Prologo
[ New York, 19 Marzo 2017 ]
«Alexa?» Due occhi color cioccolato, di quello buono e dolce, stavano scandagliando l'ufficio in cerca della figura della bionda. Affacciata un po' a metà manteneva una mano contro lo stipite della porta, l'altra premuta contro il petto in modo da non far sfuggire l'iPhone di ultima generazione e il viso dominato da un'aria preoccupata. Stava aspettando risposta, ma quella non sembrava arrivare.
L'ufficio, in realtà, non era uno di quelli semplici ed asettici, era quanto di più simile a un salotto di quelli lussuosi e belli, che ti intimoriscono ed affascinano al contempo. Le vetrate davano sullo skyline di New York con una vista impagabile su Central Park. Colori chiari e scuri si mescolavano con un'eleganza nuova che risultava allo sguardo, incredibilmente, senza tempo. Pareti chiare, tendaggi nei toni del crema, mobili in legno scuro e cemento spatolato intarsiato da rifiniture dello stesso coloro dell'oro. I dettagli erano quelli che saltavano immediatamente all'occhio e chiunque aveva la fortuna di entrare in quell'ufficio, capiva subito che il buongusto e senso dell'estetica erano cose che non mancavano alla proprietaria.
La scrivania risultava sgombera da qualunque cosa ad eccezione del MacBook, la zona salotto invece era piena zeppa di stoffe e custodie di abiti, nell'aria c'era un odore buonissimo: sembrava talco mescolato a quel sentore di biscotti appena sfornati con un pizzico di arancia dentro. Era l'odore che ogni volta che ci si avvicinava a lei ti prendeva in contropiede e ti accarezzava, lo sentivi e sapevi che, da quel momento in poi, ti sarebbe stato impossibile dimenticarlo.
Lara non si era mai sentita in soggezione davanti la bellezza altrui, era una ragazza bella e piacevole, soprattutto nei modi. Era quel tipo di ragazza che conquistava i cuori di tutti con un semplice sorriso, quel tipo di sorriso capace di rabbonire chiunque se solo fosse stato necessario. Alexa l'aveva scelta appositamente – oltre che personalmente - perché, oltre che bravissima, aveva la capacità assoluta di calmarla ed indurla a fidarsi e delegare il lavoro che, altrimenti, l'avrebbe uccisa prima dei trent'anni. Eppure anche Lara, nel vederla, si era fermata qualche istante come se si fosse dimenticata di cosa, esattamente, fosse venuta a fare qui in ufficio da lei.
Alexa era in piedi su una sorta di pedana circolare, quasi nuda. Due gambe infinite che rischiavano di far venire un infarto a chiunque si fosse soffermato più di due secondi a guardarle, un intimo risicato le copriva l'essenziale, i capelli biondi erano raccolti in una crocchia ad hoc per liberarle il collo e dar modo alle sarte di lavorare. Calzava un paio di decolté chiare, evidentemente da prova, che aggiungevano al suo metro e ottantuno almeno altri undici centimetri. Era di una bellezza inarrivabile, di quelle che puoi guardare da lontano e pensare che siano irreali.
Le mani delle sarte erano laboriose intorno a quel corpetto che stavano, praticamente, modellando su di lei. La sua era una taglia da campionario (come tutte le modelle) e nel corso degli anni aveva imparato a stare completamente ferma mentre il mondo le ronzava intorno, affaccendato e distratto, facendo di lei una Barbie in carne ed ossa.
Ed era proprio così che Alexa si sentiva in questi momenti: una Barbie. Come estraniata dal suo stesso corpo, lasciava che le mani corressero su di esso senza che lei potesse avere nulla da ridire. Non sembrava nemmeno reale in quei momenti, creando una sorta di visione in cui anche i più abituati come Lara cascavano senza appello. Quella stessa visione che si era infranta solo quando si era mossa per raccogliere e tener fermo il corpetto con la destra contro il petto, voltando appena il capo verso la spalla destra, intercettando Lara.
Un sorriso abbagliante, radioso come un piccolo sole, aveva appena accolto la sua assistente. «Dimmi, stella.»
Destabilizzante, ecco com'era Alexa. Una fonte continua di alti e bassi che scompensavano chiunque si ritrovava davanti. Il suo sorriso, il modo con cui si approcciava al prossimo, anche la piega che i capelli facevano nel discendere lungo la schiena. Era tutto estremamente destabilizzante per chi doveva averci a che fare tutto il giorno.
«Non sapevo fossi impegnata, mi dispiace disturbarti.» Lara stava parlando distrattamente, mezza incantata a guardare l'operato delle sarte, le stesse che sembravano non rendersi conto di avere fra le mani una persona viva sul serio.
Un gesto della mano aveva liquidato velocemente la questione, corredato da una smorfia appena accennata sul viso della bionda. «Non è niente. Dimmi.» Stava sollevando di poco le braccia tenendo le mani ferme contro il corpetto ad altezza seno, smuovendo appena le scapole per farle tornare attive almeno un pochino.
