10. Are you my revenge?

[ 12 Luglio 2017 – New York ]


Era distesa a letto, le mani erano incrociate ad altezza dello sterno e fissava il soffitto mentre ascoltava il brusio che arrivava dal corridoio.

Alex stava parlando al telefono con Ashley, il tono era il suo solito da strappa mutande e una stilla di gelosia la stava pungolando più del dovuto.

Le stavano arrivando brandelli di conversazione che non facevano altro che ingelosirla sempre di più.

"Sì, certo che ci vediamo."
"Sta andando tutto bene, mh? Quindi quando torni?"
"Te la saluto appena rientro a casa."

Erano confidenze normali fra fidanzati, ma a lei davano un fastidio smisurato.

Aveva scostato di botto il lenzuolo e si era tirata su, scendendo dal letto. I gesti non erano propriamente logici o ponderati, ma stava raccogliendo la sua lingerie per rimettersela nervosamente, come se non sopportasse più di stare in quell'appartamento per altri cinque secondi più del dovuto.

Alexander aveva preso questo appartamento gemello a quello di Mja, si trovava esattamente sotto quello della sua amica perché così non avrebbero destato sospetti. La privacy era tutto per loro e non potevano certamente andarsene in giro a pomiciare ovunque capitasse. Non certo quando il lui che frequentavi non poteva essere il tuo lui, perché era già il lui di qualcun'altra.

Era tutto un gran casino, per cui quando Alexander era rientrato in camera, vestito solo coi suoi boxer Emporio Armani total black, l'aveva trovata che si stava riagganciando il reggiseno.

«Dove stai andando? Avevi detto che non avevi impegni fino a domani.»

«Tu non mi devi più parlare.» gli aveva puntato il dito contro, aveva la vena che le pulsava pericolosamente al collo, sulla sinistra.

«Woah. E perché mai ora così?»

«Perché. PERCHÉ ALEXANDER!?» la sua voce si era alzata di un'ottava. «Lo sai.» si era voltata di scatto, prendendo la gonna dal pavimento e dandole una scrollata per potersela infilare.

«Mi spieghi come cazzo è possibile che dieci minuti fa, dieci di orologio, eri a letto con me e sembravi una gatta tanto eri rilassata, ora sputi fuoco.»

«Non tentarmi perché qualcosa in faccia posso sempre sputartela e non ti piacerebbe.» 

Non aveva senso ciò che diceva e questo, in lui, provocava uno strano divertimento. Di quelli che lo facevano sorridere sotto i baffi e lo portavano ad osservarla con più attenzione.

«Lexi.»

«NON. CHIAMARMI. COSÌ.» non quando era incazzata come lo era in quel momento. Si era infilata la gonna con un gesto stizzito, facendola risalire lungo la linea delle cosce e tenendola aperta sul retro in modo da poterci infilare la camicetta smanicata che era andata a finire Dio solo sapeva dove. «Dov'è la mia camicetta!?» sbuffando e passandosi una mano fra i capelli.

«La poltrona.» gliel'aveva indicata.

«Mh.» perché dirgli grazie sarebbe stato inconcepibile in quel momento.

«Ti calmi?»

«L'hai lasciata?» con prontezza, il tono di Alexa era estremamente tagliente.

«Lo sai. Ne abbia già parlato.»

«No. Tu. TU Alexander hai parlato. Io ho dovuto dire di sì perché CAZZO NON LO SO!» aveva urlato di nuovo e tutto il vicinato ringraziava che quell'appartamento fosse completamente insonorizzato. «Ma no eh. Non ti credere che io sia una cretina perché no. Io non lo sono, mh!?»

C'era poco da fare quando Alexa si imbizzarriva così, era come tentare di ragionare con un toro inferocito: non ascoltava, vedeva solo rosso. Adesso vedeva le sue insicurezze prendere forma e crescere a dismisura sotto il suo sguardo, in un modo allucinante e quindi reagiva di pancia. Reagiva male.

