Christopher. Il casting perfetto
Mercoledì 4 Luglio
Sapevo che quella cena non era una buona idea. Avevo provato in ogni modo a far cambiare idea a Sunny, ma lei non aveva voluto sentire ragione.
«Sono perfettamente in grado di gestire la situazione» aveva detto. Non c'è che dire. C'era proprio riuscita alla grande.
Non che la serata fosse stata un fiasco totale, in fondo c'era tanta gente interessante. Con tutti o quasi avrei tanto voluto avere un confronto a quattr'occhi. Con Kaylee, tanto per dirne una, che ormai non fingeva neanche più di non vedere i miei solleciti: li ignorava e basta.
Per non parlare poi della sorellastra di Arsenio Lupin, la mia cara Veronika, che non solo conosceva bene Sunny, ma sembrava essere particolarmente intima con quella sottospecie di Gozilla scorbutico su sedia a rotelle.
Scaldarsi tanto per un bacetto... Cosa avrebbe detto se sua sorella l'avesse trovata legata e bendata ai miei piedi? Ma in fondo non potevo dargli tutti i torti. L'istinto fraterno, più che il mio comportamento, gli suggeriva che ero pericoloso, troppo per l'adorabile scrittrice in erba.
Non poteva sapere che non l'avrei sottomessa, e non perché aveva un fratello eccessivamente protettivo, ma perché rimaneva una collaboratrice troppo giovane ed io rimanevo un professionista. Il mio lavoro veniva prima dei miei desideri sessuali.
Non che non mi piacesse Sunny, e se si fosse presentata l'occasione me la sarei anche portata a letto, perché sia ben chiaro che una scopata non la rifiutavo a nessuno. Tutt'altra questione era la sottomissione. Non mi concedevo così facilmente.
Il sesso con una schiava è sesso che non si dimentica e le mie perle rare le avrei portate con me per il resto della vita. Non lo avrei fatto con Sunny.
Il volto di Iris mi si presentò nitido davanti agli occhi, luminoso, improvviso, indelebile. Da dove spuntava fuori? Lo scacciai con un moto di stizza. Non era il momento giusto. Avevo altro a cui pensare.
Gonçalo, tanto per dirne una. "Pericolo" era il suo secondo nome, ce lo aveva scritto in faccia a caratteri cubitali Anche per questo non riuscivo a capire per quale motivo si accompagnasse ad una donna come Kat... Kaylee mi aveva già parlato di lei, avevo già visto alcune sue foto e non le rendevano giustizia. Di persona era inebriante tanto quanto un bicchiere di champagne ghiacciato in un'afosa serata estiva. Se non fosse stato per quell'imperdibile bacio tra la rossa Arleen e la sempre esuberante Veronika, avrei approfondito la conoscenza di Kat quella sera stessa. Non importava. Sapevo aspettare. Ci sarebbe stato il luogo e il momento giusto con lei, ne ero cero.
In ogni caso, oggi era un nuovo giorno e io avevo un duro lavoro da portare avanti.
Iris non si era fatta vedere ancora una volta ed io più presunte sottomesse esaminavo più mi rendevo conto che era lei quella che volevo per quella parte.
«Le prossime!» urlai mentre mandavo a casa le ultime dieci.
«Christopher, c'è una tale Veronika che dice di dover parlare direttamente con te.»
Lanciai uno sguardo a Marguerite e poi mi voltai verso la porta d'ingresso. Era lì, a cercare di darsi un contegno per non mostrare l'agitazione che le serrava lo stomaco.
Ghignai sadico. «Non conosco nessuna Veronika.» La mia voce squllante rimbombò nella sala abbastanza alta perché tutti potessero sentirla, inclusa lei.
«Avanti le prossime» proseguii.
Mi voltai verso il palco. Di spalle non potevo vederla, ma non mi servivano gli occhi per sentire la sua furia cieca perforarmi la schiena. Me ne avrebbe date di santa ragione se avesse potuto, non avevo dubbi.
