08. La cucina è amore.

Alexa era arrivata di pomeriggio a casa di Mja. Dietro si era portata una vagonata di buste piene di regali per la sorella e la sua solita aria frizzante e allegra.

Se fosse reale o meno il suo umore del momento non era dato saperlo a una primissima occhiata. Fingeva, lo faceva con quella maestria affinata dal tempo e dalle situazioni scomode che aveva dovuto affrontare.

Così il suo sorriso e stupore erano apparsi genuini quando si era vista davanti la figura di Alexander, aveva allungato la mano e aveva stretto quella dell'altro come se fosse la loro primissima presentazione ufficiale. Non mancava quel pizzichetto di aria da svampita che aveva imparato a dosare così bene negli anni che la gente ci credeva sul serio. D'altronde era bionda, modella, non ci si poteva aspettare che fosse anche furba ed intelligente, no?

Si era costretta in quel ruolo, ignorando Alex e l'impresa era stata anche semplice fintanto che Mja le restava accanto: la sua amica le assorbiva tutte le energie e tirava fuori il meglio di lei. La vita frenetica che conducevano impediva loro di frequentarsi come avrebbero voluto, adesso sembrava irreale che passassero così tante ore insieme senza che il cellulare squillasse come un pazzo.

Per amore di cronaca, però, il suo cellulare aveva continuato a vibrare per l'arrivo di qualche notifica. Nulla che lei avesse considerato, tuttavia, donando la sua piena attenzione a Mja e a ciò che stava passando. Quando un'amica, la sua migliore amica, si ritrovava davanti a un bivio così grande, a una scelta così grande, lei non poteva far altro che starle accanto. Essere la sua roccia, consigliarla al meglio, essere quella spalla su cui l'altra poteva piangere senza timore di essere giudicata.

E così aveva fatto tutto il tempo, da che si erano chiamate, da che aveva bussato alla sua porta e l'aveva investita dei migliori sentimenti che provava.

L'aveva fatto ricacciando indietro quella continua sensazione di disagio dovuta alla presenza di Alexander che ronzava intorno a loro in maniera così disturbante. Perché Alex non si era mai allontanato da loro, per tutto il tempo era rimasto nei dintorni, come se non si fidasse a lasciare sola Mja. O non volesse mollare lei. Non sapeva dirlo.

Erano in cucina, il marmo del bancone dell'isola era cosparso di farina e intorno aveva disposto gli ingredienti per fare la pasta fresca. Le mani erano impiastricciate di impasto, i capelli biondissimi raccolti in una crocchia alta e stretta per evitare che fuggissero dei capelli senza volerlo lasciando, quindi, scoperto il collo. Non aveva messo il grembiule, non le serviva più di tanto, per cui il vestito che indossava era pienamente visibile. In verità ciò che era visibilissimo ad Alexander dalla posizione che aveva preso, ossia di lato rispetto al bancone così da poter guardare sia Mja che Alexa senza torcere il collo, era la visione delle lunghissime gambe femminili lasciate scoperte da quell'abito t-shirt che arrivava a lambirle a malapena la mezza coscia.

Era vestita in maniera semplice, quasi da ragazzina, se non fosse che addosso a lei anche questo abbigliamento risultava essere sensuale, un richiamo che attentava a quel controllo che Alexander si era auto imposto – probabilmente per sfuggire alle minacce di rehab da parte di Meredith. Quello che non poteva controllare lui era lo sguardo che si cuciva, più e più volte, lungo la linea delle gambe che ora sembravano a riposo, ora in tensione seguendo il ritmo imposto dalle mani che stavano impastando.

«Potevamo ordinare qualcosa, non dovevi star qui a disperarti. Vero Alex?» la voce di Mja aveva richiamato l'attenzione di Alex che, in verità, era perso in quel flusso di pensieri colonizzato dalla visuale che aveva davanti.

«Mh?»

«Ma no, Mja.» Alexa stava sventolando la mano come a scacciare un pensiero molesto. «Cucinare è un atto d'amore.» stava parlando con un tono di voce più basso, accorato. «Quando ami qualcuno, vuoi che stia bene. È una coccola, un pensiero dolce. Lascia che ti vizi. E poi hai bisogno di mangiare come si deve. Diglielo, Alex.»