Aveva infilato la camicetta, tirando fuori i capelli con uno sbuffo deciso e sistemandola nella vita alta della gonna.

«Mi hai ascoltato perché sai anche tu, lucidamente, che è l'unica strada percorribile.»

«No, io non so un cazzo. Io so che tu parli poi mi metti le mani addosso e non capisco più niente. Ma intanto hai la fidanzata che fa... fa... fa cose lì.» gesticolava. «Dove stracazzo è andata ora?!» esasperata.

«Fa cose.»

«Sì che le fa. Pure prima.»

Lui aveva arcuato le sopracciglia. «Ha fatto cose. Prima.»

«Alexander.»

«Lexi.» era sempre calmissimo lui.

«Non. L'hai. Lasciata.» aveva scandito le parole. «E io non ci sto ad aspettarti mi hai capita?» indispettita ed inviperita, aveva ripreso le scarpe e se le stava rimettendo cercando di mantenere una dignità.

«Sto aspettando che rientri.»

«E nel frattempo nascondi ME come se fossi una cazzo di amante.» tecnicamente lo era eccome, un'amante. In una posizione privilegiata, certo, ma pur sempre amante. «E fai pucci pucci al telefono con lei come se io non ti sentissi!»

«Sei gelosa.»

Aveva allargato le braccia lasciandole ricadere lungo i fianchi. «TU DICI!? MADDAI.» scuoteva il capo mentre aveva preso a camminare a passo di Valchiria verso la cucina.

«A questo punto cosa vuoi che faccia?» si era appoggiato al bancone dell'isola che separava cucina dalla sala.

«NIENTE.» era sbottata. «Tanto lo fai già, ti viene semplice.»

Lui aveva espirato. «Ti ho fatto una domanda.»

«E io ti ho dato una risposta.»

«La lascerò. Appena rientra in città.»

«Certo e gli asini volano.» si era riempita un bicchiere d'acqua, bevendone un paio di sorsi esagitata. Le tremavano le mani.

«Alexa. Lexi...» Si era avvicinato, sfiorandole il gomito. «Sai che abbiamo una situazione complessa. Il caso Pryce ci sta levando la vita. Jake continua a stare appresso a Mja e ci mancano solo altri cazzi.»

«Quindi io sarei un problema per te.»

«Non ho detto questo. Sto solo dicendo che abbiamo bisogno di agire con prudenza, almeno finché i riflettori non si spengono.» una piccola pausa. «È per questo che non usciamo ed è per questo che abbiamo un appartamento!» aveva indicato quella casa – semi spoglia – con un cenno della mano.

«E perché io sarei uno scandalo.»

«Non ho detto che tu sei uno scandalo, è ciò che montano i media il problema. Almeno finché non è concluso il tutto, dobbiamo essere accorti. Lo sono io, come Thomas, Garrett e perfino Meredith. Siamo in società e dobbiamo pensare ai risvolti di ogni singola cosa che facciamo.»

«Quindi è meglio tenerti quell'inutile e insignificante relazione di facciata e nascondere me. Capisco.» 

No, non stava capendo niente.

«Lexi.» aveva allungato la mano per carezzarle il braccio e la schiena. «Veramente io non -» si era bloccato perché lei, girandosi di scatto, gli aveva lanciato in faccia il il contenuto del suo bicchiere.

Alex aveva chiuso gli occhi, inspirato una quantità di aria indecente, prima di espirarla con quanta più calma e controllo avesse. 

«ALEXA.»

«CREPA. Davvero. Tu PENSI che io resti qui nascosta a fare la tua amante?! Non hai capito un cazzo di me. Perché, poi? Dammi un solo perché.» si era allontanata da lui, aveva virato verso l'ingresso e dandogli le spalle.

«Perché ti amo, Cristo. Te l'ho detto, ce lo siamo detti. Perché ora rimetti in dubbio tutto?!»

