SITUAZIONE PIETROSA

La Slave One aveva appena fatto il balzo nell'iperspazio. Vedere il familiare vortice azzurro e bianco era quasi riposante per Boba, dopo quella giornata intensa che aveva visto compiersi tre eventi importantissimi: uno: si era finalmente vendicato di Mace Windu, due: aveva tenuto testa a Cad Bane (ma c'era poco da illudersi, e lui ne era anche troppo consapevole) e, subito dopo, il numero tre: qualcuno aveva cercato di ammazzarlo per l'ennesima volta.

Per il nostro cacciatore di taglie era davvero troppo in una giornata sola. Si sentiva pieno di emozioni contrastanti.

 Soddisfazione per aver finalmente vendicato suo padre. 

Inquietudine per ciò che Cad Bane aveva fatto. Più che altro, per ciò che ancora non aveva fatto.

E l'inquietudine sarebbe stata niente senza la scoperta di quella capsula che avrebbe rischiato di ucciderlo, se solo si fosse aperta più tardi, quando fosse stato alla guida della nave e, soggiogato dal sogno, avesse perso i comandi precipitando in qualche popolato anfratto di Coruscant. Probabilmente, l'intento originale era proprio quello. Ma era stato sventato perché l'ordigno si era rivelato per quel che era troppo presto, quando ancora era a terra.

Ispezionando la capsula, scoprì che era dotata di un minuscolo display apena visibile a occhio nudo dove si leggeva, a caratteri azzurri: 00:00:00
La fine di un conto alla rovescia, probabilmente. "Iniziato quando?" Si chiese.
Era sicuro che fosse stato il vecchio ad avercelo messo dentro, magari calcolando male il tempo e non sortendo l'effetto desiderato nell'atmosfera del pianeta capitale della Galassia.

Rimaneva però il mistero del portello aperto misteriosamente. E, soprattutto, del movente. Anche se per lui non era tanto un mistero.
La sua mente era, comunque, confusa e le più disparate teorie che gli venivano in testa lo facevano andare in paranoia. Decise, quindi, che sarebbe stata una buona idea aggiornare il suo diario personale per mettersi un po' le idee in ordine.
Si tolse il casco, mettendo in mostra un viso abbastanza infantile sovrastato da corte ciocche di capelli sudati e attaccati alla fronte.
Fatto ciò, aprì un olocrone verde e accese il trasmettitore per aggiungere le esperienze giornaliere alle precedenti.

"Fatto 1: Vendetta
Fatto 2: La sfida
Fatto 3: Clandestino a bordo"

Dopo aver intitolato i primi tre paragrafi, tossicchiò, pensoso riguardo al titolo da dare al quarto. Aveva rischiato di morire, ma non gli andava di parlare esplicitamente del mancato attentato. Dopotutto, quello era un diario che aggiornava quasi tutto in codice, a scanso di ficcanaso che se ne fossero accidentalmente impossessati.

Scelse, così, un titolo fuorviante, che non avrebbe rivelato un granché.

"Fatto 4: Una storia noiosa ma per i soldi si sopporta questo e altro".

"Ok!" si disse, sorridendo tra sé e sé per via del titolo. "Ora passiamo ai fatti".

Tutto quello che disse era criptato, tipo: "Ho mangiato il gelato al cioccolato che volevo da tanto tempo" per indicare che aveva ucciso Windu; oppure: "Ho visto il mio papà tra le nuvolette", cosa che, in un certo senso, gli era realmente accaduta quando aveva inalato il Kolto.

Dopo aver finito la registrazione e averla riascoltata, si rese conto che sembrava il diario di un moccioso drogato.
Meglio, si disse: se qualcuno l'avesse dovuto scovare, non avrebbe mai pensato che apparteneva a lui, un serissimo e adulto cacciatore di taglie.
(E poi, a pensarci bene, diciamocelo: era davvero un moccioso, nel senso di minorenne di quasi quattordici anni, che era stato appena drogato da una capsula di Kolto...).

Ripose l'olocrone.
Si stiracchiò, notando che aveva davvero un gran sonno. Era giunto il fatidico momento. Il momento più atteso della giornata.
Impostò la sveglia su quattro ore dopo, con poco anticipo prima di uscire dall'iperspazio. Poi, si distese comodamente sul sedile per cadere addormentato.

