15. Time After Time.
[ 31 Agosto 2017 – NYC – Villa Suarez/Hamilton ]
Anche il compleanno di Malena era arrivato. Non che l'evento riscuotesse particolare agitazione in Alexa, ciò che pensava non era molto cambiato ma stare con Alex significava anche stare col resto della famiglia Hamilton. Tranne i genitori di lui, no. Loro ancora non li aveva conosciuti ed era solo che cosa buona e giusta per la sua sanità mentale.
Per quel compleanno si era deciso di festeggiare a casa di Malena e Samuel e non si poteva dire che quella casa non rispecchiasse l'estro e l'animo di Malena: il suo tocco era visibile in ogni drappo, tenda o ninnolo che era disseminato per casa. Si faceva scivolare ogni cosa addosso, lo faceva con la consapevolezza di stare facendo qualcosa di più importante: stava restando al fianco di Alexander e se lui la voleva lì, lei ci sarebbe stata.
Chi, invece, era veramente scontenta era Mja e un po' riusciva a capirla: Thomas mancava per questioni di lavoro, così come mancava Meredith. E, per lei, quando mancava Meredith era come se mancasse un po' la sua coperta di Linus.
Per quello non aveva detto nulla ad Alex quando aveva interrotto il ballo con lei per avvicinarsi a Mja e trascinarla un po' a ballare. Aveva bisogno anche lei di distaccarsi da quel loop che la vedeva sempre più incupita e pensierosa.
Quando però aveva visto comparire la figura di Thomas aveva dovuto trattenere un sorriso. Si era messa in disparte, recuperando il suo cellulare e facendo partire immediatamente un video: voleva immortalare la scena per il semplice fatto che lei sapeva. Sapeva che Thomas avrebbe fatto di ogni per esserci e che le avrebbe fatto una sorpresa. Immortalarla era il minimo e già gongolava all'idea di mandare il video a Mja l'indomani.
Cercava di tenersi il più ferma possibile mentre Thomas carezzava i fianchi di Mja, nel registrare l'urletto soffocato di gioia di Mja e quell'abbraccio che raccontava tutto ciò che loro erano, ancor meglio delle parole.
Aveva sentito la mano di Alex sulla sua schiena, si era voltata appena verso di lui sorridendogli e facendogli segno di stare zitto, indicando il cellulare che stava riprendendo tutto.
La musica era scemata e Thomas e Mja erano rimasti al centro della pista, soli.
Quando aveva capito cosa stava accadendo, aveva sgranato pure lei gli occhi.
«Bhoze moy.» un mormorio che veniva coperto dalla mancina, per evitare di urlare chissà cosa in un momento come quello – e ne era capace, sul serio.
Thomas aveva preso la scatolina dalle mani di Mja e si era inginocchiato, davanti a tutti.
«Qualcuno un giorno ha detto che erano trent'anni che mi stavi aspettando.» si era preso una pausa. «Non sei stata l'unica ad aspettare tanto.» aveva aperto la scatolina e l'aveva guardata. «L'attesa è finita.» Mja era un turbine di emozioni e lei viaggiava a ruota dietro l'amica. «E adesso sposami.»
Sopraffatta dalle emozioni, Mja aveva annuito ed incespicato in quel "sì" dato in risposta.
Aveva iniziato a tremare con le mani ed era stato Alex a prenderle il cellulare e staccare il video, passandole un braccio sulle spalle e depositandole un bacio sul capo mentre intorno a loro esplodevano i festeggiamenti.
Era commossa, mai come prima d'ora. Era una valle di lacrime silenziosissima, laddove le lacrime erano contenute ma l'espressione era satura di emozione. Aveva la mancina premuta contro la bocca mentre la destra continuava ad asciugare lacrime.
«No...non sto piangendo.» aveva borbottato verso Alexander.
«No, certo.» lui stentava a trattenere una risata.
«No, davvero! Sono le luci, sai i pollini.»
«Ad agosto.»
«Alex che palle. Puoi far finta che abbia ragione?»
Lui si era messo a ridere più rilassato, prendendola per mano e trascinandosela verso la pista da ballo. Le aveva fatto fare una piroetta e l'aveva ripresa fra le sue braccia, dondolandosi in quel ballo che voleva darle tregua dal mondo, tempo per gestire le emozioni e, perché no, viversela tutta lui una volta tanto così emotiva in senso positivo.
Le aveva depositato un bacio sulla punta del naso e sulla guancia umida. «Hai spesso ragione.» citandola indirettamente.
Lei aveva riso, rilassandosi di botto: lui sapeva sempre come disinnescare qualunque crisi ci fosse all'orizzonte nel suo animo tormentato. Solo lui ce l'aveva quella capacità.
«Non sai io, Alex.» aveva risposto citandolo a sua volta, facendolo ridere.
C'erano. Erano lì, insieme.
Lì dove dovevano essere, uniti.
Fra le risate e i sorrisi di gioia che li circondavano, lui si era sporto verso di lei per baciarla. Come se sentisse che quel momento bello doveva essere fermato con qualcosa di altrettanto bello.
Perché nella loro vita i momenti così erano rari e bisognava celebrarli sul serio; erano gli stessi che, poi, ti tenevano a galla quando il buio cercava di spingerti verso il fondo.
