Arleen. Caffè e bollicine
Quando avevo dato una speranza alla folle idea di Roxie non pensavo di sicuro di avere immediato successo, ma non potevo sicuramente disdegnare il mio primo cliente ed i primi soldi puliti che sarei stata in grado di fare.
L’incontro con il fotografo era stato decisamente eccitante, non per la sua innegabile bellezza fisica, strana per uno che potrebbe benissimo stare davanti all’obiettivo invece che dietro, ma per la disposizione di ruoli che si era creata. Lo avevo avuto per ben due ore impotente sotto le mie mani, anzi, un’ora e cinquanta - così imparava a stoppare una professionista all’azione -, un’ora e cinquanta di pieno potere su quel corpo decisamente curato, un’ora e cinquanta dei suoi fremiti sotto i movimenti sapienti delle mie mani.
Ho svolto il mio lavoro impeccabilmente sciogliendo tutta la tensione che chissà per quale motivo Jona aveva addosso, e allo stesso tempo mi sono goduta tutta la scena dentro di me, i sussulti che uscivano dalle sue labbra ogni volta che mi spingevo liberamente nelle zone del suo corpo state evidentemente a lungo senza attenzioni, i suoi impercettibili movimenti che chiedevano inconsapevolmente “ancora” e la delusione quando all’improvviso smettevo lasciandogli l’amaro addosso. Era come se fosse mio, un bambino inerme sotto le mie carezze ed entrambi sapevamo che un centimetro più in là ed una carezza diversa avrebbero potuto far divenire realtà quello che le nostre menti immaginavano.
Peccato che le nostre versioni collidessero quasi sicuramente tra loro. Avere decisione su quel corpo aveva cominciato a far pendere l’ago della bilancia tra le mie due vite a favore di quella di Arleen; era come se avessi, in piccola parte, trovato con questo lavoretto un giusto soddisfacimento dei miei bisogni, quasi tutti.
Peccato che il mio cliente, sebbene ben pagante, era solo uno, e non mi permetteva ancora di allentare la vita di Miss-A.
Domenica 1 luglio
L’agenda dei miei impegni non era vuota neanche di domenica, avevo una piccola missione di gentilezza da mettere in atto prima di dedicarmi alla serata di svago, anche se veicolata dal favore che dovevo a Roxie.
Arrivai davanti all’Hotel “Parco dei principi”, dove la piccola ma a quanto pareva benestante Iris alloggiava. Sembrava davvero sontuoso dentro quanto lo era fuori, si imponeva maestoso in tutto il quartiere rendendo il resto la sua semplice cornice.
Mi avvicinai alla reception, consapevole mentre lo facevo che della ragazza sapevo solo il nome, che era un bel passo rispetto alla prima volta in cui mi ci ero scontrata, ma probabilmente sarebbe stato insufficiente per farmi dire la stanza in cui alloggiava.
Arrivata al bancone con mia grande sorpresa però vidi una faccia nota.
«Trevor?» gli chiesi quasi per conferma ed appena si voltò la ebbi.
«Buonasera signorina, posso fare qualcosa per lei?» rispose impostato.
«Mi prendi in giro?» chiesi scocciata.
«Solo un po’» disse sorridendo e lasciandomi riconoscere il ragazzo a cui avevo fatto da tutor di latino.
«Cercavo una ragazza che dovrebbe alloggiare qui, ma so solo il suo nome, Iris.»
«Quindi alla fine è riuscita a trovarti, era agitatissima per quegli appunti che vi siete scambiate. Dammi un secondo che sento se è in camera.»
Non pensavo potesse essere così semplice, ma a quanto pareva avevo una buona stella, almeno negli incontri.
Chiuse il telefono dopo qualche secondo di silenzio. «Non la trovo per adesso, tu accomodati nella hall, appena ho notizie ti faccio uno squillo»
Mentre percorrevo la hall però qualcosa mi fece cambiare i piani; nel mezzo della mia strada c’era un fantasma del passato, un fantasma che non vedevo da anni, almeno da quando mi ero trasferita in California.
Un fantasma che mi catapultò di netto a diversi anni prima, quando ero una donna molto diversa.
«Ciao!» le dissi in un impeto di gioia improvvisa buttandole le braccia al collo e spaventando evidentemente la sua compagna che si dileguò senza neanche aprire bocca.
Vedere Sunny aveva risvegliato in me una Arleen che avevo soppresso da tempo, ed appena me ne resi conto mi staccai dall’abbraccio tornando la ragazza più fredda e calcolata che ero diventata, anche se con quella pazza davanti mi rimaneva difficile.
