Arleen. Universo in contrasto

Caos. La mia vita era un caos. Anzi, le mie vite lo erano.

L’estate era appena iniziata ed io ero ancora sopra i libri. Sapevo che fare medicina non sarebbe stata una passeggiata ed avevo sempre mantenuto una buona media capace di tenermi la borsa di studio, ma da quando l’avevo persa la mia vita era diventata un incubo.

Potrei dire che era stata tutta colpa di Andrew, il mio ex ragazzo, e dei suoi viaggi in moto diretti chissà dove, delle nostre nottate in spiaggia invece che sui libri, del nostro vivere in simbiosi a discapito del mio studio, potrei davvero dirlo e tutti mi crederebbero, non ci sarebbe niente di strano, ma di fatto ero stata io quella debole, io mi ero lasciata trascinare da lui, avrei potuto benissimo tirarmi indietro, sarei dovuta essere forte ed uscire da quella relazione malsana invece di aspettare che distruggesse me e la mia vita.

Avevo passato un anno di stenti, ero persino arrivata a chiedere aiuto alle mie coinquiline per l’affitto, e non rifiutare mai che mi offrissero qualcosa o che una di loro condividesse con me la propria cena d’asporto.
Chiedere aiuto ai miei non era tra le opzioni, loro non sapevano nulla di Andrew, non avrebbero mai accettato che io avessi una relazione prima della fine degli studi universitari, peccato essermi resa conto troppo tardi di quanto avessero ragione.

Per fortuna esiste sempre una scappatoia ed io l’avevo trovata.
Un computer ed un bisogno estremo di avere soldi, così era cominciata la mia spirale nell’oblio: vendendo foto su internet.
Non mi sarei mai aspettata che delle foto di piedi rendessero così tanto, avevo persino cominciato a curarli e a comprare accessori solo per impreziosirli per i miei shot fotografici.
Le foto però non riuscivano minimamente a coprire la mia retta universitaria, erano solo la punta dell’iceberg che mi sarei trovata a dover nascondere, così iniziai molto presto a cedere a qualcosa di più dei miei piedi nudi, fino a crearmi una vera e propria seconda vita con lo pseudonimo di Miss-A, certo la A stava per il mio nome, Arleen, ma era l’unica cosa che le mie due vite condividevano, perché quando mi trasformavo in Miss-A cacciavo letteralmente Arleen dalla mia testa.

Nel giro di poco ero diventata esperta nel campo, un’ora con me erano 250 dollari, una chiamata si aggirava sui 2 dollari al minuto, erano tariffe decisamente alte ma che a quanto pare non lo erano così tanto visto che fino a quel momento nessuno si era mai rifiutato di pagare.

Far combaciare la vita di Arleen con quella di Miss-A era difficile ma era diventato vitale e la sveglia stava suonando proprio per ricordarmelo.
Chiusi il libro di anatomia e lo riposi in borsa, ogni cosa della vita di Arleen doveva sparire ogni volta che accendevo la web per una sessione virtuale con uno di quei mezzi uomini che mi pagavano, mi assicuravo che non solo le tracce del mio essere una comune studentessa sparissero da me, ma anche dalla mia camera che mi faceva da sfondo.
Mi tolsi il pigiama e le ciabattine, miei fidati compagni di studio, per infilarmi gli stivali di pelle al ginocchio e il vestitino nero aderente che evidenziava le mie forme, i capelli raccolti in un austero chignon e sotto di esso il nastro che legava la maschera di pizzo nero al mio volto,
L’unica traccia di colore sul mio viso era data dal rossetto acceso che spiccava sulle mie labbra.
Mi guardai allo specchio per controllare che fossi impeccabile e dipinsi con la matita un finto neo sopra al labbro per la mia mania di essere riconosciuta per strada.

