14. Doveva essere una sorpresa.
[ 14 Agosto 2017, East Hampton ]
«Non capisco. Vi dico che sono ospite degli Hamilton.» Alexa era in piedi vicino all'auto che Thomas aveva fatto in modo di farle avere una volta atterrata, così da poter arrivare senza destare sospetti e nella massima sicurezza. Doveva essere una sorpresa, ecco.
Doveva.
Invece la polizia l'aveva fermata non appena l'auto aveva superato i cancelli della proprietà Hamilton. Tutto quel posto pullulava di agenti e c'erano anche i lampeggianti di un'ambulanza.
Non le piaceva proprio la situazione, aveva il cuore in gola e la preoccupazione che galoppava a tremila.
«Signorina, non possiamo farla passare, deve capire...» un agente la stava trattenendo dopo averle chiesto i documenti – esperienza alquanto bizzarra, perché insomma lei era Alexa Evans, esisteva qualcuno che non la conosceva?
Lei stava in piedi, era statuaria come sempre ed era vestita con un abito leggerissimo in seta scivolata color arancio scuro, che virava quasi nel mattone. Era un abito bello, abbinato a un paio di Jimmy Choo nude, ed era d'impatto perché voleva, nella sua semplicità, essere d'effetto e far impazzire Alexander.
Perché lei era venuta per fargli una sorpresa.
Perché oggi era il suo compleanno.
E invece era bloccata dalla polizia a pochi metri dall'ingresso di casa sua, incredibile.
«Cosa dovrei capire? Lei mi sta impedendo di vedere i miei amici. C'è un'ambulanza. Perché c'è un'ambulanza?» stava incalzando lei l'agente di polizia. «Le ho dato i miei documenti. C'è scritto ovunque che sono amica di famiglia, non le legge le riviste di gossip?» si stava per incazzare e nemmeno poco, tant'è che aveva ruotato il polso e sbloccato il suo cellulare, cercando il numero di Meredith.
«Signorina, non si può. Chi sta chiamando?»
«Il mio avvocato.» aveva ribattuto pronta.
«Alexa...?» la voce di Garrett era arrivata nitida precedendo il palesarsi della sua figura alle spalle dell'agente.
«Oh, grazie a Dio.» aveva espirato. «Glielo dici tu all'agente che posso passare?»
«Che ci fai qua?»
«Mi aveva invitata Mja. Doveva essere una sorpresa.» per chi non lo aveva detto, ma Garrett sembrava aver mangiato subito la foglia.
«Ho capito. Agente.» aveva guardato l'agente di polizia. «Capirà che non è il caso di tenere lei qua fuori, vero? È un'amica di famiglia e per di più ospite.»
«Mi è stato detto di non far passare nessuno.»
«Provvederò io ad avvisare il detective all'interno. Ha preso le generalità di Miss Evans, giusto?» l'agente aveva annuito. «Bene. Allora non c'è motivo di tenerla fuori. La signorina è un'amica intima di Miss Hamilton.»
L'agente sembrava capire ma era comunque combattuto, almeno finché il detective non era uscito e Garrett si era allontano per parlarci.
«Glielo avevo detto.» Alexa lo stava puntualizzando all'agente.
«Io faccio solo il mio lavoro.»
«Però io non sono una criminale.» aveva voluto precisare, prima che Garrett tornasse da lei.
«Hai bagagli con te?»
Alexa aveva annuito.
«Bene, ora li prendo e li porto da Alex. È meglio se stai da lui, per ora.» le stava dando una copertura ufficiale per il mondo esterno, perché tutti in quella casa sapevano che lei non avrebbe mai scelto nessun altro posto se non casa di Alex.
«Va bene.»
«Vieni, ti spiego che è successo.»
Garrett aveva scaricato il bagaglio della Range Rover che l'aveva portata fin lì, scortandola lungo il vialetto.
Solo una volta a casa di Alex le aveva spiegato tutto per filo e per segno, lasciandola poi da sola perché mai come in questo momento Thomas e Mja avevano bisogno di tutti loro.
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Casa di Alex era strana. Non se la sarebbe aspettata così. C'erano foto personali, c'erano oggetti appartenenti alla sua vita passata che raccontavano tanto di lui. Tutta una vita che lei si era persa e che stava cercando di recuperare.
