi cadere in trappola. Gira alla larga da Iris. Solo questo avevano detto prima di gettarmi il collier addosso. Non lo dissi a Kaylee, per due ragioni. Una: non mi fidavo ancora di lei. Due: volevo metterla alla prova e c'erano troppe domande senza risposta.
Quell'avvertimento da parte di chi proveniva? Perché Iris? Era prioritario scoprirlo.
«Voglio che scopri il mandante, Kaylee. Voglio che questa storia diventi la tua priorità da questo momento in avanti.»
«Forse è il caso di incontrarsi di persona» osservò lei. Incontrarsi, certo. Sarebbe stato logico, ma avevo un film da girare, provini da visionare, i finanziatori da incontrare. «Ti chiamo io appena ho un attimo di tempo.»
Riagganciai gettando il cellulare sulla scrivania. Si prennunciavano giorni davvero intensi.
Lunedì 2 luglio ore 10
Marguerite non aveva mentito. La fila davanti alla porta del Parco dei Principi era chilometrica. Tutti aspiranti attori e attrici in cerca di fama e successo. Solo in pochi capivano le vere difficoltà del doversi calare in un ruolo. Era per questo che non avevo voluto professionisti.
Sgattaiolai all'interno superando con un cenno i bodyguards dell'ingresso e avanzai verso una agitatissima Marguerite. «Dovresti essere in ospedale in questo momento» sussurrò fra i denti mentre mi trotterellava dietro.
Forse avrei apprezzato la sua premura se quella non fosse stata una vera giornata di merda.
«Nelle lista degli attori c'è la persona che ti avevo detto di controllare?»
«Ho verificato. Nessuna Iris...»
Sogghignai. La ragazzina aveva deciso di non venire. Prevedibile. Non poteva certo sapere che questo non la metteva al riparo dalle mie grinfie. E dopo l'avvertimento del giorno prima avevo un motivo in più per starle addosso.
«Il fotografo?» la incalzai.
Marguerite sospirò. «Neanche lui si è ancora fatto vedere.»
Perfetto. Non avevo neanche iniziato le riprese e stava già andando tutto a puttane. Se Jona non si presentava ero quasi certo che lo avrei preso a pugni con le mie stesse mani, anche a costo di farmi perforare i polmoni dalle costole rotte.
«Vallo a cercare e portalo qui. Non mi interessa come ci riesci, ma lo voglio qui.»
Marguerite saltò come una molla ma eseguì di corsa. Io avevo altro a cui pensare al momento. Entrai in sala prove con un umore che dire nero era dire poco. C'erano già tutti, aspettavano solo me per iniziare. Poggiai i palmi sul tavolino e una fitta atroce mi mozzò il fiato. Che giornata!
«Fatene entrare cinquanta» dissi con voce ben più ferma di quanto avrei creduto possibile. Il primo test sarebbe stato visivo. Bisognava pur sempre stare davanti una telecamera e chi non aveva un minimo di prestanza fisica era scartato in partenza. Questa fase era fondamentale. Molti registi la delegavano ai loro assistenti. Io no. Preferivo visionare tutto di persona e darmi da fare per cercare le persone giuste piuttosto che agire con superficialità.
Tre ore più tardi i miei collaboratori fremevano per fare pausa. In una situazione normale li avrei costretti a proseguire ad oltranza, ma anch'io ero esausto. Ogni respiro mi costava uno sforzo sovrumano.
Quando dissi: «mezz'ora di pausa» mi guardarono tutti come se fossi stato un astronauta. Era strano, lo sapevo. Non dovevano sapere che se continuavo in quel modo sarei finito in barella. Avevo bisogno di recuperare un po' di forze prima di riprendere e volevo un posto tranquillo per farlo. Avevo adocchiato una biblioteca quando ero entrato. Poteva essere la soluzione giusta. Silenzio, pace, nessuno che rompeva.
La riconobbi appena superai la porta dell'ingresso. Iris. Con la testa china su un tomo di almeno duecento pagine, un paio di occhiali dalla montatura spessa e l'espressione assorta. Era difficile staccarle gli occhi di dosso. Soprattutto in quel momento che aveva preso a mordicchiare la parte posteriore della penna con le sue labbra di rosa. Aggrottava la fronte e stringeva tra i denti, suggeva, mordeva. Cazzo, era provocante anche quando non sapeva di esserlo, forse anche di più. Il tipo ai piani bassi strattonò con forza. Certo, a questa giornata di merda mancava solo un po' di sana frustrazione sessuale. Inspirai a fondo. Non era il momento giusto, non era il posto giusto e lei non era pronta. L'unica cosa davvero importante era che lei era venuta dopotutto, e se era qui poteva esserci un unico motivo: il provino.