Tra me e lei c'era però una muro umano di bodyguard da superare e non sarebbe stato semplice farlo senza in mio assenso.
Veronika era tante cose: intrigante, spavalda, determinata ed era anche incontrollabile. Se voleva davvero il provino avrebbe dovuto lottare con le unghie e con i denti. Se sapevo leggere le persone, e sapevo farlo, non si sarebbe arresa.
Nel frattempo era il caso di proseguire con i provini delle successive candidate.
«Vi voglio tutte in ginocchio» dissi alle nuove arrivate.
Si guardarono l'una con l'altra perplesse. Quando la prima si fece coraggio ad una ad una tutte eseguirono il compito come meglio potevano. Alcune non sapevano da dove partire, altre erano fin troppo esperte. Nessuna aveva quello che stavo cercando.
Fu in quel momento che con la coda dell'occhio vidi Veronika correre verso di me come un proiettile.
«Sei un fottutissimo stronzo, regista dei miei stivali!» mi vomitò addosso. «Non sai chi sono, eh?»
Era già partita a tempestarmi di pugni e menava per far male. In un'altro momento l'avrei lasciata sfogare, solo che ne avevo le scatole piene di subire aggressioni fisiche e verbali: la bloccai. Feci cenno ai bodyguard che era tutto a posto e mi rivolsi a lei.
«Ben rivista, ladruncola.»
«Veronika, mi chiamo Veronika» precisò lei.
«Ladruncola. È molto più vicino alla realtà.» La presi per un braccio, la trascinai sul palco e la misi in fila accanto all'ultima della fila.
«Volevi un provino? In ginocchio.»
Lei sollevò il mento fiera e, a ribadire il suo orgoglio, incrociò le braccia sul petto. «Non mi inginocchio davanti a nessuno.»
Strinsi gli occhi a fessura. Finalmente qualcuno con un minimo di spina dorsale. La più improbabile, la più inverosimile dimostrava di poter fare meglio di chiunque altro si era presentato fino a quel momento. A parte Iris. Lei non era neanche in lista.
«Le altre tutte a casa. Tu ladruncola rimani.»
La lasciai a bocca aperta. «Ma...» provò a dire.
«Essere una sottonessa non è sinonimo di debolezza.»
Per una volta ero riuscito a zittirla. Incredibile ma vero.
«Potresti avere tu la parte.»
Se Iris mi dirà ancora una volta di no, pensai mentre Veronika iniziava a illuminarsi come una lampada a neon. «Potresti, condizionale. Devo prima fare un paio di verifiche.» Non mi fece terminare. Mi saltò addosso per stritolarmi in un soffocante abbraccio.
«Non te ne pentirai. Lo giuro!»
Alzai gli occhi al cielo. «Me ne sono già pentito» dissi mentre me la toglievo di dosso. «Marguerite» urlai. «Accompagnala nel mio ufficio. Ci sono ancora diverse cose da mettere in chiaro» ammonii Veronika anche se lei non ascoltava, saltellava come una cavalletta sul palco.
Forse avevo risolto una piccola parte di quel dannato cast. Me ne restava una ancora più complicata da risolvere. Cloè era difficile. Il carattere che Sunny aveva delineato sulla carta era complicato da interpretare. Trovare una donna che lo incarnasse era quasi utopia. Si erano presentate diverse mistress. Donne bellissime molto sicure di sé, ma nessuna incarnava quella fragilità celata che Sunny aveva lasciato solo intendere. Temevo che avrei fatto un altro buco nell'acqua anche quel giorno finché non vidi Arleen. Alla fine era venuta. Appena la vidi capii che non le avrei fatto lo stesso provino delle altre. Per lei ci voleva qualcosa di speciale, qualcosa che tirasse fuori la sua vera natura.
Il set del dungeon era già stato allestito. Non era semplicemente realistico, era vero. La croce di Sant'Andrea, fruste, frustini, manette, lacci, corde. Ogni dettaglio era stato studiato per creare la giusta atmosfera.