Sunny Morgan era stata per un periodo la ragazza di mio fratello, e quindi come ogni paesino che si rispetti era diventata quasi mia sorella, una sorellina minore vista la differenza di età tra di noi, quella sorella che non avevo mai avuto, quella con la quale puoi combinare tutti i guai del mondo, quella che veloce come la acquisti purtroppo la perdi e pensi di non vederla più finchè non ti ricompare improvvisamente sotto il naso quando meno te l’aspetti.
Appena mi distaccai da lei mi fu chiaro che non ero la sola ad essere cambiata, aveva un qualcosa di più maturo, dopotutto non potevo essere l’unica a crescere.
«Che ci fai qui a San Diego?»
«Mi sono appena trasferita con mio fratello per affari, sai, sono diventata una scrittrice e stanno per fare un film sul mio libro.»
Si vedeva che aveva bisogno di ostentare che stava bene, che la sua vita era proseguita anche dopo mio fratello Samuel e che a quanto pare era proseguita davvero bene.
«Davvero? Non ne ho sentito parlare, ma che ci vuoi fare, gli unici libri che leggo sono quelli di medicina per cercare di finire questi infiniti studi, poi adesso che ho anche cominciato a lavoricchiare, davvero, non ho più un attimo libero per svagarmi.»
«Fidati, il genere del mio libro ti piacerebbe. Anzi, se mai volessi qualcosa da leggere ho proprio qualcosa che fa per te; ho questo libro di Katelyn, una scrittrice di San Diego, l’ho incontrata proprio un paio di sere fa a cena, è il suo primo libro ma posso assicurarti che è una bomba.»
Una cosa di Sunny non era mai cambiata, amava parlare ed ascoltava poco.
«Come ti ho detto tra studio e lavoro di tempo libero ne ho veramente poco.»
«Che lavoro fai?» chiese come conseguenza del mio parlare.
«Faccio massaggi a domicilio. Terapeutici. Se ti serve una mezzoretta di relax dopo essere stata gobba sopra al pc a scrivere, chiama» le dissi passandole un volantino, «o chiama anche solo per un caffè.»
Feci in tempo a passarle il foglietto che si precipitò da quella che capii essere, dopo poche battute, la scrittrice della quale mi aveva appena parlato. Sinceramente non l’avrei mai detto se non avessi intercettato le loro parole, quella ragazza sembrava tutto tranne che una scrittrice, ma d’altro canto neanche Sunny lo sembrava.
Cercai di essere loquace anche se il mio lato da regina delle nevi si impossessava di me rendendolo quasi finto.
Il mio sorriso si fece vero quando mi accorsi che l’accompagnatore di Kat era l’ultimo uomo che mi ero portata a letto e il primo della mia rinascita. Chissà se ci aveva mai provato con lei, sicuramente dallo sguardo glaciale che mi stava rivolgendo non voleva riprovarci con me. Peccato, mi ero decisamente divertita con lui.
La chiamata di Trevor che aveva trovato Iris, mi diede la giusta uscita di scena con un arrivederci a poche ore dopo.
Arrivai al bar dove la chiamata collocava la ragazza e rintracciai la piccola principessa in un paio di occhiate. Nonostante fosse vestita un po’ più informale dell’ultima volta, attirava comunque l’attenzione su di sé come un faro.
«Posso?» le chiesi accomodandomi di fronte a lei.
«Certo. Pensavo non saresti venuta.»
«Ho avuto da fare in questi giorni, anche grazie alla lista dei libri che mi hai riconsegnato. Davvero, mi hai salvato la vita. Comunque non mi hai lasciato una data, infatti non credevo neanche di trovarti, sono passata per caso.»
«Beh, il caso ha voluto che ci incontrassimo oggi come che ci scontrassimo giovedì. A proposito, scusami, non puoi capire quanto ero tesa quel giorno.»
«Posso capire, in fondo stiamo sulla stessa barca. Fare giurisprudenza, come medicina, non deve essere una passeggiata di salute.»
Continuammo a parlare del più e del meno e forse sotto l’incantesimo di Sunny mi sciolsi un po’ con Iris come ero riuscita a fare solo con le mie coinquiline ultimamente.
Quella ragazza mi ispirava tenerezza, sembrava avesse bisogno di amicizia e forse qualche legame in più non faceva male neanche a me.
Parlammo talmente tanto che dal caffè mi invitò anche a cena, cosa che dovetti declinare a malincuore. Tornare a casa e prepararmi per la mostra avrebbe richiesto il suo tempo ed anche se mangiare in quel sontuoso hotel era allettante, dovetti scappare nella speranza di avere in futuro un’altra occasione.
Cercai qualcosa dal mio armadio per ridurre al minimo l’intervento della mia coinquilina sul mio outfit, ma le informazioni che mi erano pervenute non aiutavano la scelta.