Perché. Perché le paure non avevano né nome né motivazione, prendevano forma quando meno uno se lo aspettava e diventavano golem contro cui combattere.

Lui le aveva preso il braccio e l'aveva fatta voltare di colpo. «Fermati.»

«Lasciami.»

«Smettila.»

«Smettila tu, Alex.» lo stava fissando con gli occhi lucidi di un pianto inespresso. «Fammi andare via.»

Aveva mollato la presa, andando a fare un passo all'indietro e il silenzio, quello denso e pesante, era sceso fra loro.

«Ti chiamo dopo.»

«E io non ti risponderò.» questo sentore aveva il sentore della bugia. 

Aveva ripreso la borsetta ed era uscita da quell'appartamento.


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Non era stata una buona idea.

Ne aveva colto l'interezza della cosa solo una volta che aveva messo piede lì, in quel locale.

Non doveva uscire. Non doveva rispondere. Non doveva fare un cazzo.

Quando Alexa e il suo terremoto interiore si incontravano, davano vita a una serie allucinante di scelte errate, momenti sbagliati, cattive intenzioni e pessimi intenti.

Perché aveva risposto? Perché era tremendamente arrabbiata con Alexander, ovvio.

Quindi, nella sua mente, fare l'errore peggiore che potesse commettere, era giusto. Era la giusta risposta a quella lite avuta in mattinata con lui.

Eppure si era diretta verso quella terrazza panoramica dove era stata invitata. Più o meno.

Perché all'invito diretto lei aveva glissato con un "vedremo". Un vedremo che comunque l'aveva spinta a presentarsi lì. Coincidenze della vita? C'erano anche alcune personalità con cui aveva rimandato un incontro informale nelle ultime settimane, perché troppo presa da Mja, da Alexander e dai casini della sua vita.

Non notarla sarebbe stato alquanto difficile, c'era da dirlo: svettava, come al solito, in mezzo a quella sala. Biondissima, la pelle piacevolmente abbronzata, un crop top bianco avvolgeva il seno e lasciava scoperto il ventre, sorretto invece da spalline non troppo sottili. La vita alta della gonna avvolgeva i fianchi, aprendosi in uno spacco laterale rasente l'illegale; la stoffa leggera, una viscosa di seta impalpabile recante una stampa pyton nei toni del grigio e nero, svolazzava intorno alle gambe aprendosi in un gioco di vedo non vedo dove il bordo inferiore della gonna finiva per sfiorare le caviglie. Un paio di sandali Zanotti, neri con intarsi oro in coordinato con la clutch, completavano il tutto.

Era estremamente glam nel suo look serale, consapevole di attirare e catalizzare gli sguardi di chiunque in quella sala. Aveva una piena padronanza di sé stessa e del suo corpo, tutto il contrario di quanto le accadeva quando vicino a lei c'era un certo Hamilton.

Smarcata dalle conoscenze con cui si era intrattenuta fino a quel momento, sembrava stesse puntando a uno dei divanetti con l'intento di godersi quel fine serata. Il cellulare aveva vibrato costantemente per le chiamate che riceveva da parte di Alexander ma, fedele alla sua parola, non aveva risposto – non ancora, tempo al tempo.

«Il bianco ti sta divinamente, te l'hanno mai detto?»

Si era fermata, aveva alzato lo sguardo dal cellulare e guardato davanti a sé. «Sì. Sapessi quante volte.»

«Posso solo immaginare in quale frangente, poi.» la destra maschile aveva sfiorato la schiena femminile, virando verso il braccio mentre le si accostava, restando, però, alle sue spalle.

Il viso si era parzialmente immerso fra le onde color oro e aveva inspirato a fondo il suo profumo. «Il tuo profumo sembra essere creato per fottere il cervello al prossimo.»

Aveva smosso appena la testa e, non appena la mano maschile si era posata contro il suo ventre, si era voltata dando le spalle alla balaustra a cui si era accostata, in modo da fronteggiarlo.