Sospeso nel tempo, sembrava non recepire subito ciò che era stato detto dalla Siberiana. «Mh.» si era sporto appena verso la destra, guardando la curva della schiena di Alexa e come finiva in quella delle natiche, ecco perché si stava rimettendo dritto. «Sì. Devi mangiare come si deve.»

Alexa aveva sganciato un sorriso destabilizzante dei suoi, fissandolo con un'aria appena più furbetta. «Vedi che allora ascolti quando vuoi?»

Era una frecciatina che solo loro due potevano capire.

E no, non lo aveva ancora sbloccato. Doveva imparare la pazienza, l'avvocato Hamilton qui presente.

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«Scusate, torno tra un po'. Tanto non mi fate fare niente.» Mja si era appena alzata da tavola mentre Alexa e Alexander stavano finendo di rassettare la cucina. Non avevano permesso che lei toccasse una singola posata o bicchiere, più Alexa che Alex c'era da dirlo: le brutte esperienze segnavano in una maniera così profonda che non sempre si potevano, poi, prevedere i risvolti che ricadevano su chi le aveva vissute.

«D'accordo. Se hai bisogno chiamami.» un cenno del mento di Alexander, invece Alexa le aveva appena soffiato un bacio sorridendole con un'aria più leggera, lasciando che andasse e facesse come più si sentiva.

Da sola con Alexander era tornata quella sorta di cappa di elettricità e tensione pazzesca.

Si teneva alla destra della lavastoviglie, occupandosi del lavandino e lasciando che se ne occupasse lui di caricare il tutto. Lei? Lei stava combattendo contro l'impulso di andarsene o, peggio, di fare qualcosa che avrebbe potuto compromettere l'amicizia di una vita.

Aveva optato per il "fingiti morta che non ti vede", ma Alex non sembrava proprio di questo avviso.

«C'è altro da mettere dentro?»

Una domanda come un'altra, se non fosse che Alexa era proprio in un mondo tutto suo. Persa in quella serie di scenari possibili che le era sfuggito ciò che stava accadendo sotto il suo naso. Tanto che ci aveva impiegato più di un battito di ciglia ad accogliere quelle parole e l'aveva fatto, per di più, travisandole e pure fortemente, tanto da farla arrossire improvvisamente. Paonazza e un filino allucinata nel girarsi verso di lui. «AH!?!»

«Dentro.» a quanto pare a lui piaceva invece precisare, con tanto di indice che veniva puntato verso il basso e le sopracciglia che guizzavano per un istante verso il setto nasale, come se fosse divertito dalla sua reazione.

«Ah! No, no no.» si era passata il dorso della mano contro la guancia nel tentativo di dissimulare quell'imbarazzo che la rendeva così tremendamente indifesa in alcuni momenti. «Ti ho passato tutto.»

Lui aveva assottigliato la linea delle labbra, trattenendo appena il respiro. «Bene. Allora chiudo.»

«Sì. Certo. Lo sportello.» un po' stava straparlando.

Fissava i suoi movimenti quando lui era tornato dritto, adocchiandola mentre lei si stava passando le mani contro i fianchi, strusciando i palmi dall'alto verso il basso e poi risalendo verso la zona dei reni, arricciando senza rendersi conto la stoffa dell'abito e scoprendo maggiormente le gambe. Il suo cellulare, posto sul ripiano in marmo della cucina, vibrava per l'arrivo di un paio di notifiche.

Nonostante quella vibrazione insistente, non aveva donato attenzione allo schermo che si illuminava, tenendola invece tutta su Alexander che, di contro, si era adagiato con le natiche al bordo del ripiano e aveva incrociato le gambe ad altezza caviglie, intrecciando le braccia al petto. Lui, invece, un'occhiata a quello schermo l'aveva data eccome e lei, dal guizzo di disapprovazione che era balenato in viso all'altro, aveva dedotto che chiunque fosse, non era per niente gradito ad Alex. Chissà perché, poi.

«Hai intenzione di farla uscire di casa un pochino nei prossimi giorni?» parlare di Mja era più facile che parlare di quel noi che non era un noi e vigeva fra loro. Farlo con un implicito tono di accusa verso l'altro aveva un ché di divertente per lei.

«Domani la porto al mare.»

«Che grande concessione, Hamilton.»

