Arleen. Scontri
Giovedì 28 giugno
«Signorina Devis, dovrà fare molto di più se vorrà superare il corso» disse sbattendo sul tavolo le pagine di ricerca, che tanto avevo faticato a mettere insieme. «Mi aspetto di vedere altro da lei, qualcosa di più… di più…»
«Di più» lo fermai io.
Sapevo bene di non aver fatto una bellissima ricerca per il tempo che avevo avuto, ma sapevo anche che era il meglio che potessi fare in quel momento. Dovevo rimboccarmi le maniche, così quando il professore mi mandò via dal suo ufficio con una lista infinita di libri, mi diressi di corsa verso la biblioteca dell’istituto per cominciare subito il compito.
Svoltai l’angolo di corsa e travolsi in pieno una ragazzina minuta e già impacciata di suo carica di libri e bagagli che feci volare in ogni dove per il corridoio.
Mi appoggiai alla parete per non caderle sopra e solo dopo essermi assicurata della mia incolumità pensai alla sua.
«Cazzo! Ti ho fatto male?» le chiesi guardando il suo viso sperduto.
Le tesi la mano ma lei era troppo indaffarata a guardare gli appunti e i libri che giacevano sul pavimento, in effetti ero stata una vera e propria bomba. Cominciai a raccoglierli mentre lei raccoglieva se stessa e sistemava il suo vestitino impeccabile.
«Scusami, è che in questo periodo sono sempre di fretta, non sai quanto mi dispiace» continuai passandole la mia parte di roba. «Comunque io sono Arleen, piacere. Tu…» guardai il titolo di uno dei libri che spuntava, «fai giurisprudenza?»
Mi accorsi solo in quel momento che la ragazza non mi stava rispondendo. Dopo un minuto del mio sguardo imbarazzante e del mio braccio teso verso il nulla, mi arresi al suo sguardo che puntava invece verso il basso.
«Ooookay, scusami ancora e buona giornata» le dissi finendo il mio monologo.
La ragazza, come se le avessi dato la possibilità di andarsene, si strinse i libri al petto e ci affossò lo sguardo camminando dritta per la sua strada. Rimasi a guardare quella strana ragazza fino a che non sparì dalla mia visuale, prima di ritornare in me stessa e ricapitolare quello che stavo facendo. Libri. Biblioteca.
“Cazzo! Devo aver mischiato la lista dei libri con i suoi fogli, ora come faccio?” Tirai un sospiro e mi arrabbiai con me stessa, non me ne andava mai bene una. Come avrei fatto adesso a recuperarla? Potevo sperare solo che lei se ne accorgesse e si preoccupasse di cercarmi, e quindi potevo solo aspettare.
Guardai l’orologio nello schermo del telefono. Tardi, sempre tardi, tanto valeva avvantaggiarmi con il mio programma della giornata.
Tornai a casa completamente sudata e bisognosa di fare una doccia. Essere senza macchina cominciava a diventare un problema soprattutto con quel clima californiano che si stava facendo sempre più afoso. Gettai le mie cose sul divano e mi precipitai in bagno, anche se avevo ancora del tempo prima della mia videochiamata; non potevo stare un attimo in più con quell’appicicaticcio.
Aprii il getto della doccia e già cominciai a rilassarmi solo con il suo suono. Quanto può essere terapeutica l’acqua? Tantissimo a quanto pare, visto che mi sentivo già più leggera.
Sciolsi i capelli e li spettinai grattandoli a testa in giù, separai i vestiti zuppi dalla mia pelle per poi scostarli con un piede verso il cestino della biancheria sporca.
Appena entrai nella doccia spensi totalmente il cervello. Per una volta avevo tempo. Lo scontro con quella ragazza aveva avuto un risvolto positivo, avrei avuto tempo poi per preoccuparmi se la lista di quei libri non mi tornava indietro. Potevo sempre fare la figura della sbadata e richiederla di nuovo al professore, ma ci avrei pensato poi.
Il getto solleticava la mia testolina ed il sapone alla vaniglia addolciva i miei pensieri.
Da quanto tempo non dedicavo un po’ di tempo a me stessa? Misi un po’ di sapone nelle mani e cominciai a togliermi il sudore di dosso passandole su ogni centimetro del mio corpo. Tanto, era decisamente tanto tempo che non lo facevo ed il mio corpo lo sapeva meglio di me visto che sembrava risvegliarsi sotto il mio lieve tocco.