«Jake.»

«Alexa. Sei in ritardo.»

Aveva scosso il capo. «Non penso proprio, io e te non ce l'avevamo un appuntamento.»

«Ah no? Eppure io ti ho chiamata. Ti ho invitata qua. E tu sei venuta.»

Aveva arcuato il sopracciglio sinistro, sentendo le mani di Jake approdare contro la balaustra, ingabbiandola. «Avevo degli impegni di lavoro.»

Lui aveva angolato una specie di ghigno soddisfatto. «Ti perdono, dai.»

«Parliamo piuttosto del perché tu mi abbia chiamata e voluta vedere, mh?»

«Non è ovvio?» il suo sguardo stava vagando sui lineamenti di Alexa. Era sceso verso il collo, soffermandosi sul seno stretto in quel crop top, scivolando infine verso lo spacco della sua gonna.

«No, non lo è. Con te niente è ovvio.»

«Come sei tesa, però.» scuoteva piano la testa, era padrone della situazione. Come ogni Hamilton, nulla sembrava poter intaccare quell'allure fatto di potere, ricchezza e bellezza che si portavano dietro. Era molto bello, Jake. Moro, due occhi scuri e profondi. C'erano somiglianze con i suoi fratelli ma, su tutti, con Alexander. 

Era proprio questo a ferirla in maniera indicibile.

«Mi sei addosso e sono contro una balaustra, vedi tu.»

«Tranquilla, non ci vede nessuno.»

«Ho i miei dubbi.» 

Erano in un punto in cui chiunque li poteva vedere e fraintendere. 

«E seppure fosse? Che problema hai?» le aveva accarezzato il profilo del viso con la punta delle dita, come se fosse incantato da lei.

«Nessuno e tutti.» la sua risposta pacata. «Perché tipo non mi piace essere paparazzata e sbattuta sui giornali?»

Un sorrisetto si era aperto sul viso di Jake. La destra era calata e sfiorava indecentemente la gamba lasciata scoperta dallo spacco della gonna. Arrivato al culmine dello stesso, aveva ruotato il polso e stava cercando di intrufolare le dita fra stoffa e pelle, ricercando chissà cosa.

«Hai ragione, sai?» le stava dicendo, azzerando la distanza fra loro due e, in un certo senso, proteggendola dal resto del mondo. «Non ti sbatterei mai così indecentemente in pubblico.» 

Jake stava giocando col doppio senso delle parole e questo le aveva provocato un brivido freddo.

«Ma smettila.» le mani si erano appoggiate contro il petto di lui, cercando di tenere un minimo di distanza fra loro due.

«Nah. Lo sai, te l'ho detto al matrimonio: io e te dovremmo frequentarci di più.» sorrideva mentre continuava a fissarla e a toccarla.

«Mi sembravano chiare le mie intenzioni.»

«Ma sei qui, ora.»

«Mi hai chiamato dicendomi che avevi bisogno di me per Mja. E so che avete litigato-» la voce si era fermata perché la mano di Jake era arrivata a lambire il suo intimo, virando verso il centro esatto delle sue gambe. «Jake, smettila.»

«Perché.»

«Perché ti ho detto di smetterla.» in difficoltà evidente.

Lui si era avvicinato al suo viso, sfiorandole le labbra con le proprie e poi aveva virato verso l'orecchio. «Non pensavo che scoparti mio fratello ti avrebbe resa così timida, sai? Tranquilla, siamo entrambi Hamilton, non sentirai differenze.»

Il riferimento ad Alexander l'aveva fatta tremare da capo a piedi, dandole una scarica di adrenalina tale da avere uno sprazzo di lucidità che l'aveva portata ad impattare con le mani contro il suo petto per allontanarlo. «Smettila, ti ho detto.»