«Mi rendo conto che tenerla sotto una campana di vetro non servirà a nulla.» Le dita della mancina erano approdate verso il mento maschile, prendendo a massaggiarlo pigramente. Sembrava in riflessione, come lo era ormai da molti giorni anche se più di tanto non faceva trapelare e tutto ciò che passava, era solo perché lui voleva farlo passare, solo ed esclusivamente per gentile concessione Hamilton. «Deve distrarsi, ci sono troppe situazioni e persone attorno a lei che spingono per buttarla giù.» l'aveva guardata dritto in faccia. «A parte te.» la sua pausa aveva fatto sussultare appena Alexa, procurandogli un vago sorriso. «Me ed altre tre, quattro persone.»

Alexa aveva preso un respiro mentre si era appoggiata col fianco destro contro il bordo del ripiano, stringendosi le braccia sotto il seno e guardando con estrema attenzione la punta delle sue Converse bianche. «Io le voglio bene. Ed è difficile che io voglia bene a qualcuno.» poteva apparire sconclusionata in ciò che stava dicendo, ma non lo era ed infatti Alex era rimasto in silenzio, soppesando il valore di quelle parole.

«Domani sei libera?» era quello che lui le aveva chiesto, invece.

«No.» aveva risposto di getto, pentendosene quasi subito. «La tua ragazza? Viene con voi domani?» una domanda posta con quello sguardo incapace di stare fermo, incapace di posarsi su di lui. Stava guardando tutto tranne che lui.

Lui che, invece, aveva fatto mezzo passo in avanti, sciogliendo la sua posa e aveva posato la mano contro il ripiano della cucina e continuava a fissarla, come se tutto ciò che stava vedendo fosse di suo estremo gradimento. «No. Lavora domani.» aveva scandito ogni sillaba di quelle tre parole e l'aveva fatto fissandola dritto in viso. In realtà stava fissando la sua bocca, la linea del suo collo, i suoi occhi.

Sembrava la stesse assediando, nuovamente senza aver nemmeno bisogno di toccarla o sfiorarla. L'errore madornale che lei aveva fatto era stato quello di incrociare il suo sguardo. Quegli occhi così scuri riuscivano a mandarla a fuoco in un istante, quel modo che lui aveva di guardarla era destabilizzante, lei ci si perdeva dentro.

Ci si perdeva completamente in quel modo che lui aveva di batterle palmo a palmo con lo sguardo le gambe, di mangiarle con gli occhi le labbra, la linea del collo. Si ritrovava, senza volerlo, a boccheggiare quasi nonostante il pudore e quel minimo di cervello funzionante residuo non le permettevano di darne una chiara immagine esteriore. Ma accadeva, diamine se accadeva.

Dentro era come se avesse un incendio che divampava ogni volta in cui lui la guardava ed era terribile e paradisiaco allo stesso tempo. Senza nemmeno accorgersene o comandarlo scientemente, aveva sciolto l'intreccio di braccia e aveva allungato la mano verso di lui, interrompendosi solo quando aveva sentito e compreso appieno la sua risposta. Solo allora aveva interrotto quel movimento, adagiando il palmo della mano contro il bancone della cucina e fingendo di voler tamburellarci le dita sopra.

«Capisco.»

«Capisci?» a cosa lui voleva far riferimento lei non l'aveva capito, perché lui aveva abbassato il tono della voce, l'aveva reso meno impostato e più morbido, atto proprio a volerla carezzare, come se volesse sfruttare quel momento di indecisione a suo favore.

Lo capiva? Che stava capendo Alexa? Non lo sapeva nemmeno lei.

Ciò che capiva perfettamente, con una lucidità estrema, era che lui la confondeva abbondantemente. Le mandava a puttane il cervello, in tutti i sensi.

«Non lo so.» l'aveva ammesso quasi controvoglia.

«Vieni con noi in barca domani, esci un po' anche tu.» aveva usato quel tono autoritario e ben dosato, mentre batteva anche lui le dita contro il bordo di granito e stava in silenzio facendo calare una pausa ben calcolata, scandita dal silenzio. Una delle sue pause ad effetto che spesso facevano tremare l'imputato in aula, per intenderci. Solo che non aveva nessun criminale davanti, ora, c'era solo Alexa e le sue ben poche resistenze.