Lara le aveva dedicato un rapido sguardo prima di catalizzare la sua attenzione sul suo cellulare, scorrendo le notifiche sullo schermo touch. «Hanno richiamato dal laboratorio, dicono che i campioni delle stoffe che hai richiesto sono pronti e vorrebbero che tu scegliessi i colori dal vivo... quando poi non lo so.» Un borbottio simil caffettiera aveva preceduto quella pausa che le era necessaria per leggere l'appunto. «Hai un appuntamento con quelli della Mallard & Baker's Associated.» Una pausa, gli occhi erano fissi su di lei. Avete presente come un gufo poteva fissare la sua preda? Ecco come Lara fissava puntualmente Alexa, ogni singola volta doveva sottolinearle l'importanza di qualcosa.
Un sospiro arreso era la risposta silente dell'altra. Espirato lentamente dopo aver incamerato aria, socchiudendo un poco le palpebre, senza però dire alcunché.
«Hai ritirato il mandato ai Johnson, serve una copertura legale e mi hai chiesto di ricordartelo ed obbligarti ad andarci.»
«Lo so, stella. Lo so.» Estremamente cosciente che era una di quelle cose necessarie che bisognava per forza fare, l'importanza della questione non levava però il fatto che avere a che fare di nuovo con un avvocato non le piaceva nemmeno un poco. Ecco perché temporeggiava, Alexa lo faceva sempre e Lara questo lo sapeva benissimo. «Non guardarmi così.»
«Così come, Alexa?» Un'aria finta innocente era appena approdata sulla faccia di Lara.
«Da gufo.» Appunto. Si erano fissate per qualche istante. «Sei un po' paracula.»
«Lo so. Per questo mi vuoi bene e mi paghi benissimo.»
La prima, vera, risata della giornata aveva smosso un poco le spalle di Alexa, incontrando degli sguardi di disapprovazione delle sarte. «Scusate.» Ed era pure il loro capo, eh. «Nel frattempo cercami il numero di Meredith Richmond, per cortesia.» Era tornata a guardare Lara, animata da quella piccola illuminazione.
Lara stava digitando frettolosamente, al suo solito, per non perdersi tutto. «Sarebbe?»
«Un avvocato.» Col tono di ovvietà.
Lara aveva sospirato, guardandola con un cipiglio da "sei seria?". «Maddai. E io che pensavo fosse la tua nuova chiropratica.»
Anche l'umorismo a volte pungente e il sarcasmo di Lara erano stati il tocco magico che avevano fatto sì che Alexa scegliesse lei e non chissà chi altro. «Che ne sai. Potrei.»
Sfidare Lara, colei che gestiva l'agenda di Alexa da sempre in pratica, non era una buona idea: sapeva tutto di lei, dei suoi gusti e preferenze, dove preferiva andare e dove no. Ed era per questo che Alexa non aveva alcuna intenzione di continuare in quella sorta di sfida, piuttosto aveva appena scelto una strada più saggia.
«La conosco bene, è davvero brava. Vorrei capire per chi sta lavorando ora.» L'occhiata di Lara era eloquente, un po' come quando tua mamma ti stava per sgridare per i compiti non fatti. «Ti giuro che ci vado dai Ballard.»
«Mallard.» Cominciavamo bene.
«È uguale.» Un nome valeva l'altro per lei, conoscendola era già tanto che non lo avesse cambiato completamente.
«Una volta trovata?»
«Dille che vorrei poterla invitare a pranzo, è una questione importante e ho necessità di parlarle privatamente. Lei capirà.» Un attimo di pausa. «Che giorno è oggi?»
«Il diciannove, perché?»
«Merda.» In russo questo. «Appena finisco qua, ricordami di chiamare Mja.»
«Alexa, tu appena finisci qui devi vestirti ed andare in aeroporto.»
«Lo so.»
«Ti aspettano a Los Angeles... è importante. Vuoi che rimandi qualcosa?»
«No, ce la faccio.» La testardaggine di Alexa era qualcosa di proverbiale, bisognava ammetterlo.
«Okay.» Un silenzio carico di non detti si stava dipanando fra loro due. «C'è un'altra cosa.»
Le sarte stavano finendo di montare quel corsetto e Alexa era stoica, ancora e ancora. Paziente nell'aspettare che le altre finissero. Si era voltata solamente a guardarla come a dirle "sì?"
«Sono arrivate di nuovo delle rose.» Pausa. «Cinquanta. Anche stavolta col bocciolo decapitato.»
Un attimo, una manciata di parole, ecco quanto era bastato affinché lo sguardo di Alexa diventasse vacuo, pieno di quelle ombre da cui non riusciva a separarsi nemmeno impiegando tutte le sue forze. Un gesto semplice quanto necessario quello di spostare lo sguardo sulla vetrata davanti a sé. Stava cercando di mantenersi calma, tranquilla. Piccoli gesti che le ricordavano dove si trovava e che doveva restare presente a sé stessa.
«Buttale. Per favore.» La voce sembrava incorporea mentre parla.
I laccetti del corsetto si erano stretti intorno al suo corpo quasi in uno scatto improvviso e ad ogni stringa che passava da un'asola all'altra, più i lacci si stringevano in maniera anche bella nella loro sartorialità, più a lei pareva che fossero invece una morsa terribile da cui non poteva avere scampo; più loro stringevano, più a lei l'aria mancava, soffocandola.
Quel peso sul petto era tornato. Di colpo, con una violenza inaudita, portandosi dietro il solito senso di oppressione ed incapacità.
Merda.
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