Feci entrare Arleen e le dissi: «Fai quello che ti senti.»
La osservai gironzolare per la stanza, prendere confidenza con la disposizione degli oggetti in bella vista. Il suo corpo parlava chiaro; vigile, non tesa, attenta, calma, era perfettamente a suo agio.
Il primo clik di Jona la fece girare di scatto quasi avesse dimenticato la nostra presenza nella stanza. Fu solo un attimo, subito dopo un sorriso perverso le si dipinse sulle labbra. Prese un frustino di pelle nera dalla custodia, se lo fece scorrere tra le dita tastandone la rigida consistenza, poi se lo strofinò sulla guancia.
Accanto a me Jona la osservava rapito. Quando vide Arleen avvicinare la punta di cuoio nero alla bocca gli sfuggì un gemito sommesso.
«Le foto» gli ricordai.
Jona sobbalzò con il fiato corto, ma non distolse lo sguardo. Con mano ferma accostò la macchina fotografica al volto e scattò. Clik.
Si era messa in posa la rossa Arleen, non per me, non per il provino, lo fece per il fotografo. Dialogava con lui, gli faceva percepire la sua lussuria. L'abito da mistress era particolarmente intonato all'ambiente circostante. Lei vi giocava, sfiorando la pelle con il suo strumento di tortura, facendoselo scivolare addosso cone una carezza dapprima gentile, quasi delicata, poi all'improvviso una sferzata fendette l'aria.
«Descrivi le tue sensazioni» dissi continuando ad osservarla.
«Il cuoio è ruvido sulla pelle, il suo profumo mi riempie le narici. »
Diede un'altra sferzata con maggior vigore. Destra, sinista, dall'alto verso il basso. Lo maneggiava con maestria, ma si stava trattenendo.
«Non è quello lo strumento che volevi tra le mani vero?» suggerii senza staccare gli occhi dalla sua figura. Lei sorrise, perfida, lasciva. Aveva gettato solo un breve sguardo alla frusta, per non più di un'istante. Ad un osservatore superficiale quello sguardo sarebbe sfuggito. Io non ero un osservatore superficiale. La osservai andare verso la parete in cui una lunga frusta di cuoio intrecciato faceva bella mostra di sé.
«L'hai mai usata?» domandai.
«Una volta» rispose lei con il fiato corto. «Alex...» mormorò fra sé.
Si avvicinò, la osservò ancora per qualche istante, poi la staccò dalla parete.
«Si può usare solo in un salone sufficientemente grande o in dungeon come questo.» Stringeva la frusta fra le mani con forza mentre parlava, fremendo di desiderio.
Quasi non si avvide deglu scatti ripetuti di Jona. Clik, clik, clik. Ne avvertiva la presenza però, la cercava.
«Cos'è che vorresti fare, Arleen?» la provocai.
«Usarla» ribattè pronta lei.
«Usarla con chi?»
La stavo pressando, lei lo sapeva, poteva fare di più, lo sapevamo entrambi. Distolse lo sguardo. Aveva il respiro corto e stringeva i denti. Si stava ancora trattenendo. Era lì, sull'orlo del baratro. Bisognava solo aspettare e vedere se si sarebbe tuffata oppure no.
«Con chi vuoi usarla, Arleen?» ripetei imperterrito.
Sapevamo entrambi che voleva il fotografo, anche lui ne era cosciente. Aveva smesso di scattare e la macchina fotografica gli pendeva penzoloni di mano.
«Areleen» bisbigliò. Lei gli diede le spalle di scatto.
«Vattene!» gli urlò dura.
Jona non obbedì. Lasciò il suo strumento di lavoro tra le mie mani e le si avvicinò.
«Fallo» le disse.
Lei scosse la testa. «Tu non sai niente di me, non sai chi sono.»
«So quello che vuoi e tanto mi basta.»
Rimasero in silenzio entrambi, a lungo, a fronteggiarsi e alla fine qualcosa scattò dentro Arleen. Il suo volto divenne una maschera indecifrabile.
