20. Buon Natale, Emilee.
[ 25 Dicembre 2017, NY – 05.45 am ]
Alexa odiava gli ospedali. Il suo era proprio un odio intenso, viscerale, che non trovava confine né misura. Sapeva esattamente il momento in cui aveva iniziato ad odiare gli ospedali ed era stato a Miami.
In generale, tutto ciò che era legato a Miami le creava un disturbo interiore abbastanza intenso, bisognava ammetterlo.
Quella notte, però, erano lì per un evento che doveva essere bello: Mja era entrata in travaglio e Thomas l'aveva portata subito in ospedale, com'era giusto che fosse. E lei non poteva lasciare sola Mja, non in questo momento. Non importava quanto fosse distante da lei in questo momento, ma aveva pazientato, stoica.
L'abbigliamento non era quello solito che aveva, un paio di leggings neri e spessi avvolgevano le gambe, aderenti come un guanto; un paio di stivaletti con tacco largo e squadrato, un maglione in cachemire light nero avvolgeva il busto adagiandosi morbidamente contro i fianchi ed arrivando quasi a metà coscia completavano il suo look. Era quasi completamente struccata e i capelli erano smossi in onde non proprio definite.
Era abbastanza inquieta in quei momenti, era come se non avere notizie la rendesse oltremodo agitata, ma di quell'agitazione sottile e silente, assolutamente bastarda. Il fatto, poi, di essere chiusa in una saletta con tutti i cognati e la "suocera" non la aiutava per niente. Non c'era nemmeno Alexander e sembrava quasi tormentata. Guardava il cellulare ad intervalli irregolari e sembrava quasi una tigre in gabbia, con l'unica differenza rispetto agli altri che non aveva assolutamente spiccicato parola da che erano arrivati.
Si era alzata dalla seduta, lo sguardo di Michael l'aveva subito intercettata. Lei aveva in mano il cellulare e il portafogli e aveva ricambiato lo sguardo dell'altro. «Ho bisogno di un caffè.»
Michael aveva annuito, ma era chiaro cosa pensava: se si fossero persi Alexa sarebbe stato un problema. «Mi raccomando.»
«Non ho intenzione di farmi rapire dagli alieni, promesso.» Aveva fatto un accenno di sorriso, per poi uscire dalla saletta ed immergersi nei corridoi.
Camminava decisa ma, in realtà, non sapeva da che parte andare. Per quello appena aveva visto un paio di dottori fermi in corridoio, si era avvicinata.
«Chiedo scusa.»
I due si erano voltati verso di lei e, nel guardarla, l'avevano subito riconosciuta. Come le succedeva sempre, aveva dovuto attendere pazientemente che chi aveva davanti si riprendesse. La notizia che ci fossero Anderson e Hamilton in ospedale aveva creato non poco scompiglio e c'erano giornalisti tenuti a debita distanza dal servizio di sicurezza.
«Miss Evans...?» Quasi titubante, aveva parlato quello che sembrava uno specializzando.
«In carne ed ossa.» Aveva angolato un sorriso un po' stanco. «Mi dispiace disturbarvi, volevo solo chiedervi dove fosse possibile prendere un caffè.»
I due sembravano fissarla senza connettere il cervello in maniera adeguatamente e lei era in attesa, paziente ancora una volta.
«Alexa.» La voce di Meredith l'aveva sorpresa alle spalle.
«Meredith.» Aveva sganciato un sorriso più sincero.
«Sono riuscita ad arrivare solo ora.» L'aveva affiancata e i due medici si erano dileguati.
«Wow, Richmond. Cosa sei, la Morte Nera?»
Meredith aveva sorriso un po' soddisfatta, con la solita vena di compiacimento dovuta al fatto che terrorizzava il mondo. «Sono skill, Evans. Ricordatelo.» Le aveva battuto la mano sul braccio in una carezza. «Vieni, c'è un distributore più avanti. Non sarà il massimo ma ho bisogno di un caffè.»
Alexa l'aveva seguita fino al distributore, notando solo mentre giravano l'angolo che Harrison era apparso dal nulla, seguendole in maniera discreta.
Meredith aveva intercettato lo sguardo dell'amica. «C'è anche la mia, di guardia del corpo.» I bip dei tasti del distributore premuti per selezionare la bevanda avevano riempito il silenzio di quella pausa. «Fuori è pieno di giornalisti e non ho potuto buttare nessun giudice giù dal letto per avere un'ordinanza restrittiva.» Aveva arricciato il naso, insoddisfatta. «I parti hanno la particolarità poco gradevole di essere improvvisi.»
Alexa si era voltata a guardarla, vagamente allucinata. La cruda onestà di Meredith, condita da un pragmatismo elevato all'ennesima potenza ed esplicato sotto forma di frasi ricercate e raffinate, la destabilizzava sempre. Ma, se al mondo esisteva qualcuno di completamente onesto in ciò che diceva, quel qualcuno era Meredith Richmond. Nel bene e, soprattutto, nel male.