«La sala prove è poco più avanti, stellina.»
Lei non sollevò neanche lo sguardo. «Non ti ha mai detto nessuno che non ruota tutto intorno a te, regista?»
Risi e non riuscii a nascondere una smorfia di dolore. Forse era meglio sedersi. Scostai la sedia che era di fronte a Iris mentre lei continuava a guardarmi in cagnesco.
«Sto cercando di studiare. Il provino non mi interessa» mi apostrofò malamente tornado alla sua lettura. Sembrava sincera. Forse lo era, forse no. Per me non faceva differenza. Non mi sarei di certo arreso.
«È un luogo pubblico, no? Tu studi, io ti guardo.»
Lei chiuse il libro che aveva di fronte a sé con un tonfo secco.
«Senti, in che lingua te lo devo dire che il provino non mi interessa? »
Ancora proteste. Avrebbe continuato ancora per un po', ne ero certo. Non aveva importanza, io sapevo aspettare.
«Certo» la assecondai cercando di poggiarmi meglio sullo schienale della sedia. L'operazione mi costò un altra fitta che non sfuggì alla mia bella stella. Mia? Cercai di non soffermarmi troppo a riflettere. Il dolore non aveva un effetto positivo su di me.
«Che ti succede, hai le emorroidi?»
Come si faceva a non ridere? Era troppo spassosa. Solo che questa volta mi fu impossibile mascherare il dolore.
«Ehi, ma tu stai davvero male» osservò preoccupata.
«Recuperare il tuo collier mi è costato più di quanto avessi preventivato.»
Lei sgranò gli occhi. «Il mio collier? Lo hai tu? Come è possibile? Devi ridarmelo! Subito!» urlò.
Uno shhh di protesta provenne da uno degli altri lettori presenti.
Iris si guardò intorno, fulminò il malcapitato con uno sguardo che lo fece arrossire e si sporse verso di me. «Lo rivoglio. Immediatamente!»
Era tutta fuoco, un vero peperino. Una meravigliosa eslposione di fuoco e fiamme. Come non desiderare di averla nel proprio letto, fosse stato anche solo per un'ora, un giorno, un anno?
«Vediamo un po'» iniziai sorridente. «Sembra che io abbia qualcosa che tu vuoi... ed io voglio che tu faccia il provino.»
Iris sbuffò. Aveva capito dove volevo andare a parare. «Potrei denunciarti. Me lo hai rubato alla mostra.»
«Potresti, ma non lo farai »
«Ah, sì? E perché non dovrei farlo?»
«Perché se mi denunci non lo troverai mai. Quanto tempo impiegheresti anche solo per farmi perquisire la casa? E con quali prove? In fondo non voglio portartelo via, voglio solo vedere come sei dietro un obiettivo. Non mi sembra di chiedere troppo no?»
Aveva iniziato a valutate i pro e i contro. Mi sembrò quasi di vedere le rotelle del cervello che giravano frenetiche. Prese la sua decisione e si alzò in piedi. «Hai un'ora del mio tempo a partire da... » guardò l'orologio. «Da ora. Poi mi restitusci il collier.»
Con non poco sforzo mi sollevai, la affiancai e le sussurrai in un orecchio: «Affare fatto.» Non fu una buona idea. Aveva un buon profumo di mandorle, arancio e qualcos'altro di particolare. Il suo odore di femmina. Non fu facile resistere alla tentazione di allungare le mani su quel corpo da favola, mi bastò l'ennesima fitta al fianco come promemoria.
«Dovresti curarti» suggerì lei.
«Vuoi farlo tu?» Ero acciaccato, non defunto, mi veniva istintivo provocarla.
Per tutta risposta mi tirò una gomitata che mi piegò in due dal dolore.
«Christopher!»
A quanto pareva Marguerite era tornata e non era sola. Mi mise un braccio sotto il torace e fece leva per aiutarmi ad alzarmi. «Dovresti andare in ospedale!» proseguì imperterrita sotto lo sguardo attonito non solo di Iris ma anche del fotografo.
«Sei riuscita a portarmi Jona. Brava.» Raddrizzai la schiena per guardare anche lui dritto in faccia.
«Il fatto che io sia qui non significa che abbia accettato di lavorare con te» ci tenne a previsare.
«Non ho dubbi in proposito. Però visto che sei qui datti da fare.» Mi voltai verso Iris. «Hai un'ora di tempo con questa meravigliosa donna. C'è una sala attrezzata tutta per voi» indicai il posto in questione con un cenno della testa. «Fotografala. Falle vedere com'è dietro un obbiettivo. Iris, Jona. Jona, Iris.»