Non c'erano foto di donne, le uniche presenti erano le componenti della sua famiglia e, con gran sorpresa di Alexa, c'era una foto di loro due attaccata al frigo. Era una di quelle scattate in barca, uno dei pochi posti dove potevano essere davvero loro stessi, senza dover fingersi altro.
Si era levata le scarpe, aveva portato le sue valigie nella camera di Alex e stava gironzolando per casa nell'attesa che lui varcasse la porta.
Erano quasi le dieci e non sapeva più che pensare. Aveva promesso di stare buona, attendere che lui rientrasse e di portare pazienza. Ma era difficile, davvero difficile, non precipitarsi da Mja, accertarsi che stesse bene e poi cercare Alex.
Stava riempiendo un bicchiere con una lattina di coca cola che aveva trovato in frigo. Era così concentrata nel fissare lo scorrere della bevanda in quel bicchiere che aveva assorbito in ritardo il rumore della serratura che veniva aperta.
Le luci accese in patio e in cucina erano un indizio sostanziale del fatto che in casa c'era qualcuno.
«Mamma...?» la voce di Alexander era titubante mentre si affacciava in cucina. Ci aveva messo qualche istante prima di registrare davvero la sua figura. La fissava, ma sembrava completamente incredulo.
«No.» aveva risposto lei, depositando la lattina sul ripiano in marmo dell'isola della cucina, aggirandola poi in modo che lui la vedesse nella sua interezza. «Scusa. Non sapevo dove aspettarti.» aveva abbozzato un sorriso per cercare di dissimulare il nervosismo potente che provava.
Lui non aveva proprio proferito parola, si era avvicinato a lei macinando quella distanza che li separava a grandi passi. La destra aveva quasi lanciato il cellulare e le chiavi sul ripiano in marmo, incurante. Perché le mani gli servivano per fare altro: aveva allungato le braccia, la sinistra era approdata al fianco femminile mentre la destra si era intrufolata fra i suoi capelli cercando la nuca per attirarla a sé.
Alexander non sapeva cosa significasse la parola moderazione. Quanto meno, non lo sapeva quando nell'equazione della sua vita entrava la variabile Alexa. Averla lì, nella sua cucina, in carne ed ossa e non una specie di allucinazione vividissima, era come un sogno proibito che prendeva sostanza e realtà.
Baciarla era stato naturale, così come far scorrere la sua mano lungo la linea della schiena femminile per approdare alla linea delle natiche, stringendole appena solo per attirarsela di più e spalmarsela addosso.
In realtà non la stava baciando, la stava divorando in quel bacio che aveva il sapore della necessità. Come se fosse stato finora un assetato che vagava in un deserto e lei fosse la sua oasi tanto agognata.
Alexa non aveva opposto alcuna resistenza, si era arresa a quel bacio e lo aveva fatto lasciandosi completamente andare. Le sue mani erano approdate ai fianchi maschili, i polmoni si erano saturati del profumo di Alexander e quel bacio sembrava farle riprendere finalmente fiato e levarglielo al contempo.
Avevano fatto sfumare quel bacio solo per tornare a respirare, ma lui continuava a toccarla come se non si capacitasse di averla lì, fra le sue braccia.
«Buon compleanno, amore.» aveva sussurrato lei, con la voce spezzata dall'emozione e dall'impetuosità di quel bacio appena finito.
Lui sembrava sospeso nel tempo e nello spazio, come quel "amore" che lei aveva detto.
"Dimmi che mi ami."
"Non fare così."
"E come dovrei fare? Io ti amo, Lexi."
«Adesso sì, lo è.» un buon compleanno. Dopo una giornata andata completamente di merda, finalmente qualcosa di buono riusciva a vederlo.
Alexa gli aveva sorriso, un sorriso che era diventato una risata quando lui l'aveva presa in braccio. Non serviva che le dicesse nulla, lo sapevano entrambi dove avevano bisogno di ritrovarsi. Quel tragitto lo avevano percorso fra carezze e baci accennati che erano terminati solo quando lui l'aveva messa giù, richiudendo la porta della camera con un tocco distratto del piede.