«Tu mi agiti un po'. Non so. Dovrei andarmene, credo.» si stava grattando il collo con la destra, in evidente difficoltà, evitando come la peste lo sguardo di Alex.

«Ti agito. Mh.» non riusciva mai a decifrare completamente il tono che lui usava, era sempre così ambiguo che la sua testa smetteva di ragionare. Però si era mosso, avvolgendo la sua mano contro quel ripiano e mettendosi completamente eretto. La sovrastava con la sua altezza e lei, come poche volte nella sua vita, si sentiva davvero piccola accanto a lui.

Le aveva preso la destra, scostandola dal collo e guidandola verso il fianco. La stessa mano poi era tornata al suo viso; era lì, stava carezzando la linea del collo dove la pelle era chiazzata di rosso per l'imbarazzo, risalendo verso la linea della mandibola e guidando il mento affinché lei lo alzasse e lo guardasse dritto negli occhi. «Dovresti? No, io non credo.»

«Sì, dovrei.» la sua voce era ridotta a un filo sottile, gracile, mentre cercava di sfuggire al suo sguardo.

Più lei tentava, più lui la teneva ferma: voleva affogarci in quello sguardo. Voleva leggerle dentro e voleva morire su quelle labbra piene e perfette.

«Nah.» più che risponderle, si perdeva in quei tocchi al mento, al collo.

Un brivido potente si era impossessato di lei nell'esatto momento in cui lui l'aveva toccata. Aveva il cervello completamente in tilt, era come se al mondo non esistesse null'altro che lui, il suo profumo, il calore della vicinanza del suo corpo. Solo questo. E faceva fottutamente male, ma nonostante questo era come una specie di drogata che ne voleva sempre di più.

«Te lo ricordi quando mi hai detto che sai essere piacevole?» una pausa. «Avevi proprio ragione.»

Aveva annuito piano piano e poi aveva sorriso. «Io ho spesso ragione.» purtroppo e per fortuna, aveva aggiunto mentalmente.

Nel rialzare lo sguardo su di lui, aveva quegli occhi lucidi a causa di quella sottile patina di eccitazione mista a difficoltà che lui le provocava. Era proprio questo il cazzo di dramma per lei: sapeva esattamente che non doveva, non con lui, per tanti di quei motivi che non serviva nemmeno ricordarli. Eppure, era proprio con lui che stava cadendo, incapace di evitarlo.

Le mani, appena tremanti, si erano sollevate per approdare ai fianchi maschili. Come se avesse improvvisamente deciso che non sarebbe più stata l'unica a subire quella sera. Quelle mani che stavano risalendo verso gli addominali in una carezza ponderata mentre si muoveva di un passo per azzerare le distanze, far sfiorare i propri fianchi con quelli maschili mentre si allungava verso di lui. La punta del naso stava, delicatamente, sfiorando la curva della mandibola maschile, senza mai staccarsi dal suo tocco: voleva che lui la sentisse così come lei lo stava sentendo.

«Non sai io, Alexa.» la sua voce sembrava uscita dall'oltretomba tanto era tesa, nonostante lui stesse ostentando la sua solita calma. Sembrava davvero eterno in quella posa statica, quella calma innaturale che lo permeava da capo a piedi e che non le faceva capire niente di niente e che la portava a deglutire nell'esatto momento in cui lui, quasi istintivamente, si stava umettando le labbra come se fosse in difficoltà per quella vicinanza improvvisa. E quando mai loro facevano una cosa graduale?

«Sei uno deciso Alexander?» era lei a tenere la voce bassa e suadente stavolta, evocando sprazzi di conversazioni passate che hanno tenuto ben segrete al mondo. «Dipende.» una risposta che stava dando lei mentre la destra stava accarezzando il suo petto. Spinta verso il viso altrui, l'aveva sfiorato ancora una volta prima di lasciare quel bacio all'angolo della bocca, ritraendosi poco dopo.

«Estremamente.» le mani maschili si erano mosse fulminee, andando ai fianchi femminili e stringendoli in una presa un po' possessiva atta a spingerla contro il bordo del mobile, facendo risalire l'abito e scoprendo interamente le gambe femminili. Non la stava più guardando perché il viso si era spinto verso il collo femminile, quasi volesse trovare un porto sicuro lì nell'incavo del collo di Alexa. Le mani avevano abbandonato la presa lasciando che il suo corpo stesse premuto contro quello femminile. Incredibilmente, aveva trovato la strada spianata perché lei, nel sentire quella presa, aveva istintivamente schiuso le gambe quasi volesse accoglierlo ed azzerare le distanze fra i loro corpi.