«Togli la camicia» ordinò a Jona. «E vai verso la croce» aggiunse. Lui obbedì. A dorso nudo si accostò al legno e la guardò.
«Di spalle, girati di spalle.» Jona sospirò ed eseguì ancora una volta. «Braccia in alto, gambe divaricate.» Decisa, concisa, non c'era ombra di esitazione nella voce di Arleen. Eppure quando strinse il pugno attorno all'impugnatura della frusta tremava. La sollevò in aria, la fece schioccare, vicino a Jona, abbastanza da farlo sobbalzare senza sfiorarlo.
«Una safe, ti serve una safe. Aria sarà la tua safe» disse roca.
Arleen sollevò di nuovo il braccio, strinse l'impugnatura con forza e... lasciò la presa.
Scosse la testa. «Non ho abbastanza esperienza con la frusta» bisbigliò. Ghignai. Era forte Arleen, ed aveva capito che il primo compito di un dominante è proteggere il proprio sub.
«Questo non significa che non possiamo divertirci in altri modi» la sentii dire a Jona. Voltai loro le spalle e mi incamminai verso l'uscita.
Per quello che mi riguardava avevo visto a sufficienza. Avevo la mia Cloè. Quello che quei due avrebbero fatto in privato sarebbe rimasto fra loro due.
Quella sera stessa pubblicai i nomi dei personaggi femminili. Che Cloè sarebbe stata interpretata da Arleen era ormai scontato. Se non fosse stata sufficiente la sua performance il materiale fotografico che mi aveva presentato Jona scioglieva ogni dubbio. La sorpresa fu trovare altre foto in mezzo a quelle della rossa. Una versione in lingerie di Kat. Ero quasi sicuro che il fotografo non avesse inserito quelle foto volutamente per farmele esaminare, questo però non toglieva che le avevo viste, l'avevo vista, più che vista. Non mi sarei di certo fatto sfuggire l'occasione di incontrarla.
Una scrittrice. Adoravo la scrittrici, il loro modo di mettersi in gioco con carta e inchiostro mi aveva sempre affascinato. Non ci pensai due volte e le inviai un messaggio, uno a cui non avrebbe potuto dire di no. La posta avrebbe impiegato forse qualche giorno a recapitarlo. Nel frattempo ne avevo di questioni in sospeso.
Dato che la mia Iris non si era ancora decisa a farsi vedere avevo inserito Veronika al suo posto.
Non volevo costringerla, avrei preferito che fosse una sua scelta partecipare e speravo che vedere il nome di un'altra su quel cartellone l'avrebbe stimolata a farsi avanti.
Giovedì 5 Luglio
Iniziare la colazione nell'ufficio di un incazzatissimo Gonçalo Llanos non era stata una saggia scelta, soprattutto perché continuava a lanciare frecciatine al mio fotografo. Non mi interessavano le presunte ragioni del nostro ospite, né la sua ostentata ostilità. Per quel che mi riguardava, Jona lavorarava con me e io gli avrei coperto sempre le spalle. C'era di mezzo una donna ovviamente e avrei messo la mano sul fuoco che le foto della dolce e sensuale Kat ne erano la causa. Ragione in più per incontrarla. Ragione in più per strapparla dalle braccia di questo brutto ceffo arrogante prima che la distruggesse o peggio le spezzasse irrimediabilmente il cuore, se non lo aveva già fatto.
«Prega Dio che non ti veda più ronzare intorno alle persone sbagliate, fotografo» aveva apostrofato Jona il proprietario dell'hotel.
«Perché, cosa mi fai, mi fai picchiare dai tuoi scagnozzi? »
«Dai miei? No, ci penso di persona a rifarti i connotati.» Llanos non ne voleva sapere di mollare la presa ed io fui costretto ad intervenire.
«Quando avrete smesso di gareggiare a chi ce l'ha più grosso, forse potremo parlare d'affari» dissi a Llanos.