Si erano ritrovati l'uno davanti all'altra, Alexa aveva portato le sue mani alla cinturina che sottolineava il suo punto vita, sciogliendone l'intreccio e lasciandola ricadere sul pavimento. Le mani si erano allungate poi verso la camicia di Alex, che lui aveva già tirato fuori dalla cintola dei pantaloni. C'era urgenza e bisogno in quei gesti, ma anche una sorta di calma lucida che si depositava fra loro: erano di nuovo insieme.
Erano pronti. Erano sulla stessa lunghezza d'onda. Finalmente.
Aveva sbottonato ogni singolo bottone di quella camicia, depositando baci delicati sulla pelle del petto man mano che la stoffa cedeva a quella pressione opprimente contro la figura maschile. Dal petto era risalita fino al collo, allungandosi sulla punta dei piedi per poterlo eguagliare in altezza mentre le mani slacciavano alla cieca la cintura che teneva su i pantaloni dell'altro.
Lui, invece, aveva trovato la zip che teneva ben chiuso l'abito contro il corpo di Alexa. Con una lentezza quasi esasperante, l'aveva abbassata e sfiorato la pelle che scopriva. Con la punta delle dita aveva accarezzato la schiena lasciata nuda, agganciandosi alle bretelline dell'abito e lasciandole scivolare lungo le sue braccia per sfilarglielo, lasciandolo cadere ai suoi piedi ed averla, finalmente, nuda davanti a sé.
L'abito era stato raggiunto presto dalla camicia maschile, poi dai pantaloni. Era un liberarsi non solo degli abiti, ma anche di tutto ciò che li aveva tenuti lontani fino a quel momento.
"No, non devi dirlo. Non così e non ora."
"Perché da te ricevo solo no?"
Piccoli passi, lei aveva indietreggiato fino ad arrivare a toccare il bordo del letto con il retro delle sue gambe. Le dita maschili si erano agganciate ai laccetti laterali del suo tanga attirando la stoffa verso il basso, pago solo nel momento in cui anche quel piccolo pezzettino di stoffa aveva abbandonato il corpo femminile. A lui era bastata una manata calcolata per liberarsi dei propri boxer. Era una liberazione vera e propria, la loro. Coordinati in quel cercarsi e seguirsi che li stava guidando sul letto, distesi l'una sotto l'altro.
Le mani maschili stavano percorrendo chilometri sul corpo femminile, le aveva scostato i capelli in modo da poter approdare con le labbra sulla linea del collo. La stava baciando lentamente, riappropriandosi del sapore della sua pelle. Dal collo era risalito verso il mento, mordendolo piano prima di approdare sulle sue labbra ed affogare in un bacio nuovo.
Si sentiva andare a fuoco, Alexa. Era come se la sua pelle fosse diventata estremamente ricettiva al tocco di Alexander. Come se rispondesse all'unico tocco che riconosceva come giusto. Gli apparteneva in un modo che non aveva mai conosciuto prima, che era precluso a chiunque altro e che sarebbe stato precluso a qualunque altra persona al mondo.
Anche il solo schiudere le gambe per fargli spazio lì dove era il suo posto, il posto che apparteneva a lui e a lui solamente, era stato estremamente naturale per lei. Scivolava con le gambe contro i fianchi maschili, il bacino si muoveva lentamente per accogliere quella carezza intima che la faceva sospirare di piacere.
"Ho detto non così e non ora, Alex."
Era arrivato il loro momento. Quel così e quel ora che avevano tanto agognato in silenzio nelle ultime settimane e tanto si erano negati.
Le sembrava di vivere nuovamente, tutto di colpo, tutto di botto, sotto le sue carezze. Era come una marea emotiva e fisica che si stava abbattendo contro di lei, lei incapace di resistere ancora. Aveva resistito finora, nemmeno lei ce la faceva più a mettere quella distanza. A trovare quei perché che non avevano più senso ora.
"Tu però lo ami e lui ti ama. Non c'è niente che possa limitare questo."
Il cuore, quello su cui non aveva mai alcun controllo, dettava una melodia del tutto diversa questa notte. Sentiva le sue mani carezzarla, la destra avvolgerle il seno e stringerlo in una presa possessiva e calcolata un istante prima che lui prendesse a baciarglielo. Lento, affamato, si era lasciato andare a un accenno di morso solo alla fine tradendo il desiderio brutale che stava montando in lui.