Erano fermi, premuti l'uno contro l'altra e le mani di Alex avevano lasciato i fianchi di Alexa per approdare sul marmo dietro di lei, come se quello fosse l'unico modo per evitare di fare una cavolata. Il peccato, però, era che mentre le mani erano ferme contro il marmo, il viso no. Le sue labbra stavano carezzando la pelle del collo femminile, si stava inebriando del profumo femminile mentre i loro bacini – in maniera quasi involontaria ma del tutto naturale – si stavano cercando in una carezza accennata, ma incredibilmente elettrica e pericolosa.

Le mani di Alexa stavano carezzando le sue braccia tese, continuavano sulla linea delle spalle e viravano verso il petto. Si era reclinata appena col busto solo per cercare lo sguardo di Alex, ne aveva quasi bisogno perché il cervello, quello, era tutto in allarme.

Era un uomo impegnato. Ed era il fratello di Mja.

Merda. Merda. Merda.

«Alex...» a fatica, lo stava cercando.

«Eh.» la fatica era condivisa, o almeno così sperava lei.

«Fermiamoci. Perché ora vorrei solo fare un errore enorme. Sbagliare e perdermi, lo capisci?»

Lui la stava guardando ma i suoi occhi erano calamitati dalle sue labbra mentre parlava. E, con un controllo assoluto, si era avvicinato di nuovo, sfiorandole il naso, la pelle della guancia. «Tutto nella vita è relativo, Alexa, anche pensare di sbagliare.»

Aveva sbatacchiato le ciglia un paio di volte, l'espressione sul suo viso era palese pure a un cieco: cosa. cazzo. stava. dicendo.

Di certo stava parlando una lingua a lei incomprensibile al momento.

«Senti Alexander...»

«Ti sto sentendo.» il sorrisetto un po' ambiguo.

Aveva sbuffato. «Alexander, facciamo così. Due minuti. Poi se non ci muoviamo, me ne vado e domani faremo finta di niente.» non c'era logica in quelle parole, ma al suo cervello sembrava la genialata del secolo.

Lui? Lui aveva sorriso in maniera bastarda un pochetto. Aveva staccato la destra dal ripiano in marmo, allungandola verso la coscia femminile. Con estrema perizia ed attenzione, aveva iniziato a far scivolare prima la punta delle dita contro il lato esteriore della coscia. Poi, con un'audacia tipica di Alex, aveva virato, ruotando il polso quanto bastava per far aderire il palmo della mano contro la natica femminile, la punta delle dita a sfiorare il bordo delle sue mutandine.

Aveva il cervello il tilt, il freddo della mano contro la sua pelle calda ed ipersensibile l'aveva fatta tremare sotto quella carezza. Le sue dita si erano strette contro i bicipiti maschili, la testa si era piegata in avanti adagiandosi alla sua spalla.

«Alex...»

«Ti. Sento.» glielo aveva detto al suo orecchio come una carezza sconcia, esattamente quella che stava compiendo con la mano. «Io e te non potremmo mai fare finta di niente comunque. Domani ci ritroveremo allo stesso punto. E così anche dopo domani, e l'altro ancora. Saremo sempre qui, sempre ad un passo dal pensare ai possibili sbagli.» c'era logica forse, ma lei ci aveva rinunciato a trovarla nel momento esatto in cui aveva sentito quella mano spingersi maggiormente contro la sua pelle, guidando la sua gamba contro il fianco.

Aveva espirato arresa, la destra si era portata contro il viso maschile e si stava torturando quella piccola pallina del piercing che adornava la sua lingua. In quella carezza, lei, stava sancendo la sua resa.

Nel fissargli la bocca, lei, stava cadendo.

Così forte e profondamente che solo quando le sue labbra avevano incontrato quelle di Alex, le era parso di essere libera.

Per la primissima volta, in quel bacio che aveva il sapore del proibito assoluto, lei si era sentita completa, libera, leggera.

Chi l'aveva detto che la redenzione non poteva iniziare e passare dal peccato?

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