Lui non si era riavvicinato perché Garrett l'aveva fermato. Era apparso da dietro e aveva posato una mano contro la sua spalla, impedendogli di muoversi liberamente mentre sorrideva. «Amico, ti ha detto di no. Fossi in te, sai, non insisterei così tanto.»

«Che cazzo vuoi tu ora.»

La sua presa si era fatta più solida, all'esterno sembrava un amico che salutava un altro, niente di più niente di meno. «Vedi, se io ti do un cazzotto in bocca ora e ti faccio saltare tutti i denti, è sempre meno rispetto a quanto potrebbe accadere se io ti lascio, tu la tocchi di nuovo e lei si mette ad urlare. Sai, Alexa Evans che urla in pubblico perché aggredita. Da un Hamilton.» aveva scosso il capo schioccando la lingua contro il palato in un "no no no" ripetuto. «Oltre alla figura di merda perché dimostri di avere un cazzetto minuscolo, ci aggiungiamo una bella denuncia per molestie sessuali. Con me come testimone, qualche video a circuito chiuso come prova di quante volte ti ha detto di no negli ultimi cinque minuti, saresti fottuto.»

Jake si era liberato dalla presa di Garrett e si stava sistemando la giacca, fissando sia lui che Alexa con ostilità. «Sappiamo entrambi che è solo l'ennesima puttana che si scopa Alex. Né più né meno. O pensi che pure sua moglie sia una santa?»

Alexa era sbiancata nel sentire la parola "moglie" e aveva guardato Garrett con gli occhi sgranati e pieni di confusione.

«Fossi in te chiuderei quel cesso che chiami bocca.»

Jake aveva ghignato, guardando Alexa. «Chiediglielo. Chiedigli chi è Kelly. Kelly Hamilton.» sembrava divertirsi in maniera sadica. «Oh, no.» aveva finto un broncio. «Povera, piccola Evans. Non sarai mai la prima per nessuno. Più che Siberian Bombshell, io penserei a un restyling, tipo Secret Affaire. No?» aveva angolato un sorrisetto malvagio. «Divertitevi. Magari per questo giro potresti approfittarne tu, Garrett.» un occhiolino verso Garrett prima di girare i tacchi e andarsene.

Lei lo fissava raggelata mentre si allontanava da loro. Quando si era girata verso Garrett, lui era al cellulare che scriveva concitato e l'aveva guardata solo verso la fine.

«Stai bene?»

«Diciamo.»

«Mh.» una pausa. «Perché cazzo eri con lui.»

Era avvampata di botto. «È...È una lunga storia.»

«Seh. Allora preparati a raccontarla per filo e per segno.»

«P-perché!? Non avrai intenzione di dirglielo!?» sgomenta.

«Spero per te che tu stia scherzando. Ovviamente glielo dirò e non gli piacerà per niente. Non so se ti rendi conto della gravità di quanto è successo e di quanto questo ci costerà.» 

Ci. A chi poi? A lui, a Alex, a tutta la AHR Associated?

Si era portato il cellulare all'orecchio ed era in attesa. 

Lei lo fissava furente, invece.

«Mer? Senti, quanto ci impieghi a venire al Terrance?» si era silenziato. «Sì, mi servi ora. Okay, dieci minuti. Si tratta di Alexa, vedi tu.» silenzio ancora. «Bene.» aveva chiuso la telefonata.

«Devi proprio?»

«Sì.»

«Perché.»

«Perché sei la sua donna Alexa, l'unica che non l'ha ancora capito sei tu.»

Lo sguardo di Garrett era eloquente, il fatto che avesse parlato con quella sicurezza anche. Sapevano tutti, l'unica che forse non sapeva nulla era lei. Lei e Ashley, a ben pensarci.

Si era stretta nelle sue braccia, mettendo su un broncio non proprio maturissimo mentre aspettavano l'arrivo di Meredith e c'era una sola domanda che le pungolava la mente, distruggendo qualsiasi sicurezza avesse avuto dalla sua: chi cazzo era Kelly Hamilton? 

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