05. It's Wedding Time - pt. 3
Jonathan era un ballerino discreto, si muoveva con eleganza seguendo le note delle canzoni del mix sapientemente dosato dal dj incaricato per l'evento.
Non poteva nemmeno dire che aveva allungato troppo le mani, era stato particolarmente attento ad accennare sempre i contatti fra i loro corpi senza scadere nel volgare.
La seconda canzone più lenta, una ballata, prendeva vita mentre una mano stava toccando la spalla di Jonathan.
«Permetti?»
Attimi di silenzio avevano come freezato la situazione, dipanandosi fra Jonathan e l'altro uomo che si stava proponendo.
«Ovviamente.» Jonathan aveva risposto dopo un silenzio denso e carico di un sottile nervosismo che lei non aveva capito appieno. «A fra poco.» verso Alexa, prima di farsi da parte.
Altre braccia avevano preso il posto di quelle di Jonathan, la mano contro la schiena era più possessiva ed era a palmo aperto contro la stessa. L'altra avvolgeva la destra femminile e la guidava verso il proprio petto; non ballavano sul serio, era più un dondolare seguendo le note della musica.
«Non mi saluti più, Alexa?» La voce bassa e vagamente graffiata, lo sguardo inclemente su di lei.
«Nemmeno tu mi hai salutata.» Gli aveva fatto notare.
«Mio fratello oggi si sposa, ero un tantino impegnato.»
Uno sbuffo di risata era stata la sua risposta mentre lui la faceva volteggiare prima di riportarsela contro di sé stavolta, decisamente più vicini di quanto non lo fossero due secondi fa. Sicuramente in maniera più ambigua, considerando il modo in cui la mano aveva accarezzato il fianco per poi posarsi contro la zona bassa della schiena.
«Hai fatto innervosire Lancaster.» Uno sguardo verso l'altro che, poco lontano dal bordo pista, li stava guardando come un falco – di quelli che non capivano molto bene la situazione.
«E 'sti cazzi, Alexa. Sai quanta gente mi fa girare i coglioni ogni cristo santissima ora della mia vita?» Lento mentre scandiva queste parole verso l'altra.
«Forse perché sei incazzato perennemente col mondo. Sai, quello poi a una certa risponde anche.»
Lui si era messo a ridere portando poi il capo verso il viso di Alexa, quasi a sfiorarle lo zigomo con la punta del naso. «Io e te dovremmo frequentarci di più.» Nel dirlo, l'aveva attirata di più contro di sé lasciando scivolare la coscia maschile al centro esatto di quelle femminili, proteso verso di lei e col viso a un battito di ciglia come se fosse stato pronto a baciarla lì in mezzo alla pista, davanti a tutti.
«Oh, wow cowboy.» Un accenno di risata che aveva una punta appena accennata di imbarazzo – lei che non si imbarazzava mai, praticamente. «È il matrimonio di tuo fratello, Jake.» Una pausa necessaria in cui la mancina aveva fatto una specie di carezza al viso maschile ancorandolo fra indice, medio e pollice per farglielo voltare verso una ragazza dall'aria spaesata e fortemente imbronciata che li fissava con ostilità. «E sei accompagnato.»
Lui aveva contratto la mascella. «Perché, se non lo fossi, verresti via con me?» Guardandola dall'alto della sua altezza.
La musica era sfumata e lei aveva fatto un passo all'indietro con un po' di fatica: Jake non sembrava volerla lasciare andare.
«No, vabbè. Non ci credo.» Alexa lo stava fissando.
«Rispondi, no. Che ti costa?»
Si era velocemente guardata intorno, riportando presto gli occhi chiari sul viso di Jake: era come impazzito di botto.
«Cosa c'è di difficile da capire nella frase "è il matrimonio di tuo fratello"? Eppure mi sembra di parlare correttamente la tua stessa lingua.»
«Samuel si sposa e io, improvvisamente, divento monaco buddista? Fammi capire.»
Alexa aveva scosso la testa, espirando pesantemente. Cercava di mantenere un'espressione di facciata che non mettesse nessuno in allarme o, quantomeno, non troppo. Nonostante gli sguardi, però, nessuno sembrava voler intervenire sul serio in quella che poteva essere benissimo interpretata come un vago alterco fra amici – per non dire amanti.
«Ci stanno guardando tutti e io non ne ho proprio voglia.» Nel suo tono c'era la traccia di un rimprovero che non era pienamente esplicato. «Torno al mio tavolo. Bal'shoye spasiba* per il ballo, Jake.» Più rigida in quel congedo, l'aveva lasciato lì muovendosi verso il bordo pista per raggiungere il tavolo, nemmeno Jonathan.