Dopo l’appuntamento a quattro avevo ripensato spesso sotto le lenzuola a quello che avevo fatto con Alex, ripassavo nella mia mente ogni gesto, ogni frase da quando ero entrata in casa sua a quando ne ero uscita soddisfatta, mentre stuzzicavo il mio corpo travolta da quei ricordi, ma nonostante fossi io l’artefice dei miei movimenti non riuscivo a venirne a capo fermandomi sempre prima di raggiungere l’apice. Il mio corpo reclamava un piacere che io stessa non ero in grado di dargli. Mi toccavo, mi accarezzavo insieme ai più peccaminosi pensieri, eppure la soddisfazione che ne traevo non era per nulla paragonabile a quella avuta con lui.
Volli comunque tentare sotto la magia della doccia. Dischiusi le gambe quel poco che bastava a farci passare in mezzo la mano. La voglia c'era e un brivido di speranza si fece strada in me non appena sfiorai con i polpastrelli il clitoride. Gemetti appoggiandomi con una mano alla parete fredda della doccia. Le dita indugiavano sulla mia porta aprendola pian piano, si infilavano lentamente assaggiando ogni goccia di piacere, fino a che non le spinsi dentro velocemente con una prepotenza che mi portò ad aprire le labbra per tramutare in una vocale sussurrata la piacevole intrusione.
Mi accasciai sulle mie gambe fino a sedermi sul freddo piatto doccia pur di lasciare ampio spazio a quel piacere che mi stava avvolgendo. Flessi le ginocchia per cercare una posizione comoda, adesso che stavo quasi per toccare il culmine non volevo mi sfuggisse di nuovo. La mia mano si muoveva cercando di mantenere un ritmo, mandai la sua gemella ormai libera a percorrere il mio corpo in cerca di qualche punto sensibile che potesse essere di supporto alla mia causa. Trovai soddisfazione tra i miei seni, anche se non mi bastò accarezzarli dolcemente. Solo quando li strinsi possessivamente riuscii a trovare quello stimolo che cercavo.
Aumentai voracemente i movimenti lasciando libero sfogo alla mia mente e alla mia voce.
Inclinai il viso verso l’alto lasciando che l’acqua piovesse direttamente su di esso. L’acqua picchiava sui miei occhi chiusi ed entrava nella mia bocca aperta come a volerla dissetare. Arrivai al tanto agognato culmine toccando il picco di felicità, per poi vedere come scemava velocemente davanti ai miei occhi.
Tutto era già passato, tutto era sparito ed io sentivo di nuovo quella pesantezza addosso che avevo prima.
Rimasi seduta immobile per alcuni minuti con l’acqua che continuava a piovere su di me prima di trovare la forza di riprendere la mia agenda in mano e continuare la mia pienissima vita.
Cenai ancora pensierosa, dovevo ammettere che le mie amiche avevano ragione, avevo bisogno di sesso, questo potevo concederglielo, ma di un uomo al mio fianco quello no, non perché non fossi pronta per gli uomini, ma perché gli uomini non lo erano per me.
Ero talmente concentrata sul mio pensiero che non stavo ascoltando per niente i discorsi delle mie coinquiline a tavola.
«Hai capito Ary?»
«Che?» chiesi cercando di ascoltare.
«Stavo dicendo a Niki che ho visto oggi in una bacheca un foglio di una ragazza che si offriva di fare massaggi a pagamento» si fermò e mi sorrise. «Ci pensi Ary? Passare le mani su quei polpacci muscolosi e su a salire sulle cosce fino a metterle sui glutei e impastarli per bene.»
Mentre parlava le sue mani si muovevano simulandone l’atto che più che un massaggio sembrava stesse facendo la pizza.
«Tu non sei sana» intervenne la mia amica ed io risi dandole ragione.
«Va beh, comunque perché non lo fai anche tu? Dopotutto tra poco sarai dottoressa a tutti gli effetti, sei sicuramente più qualificata di una massaggiatrice qualsiasi e poi è pur sempre una entrata. Se ti vengono dubbi, pensa ai glutei impastati.» Era una pazza, ma la adoravo come neanche facevo con mia sorella.
«Non posso certo offrire il tipo di massaggi che pensi, di solito chi richiede i massaggi che studio io sono persone che stanno in riabilitazione, pazienti, non palestrati, carne flaccida da impastare» le feci la stessa mossa con le mani e lei rispose facendomi il verso del vomito, mentre Nikki rideva della scena.
«Mi hai comunque dato una idea, perché no?» sorrisi, ma archiviai il discorso, almeno fino al sabato successivo.