***

La sveglia non servì: quando suonò, infatti, Boba era sveglio già da un po'. Stranamente, si era destato con anticipo da un sonno senza sogni né incubi. Il suono, però, gli ricordò che si doveva accingere presto ad uscire dall'iperspazio.

Tirò la leva e, tutto ad un tratto, apparve il cielo nero come la pece, cosparso di stelle luminose.
Nel contempo, si sentì uno scossone che fece tremare tutta la nave.
Imprecò, e le sue imprecazioni si alternavano agli scossoni che riceveva continuamente. Intanto, cercava di scansare i massi che vagavano nello spazio.

Era appena entrato in un campo di asteroidi.

"Figlio di Murglak! Mi hai dato le coordinate sbagliate!" urlò nell'interfono, mentre cercava di schivare gli asteroidi alla bene e meglio.

Il segnale era molto debole, ma Boba riuscì più o meno a capire la risposta del cliente.

"Le coordinate sono giuste! La base spaziale è in mezzo a questo campo di asteroidi!" disse Ben Daac dall'altro capo della comunicazione, come se fosse stata la cosa più naturale che avesse mai potuto dire.

Boba spalancò gli occhi. Aprì la bocca, quasi a voler rispondere qualcosa a tono, ma non riusciva a trovare niente di più brillante da dire del solito e scontato "figlio di Murglak".

"Questo non era nei patti." riuscì a dire soltanto, a denti stretti, con il tono più aggressivo che poteva.

Nessuno rispose.

"Questo non era nei patti" ripetè, tra sé e sé. Ma, ormai, non poteva farci niente.

Quella situazione gli ricordava troppo un certo inseguimento nell'anello di asteroidi che circondava Geonosis. Per lui, in realtà, non era un problema pilotare in mezzo a quel nugolo di pietre.
Ciò che lo preoccupava era ben altro.

Prima la capsula bianca. Poi, quel campo di asteroidi. Sembravano due ingranaggi dello stesso meccanismo. Sopravvissuto alla droga, sarebbe sopravvissuto a questa situazione. E dopo? Quali altre trappole mortali sarebbero scattate per metterlo a tacere definitivamente?

Non ebbe tempo di pensarci, perché si accorse che un masso più grande del solito stava inesorabilmente avanzando verso di lui. Cabrò in alto schivandolo e, nello stesso momento, intravide la stazione spaziale (una specie di nave enorme a forma di fungo) ergersi a un paio di miglia da lui. Lo spazio tra la Slave One e la fortezza era libero da asteroidi.

Diede una spinta ai propulsori. In poco tempo, si ritrovò ad atterrare all'interno della base. Saltò dalla nave, appoggiando i piedi su un pavimento lucidissimo di un materiale che sembrava essere puro marmo bianco, segno che il proprietario doveva essere davvero molto ricco, anche solo per riuscire a sostenere i costi di manutenzione di un simile lastrico.
Chiuse il portello, questa volta facendo molta attenzione per evitare altri lagnosi clienti clandestini. Si trovava in un hangar illuminato scarsamente e provvisto di ossigeno, quindi riusciva a respirare. Dopo aver preso una boccata d'aria per controllare che non ci fossero gas letali (ormai si aspettava di tutto) indossò il casco e si diede un'occhiata intorno.

Comunque, non aveva di che preoccuparsi: da quanto aveva potuto vedere da fuori, le luci di tutta la struttura erano spente. Doveva essere in modalità notte e il proprietario, probabilmente, stava dormendo.

Accese il bracciale ad ologrammi e ne scaturì l'immagine tridimensionale di una mappa. In rosso era segnata l'area prigioni. Probabilmente, la tizia da liberare era in una di quelle celle. Ma lui si concentrò più che altro sull'area delimitata di verde. La cassaforte.

Si avviò verso la zona rossa, guardandosi intorno in modo circospetto. Da un lato, l'uscita e un corridoio buio che portava al cuore della stazione e al suo bottino di crediti. Dall'altro, il cielo nero punteggiato di stelle e privo di astronavi. L'unico hangar della stazione era vuoto, fatta eccezione per la Slave One. Solo un'altra nave era attraccata lì. Non era quella del suo cliente. Forse, apparteneva al padrone di casa, Gale Mawe.
Questo significa che Ben Daac non era lì. E che, probabilmente, non sarebbe mai arrivato.

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Un applauso ad Alice777777 che è tornata su Wattpad!👏

Ciauuuu!

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