Sbuffava ancora come un toro inferocito. «Rompipalle» lo sentii mormorare mentre tornava ad sedersi dietro la scrivania. «Facciamolo questo accordo, così mi tolgo entrambi dalle palle» aggiunse strafottente.
Non fu una trattativa facile perché il proprietario dell'hotel sembrava più interessato a sbatterci fuori che a concludere l'affare. Arrivammo ad un compromesso solo alla fine e fu in quel momento che compresi la necessità di trovare una location alternativa.
«E Llanos?» non riuscii a trattenermi dal dirgli prima di abbandonare l'ufficio. «Il modo migliore per tenersi stretta una donna non è prendere a pugni tutti gli uomini con cui decide di fare sesso. La strada migliore è soddisfarla a letto.»
Non gli lasciai la possibilità di replicare. Uscii con Jona al mio fianco che sorrideva. Aveva apprezzato la mia ultima battuta.
«Sai Roberts, non sei tanto male in fondo» osservò.
Gli diedi una pacca sulla spalla. «Lavoreremo bene insieme, fidati.»
...
Provini, provini e ancora provini. Iniziavo a non poterne più. Credevo che la parte maschile sarebbe stata più semplice di quelle femminili, invece fui costretto a ricredermi. Si presentarono tanti bei ragazzoni tutti muscoli e con forza di carattere meno dieci. Mi bastò afferrare una conversazione di sfuggita.
«Tu che crema usi per il viso? Io ne ho provata una davvero fantastica, un po' esosa.»
Diedi uno sguardo ai proprietari delle voci. Cassati. Senza rimedio. Forse fu per questo che quando riconobbi il giovane della mostra esultai interiormente. Mi sembrava si chiamasse Matthew, in ogni caso il nome non era rilevante. L'unica cosa importante era la sua presenza scenica. Si destreggiava bene tra le donne. Aveva fascino, carisma. Avrebbe potuto essere lui il protagonista maschile, ma prima dovevo verificare come si accostava alla rossa, a Veronika e come avrebbe eventualmente interagito con Iris.
La sala prove come sempre era un caos totale, così decisi che era arrivato il momento di sgomberare il campo.
«Okay, tutti fuori. Rimangono solo, Arleen, Matthew e gli addetti alle riprese.»
I miei due protagonisti si avvicinarono. Entrambi tra lo stupito e il felice. Non erano innamorati, dovevano solo fingere di esserlo. Non potevo certo sperare che accadesse anche perché Jona dal bordo della sala li guardava già torvo.
«Allora la scena è la seguente. Matthew è di spalle, di fronte alla finestra, quandi arriva Arleen. Lei spalanca la porta, tu ti volti...»
Fui costretto a bloccarmi. Come avrei potuto non farlo dato che Marguerite si stava sbracciandi per attirare la mia attenzione.
«Marguerite, che succede?» dissi scocciato. Lei si avvicinò e mi bisbigliò in un orecchio.
«Ci sono dei tipi strani che ti aspettano nel tuo studio. Sono in tre. FBI.»
La guardai storto. Sembrava uno scherzo di pessimo gusto e forse lo era, ma la faccia sconvolta della mia assistente non prometteva niente di buono. Presi una rapuda decisione.
«Sospendiamo i provini» dissi a voce alta.
«Proveremo questa scena un'altra volta» dissi agli attori e mi precipitai nel mio ufficio.
Quando avrei preso Kaylee le avrei fatto una bella strigliata. Come mai l'FBI bussava alla mia porta e lei non ne sapeva niente?
Venerdì 6 Luglio
Problemi, problemi e ancora problemi. Ero stato costretto a sospendere ogni attività fino alla settimana seguente a causa dell'intervento dei governativi, ma in quel momento non volevo pensarci. Volevo solo stordirmi con una sana e buona dose di alcol.