Ad affiancarla era stata la camminata da Valchiria di Meredith.
«Che voleva Jake da te?» Il tono era simile a quello di un pitbull sulla difensiva.
«Il solito, Mer.» Con poca voglia di parlarne. «Avrà bevuto troppo.»
«Mh. E io che pensavo avesse dato sfoggio della sua consueta arguzia da coglione.» Lo sguardo di Meredith vagava per la sala, senza dispensare sorrisi a nessuno, troppo impegnata a pensare. «Cerca di stare attenta.» Una volta arrivata nei pressi del tavolo.
«Sì, lo so.» Quella lieve agitazione la stava mettendo in crisi, tanto da farle avere le mani più gelide del solito. E tanto da cercare, inconsciamente, lo sguardo di Mja nemmeno volesse assicurarsi che lei non avesse visto nulla.
Mja sembrava non aver visto nulla, impegnata com'era nella sua conversazione con Thomas. Chi, invece, aveva visto tutto e aveva la faccia di Satana reincarnato e sceso in Terra era proprio lui.
Sempre lui.
Aveva espirato nervosamente mentre riprendeva il tovagliolo dalla seduta per poi depositarlo con malagrazia sul sottopiatto, scostando la sedia e tornando a sedersi di impeto, dandogli le spalle.
Vai al diavolo, Alexander Hamilton.
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Quando le chiacchiere diventavano troppe, il bisogno di staccarsi e prendersi un po' di tempo per sé stessi era necessario oltre che vitale.
Una telefonata l'aveva salvata dall'ennesima conversazione in cui i temi erano sempre gli stessi. Era approdata nella sala adiacente a quella dove si stava svolgendo il ricevimento, quella che aveva ospitato l'aperitivo per intenderci. Vuota, arrivava ovattato il vociare dell'altra sala mescolato alle risate e alla musica.
Aveva da poco chiuso la telefonata con Lara, la sua assistente, ed era rimasta in piedi accanto a uno dei tavoli che prima ospitavano varie pietanze, ora completamente sgombro. Scorreva pigramente la home di Instagram, senza trovare nulla che potesse interessarla: era una perdita di tempo e lei lo sapeva, piuttosto che tornare in sala aveva deciso di fingere di essere ancora impegnata in qualcosa.
Il rumore della porta che si apriva le aveva fatto alzare lo sguardo. In tensione, nel momento stesso in cui aveva visto la chioma bionda di Mja, aveva lasciato andare un sospiro denso, carico di quel sollievo che non sarebbe riuscita ad esplicare a parole chiare.
«Oh, Mimi.» La sua voce era quasi un sussurro, aveva mollato il cellulare sul tavolo insieme alla clutch e si era diretta a grandi passi verso di lei.
Un abbraccio istintivo e naturale aveva accolto la sorella. Sembrava fosse passata un'eternità dall'ultima volta in cui erano potute restare sole e quella giornata si stava rivelando un supplizio interminabile.
Mja aveva ricambiato l'abbraccio che era stato sciolto dopo qualche istante. Alexa aveva sentito le mani della sorella contro il proprio viso, il suo sguardo preoccupato ma anche severo ad inchiodarla lì sul posto.
«Alexa, dimmi la verità: che voleva Jake? Non vi ho mai visti tanto vicini come oggi.»
Il cervello di Alexa era appena andato in tilt sotto lo sguardo di Mja. Aveva sbattuto ripetutamente le palpebre, inebetita.
«J-Jake?!»
«Sì, mio fratello. Ho visto tutto.»
Alexa aveva preso un respiro, scivolando appena all'indietro per andare ad appoggiarsi contro il bordo di uno dei tavoli, lo stesso su cui c'erano i suoi effetti personali abbandonati sopra.
«Sinceramente non so cosa gli sia preso. Sì, siamo sempre stati amici, lo sai. Non ti ho mai nascosto nulla.» Aveva fatto spallucce, in una difficoltà che appariva così reale da fare male: non sapeva veramente dare una risposta a quella domanda.
«Ma oggi ti è sembrato un uomo diverso. Non è così?» Il tono di sua sorella era retorico, viste le risposte che aveva appena sentito.
Alexa aveva annuito. «Sì, sembrava veramente arrabbiato.»