Al pari di Thomas, Meredith aveva il dono di saper guardare alle persone e alle situazioni spogliandole del superfluo ed arrivando alla verità necessaria – e mai piacevole – che si portavano dietro.
Si era ritrovata un bicchiere fra le mani, l'odore del caffè solleticava le narici e sembrava invitante. Altri bip ne erano seguiti, andando a riempire nuovamente il silenzio.
«Alexa, siediti. Sembri sul punto di svenire.» Alexa, in maniera quasi automatica, si era seduta. «Respira.» La mano sinistra di Meredith era andata a depositarsi sulla spalla destra di Alexa. Lei aveva voltato appena il viso verso di lei, intercettando qualcosa di nuovo e, per questo, disturbante ma non lo aveva registrato immediatamente. «Non sei a Miami. Non sei con William. Sei al sicuro. Con me.» Le aveva massaggiato la spalla, con calma.
Alexa aveva espirato pesantemente, bevendo un sorso importante di caffè. «Lui non lo sa.» Aveva, infine, detto dopo quella che le era parsa un'eternità passata in silenzio.
«Immaginavo.» Meredith le aveva carezzato piano la spalla. «Non sei tenuta a dirglielo.»
«Appena mi vedrà capirà che qualcosa non va.»
«Menti, allora.» Una pausa. «Oppure puoi chiaramente dirgli che è una cosa del tuo passato di cui non gradisci parlare. D'altronde, Alexander ha fatto lo stesso con te per quanto riguarda Kelly. Non si offenderà.» Oh, si sarebbe offeso eccome, Meredith ne era certa. Ma Alexa aveva la libertà di scegliere e lei avrebbe tutelato sempre e costantemente quella.
Alexa stava ponderando le parole di Meredith. «Mer.» Aveva alzato lo sguardo su di lei. «Tu vuoi figli?»
Meredith aveva inarcato il sopracciglio sinistro, unica reazione visibile sulla sua intera figura. «Non ho ancora deciso.» Alexa aveva annuito e Meredith aveva continuato. «Tu devi fare quello che il tuo cuore dice che è giusto per te. Nessun altro può avere alcun potere decisionale su quello che è il tuo utero, il tuo corpo, i tuoi sentimenti.» Aveva allungato la mancina, prendendole il mento e sollevandolo appena. «Intesi?»
Gli occhi di Alexa si erano riempiti di lacrime inespresse. «E se non potessi più? Dopo quello che è successo...»
Meredith aveva espirato e si era seduta accanto a lei, in modo che lei si girasse completamente verso la propria persona dando le spalle al corridoio, al riparo da occhi indiscreti. «Significa che valuterai altre opzioni. Sarebbe solo una possibilità bocciata, non tutte le opzioni bocciate.» Sapeva essere rassicurante, quando voleva.
Solo in quel momento Alexa aveva messo a fuoco quello che prima le era sfuggito. Aveva preso la mano di Meredith e, al suo anulare, campeggiava un diamante conturbante per bellezza e grandezza. «Santa Madre di Dio.» Una mano contro la bocca a coprire quella "O" di sorpresa. «Quando?!»
«Il ventitré sera. Poi la figlia del Senatore Marshall ha avuto la brillantissima idea di strafarsi di MDMA e giocare a quanti cazzi potesse raccattare in una sola nottata, andando quasi in overdose e sono dovuta partire per Boston.» Soave come raccontava una cosa bella affiancandola all'ennesima nefandezza (ad opera altrui) che aveva dovuto ripulire.
«Wow. E...non ci hai detto niente.»
«Ero a Boston.»
«E ora sei qui.»
«Le meraviglie che un jet privato e i soldi di un Senatore possono fare.» Si era fatta pagare più che profumatamente questo miracolo natalizio che aveva regalato ai Marshall.
«Come fai, Mer. Sei sempre in giro, sei sempre a ripulire i casini altrui. Ad aggiustare le vite degli altri.» L'aveva guardata. «Come fai a non perderti.»
«So chi sono, Ale. So cosa voglio, so che posso prendermi il mio tempo quando voglio. E come lo so io, lo sa Daniel.»
I loro cellulari avevano vibrato, Alexa aveva aperto le varie notifiche, guardando le foto della piccola Emilee che dormiva beata in braccio ai genitori. Quella bambina era, già così, il ritratto sputato di Thomas.
Nonostante tutto, aveva sorriso. «Buon Natale, piccola Emilee.» Detto in russo, così che solo Meredith potesse realmente comprenderla.
Meredith le aveva accarezzato le spalle e si era sporta verso di lei, depositandole un bacio fra i capelli biondissimi. «Buon Natale, piccola grande Aleksandra.»
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