Secondo Roxie era un artista emergente e quindi sarebbe bastata una mise da aperitivo, ma si svolgeva al SDMA e quindi tanto informale non potevo essere.
Gonna sopra o sotto il ginocchio? Scollatura avanti o dietro? Tacco 6 o 12?
Domande che non ebbero risposta finchè non decisi di mixare le cose provandole sulla mia pelle in tutte le loro combinazioni.
Indossai un vestito senza spalline stretto in vita e morbido sotto, colore rigorosamente nero così le scarpe e la borsetta rossa potevano risaltare senza stonare il tutto.
Una giacca aperta grigio scuro evitava che prendessi freddo nel tragitto ed anche se non era in perfetto tono non sembrava contrastare poi così tanto.
Quando entrammo alla mostra capii che non avevo sbagliato di molto il modo di vestire visto che erano tutti davvero formali; sembrava uno di quegli eventi che si vedevano in tv con i flûte di champagne e il catering che gira con il finger food. Roxie era davvero a suo agio, le brillavano gli occhi da quando era entrata e si ritrovò subito immersa in immense chiacchierate dalle quali io mi feci subito da parte.
Con il mio bicchiere in mano cominciai a fare un lento giro della galleria concentrandomi sulle sue protagoniste.
Non appena vidi la prima foto appesa, uno strano presentimento si annidò nel mio stomaco. Mi ricordava qualcosa, sì, ma cosa?
Inclinai la testa di lato per vedere se il cambio di prospettiva mi desse un qualche indizio intellettivo ed uno dei miei neuroni reagì portandomi a guardarmi attorno.
Mi strozzai quasi quando vidi che la mia mente aveva ragione, la mostra alla quale stavo assistendo era proprio quella dell’unico cliente che avevo avuto fino a quel momento.
Non ero abituata a mischiare lavoro e vita privata, ma a quanto pare avrei dovuto farci i conti visto che questo lavoro a differenza di quello di Miss-A non prevedeva maschere né travestimenti, ero io al 100%, solo Arleen.
Voltai le spalle al fotografo sperando che non avesse incontrato il mio sguardo indagatore e mi diressi verso l’ampia sala dell’ingresso per prendere un po’ d’aria dall’ambiente che all’improvviso si era fatto soffocante.
«Allora ti piacciono davvero le mie foto se sei venuta a vedere la mostra.»
Dovevo aspettarmi di non passare inosservata, in fondo i cambi d’abito di fronte allo specchio erano serviti proprio ad assicurarmi di questo.
Mi voltai cercando di mantenere uno sguardo serio e distaccato. «Scusi ci conosciamo?»
Accusò leggermente il colpo prima di rispondermi. «Eh sì, non so quanti clienti tu abbia, ma ci siamo visti solo ieri mattina, ti dimentichi presto.»
Gli rivolsi un mezzo sorriso e lo squadrai dalla testa ai piedi. «Ah sì, adesso ricordo, è che sono abituata a vederla in ben altre vesti.»
«Allora forse potremmo aumentare i nostri incontri, così mi ricorderesti meglio.»
Quell’uomo mi destabilizzava, avevo una estrema voglia di vederlo supplicante davanti ai miei piedi, di passare le mie mani sulla sua pelle nuda e conficcarci le unghie sotto i suoi gemiti di dolore misto a goduria, di usarlo come un giocattolino utile solo al mio piacere.
Pensare tutto questo nella mia mente e cercare di dissimulare fuori diveniva sempre più difficile.
«Quando vuole, l’importante è che non si scordi di pagarmi.» Con un mezzo sorriso ed il suo ammutolimento seppi di aver vinto quel round sempre più eccitante.
Mi guardava come se volesse aggiungere altro, non in parole ma in fatti. Sorseggiava le sue bollicine quasi terminate ed io vedevo lontano un miglio che avrebbe voluto bere altro, una cosa che più bramava e più si allontanava dalla sua traiettoria rendendosi irraggiungibile. Non mi avrebbe mai avuta, non alle sue condizioni.
«Non la voglio trattenere oltre, signor Heart, avrà molti clienti da incontrare ed io sono solo una ammiratrice che non può permettersi i suoi scatti, non voglio rubarle tempo prezioso.»
Sorrise ed incassò di nuovo il colpo.
«Volevo godere della tua compagnia senza dover mettere mano al portafoglio ma ahimè sembra che tu non sia dello stesso parere, peccato.»
Si allontanò da me facendomi crollare ogni certezza. Era forse un tentativo di corteggiamento o solo di entrarmi dentro le mutandine? L’unica cosa che sapevo è che lo stavo guardando in modo diverso e mi sarei dovuta riprendere per martedì o non sarei riuscita ad essere professionale come mi ero ripromessa.