La schermata del mio computer stava già lampeggiando segnando la linea di confine tra le mie due vite.
Cliccai il tasto verde e aspettai che le nostre linee si connettessero.
Un paio di passi indietro ed un grosso respiro.
“Slave88sm” era uno dei miei più affezionati seguaci, i suoi extra sulla tariffa e i suoi regali sulla wishlist mi facevano digerire un po’ meglio la sua non bellissima forma fisica e la sua età che si avvicinava molto più a quella di mio padre che alla mia.
Lui era davvero pietoso ma spesso mi ero psicanalizzata di fronte a lui e a quegli esseri più o meno piacenti, vederli subire ed umiliarsi per me mi provocava piacere, più di una volta avevo scoperto le mie mutandine bagnate di fronte alle loro suppliche, mi piaceva vedere un uomo sottomesso, forse perché vedevo sul volto di quegli esseri quello di Andrew e sfogarmi con loro aumentava il mio ego e la mia pace interiore.

Era nudo come un verme, così chiamavo lui e la maggior parte dei miei schiavi: vermi, un po’ anche per staccarmi da loro e non pensarli come persone, per me erano e dovevano essere tutti uguali, tutti usabili per il mio fine, anche se l’unico che avrei voluto usare ed umiliare, me ne rendevo conto, era solo lui, l’unico uomo a cui avevo dato il controllo della mia vita, il primo e l’ultimo.
Non sarebbe mai più capitato, me l’ero ripromessa e vedere questo schifo di uomini placava comunque il mio desiderio di averne uno rendendo la promessa fatta a me stessa decisamente più facile.
Quando vedi uno di loro pulire il pavimento con la lingua cominci ad avere seri dubbi che esista qualcuno alla tua altezza, soprattutto perché per permettersi le mie tariffe sapevo per certo che nella vita dovevano essere facoltosi, figli di papà o imprenditori di successo ed usavano i loro soldi per farsi insultare e sottomettere da me.

Ormai per me il genere maschile era diviso in due, gli uomini sicuri e pieni di sè che avvelenano la tua vita come Andrew o piccoli e schifosi esseri che nascondono sotto la loro camicetta da bravi ragazzi i segni della mia sottomissione, in entrambi i casi, persone che dovevano starmi lontane se non riuscivano ad essermi utili in qualche modo.

«Ariiii!» La voce squillante della mia coinquilina accompagnata dal suo insistente bussare, arrivò mentre mi spogliavo dei miei panni da Mistress per vestire di nuovo quelli da universitaria disperata.

«Mi sto vestendo Nikki» risposi mentre mi affrettavo a togliere quei sudatissimi indumenti in pelle.
Dovevo assolutamente trovare una alternativa al lattice, ma i miei clienti pagavano fior di quattrini per vedermi così e dopotutto un po’ di sudore non aveva mai fatto del male a nessuno.
Aprii la porta alla mia amica.

«Quando hai detto che ti stavi vestendo dovevo capirlo che non era per uscire, su Ari, me lo avevi promesso, o ti sei dimenticata?»

Già, glielo avevo promesso sul serio, uscire in quattro per far si che la mia vita sessuale non sembrasse quella grandissima cosa complicata che era.
«Me ne ero dimenticata, devo proprio?»

«Devi. Ti ho anche preparato cosa metterti, vedrai che stasera acchiappi.»

Il bello ed il brutto di avere coinquiline, sono come sorelle con la stessa taglia di vestiti, ma poi proprio come quelle vere sanno essere insistenti ed impiccione.
Questa volta almeno aveva scelto qualcosa di decente da farmi mettere, un po scollato, ma quel vestito marrone si intonava con la mia carnagione poco abbronzata ed i miei capelli biondo rossicci.
Uscii dalla porta con i suoi trampoli al posto delle scarpe, non ero mai stata un’amante dei tacchi, ma ore ed ore a camminare sugli stivali mi avevano insegnato un po’ di resistenza.

Salii sulla macchina di Nikki ormai rassegnata a portare avanti l’ennesima farsa.
«Ti prometto che è carino» mi disse per consolare la mia faccia disperata
Carino o no poco mi importava, ma lei di certo non poteva sapere la mia ritrovata filosofia maschile, per Nikki e Roxie ero solo la loro coinquilina che dopo la sua devastante storia d’amore aveva smesso di vedere gli uomini ignorando che invece ne vedevo addirittura tre o quattro al giorno, ed anche nudi!