Mja aveva sbuffato di frustrazione, guardando il soffitto alla ricerca di una soluzione. «Ale... conosco mio fratello: se tu fossi stata una delle sue prede ci avrebbe provato con te anni fa e non di punto in bianco, perché Jake è mosso principalmente dal volere del suo "uccello divino", o presunto tale come dicono voci di corridoio.» Aveva sospirato pesantemente, voltandosi poi a guardarla. «Se non ci ha mai provato finora non è perché fosse immune a te, ma perché non sei mai stata la sua preda. Lo sai meglio di me: Jake non sta bene, ha qualcosa che non va. Non fare niente che possa indurlo in tentazione, nemmeno un sorriso amichevole, ti prego. Non dargli modo di approcciarsi a te nemmeno con uno sguardo. Ha iniziato a fare lo stronzo per qualche ragione e l'ha già fatto con più donne di quante tu possa immaginare.»
Alexa si era gelata a quelle parole di Mja, così tanto che la sua espressione era diventata di ghiaccio.
«Pensi che l'abbia provocato?»
«No.» Mja aveva risposto di getto.
«Io non ho fatto niente, Mja. Non l'ho nemmeno salutato oggi...»
Mja aveva scosso il capo in un muto diniego. «Non conta se tu oggi l'hai salutato o meno, conta tutto ciò che succederà dopo. Lui chissà perché impazzisce sempre ad un certo momento, senza motivo. La cosa migliore da fare è ignorarlo o la prenderà come un via libera per riprovarci ancora.»
Alexa apparentemente non sembrava avere reazioni, la realtà era però ben diversa: il suo collo era chiazzato da un rossore sparso ed irregolare, gli occhi erano lucidi e non in maniera bella. Sentiva le guance scottare in quel mix di vergogna e rabbia che strisciava dentro di sé, avvelenandola.
«Jake funziona soltanto in un modo: con i cazzotti in bocca. Se qualcuno interviene in maniera violenta, allora capisce.» Mja aveva ripreso a parlare, cercando lo sguardo di Alexa senza alcun successo: sembrava esserci fisicamente, ma aveva lo sguardo vacuo. «Stavo per farlo io ma Thomas mi ha fermata.» Il tono più morbido, sembrava voler smorzare quel nugolo di tensione che si era venuto a creare fra loro due.
Alexa aveva abbassato lo sguardo verso il pavimento, nascondendo il viso dietro quella cascata di capelli biondi ancora belli in quell'acconciatura dal sapore un po' retrò e vamp.
«Ma tu pensi che mi piaccia vivere così?» La sua voce sembrava lontanissima. Aveva deglutito, prendendo un respiro e rialzando il capo per poterla guardare nuovamente. «Si comportano tutti come se avessero il diritto e dovere di toccarmi come, quando e quanto vogliono. Solo perché sono Alexa Evans.» Aveva detto il proprio nome con una punta evidente di amarezza. «Pensi che non abbia avuto più volte la tentazione di spaccare un piatto in testa a Jonathan Lancaster mentre mi toccava e mi parlava come se fossi una delle tante escort che si scopa, oppure che non avevo voglia di dare io stessa una testata a tuo fratello? Ma non posso, Mja. Non posso perché qualunque cosa io faccia viene amplificata per dieci rispetto a una donna normale e se avessi reagito, avrei rovinato la giornata a tutti. Non sono io che me le cerco queste cose.» Aveva concluso con un respiro più irregolare, figlio della rabbia che aveva in corpo.
A quelle parole Mja si era mossa in maniera istintiva, guidata da un'esigenza più forte di qualunque altra cosa. Aveva colmato quella distanza che la separava da Alexa, stringendola fra le braccia. Il bisogno esplicato in quel gesto semplice, un abbraccio, profondo e viscerale, qualcosa che le parole non avrebbero potuto sostituire.
«L'ho visto che Lancaster ti stava dando fastidio. Me ne sono accorta dal modo in cui eri seduta e dal modo in cui avevi abbassato lo sguardo quando ti stava vicino.» Mja stava parlando piano, quasi un sussurro che si infrangeva fra i capelli della sorella. «Ho detto a Thomas che ti stavo controllando perché nessuno avrebbe dovuto infastidirti e se tu fossi stata al tavolo con noi, cazzo, non sarebbe successo niente.» C'era rabbia nelle parole di Mja, quella dettata da quella scelta infelice e disgraziata che aveva visto Alexa seduta lontana quando proprio in eventi simili sarebbe stato opportuno farla sedere con la famiglia, protetta e al sicuro da gente come Lancaster. Tutti sapevano chi era, il calibro della sua persona e il peso della sua fama.
Alexa aveva ricambiato quell'abbraccio, si stava pian piano calmando. «Non è colpa tua, Mimi.» Lo aveva detto delicatamente, quasi a voler mitigare la rabbia altrui.