L'arrivo di Iris non mi stupì più di tanto. Rivoleva il suo collare, della parte nel film non le interessava più di tanto. Allora perché ostinarsi e costringerla? Forse perché ero un bastardo o forse perché vedevo in lei qualcosa che neanche lei riusciva a vedere. Le sue potenzialità inespresse che lei si ostinava a tenere celate.
E farla bere non si rivelò una buona idea. Non era abituata agli alcolici, dopo solo qualche drink era già partita per la tangente. Non pensavo si sarebbe fatta vedere nuda da me con così tanta disinvoltura e soprattutto non avrei mai immaginato che Thomas le avesse fatto una cosa del genere. L'anello che le chiudeva le labbra del sesso brillava alla luce artificiale del lampadario quasi volesse farsi beffe di me, di lei, di entrambi.
«Sì, me lo ha fatto mettere Thomas, sono vergine» osservò girando le dita tra la catenina che aveva al collo. «Ho io la chiave adesso. Solo io» ribadì sghignazzando. «E non farò sesso con te.»
Questo è tutto da vedere, pensai. Non lo dissi ad alta voce, non era necessario farlo.
«Lo farò con Gonçalo» biascicò.
Sorrisi a quella ammissione. Sempre lui in mezzo ai piedi. Andava castrato, quel maschio. «Ti piace Gonçalo?» chiesi prendendola per un braccio. Ondeggiava paurosamente, non volevo si facesse del male.
«Certo che no» mentì, poi ridacchiò. «C'è troppa coda per il suo letto.»
Scossi la testa. «Non dirmi che temi la concorrenza.»
«Certo che no! Ma io non sono come le altre.»
Era arrivato il momento di rivestirla e di portarla a casa. Provai ad infilarle la camicetta anche se lei opponeva resistenza.
«Tu non vuoi fare sesso con me?»
Mi si avvinghiò al collo e iniziò a strusciare il suo corpo morbido contro il mio che reagì all'istante a quella sollecitazione. Come aveva fatto a tenere sotto controllo fino a quel giorno tutta la sua carica sessuale era un mistero per me. C'era di mezzo Thomas di certo.
Le strappai entrambe le mani dal mio corpo e la guardai dritta negli occhi. «Quando farai sesso con me dovrai essere più che cosciente di quello che farai.»
«Quando signor regista, non se?» chiese girando le dita intorno alla chiave che aveva al collo.
Ghignai. «Sarai tu a consegnarmela.»
Per un secondo la sua sicurezza vacillò, come se quell'idea non fosse del tutto spiacevole. Impiegò ancor meno a ritrovare la sua baldanza. «Mai» decretò a testa alta.
Sbuffai. Era come una una gatta selvatica, desiderosa di essere domata senza essere conscia di volerlo. Me la caricai su una spalla e le assestai una sonora pacca sul sedere.
Il suo corpo si irrigidì per un secondo, ma assorbì il colpo con velocità, troppa. Era abituata ad essere sculacciata, Iris.
«Questo è il meglio che sai fare, signor regista?»
Scalciava le gambe come una matta, nonostante la sbornia, menando pugni alla mia schiena ancora martoriata, incurante della sua precaria posizione perché anche se non ne era cosciente si fidava della mia forza, sapeva che non l'avrei fatta cadere. Non fu semplice trasportarla lungo in corridoio fino alla mia camera.
«Non dormo nel tuo letto» rimarcò e stava già cercando di sgattaiolare via quando la riacciuffai e la immobilizzai sotto di me, i polsi imprigionati sopra la testa dalle mie mani. Sentiva il mio corpo adesso spalmato sopra il suo. Sentiva il mio cazzo premerle fra le gambe con prepotenza, sentiva l'eccitazione e iniziava a capire che io non giocavo, non quando si trattava di donne, non con lei.
«Farai quello che dico io, quando lo dico io, perché lo dico io, e ti piacerà, principessa.»
Aveva il fiato corto, gli occhi fiammeggianti e i muscoli ancora tesi. Non si era ancora arresa e non lo avrebbe fatto con facilità, non avevo alcun dubbio.
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