Non avevo mai pensato ad un lavoretto del genere eppure ero abbastanza formata per farlo. Mi feci aiutare a stampare volantini con il mio numero da Roxy. In cambio di una pubblicità accattivante avrei dovuto solo accompagnarla ad una mostra fotografica la domenica seguente. L’avrei accompagnata ugualmente visti i suoi occhi a cuoricino ogni volta che ne parlava ma così almeno ne avevo ricavato qualcosa.
Girai tutto il pomeriggio per punti strategici della città cercando di fare la faccia d’angelo ad ogni negozio al quale chiedevo di poter lasciare il mio volantino. Dopo ore di camminate ininterrotte decisi che solo uno sgabello ed un aperitivo potessero farmi ritrovare il mio equilibrio fisico-mentale.
Il bar che avevo puntato era ancora quasi deserto e forse un po’ troppo formale per me che indossavo un vestitino a fiori beige e dei sandali, ma decisi comunque di accomodarmi con nonchalance al bancone occupando lo sgabello di fianco a me con la borsa e i volantini.
«Che ti faccio?» mi chiese l’uomo dietro al bancone.
Persi due minuti buoni a guardarlo dalla testa a ciò che mi era visibile dalla mia prospettiva prima di rispondergli: «Un rosso.»
Mi guardò interrogativo.
«Un vino, rosso» specificai cercando di togliergli il dubbio che aveva sul volto.
«Sì, avevo capito, ero solo curioso della scelta.»
«Non si usa bere vino qui?»
«Certo che sì, ma non me lo sarei aspettato da te» disse mentre finalmente mi serviva il mio mezzo bicchiere di rosso in calice.
Come per togliergli ogni dubbio lo presi subito e ne feci un bel sorso davanti ai suoi occhi.
Tirò fuori dal bancone delle noccioline.«Mangia o ti darà alla testa.»
Ne presi una e me la portai alle labbra. «Ma fai il barman o il dispensatore di consigli?»
Sorrise e si spostò più in là a sistemare bicchieri.
Chissà che tipo era, dalla camicia bianca leggermente arrotolata avrei detto un figlio di papà, aveva una presenza ed una postura che sapevano di persona agiata, ma il lavoro e non so, forse anche i suoi capelli ribelli, mi suggerivano tutt’altro.
Passava avanti e indietro per tutto il bancone ed io lo seguivo con lo sguardo beandomi di quella distrazione invece dei grilli che saltavano nella mia testa. Era un bel ragazzo, non si poteva dire il contrario, ma il mio interesse era pari a quello di un bel modello in tv, nient’altro.
«Vuoi lasciare un volantino?» mi chiese fissando i foglietti che uscivano dalla borsa.
«Non penso sia il posto adatto.»
Ne afferrò uno al volo e lo esaminò prima che potessi dire altro. «Massaggiatrice eh?» fece ammiccando al foglio e guardandomi come per cucirmi addosso il mestiere.
“Ma perché tutti pensano a qualcosa di erotico?”
«Non sono io, sto facendo un favore ad un’amica» dissi per togliergli quello sguardo fin troppo saccente.
«Ah, capisco. Ed è carina l’amica?»
«Sicuramente lo è fin troppo per te» risposi senza mezzi termini, mi stava innervosendo con il suo modo strafottente.
Afferrò il cordless del bar ed in men che non si dica digitò il numero facendo squillare il telefono dalla mia borsa.
«È solo una casualità» dissi silenziandolo senza neanche guardare il numero.
Era ovvio che non ci fosse cascato, la mia bugia non avrebbe retto neanche con un bambino di dieci anni e lui per quanto sembrasse bello e senza cervello non arrivava a quello stato mentale.
«Va beh, io lo tengo, non si sa mai che abbia bisogno di un bel massaggio.»
«Fa’ pure ma ti auguro di non aver mai bisogno dei suoi massaggi, a meno che non hai intenzione di romperti qualcosa a breve.»
Guardò meglio il volantino e sorrise. «Lo tengo lo stesso, ti dispiace?»
Feci una faccia disinteressata anche se dentro stavo fremendo. Respirai e cercai di rimanere calma. Mentre lui accoglieva una coppia di clienti appena arrivata io lo immaginavo piegato sotto il mio frustino.
Sapevo che era un’immagine vivida solo per la mia mente, ma la soddisfazione di immaginarlo così era talmente eccitante da far risvegliare la mia carne sotto le vesti.
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