Mja era rimasta in silenzio per un po', soppesando chissà cosa. «Ti serve una guardia del corpo, Alexa.»
«A me!?» Alexa si era distaccata un pochino così da guardarla in viso. «Io ho il mio servizio d'ordine, lo sai.»
«Ah sì, embè? Dov'era oggi?»
«Sono con Meredith, è un evento sociale a basso rischio. Non era previsto mi stessero attaccati tutto il tempo.»
«E si è visto com'è andata a finire.»
«Va tutto bene, sul serio.»
Mja la stava fissando, molto poco convinta. Stava per dire qualcosa, ma l'ingresso nella sala di Thomas e Alexander l'aveva interrotta.
Aveva guardato Mja cercando di capire meglio che cosa stesse accadendo, ma sua sorella era sorpresa tanto quanto lei.
Lo sguardo d'intesa fra Alex e Thomas, però, l'aveva intercettato pure lei. Era stato proprio Thomas ad avanzare verso di loro mentre si rimetteva la giacca del suo smoking.
Alexander invece era rimasto in disparte, aspettandola.
Si era voltata a guardare Mja. «Ci vediamo dopo, mh?»
Sua sorella le aveva annuito. «Sì, a dopo.»
Le aveva concesso un ultimo sorriso, inquadrando Thomas per un breve istante: sapeva di lasciare Mja in mani sicure.
Raccolte le sue cose dal tavolo, si era mossa verso Alexander che, in mezzo a quel silenzio vagamente ovattato, la fissava tenendo le mani nelle tasche dei pantaloni del suo tuxedo impeccabile.
C'era un filo sottile di agitazione che si era inspiegabilmente disteso sui suoi nervi. Arrivata vicino ad Alex, lui aveva allungato la mano per sfiorarle la zona intermedia della schiena con l'intento di guidarla verso una saletta lì vicina, in modo da garantire la massima privacy a Thomas e Mja.
Camminava in perfetto silenzio, cercando di ignorare il casino bestiale che il suo cuore stava facendo.
«Vieni.»
Alex le aveva aperto la porta: quella stanza poteva essere benissimo attribuita a salottino informale che non sembrava essere utilizzato molto spesso. Le luci erano pressoché spente e lo spazio era illuminato da quelle esterne che permeavano attraverso la vetrata. Dei teli coprivano il mobilio più importante, quel posto dava l'idea di un angolo in cui il tempo e lo spazio erano come sospesi.
Una volta dentro, Alex aveva chiuso accuratamente la porta per evitare di essere disturbati all'improvviso e donare ad Alexa un momento di pace – almeno, questo era l'intento onorevole che sembrava muoverlo.
Mentalmente lo aveva quasi ringraziato per quel piccolo regalo inatteso, il silenzio era morbido come un cuscino invitante e lei aveva voglia di non uscire più da quella stanza, restare lì e dimenticarsi tutto il casino che, fuori da quelle porte, l'attendeva.
Aveva mosso qualche passo raggiungendo quello che sembrava un tavolo, ma il telo messo a protezione ne rendeva fumosi i contorni esatti: era impossibile determinarne con precisione la sua funzione. Vi aveva appoggiato le sue cose, sentendo l'esigenza di non avere niente in mano: le sentiva fin troppo deboli, quasi di burro e non si fidava.
Sentiva dietro di sé i passi di Alex, segno che lui si era avvicinato ma manteneva ancora una distanza rispettosa. Era stata lei a voltarsi verso di lui in modo da poterlo inquadrare completamente: il suo tuxedo era incompleto, le maniche della camicia risvoltate fino ai gomiti e la camicia era stata aperta sul davanti; quei tre bottoni slacciati davano aria al collo e al petto donandogli un aspetto un po' selvaggio, eppure pregno di un'eleganza che non sapeva ben descrivere. Era un po' come avere davanti uno di quei predatori di inestimabile bellezza, ferali sì, spaventosi anche, ma così belli e fieri da non poter distogliere lo sguardo.
«Stai bene?»
Quella domanda l'aveva colta impreparata, tanto che aveva dischiuso le labbra come a voler articolare chissà cosa. Le aveva richiuse e respirato lentamente, timorosa forse di far rumore. «Un po' stanca.» Evasiva, al suo solito.
Lui si era mosso nuovamente verso di lei con l'intenzione di colmare, molto lentamente, quella distanza che li separava. Ad ogni passo che calava su quel pavimento pregiato, lei sentiva le viscere stringersi in una morsa inesplicabile e ferrea che la mandava fuori giro immediatamente.