Mentre loro erano ancora tramortiti dalla novità ne approfittai per svignarmela. Volevo mettere qualcosa sotto i denti prima di riprendere i provini e dovevo anche assolutamente ingoiare qualcosa che mi desse un po' di sollievo.
Riaccesi il cellulare. Lo tenevo sempre spento quando lavoravo, non mi piacevano le interruzioni e le distrazioni perché la perfezione esige cura ed attenzione. Ora però ero in pausa. Non c'erano molti messaggi, perlopiù scocciatori. Diversi erano di Sunny.
Come procedono i provini? Sei sicuro che oggi la mia presenza non sia necessaria? Si è presentata la ragazza di cui mi avevi parlato?
Era un vero vulcano. Iniziai a scrivere... per oggi non serve che vieni, andrà bene domani, ma non feci in tempo ad inviare. Lei aveva già visto che ero on line.
Tutti parlano della coda chilometrica che c'era questa mattina all'hotel. Come procede?
Sorrisi tra me e me. Era così giovane e irruente. E scriveva alla velocità della luce. Sicuramente era più rapida di me.
Inviai il messaggio.
E la ragazza?
Sta facendo delle foto. Vedremo cosa vuole fare.
Me la farai conoscere? Quando?
Non aveva neanche finito di inviare il messaggio e ne stava già scrivendo un altro.
Sono curiosa. Domani sera ci sarà una cena a casa mia. Perché non vieni con lei e me la presenti?
Riuscì a strapparmi un altro sorriso. Iris al momento non era molto ben disposta nei miei confronti.
Potrebbe rifiutare, digitai.
Un tuo invito? Impossibile. Aveva anche aggiunto una marea di faccine scandalizzate. Cuoricini e baci.
Non è il momento giusto, tagliai corto.
E tu verrai?, proseguì.
Non so. Vedremo.
Altri baci e faccine sorridenti.
Vieni, forza, insistette. Decisi di non rispondere e tornai al lavoro.
Prima di dirigermi verso il bar lanciai uno sguardo verso la porta dietro cui erano chiusi Jona e Iris chiedendomi cosa stessero combinando. La mia bella stella non era un tipo semplice da gestire, ma le persone speciali non lo erano mai in fondo.
Lunedì 2 luglio sera
Mi ero deciso a farmi vedere da un dottore alla fine, almeno per farmi prescrivere qualche antidolorifico che mi aiutasse a non sembrare un mezzo paralitico.
Non avevo idea di quale schifezza mi avesse costretto ad ingurgitare, aveva avuto effetto e tanto mi bastava. In quel momento volevo solo avere un tête a tête con un bel bicchiere di whisky liscio con ghiaccio. Certo forse non era una buona idea mescolare medicine e alcool ma la mia giornata era stata troppo schifosa. Jona era riuscito a fare degli scatti meravigliosi di Iris e mi era parso anche piuttosto soddisfatto. Era un punto di partenza fargli capire che era quello il suo posto. In quanto alla mia stella era sempre più che combattiva. Aveva posato, certo, ma non aveva fatto neanche un commento sui ritratti che le avevamo mostrato. In quanto alle intimidazioni ricevute... chiunque avesse deciso di spaventarmi non sapeva che avrebbe ottenuto l'effetto contrario. Mi doveva ancora rispondere. Forse fu a causa di questi pensieri che urtai qualcuno lungo la strada.
Una ragazzina. La sfortuna mi perseguitava, non impiegò molto a riconoscermi. Sapevo quale sarebbe stata l'evoluzione. Aveva già cambiato sguardo. Pensavano tutte la stessa cosa. Ricchezza, fama, successo. In casi come questi c'era un'unica soluzione. Una ritirata strategica.
Lei ovviamente non ne voleva sapere di demordere. «Aspetta.»
Sì, certo. In un'altra vita forse. Allungai il passo, anche se lei, testarda, continuava a corrermi dietro.
«Signor Roberts, aspetti solo un attimo! »
Ecco, ci mancava che mettesse i manifesti sulla mia identità.
Mi fermai all'istante. «Hai dieci secondi per dire cosa vuoi e poi addio.»
Lei mi guardò, sbattè le palpebre una volta.
«Dieci, nove...»
Aprì la bocca, la richiuse.
«Otto, sette...»
Era rimasta pietrificata, immobile come una statua, non riusciva a dire nulla.
«Sei, cinque...»