«Ti credo Niky ma sai che le scintille non nascono così.»
Portavo avanti questa storia delle scintille da mesi ormai e forse non ero più credibile, ma era l’unica strada per giustificare la mia astinenza.

Arrivammo al locale dove aveva pianificato la trappola a quattro, non male il ragazzo, moro prestante e muscoloso, ero pronta a fare sorrisetti finti per tutto il tempo e poi uscire con la mia solita frase “non è scattato nulla”, ma quel ragazzo invece qualcosa fece scattare in me, la sua determinazione, la sua strafottenza, il suo pensare di avermi in pugno mi portarono ad accettare il suo invito di seguirlo nel suo proseguo di serata.

Stetti in silenzio a pregustare quello che sarebbe successo dopo poco.
Mi invitò a salire in casa sua, una bellissima casa che potei ammirare solo di sfuggita perché mi si parò davanti impegnando le sue labbra sulle mie.
La sua bocca arida di alcol cercava di prendere il sopravvento sulla mia e solo per un attimo avevo quasi pensato di starci, il suo fiato corto sulla mia pelle, l’adrenalina che mi saliva fino al cervello, la voglia di un uomo vero che mi prendesse e mi scopasse come non avevo memoria da troppo tempo. Le sue mani scivolavano sulla stoffa per cercare di spogliarmi e la mia anima da ragazzina sprovveduta stava quasi per dargli corda finchè non gli risi sulle labbra.
Lui si staccò da me con uno sguardo interrogativo ed io continuai a ridere divertita.

«Ho fatto qualcosa che ti ha fatto ridere?» chiese curioso

«Tu mi fai ridere» risposi senza smettere di farlo
Lo vidi letteralmente perdere tutta la sua sicurezza, come se quello che gli avevo detto fosse la cosa peggiore per la sua autostima.

Prima che potesse mandarmi a quel paese e cacciarmi di casa mi liberai dalla sua morsa e feci quello che stava tentando lui poco prima, mi tolsi i vestiti e camminai verso la zona notte cercando una camera.
In intimo e tacchi camminai fino al bordo di un letto matrimoniale, probabilmente quello di mamma e papà.
Lo ritrovai alle mie spalle come pensavo, con la bava alla bocca.

«Mi vuoi?» gli chiesi mordendomi le labbra con fare peccaminoso

«Che cazzo di domanda è?»

«Una a cui devi rispondere» gli dissi prendendogli il mento tra le mani e stringendolo

«Ti voglio» rispose senza pensarci troppo.

«Bene. Tra poco mi avrai e ti prometto che sarà epica, ma alle mie regole.»
Asserì voglioso ed io proseguii elencandogliele.
«Numero uno: sarò io a prendere l’iniziativa, devi solo tacere e godere. Numero due: farai quello che dico io e solo quello che dico io, altrimenti finirà tutto subito ed io me ne andrò. Numero tre: anche se questa fosse la più bella scopata della tua vita quando uscirò da questa casa sparirai per sempre dalla mia vista e se Nikki ti chiederà qualcosa risponderai che tra noi non c’è chimica. Chiaro?»

«Chiarissimo» rispose curioso.

«Allora stenditi sul letto e spogliati» dissi decisa, era la prima volta che tiravo fuori il mio lato dominante al di fuori dello schermo e mi sentivo davvero bene.
Si tolse tutti i vestiti mostrandomi di non essere per niente come gli inetti con il pisellino che dominavo via webcam, il suo membro era davvero soddisfacente ed una parte di me era quasi smaniosa di provarlo.
Mentre guardavo il suo corpo cercando di non far trapelare troppo la mia eccitazione nel possederlo, mi tolsi anche l’intimo ed i tacchi pareggiando i conti.
Salii in piedi sul letto e con un piede nudo e freddo accarezzai l’asta svettante che si animava tra le sue gambe, poi risalii il suo corpo e portai il mio stesso piede sulle sue labbra, lasciai che le dischiudesse e che in preda alla sua eccitazione crescente baciasse il mio piedino.
Lo staccai dalla sua bocca come se gli avessi tolto il ciuccio e lo portai dall’altra parte del suo volto.