Si era ritrovata costretta a deglutire piano piano, indietreggiando impercettibilmente di un solo passo, quanto bastava a sentire il profilo del tavolo dietro di sé. Si era fermata, alzando il mento di qualche grado per tentare di apparire sicura di sé, ma non era certa di riuscirci appieno.
Alex aveva inclinato il capo di qualche grado per incontrare meglio il viso di Alexa. Scorreva con lo sguardo lungo i suoi lineamenti perfetti: gli occhi dal taglio un po' felino e di quell'azzurro incredibilmente chiaro, la linea perfetta del naso, le labbra piene e gli zigomi alti carezzati dalla forma ondulata dei suoi capelli biondi.
I loro sguardi si erano incrociati: lui era così severo, appariva così impermeabile ad ogni cosa tanto che lei, per la primissima volta in vita sua, non sapeva esattamente che cosa fare.
Alexander, sotto quello sguardo, aveva compiuto l'ultimo passo lasciando pochissimi centimetri fra loro due. Non la stava minimamente toccando, le sue mani erano ostinatamente depositate nelle tasche dei suoi pantaloni. Semplicemente, la stava guardando. Il suo, però, era uno di quegli sguardi che bruciavano tanto erano potenti: era come se ogni singolo dettaglio di Alexa fosse troppo prezioso per perderselo. Batteva palmo a palmo la sua figura divorandola in quell'intensità, quasi a volerla spogliare non solo dei vestiti ma anche di tutto il primo velo di apparenza, lo stesso che rivestiva anche lui fino al momento in cui era entrato in quella stanza impolverata.
«È la verità?»
«Perché dovrei mentirti?»
Non aveva mentito. Era stata elusiva, il che era peggio se consideravamo che veniva fatto con un avvocato del suo calibro e bravura.
«Dimmelo tu.»
Si era ritrovata a drizzare appena la schiena e a sgranare appena gli occhi, schiudendo le labbra di un poco. Alex smuoveva piano il capo come in cenno di diniego verso qualcosa che albergava solo nella sua mente.
«Non ti ho mentito, Alexander.» Una pausa. «Non ne ho motivo...»
Si era fermata perché lui si era avvicinato maggiormente, sembrava perso in chissà quale dettaglio che aveva assorbito completamente la sua attenzione. Aveva, infine, preso un respiro profondo per poi rilasciarlo quasi in difficoltà.
Erano così vicini che il suo cuore si era fermato nel petto, schizzando poi come un pazzo verso la gola, ostruendola, e facendole sparire la voce e arrossire di colpo.
Lui aveva contratto la mascella e lei, cogliendo quel movimento, aveva corrugato la fronte in una silente espressione interrogativa.
Non ci stava capendo niente.
«È tutto così diverso.»
«Mh?»
«Rispetto a quando ci parliamo.»
Alex parlava seguendo un discorso mentale che era esclusivo privilegio della sua mente. Per Alexa, invece, era tutto molto confuso e le emozioni iniziavano ad accavallarsi l'una sull'altra, stordendola.
«Adesso, per esempio, vorrei così tanto toccarti.»
A lei sembrava quasi di sentire una pressante sensazione di difficoltà scivolare sulla propria pelle. La postura e in generale il portamento di Alex sembravano trasmettere calma e controllo, ma c'erano quei piccolissimi segnali di tensione che la destabilizzavano fortemente.
«E perché non lo fai?» La sua voce era bassa, quasi avesse paura di rovinare chissà cosa con un tono fuori posto.
Lui aveva piegato appena la testa di lato, accarezzando i suoi lineamenti con lo sguardo prima di tornare ai suoi occhi. «Perché a me le cose piace farle in due, non da solo.»
«Nessuno dice che sei da solo, adesso.» Aveva calcato appena con la voce quell'"adesso".
Con lentezza calcolata Alex aveva estratto la destra dalla tasca dei pantaloni, allungandola verso il viso femminile. Aveva lasciato scivolare il dorso delle dita lungo la linea del viso, dallo zigomo fino alla curva della mandibola, indugiando con la punta delle dita in prossimità del mento. Da lì era ridisceso verso il collo in un contatto lieve e delicato, come quelli che si riservavano a un'opera d'arte.
Aveva affondato con la mano fra i suoi capelli, riavviandoli all'indietro e scostandoli per scoprirle il collo. Si era chinato verso di lei sfiorandole il viso col proprio e continuando poi verso il collo.
La sinistra si era posata con delicatezza contro il fianco femminile mentre affogava, letteralmente, in quel profumo femminile; la destra carezzava invece la nuca, ridiscendendo lungo la linea della schiena lasciata scoperta dallo scollo posteriore dell'abito.