Aveva ancora una manciata di secondi a disposizione, poi mi sarei liberato di lei per sempre e da come rimaneva immobile c'erano buone possibilità che mi avrebbe lasciato andare. Eppure quegli occhi neri come la pece... Il corpo era quello di una ragazzina, gli occhi invece sembravano aver già vissuto troppo, sofferto troppo.
«Due, uno.»
«Grazie per avermi dedicato il suo tempo» disse prima che io concludessi il mio conto alla rovescia, poi voltò le spalle e se ne andò nella direzione opposta alla mia. Porca...! Non potevo lasciarla andare in quel modo.
«Ehi, ragazzina! »
Almeno si era fermata.
«Vieni ti offro qualcosa da bere.» Che cavolo era uscito dalla mia boccaccia? Per quello che ne sapevo poteva essere anche minorenne.
«Già fatto. No, grazie.»
Non era proprio la mia giornata se ricevevo un due di picche anche da lei.
In realtà questa era l'occasione giusta. Avevo provato e lei aveva detto di no.
Non aveva senso insistere. In fondo era una nessuna qualsiasi incontrata per caso, eppure per un motivo che non riuscivo a spiegarmi non ce la facevo a lasciarla andare. L'afferrai per un braccio.
«Da mangiare allora. Una cosa al volo, niente di impegnativo. »
Fece un gran sospiro, uno di quelli di chi non aspetta altro che la giornata troppo lunga finisca. Quello che avrei fatto anch'io se non fossi stato troppo stanco anche per quello.
Non rifiutò ed io lo presi per un sì. Mi incamminai verso la mia tavola calda preferita e lei mi affiancò.
«Parlami un po' di te. Come ti chiami?»
«Veronika.»
Era loquace Veronika, così tanto che bisognava strapparle le parole di bocca.
«Anni?»
Silenzio. Buio totale. Ahi! Tasto sbagliato.
«Studentessa?»
Mi rise in faccia. Era ovvio che non lo era. Cosa mi saltava in mente?
«Ok. Almeno potresti dirmi per quale motivo mi sei corsa dietro, no?»
Ero riuscita a scalfire la sua corazza, a quanto sembrava. Stava pensando a cosa rispondere ed eravamo quasi arrivati a destinazione.
«Ho vent'anni e da due studio recitazione all'accademia di arti drammatiche. Ho sempre sognato di fare l'attrice. Ho pensato che avrebbe potuto darmi un'occasione. Per il suo nuovo film. Non si parla d'altro in giro.»
Le si era sciolta la lingua all'improvviso! O almeno così voleva far credere.
«Studi all'accademia? Allora cambia tutto!» esclamai. «Chi ti insegna? Thomas o Gertrude? Certo sono entrambi dei professionisti...»
Beccata. Aveva avuto un attimo di incertezza, solo uno, certo, ma era sufficiente a farmi capire che mentiva. Sorrideva sarcastica mentre si infilava dietro il tavolino di legno.
«Non conosco nessun Thomas e nessuna Gertrude perché non ci sono insegnanti con quei nomi. Che fa, signor Roberts, mi tende delle trappole?»
Sveglia. Molto sveglia e divertente.
«Touchè» risposi. «Però, Veronika, se è questo il tuo vero nome, non mi piacciono le bugie e chi le dice, quindi se non mi vuoi dire niente di te, va bene, solo non mi rifilare palle.»
Annuì e distolse lo sguardo. Ci eravamo capiti alla fine. Rimase in silenzio per un po' ed io decisi di non farle pressioni inutili.
Arrivò la cameriera, ordinammo entrambi e quando si fu allontanata parlò di sua spontanea volontà. «Veronika è il mio vero nome e l'unica altra cosa vera di quello che ho detto è che mi piacerebbe lavorare al suo film.»
La verità, alla fine. Ce l'aveva fatta a dirla. E le era costato, si vedeva. Ora dovevo solo capire se volevo dargliela o meno questa possibilità. Non ero propenso ad assumere gente che incrociavo per strada e di cui non sapevo niente. Però lei sembrava avesse una storia da raccontare: la sua.
«Non faccio assunzioni in questo modo. Se vuoi un'audizione dovrai metterti in coda come tutti quelli che si sono presentati questa mattina e farti fare un provino.»
Non so di preciso cosa si aspettasse ed era difficile capire dalla sua espressione cosa le passasse per la testa. Chiese solo: «Chi mi farà il provino?»
«Io.»
A quella risposta un sorriso soddisfatto le comparve sul volto.
«Allora ho davvero una chance più degli altri.»
«Credi?»
«Sono riuscita a strapparti un pasto, no?»
Arrivarono le nostre ordinazioni e io continuai a fissarla. Aveva ragione, aveva qualcosa più degli altri.
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