«Guai a te se ti muovi» lo ammonii preventivamente prima di allargare le mie labbra con le dita ed accarezzarmi la mia voglia bagnata, mi penetrai con due dita prima di piegarmi sulle ginocchia ed avvicinarmi a lui.
Mi penetrai di nuovo a pochi centimetri dal suo volto.

«Quanto mi vuoi?» chiesi mentre le mie dita entravano ed uscivano lentamente davanti ai suoi occhi che ne seguivano ogni movimento.

«Da impazzire.»

Scesi e toccai la sua punta vogliosa mischiando il suo desiderio con il mio, poi lo portai nella sua bocca che si serrò.

«Lecca» dissi come una parola magica e lui accolse le mie dita pulendole come richiesto.
Accarezzai la sua asta vogliosa quanto me di arrivare all’apice ma prima avevo voglia di farlo soffrire ancora un po’.
Scesi con le labbra sul suo membro offrendo alle sue il frutto gocciolante tra le mie gambe.
Divorai il suo lasciandolo penetrare fino alla gola.

«Dio si!» esclamò, ed io mi ritirai all’istante.

«Non voglio sentire nemmeno una parola né un gemito di piacere che non sia il mio quindi applicati.»

Non se lo fece ripetere e dedicò la sua lingua ad un lavoro assai più produttivo che parlare.
Leccavo la sua asta accompagnandomi con le mani che seguivano i miei movimenti, lo portavo al limite con gesti repentini e poi mi staccavo solleticando con la lingua il glande pulsante.
Il piacere ricevuto non era per nulla paragonabile a quello che gli stavo dando e dopo qualche minuto di goduria e tortura decisi di prendermi da sola quello che volevo.
Presi le sue mani e le fermai con le mie, mentre con le mie gambe aperte offrivo al suo organo un posto caldo dove poteva servire finalmente a qualcosa.
Non rimasi per nulla indifferente alla grossa asta che si faceva largo tra le mie cosce, dopotutto era la prima cosa animata che ne veniva a contatto dopo mesi e avrei mentito a me stessa se avessi detto che l’effetto era lo stesso.
Lo cavalcai pensando solo al piacere che pervadeva il mio corpo, era vivente è vero, ma per me era solo un giocattolo in più con cui divertirmi.
Conficcai d’improvviso le mie unghie sulla sua pelle rubandogli un grido che morì nella sua gola, tanto più lui entrava dentro di me tanto io entravo su di essa solcandola con segni che gli sarebbero rimasti per giorni.

«Mi fai male» disse ad un certo punto non riuscendo più a resistere al dolore sopra al piacere.

Feci lunghi segni rossi ed insieme ai suoi urletti di dolore venni stringendo la sua asta tra le gambe. Arrivai ai suoi capezzoli e li strinsi lasciando che si sfogasse anche lui dentro di me.
Uscii e riversai la sua stessa voglia sul suo petto.

«Sei una psicopatica» disse con una sfumatura dolorosa della sua voce.

«Ma ti è piaciuto» risi.

Lui tacque ma era palese che avessi ragione anche se si vergognava ad ammetterlo.
Ed ecco l’ennesimo uomo che confermava la mia teoria rientrando a pieno nelle mie categorie.

Mi rivestii e lo abbandonai nel suo lettino senza nemmeno una frase di saluto, dopotutto gli avevo detto le mie regole e lui stava solo rispettando l’ultima.
Presi il telefono e composi il numero del mio taxi
«Nikki, sono io, mi vieni a prendere?» dissi non appena la mia coinquilina si degnò di rispondermi

«Non dirmi che anche con Alex non è andata?»

Ah perché aveva un nome?
«Eh no Niky… sai…»

«...La scintilla» finì la mia frase rassegnata ed io scoppiai a ridere.

Non avrebbe mai potuto comprendere l’universo in contrasto che si era formato dentro di me, universo che si era appena allargato lasciandomi una soddisfazione estrema nel aver appena dominato un uomo a letto.
Diventavo sempre più pericolosa ne ero consapevole, ma cominciava a diventare qualcosa di più di uno stratagemma per pagarmi gli studi vista l’adrenalina che scorreva nel mio corpo al solo pensiero dell’ultima ora.

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