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[Qualche ora dopo]
Era davanti alla specchiera che c'era nella cabina armadio – che poi, chiamarla cabina armadio era un po' riduttivo, considerando quanto era ampia. Non era, però, granché piena. Continuavano a mantenere i propri appartamenti ed era un via vai da essi: toccata e fuga per prendere quella o quell'altra cosa che serviva. C'erano le loro cose però sparse un po' ovunque e questo creava un misto confortante, intimo.
Si stava sganciando gli orecchini, depositandoli nel portagioie man mano che li levava. Un piccolo rituale di svestizione che lui poteva vedere quasi tutte le sere, oramai.
«A che ora hai il volo domani?» Alex era spuntato alle sue spalle, intento a sbottonarsi la camicia ed adocchiandola un po' mentre lei si stava struccando.
«Nel tardo pomeriggio.» si era strofinata la fronte col dischetto di cotone. «Quasi ora di cena. Perché?»
«Così.» la stava fissando e lei lo aveva fissato di rimando attraverso il riflesso dello specchio.
«Che c'è, Hamilton?»
«Ci devi andare per forza?» aveva chiesto di impulso.
«Ne abbiamo già discusso.»
Evitare Miami non era la soluzione. Era la cura palliativa a un sintomo e non avrebbero potuto continuare così a lungo. Lei, soprattutto.
«Andrà bene, Alex.» il tono era quasi rassicurante.
«Non mi piace che tu sia sola.»
«Non sarò sola. Ci sarà il mio team. E poi sarò impegnata col lavoro, non ce l'avrò il tempo per girare e correre pericoli.»
«Mh.» poco convinto, si era finito di spogliare restando in boxer. «Vorrei che considerassi sul serio l'idea di prendere una persona come Michael. Per la tua sicurezza.»
Aveva sospirato, fissandolo. «Io già ho un servizio di sicurezza.»
«Lo so, ma non ti segue ovunque.»
«Perché non ho comportamenti a rischio, se ben ci pensi.» cercava di tenersi indulgente, nonostante l'argomento fosse spinoso.
Lui non demordeva, la fissava.
«Alex.»
«Lexi.»
«Amore, calmati.» un po' lo capiva, ma non cedeva. «Sono solo tre giorni. Nemmeno settantadue ore perché entro giovedì sera sarò di nuovo a New York. Respira.»
Lui si era passato una mano fra i capelli, un po' in tensione, ed era andato in bagno. A quel punto lei si era alzata, seguendolo. Gli si era avvicinata da dietro, cingendogli i fianchi e carezzandoli piano.
Aveva depositato un bacio ad altezza scapola, adagiandoci poi la guancia ed aveva aspettato che lui tirasse fuori il rospo.
Lui le aveva accarezzato la mano e la fissava grazie allo specchio che rimandava la loro immagine che sì, aveva ragione Michael: sembravano perennemente usciti da una copertina.
«Stiamo bene, sì.»
Lei aveva annuito, donandogli un altro bacio. «Più che bene.»
«Si sposano.» aveva angolato un sorrisetto.
«Già. Stavo per urlare io al posto di Mja.» aveva scherzato un pochino.
«Urlerai quando toccherà a noi?»
Forse era un bene che lui non potesse vedere totalmente la sua faccia da quella posizione che avevano preso. Lei aveva adagiato la fronte contro la schiena maschile e stava reprimendo un fortissimo impulso alla fuga ora come ora.
«Ehh...» aveva sospirato. «Chissà.»
Lui aveva mollato lo spazzolino elettrico e si era voltato verso di lei, ingabbiandola in una specie di abbraccio dove le mani, però, andavano al viso femminile. Aveva preso il mento e lo aveva guidato affinché lei lo guardasse.
«Come chissà.»
«Quello che ho detto, Hamilton.»
«Non mi sposi?!»
Aveva cercato di reprimere una risata sfacciata. «Ho detto chissà.»
«Che risposta è mai questa.»
«Una NON risposta. Segnatela.» gli aveva fatto un occhiolino.
«Non vuoi sposarmi.»
«No no no, Hamilton. Ho detto chissà.»
«Sei un po' stronza quando fai così, lo sai?»
Non ce l'aveva fatta e si era messa a ridere, gettando un po' la testa all'indietro.
Agli occhi di Alex, quando lei rideva così fra le sue braccia era lo spettacolo più bello che potesse esserci al mondo. Ed era sua, completamente sua.
«Mica rispondi, poi.»
«Perché, Alex, se vuoi avere una mia risposta dovrai chiedermelo come si conviene.» aveva battuto un po' la mano contro il suo petto mentre lui si era chinato a baciarla, un po' più affamato.
«E non urli.»
«E chi lo può sapere.» aveva sollevato le spalle.
Le mani di Alex erano scese lungo i fianchi femminili, iniziando ad arricciare la stoffa del vestitino leggero che lei vestiva ancora, reduce dalla serata. Glielo aveva sfilato lentamente, come a lui piaceva fare, lasciandola in un intimo assai ridotto: il suo tanga in pizzo azzurro pallido.
Era tornato ad accarezzarle le gambe, imprimendo una certa pressione per tirarsela su, in braccio. Non aveva opposto resistenza, Alexa, anzi si era aggrappata a lui con uno sbuffo di risata mentre lui si dirigeva verso la doccia.
«Vediamo se ti faccio urlare, come dico io però.»
La nottata sarebbe stata lunga. Anche perché per lui era inconcepibile che lei si allontanasse da lui senza ricordarsi esattamente cosa erano insieme, loro due.
Quella notte lui si sarebbe impegnato affinché lei se lo ricordasse sempre, specialmente mentre erano lontani.
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