Un brivido si era impossessato di Alexa. Le mani si erano mosse istintivamente verso i bicipiti maschili mentre reclinava il capo un po' all'indietro, scoprendo maggiormente la linea del collo. Con le labbra appena più dischiuse aveva lasciato che un respiro pesante e denso sfuggisse al suo controllo, carico di quelle emozioni tutte aggrovigliate che stava vivendo.
Il viso maschile carezzava quello femminile, era tornato appena più dritto solo per poterla guardare completamente negli occhi. Gli stessi erano lucidi di nuovo, ma stavolta a causa di quella vampata di caldo ed eccitazione che l'aveva colto e non solo: Alexander sembrava avere il potere, pericolosissimo, di saper toccare tutti i tasti giusti al momento giusto con lei.
Era bastato un attimo, quello necessario a un breve ma intenso scambio di sguardi. Aveva sentito le sue mani scivolare verso le proprie natiche e poi quella leggera pressione tipica di una presa. D'istinto aveva schiuso le gambe, circondandogli i fianchi e aggrappandosi alle sue spalle come meglio poteva. Alex aveva trovato approdo contro uno dei muri facendo bene attenzione che lei non impattasse in maniera dolorosa contro di esso, piazzandosi meglio al centro esatto delle gambe femminili, aiutato dallo spacco criminale di quell'abito.
La destra era poi scivolata lungo la linea del fianco, percorrendo quella curva perfetta del sedere, trovando ben presto la pelle nuda delle gambe.
Lei non lo aveva minimamente rifiutato, anzi. Alexa aveva accolto quei tocchi quasi con liberazione, sospirando di sollievo nel sentirlo contro di sé, in quella vicinanza che aveva inconsciamente desiderato per tutto il giorno.
Le sue gambe sfioravano i fianchi maschili in una sorta di carezza avvolgente, le mani avevano allentato la presa contro le sue spalle solo a favore di quei tocchi bollenti che gli depositava fra collo e petto.
«'Dio. È da stamattina che volevo farlo.»
Lei non aveva avuto il tempo materiale di chiedergli esattamente cosa lui intendesse, perché Alexander aveva colmato definitivamente la distanza fra loro, baciandola.
Non era un bacio timido oppure incerto, era come un fiume in piena fin troppo a lungo trattenuto. Impetuoso, carico di non detti che venivano esplicati in quell'intrico che stavano creando, aveva il sapore della necessità. Quella di perdersi l'uno nell'altra, quella di sentire qualcosa in più, qualcosa di finalmente giusto.
Era incredibile come un atto così semplice come un bacio potesse essere così pieno e denso di significati per loro due. Era come se la polarità del mondo avesse trovato un nuovo punto attrattivo, spostando completamente la sua gravità verso qualcosa di nuovo, completamente inedito e sconosciuto, eppure maledettamente giusto.
Lo sentivano entrambi in quel bacio, in quegli affondi accennati e frenati dalla stoffa degli abiti che indossavano ancora, che era tutto così giusto eppure così sbagliato sotto tanti versi.
Come si potevano provare così tante emozioni, così tante sensazioni, tutte insieme e tutte incredibilmente violente?
Alexa non sapeva rispondere, aveva spento del tutto il cervello.
Non esistevano cognomi, posizioni sociali, doveri. Non esisteva nulla di tutto questo in quella stanza. C'erano solo lei e lui, un uomo e una donna che provavano così tanto – forse troppo – che non riuscivano nemmeno loro a darsi una spiegazione. Stava accadendo e basta.
Lei lo baciava con lo stesso trasporto di chi era consapevole che, quella, poteva essere la loro prima ed ultima volta insieme. Lo baciava con la forza di chi sapeva che cos'era la perdita e non voleva farsi sfuggire nemmeno un secondo di quella bellezza e perfezione.
E la sentiva, eccome se la sentiva. Quella necessità impellente che lui provava, nemmeno lei fosse l'aria piena di ossigeno puro e fresco e lui un sub che, nella sua apnea, sta lentamente soffocando.
Percepiva, sotto la mano contro il suo petto, quel battito animale che animava Alexander e ne veniva contagiata. Più lui la baciava, più lei scioglieva ogni singola reticenza e resistenza.
Si erano staccati solo per riprendere fiato, il respiro era scomposto e sembravano, entrambi, fuori da ogni logica e grazia divina lucidamente concepibile.
Lei gli aveva accarezzato il viso, affogando in quel mare nero come la notte che erano gli occhi di Alexander.
«Volevo così tanto venire a parlarti, oggi. Ma mi sembravi impegnato.» Non aveva alcun senso dirglielo in quel momento, ma lo aveva fatto comunque con quel tono basso e intimo, dedicato esclusivamente a lui.