Gettai uno sguardo su Roxie che si destreggiava tra chissà quali argomenti sembrando lei la padrona di casa.
Almeno potevo allontanarmi indisturbata alla ricerca di un bagno dove darmi una sistemata mentale.
Appoggiai il bicchiere su un vassoio puntando la direzione che le frecce mi indicavano per la toilette e cercando il mio obiettivo al di sopra della folla. Inciampai su uno scalino artificiale e quasi caddi dalla posizione precaria dei miei trampoli, se non fosse per una presa forte che mi stava sorreggendo. Mi rimisi in piedi e mi voltai per ringraziare, quando vidi chi era il mio salvatore.
«Tu?» chiesi incredula.
«Preferivi qualcun altro o che ti lasciassi cadere? Se vuoi la prossima volta che ti si incroceranno i piedi e starai per volare mi metterò comodo e mi godrò la tua rovinosa scena.»
Volevo controbattere, ma la rabbia verso quella sfrontatezza non mi lasciava ragionare.
«Non ti vedo con in mano un vassoio, non fai parte del catering?» Era cattiva come battuta, ma quel ragazzo mi dava il nervoso tirando fuori la parte peggiore di me.
«No, non sto lavorando, conosco il fotografo e ho dato appuntamento qui ad un amico.»
Colsi al volo la frase per fare un ammiccamento. «Un “amico”» risi. «Non ti facevo di quella sponda, di solito si dice che sono i più belli quelli che si perdono per quella via.»
«Ed io per te non lo sono?» disse cadendo nella mia trappola.
«Mah, forse. Non dovrebbe interessarti il mio parere però, ma solo quello del tuo amichetto.»
«Ancora con questa storia?» Si avvicinò al mio orecchio e lo lasciai fare, i suoi riccioli mi accarezzarono la guancia per tutto il tempo delle sue sussurrate parole. «Non mi interessano gli uomini, Cherì, e puoi smettere anche di usare la bocca per irritarmi, tanto non attacca. Se vuoi ho altri modi in mente per adoprarla, uno in particolare ha dolcemente accompagnato i miei sogni questa notte.»
La sua voce suadente mi era entrata dentro la testa per cercare il tasto “off” ma per fortuna mi risvegliai dal suo incantesimo prima di dare un qualche segno di cedimento. «Ah, e così mi sogni la notte?» chiesi ghignando.
«Vuoi cercare di farmi intendere che non ti lusinga?»
«Mah, sei libero di fare quello che vuoi» gli feci l’occhiolino, «ma un vecchio detto dice che chi sogna non prende pesci»
«Chi dorme...»
«È lo stesso. Ti lascio al tuo amichetto» lo salutai facendo un passo verso la parte opposta.
«Come vuoi, a presto, Arleen.»
Ma al sentire il mio nome scattai subito a guardarlo. «Come conosci il mio nome?»
«Il volantino no? Signorina non-sono-io-la-massaggiatrice.»
Rimasi stupita quando lo tiró fuori dai suoi impeccabili pantaloni. Non solo lo teneva ancora, ma lo teneva con sé in quel momento, anche se spiegazzato e quasi irriconoscibile.
«Allora non sei poi così stupido come pensavo. Mi stupisce che tu lo abbia ancora, credevo lo avessi buttato dopo che me ne ero andata.»
«In realtà lo avevo gettato, poi un amico ha detto che hai delle mani da fata e l’ho raccolto dalla spazzatura.»
«Devo aspettarmi una tua chiamata?»
«Se non avessi un appuntamento potrei togliermi lo sfizio ora.»
«Non sono mica una prostituta che chiami quando hai voglia di compagnia, non sono così squallida.»
Il suo volto cambiò come se avessi toccato un tasto dolente.
«A presto» disse lasciandomi sola in mezzo al salone.
Lo guardai allontanarsi ed avvicinarsi all’entrata, forse per aspettare l’amico che diceva, ma mi sentii comunque strana, come se mi sentissi in colpa di qualcosa.
Mi concentrai di nuovo sulle foto e il mio sguardo cadde su quella accanto a me, una donna senza veli davanti a due specchi che ne svelavano ognuno alcuni tratti senza riuscire a prenderne l’interezza.
«Davvero bella foto, non trova?»
Non guardai neanche la persona accanto a me, poteva essere chiunque, ma già solo per il fatto che era un uomo non meritava la mia attenzione.
«Bello scatto, ma mostra una donna troppo insicura, una donna che cerca la sua totalità al di fuori di sé e non riesce a coglierla.»
«Ammette solo la sua fragilità.»
«Fragile è solo la donna che non capisce che non ha bisogno di nessuno se non di se stessa» dissi continuando a guardare l’opera, felice di aver dato la mia cinica interpretazione.
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