Sì, perché più lei si stava concedendo così, completamente, più lui non ragionava più.
Sentiva la sua erezione contro la propria intimità, quella carezza accennata e dominata dai movimenti lenti di bacino, erano quasi un "ti sono mancato?" che non avevano voce, pretendevano di averla attraverso i suoi gemiti.
La sua mancina si era infilata fra i suoi capelli scuri, lo stava accarezzando e, al contempo, guidando affinché lui tornasse a baciarla. Aveva bisogno, estremo, di sentirlo. Sentirlo in ogni accezione possibile. Di tornare a sentirsi sua.
Completamente. Perdutamente. Irreparabilmente sua.
"Facciamo così. Se sarà, me lo dirai in faccia, se sarà ancora vero per te. Ci stai?"
"Se?"
"Quando?"
"Meglio."
C'era stato un gemito più esasperato all'ennesima carezza che lui aveva accennato.
«Alex...» la voce rotta dal piacere e dalla frustrazione. «Ti prego.» mormorava, non ce l'aveva la forza di parlare in maniera diversa, avrebbe rovinato tutto.
«Lexi.» lui era teso contro di lei, si era fatto appena più indietro ed aveva indirizzato la sua erezione verso l'imbocco del suo sesso. Era stata una penetrazione lenta, estenuante e solo verso la fine lui aveva dato un affondo secco, diretto e rapido, stanco di aspettare oltre. Aveva fatto salire la mano alla sua testa per non farla allontanare, infilando le dita tra quei capelli morbidi, trattenendola. Se lei gemeva, doveva sentirla nella sua bocca.
Nonostante lei lo stesse avvolgendo nella sua interezza, lui l'aveva spinta ancora di più contro di sé, così che lei potesse sentirlo di più in quella contrazione del muscolo eretto che era pensata esattamente per un maggior piacere.
Voleva di più, voleva essere ingombrante, invadente, totalizzante.
Lo doveva sentire interamente, completamente.
Doveva essere ubriaca di lui, piena.
Non doveva esserci spazio a nient'altro, a nessun altro che non fosse lui.
E doveva capire l'effetto che lei gli faceva.
Lei si era arresa a quell'invasione, lo aveva accolto stringendolo a sé in tutte le sfaccettature possibili. Si muoveva lentamente dettando un ritmo sì affamato, ma che si prendeva tutto il suo tempo e il suo spazio. Carezzava la linea delle sue braccia, tese nello sforzo di sostenerlo; virava verso le spalle contratte e no, non sfuggiva al suo sguardo. In quegli occhi neri come l'abisso, lei ci stava affogando volontariamente.
«Ti amo.» perché Alexander non dimenticava niente di quello che si dicevano. E nemmeno lei doveva, per questo per sottolineare quella dichiarazione d'amore, aveva assestato un affondo più secco e poderoso con la pretesa di farle tremare le ossa e l'anima.
Le sue mani si erano strette alle sue spalle, aveva inarcato la schiena e gettato la testa all'indietro per un istante, gemendo sommessamente. Col respiro pieno dei loro profumi mescolati ed intrecciati al pari dei loro corpi, era tornata a guardarlo depositando le mani contro il suo viso. «Ti amo, Alexander.» si era sporta a baciarlo, accogliendo l'ennesimo affondo che la faceva sentire fin troppo piena di emozioni, di sentimenti, di tutto quel mondo che lui era.
La fronte si era posata contro la spalla maschile, il respiro sempre più corto e il piacere che diventava sempre più intenso, si affacciava incontrollato in ondate che non erano prevedibili. «Sarai sempre il mio così e ora.» un mormorio spezzato dal piacere e da quel mezzo bacio che gli stava dando.
La mano fra i capelli biondi non aveva allentato la presa, era sempre lì, sempre presente.
E lui, cielo, lui. Come la guardava.
Era come se fosse determinato ad abbattere ogni barriera, ogni paura.
Lei doveva essere sua, completamente. Interamente. «Sei tu, Lexi.» stava mormorando contro la sua bocca. «Sei sempre stata tu.» la sua unica.
E lei, in quelle parole, in quegli affondi, in quell'irruenza, aveva trovato la sua verità.
La loro verità.
And I think you should know
That I won't let you go
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