«Alexa.» La voce di Alex rifletteva appieno il suo mood: perso, completamente. Sconnesso da tutto e tutti. «Non sto capendo un cazzo.» Aveva espirato arreso a non si sa bene cosa, baciandola di nuovo ma in maniera più superficiale stavolta.
«Dico...» A fatica cercava di parlare, considerando quel lento strusciare di bacini che era in atto e le toglieva gran parte della lucidità. «Eri impegnato. Al tavolo. Volevo approfittarne quando tuo fratello si è alzato, sai... per sedermi accanto a te.» Sul finale aveva dovuto trattenere un gemito, affondando col viso nell'incavo del collo maschile.
«Ho sofferto tutto il giorno. Tu non sai quanto.» Aveva assestato l'ennesimo affondo mimato, giusto per sottolineare il concetto. La sua mano, però, continuava a scorrere lungo la linea della gamba sinistra femminile, agganciandosi all'incavo del ginocchio per sostenerla meglio. «Però, se fossi venuta, avrei fatto in modo di rimanere solo.» Aveva parlato di getto, senza vergognarsi minimamente di quanto appena detto.
«Cielo, Alex.» Si era stretta contro di lui, la mano contro il suo viso mentre ne ricercava l'ennesimo bacio realmente rubato alle loro vite. «Lo so che ti piace parlare con me.» Non lo sapeva nemmeno lei con quale forza stava cercando di ironizzare, senza riuscirci.
«Da morire.» Alex, di contro, era così serio e la sua voce era così graffiata dall'eccitazione che non sembrava per niente intenzionato a fermarsi.
Non sapeva più cosa guardare, Alexa era rapita da ogni cosa di lui: il viso, le labbra che sapevano di lei, lo sguardo trasfigurato dal piacere di quella vicinanza e di quei baci. Era discesa con le mani lungo il suo collo, incontrando il colletto della camicia lasciato aperto, privo di papillon.
«Stai meglio senza. Nero sì, dorato no.» Si riferiva al papillon che aveva indossato oggi.
La mano di Alexander era approdata al centro esatto delle gambe femminili, la punta delle dita accarezzava lentamente quella stoffa intima puntando ai bordi più esterni. Con un movimento delicato si era intrufolato fra stoffa e pelle, scivolando fra le pieghe della sua intimità, ricercando una fusione atta unicamente a donarle il maggiore piacere possibile.
A quella lenta invasione lei si era stretta un poco contro di lui, schiudendo le labbra in un muto boccheggiare dettato dal piacere.
«Sì?» Retorico. «Sì, Lexi. Sì. Pensa solo a me.» La sua voce era terribilmente seducente in quel tono basso e graffiato, le labbra sfioravano appena il lobo del suo orecchio mentre parlava. Le carezzava appena la guancia con la propria e si era staccato da lei solo per fissarla.
«Ale...» Non era riuscita a finire nemmeno il suo nome, uno spasmo di piacere intenso l'aveva colta alla sprovvista, mozzandole completamente la voce.
«Lo so. Però, Lexi...» Le aveva baciato piano le labbra, lasciandola in attesa. «Devi stare lontana da Jake e da Lancaster. Capisci?»
Alexa non aveva risposto, la sua testa era completamente altrove. Le sue mani erano discese verso la cintola dei pantaloni maschili cercando, molto alla cieca, di slacciarglieli. Lui, di contro, aveva affondato un po' di più dentro di lei con quelle dita, strappandole un gemito vero e proprio che aveva saturato l'udito di entrambi.
«Dimmelo, Lexi.»
«Sì. Sì, ho capito...» Cosa, nella fattispecie, nemmeno lei lo sapeva con chiarezza in quel momento. Ci avrebbe pensato poi.
Lui sembrava però esaltato da quella risposta, da quella vittoria che lei gli stava concedendo – solo l'ennesima nel giro di pochi minuti.
Aveva staccato le mani da lei per aiutarla in ciò che stava facendo: slacciargli i pantaloni.
Entrambi, era evidente, si erano completamente dimenticati di dove fossero e che cosa ci facessero lì.
Era stata la porta, aperta di botto, a ricordare a tutti e due quel mondo che avevano lasciato fuori.
Un mezzo infarto fulminante l'aveva colta in un baleno.
«Eh che cristo, però.» L'imprecazione di Alexander era così esplicativa che valeva per due. Il karma probabilmente gli stava presentando il conto di tutta una giornata passata a rompere l'anima al prossimo.
Lei si era gelata dallo shock, ci aveva dovuto pensare Alex a coprirla sia col proprio corpo che nel rimetterle a posto l'abito come meglio poteva, cercando di ricomporsi a sua volta.
Alexa, invece, si era mossa dando parzialmente la schiena all'ingresso: stava cercando di mettere spazio fra entrambi in modo da non far pensare così male.
Peccato che alla porta ci fosse Meredith e quella vedeva vita, morte e miracoli di chiunque, oltre al fatto che aveva visto chiaramente cosa stesse succedendo fra loro due.
Fissava lei, fissava lui, fissava entrambi. La destra contro la maniglia della porta, la sinistra contro il fianco.
Alexa era paonazza, gli occhi lucidi e l'espressione colpevole così plateale in volto che qualunque giuria l'avrebbe condannata a occhi chiusi.
«Mer...» Era quasi una preghiera la sua.
Meredith la stava guardando, ma non sembrava esserci biasimo per lei: quello lo stava riservando tutto al suo socio. «Alex esci.»
«Mer. Non è come credi.»
«Certo.» Non era ben chiaro se gli credesse o meno. «Esci.»
«Sono serio. Non fraintendere.»
Meredith aveva espirato, vagamente contrariata. «Alexander, ho detto esci.»
Aveva mosso il capo in un blando cenno di negazione, compiendo un paio di passi verso l'interno e richiudendo la porta dietro di sé.
«Primo: stanno notando la tua assenza, in primis Ashley. E fidati, tu non vuoi che la tua fidanzata entri qui dentro e ti veda così con Alexa. Secondo, Thomas ha bisogno di te. Terzo, non vuoi che scoppi uno scandalo proprio al matrimonio di tuo fratello.» Aveva preso un respiro, fissandolo con una sorta di incredulità mista a sarcasmo. «Quarto, cristo, mi hai detto sul serio che non è come credo!? Ti prego. Non sei così dilettante.» Una pausa. «Non sono io a doverti ricordare quanti fotografi ci sono oggi, quindi muovi il culo ed esci da questa cazzo di stanza. È l'ultima volta che te lo dico come Mer, la tua amica. La prossima volta sarà in veste di tuo avvocato.» Il capo si era smosso come ad indicargli la porta, senza aprila. Fissava Alexa.
Alexa era in palese difficoltà, alternava lo sguardo fra Alexander e Meredith: si sentiva colpevole in una maniera così intensa da sentirsi quasi svenire.
«Noi ora usciremo da qui e io fingerò che ci sia stata una chiamata dal nostro ufficio. Ti manderò un messaggio e solo allora uscirai da qui. Tornata al tavolo, dirai che è sorto un inconveniente di cui ti devi occupare personalmente. Saluterai gli sposi e te ne andrai.»
Meredith, nel rivolgersi all'amica, era stata appena più morbida: voleva guidarla e rassicurarla. Era pur sempre Meredith, non ci si poteva aspettare nulla di diverso da lei, ma era sempre meglio del suo solito tono raggelante. Aveva spostato infine lo sguardo su Alex. «E tu non la seguirai. Resterai a quel cazzo di tavolo perché sennò ti ci piombo io personalmente. Evitiamoci tutti un casino, stasera.»
«Meredith.»
«Meredith cosa, Alexander?» L'aveva fissato in maniera penetrante. «Non ti basta tuo fratello che le è saltato addosso davanti a tutti? Vuoi davvero investirla di uno scandalo simile? Vuoi che la massacrino? Vuoi questo per lei, Alexander?»
Alex aveva contratto la mascella, fissandola con un astio che non era realmente indirizzato verso di lei. «No. Non le farei mai una cosa simile.»
«E allora lascia fare a me il mio lavoro, ossia proteggere la mia cliente.»
Nessuno fiatava, Meredith aveva questo potere: sembrava un angelo ma era quanto di più simile a un dittatore cileno reincarnato sotto mentite spoglie. Ammutoliva tutti con la sua logica ineccepibile da squalo abituato a situazioni ben più gravi di qualche gossip.
«Silenzio assenso. Ottimo.» Aveva riaperto la porta e indicato la strada ad Alexander, facendolo uscire per primo. Si era fermata a guardare Alexa con quello sguardo più rassicurante, chiudendo la porta immediatamente dopo la propria uscita.
Lei stava tremando. Un brivido di freddo l'aveva investita sconquassandola da capo a piedi quando, una volta chiusa la porta e rimasta sola, si era resa conto di quanto diamine Meredith avesse ragione.
Grazie tante, Alexander.
Vocabolario:
*Bal'shoye spasiba: grazie mille, in russo.
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