RUBINI NELLE TENEBRE

POV BOBA

Moira.

Mentre attraverso i corridoi bui della base, trovo quel nome scritto sulla mappa olografica con cui mi sto orientando.

Moira.

Deve essere la pupa che devo andare a salvare. Speriamo che non sia stupida come il padre, altrimenti sarà un po' difficile portarla fuori di qui.
Beh, un po' stupida deve esserlo, a non volersi sposare con un riccone che, come sto osservando mentre cammino, si può permettere di appendere su ogni centimetro quadro dei muri quadri di valore.
Indirizzo la torcia verso uno di essi.
Non è animato. Non è nemmeno olografico. Sembra antico.
Del quadro so dire solo questo, perché non ci capisco un'herf di cosa rappresenti.
Quadri di dubbio gusto, ma di valore, insomma.

Proseguo svoltando nel corridoio che mi dovrebbe portare alle prigioni. Meno male che l'arredamento si è fatto più spartano: non ce la facevo più con tutti quegli stucchi dorati e quei quadri opprimenti!
La luce della torcia mi rivela l'ultima bruttura: un orribile vaso nero ricoperto di labbra dipinte di rosso in rilievo.
Mi ritraggo, trattenendo a stento il vomito: ma se ce li hai, usali bene i crediti! Non per comprare certe schifezze che valgono pure i milioni!

La verità è che invidio questo nababbo che ha così tanti soldi e nessuno gli dice niente, mentre io ho sempre un botto di problemi con la Gilda dei cacciatori di taglie per evitare di versare il contributo annuale che, anche se io non ne faccio parte, cercano sempre di estorcermi. Spero solo che aver fatto fuori quegli ultimi tre funzionari abbia fatto capire loro la mia posizione in merito al sindacato.

Gale Mawe è un riccone? Ancora per poco, affermo tra me e me. Mi pregusto già l'aurea visione di tutti i crediti che mi toccano. Prima, però, devo portare a termine la missione.

A proposito, eccomi arrivato nella sezione prigioni. Un corridoio spoglio e grigio su cui si aprono cinque porte da ogni lato. La solita schifezza.

Non so perché, ma mi viene in mente Ventress.
Ricaccio subito quella figlia di un Hutt e di una Sorella della notte dalla testa. Ma che c'entra? Forse perché sto per liberare una ragazza che è costretta a sposarsi con uno che non vuole? È quello che, una volta, ha fatto Ventress, in effetti. Mi ha sostituito con la sposina e mi ha chiuso nella cassa consegnandomi al suo posto a quei barbari dei Kage.

Mi viene in mente per un istante l'immagine grottesca di me in abito da sposa.
Aaaaargh!!!
Ma che mi sta succedendo, ultimamente?
Il Kolto deve decisamente avermi dato alla testa, prima.

Comunque, devo fare in fretta, se non voglio essere scoperto prima dell'inizio della modalità notte.
Innanzitutto devo scoprire in quale cella è rinchiusa la ragazza.
Arrivo alla prima porta alla mia sinistra e comincio a bussare. È solo un metodo molto ingenuo per scoprire in quale cella è rinchiusa.

Finita la fila di porte a sinistra, comincio a battere le porte dall'altro lato. Alla quinta porta, sento un gemito, come quello di una persona dal sonno che è stato disturbato.
Ora c'è il problema di come aprire la porta.
Sullo stipite, c'è un maledetto tastierino con lettere e cifre in una lingua che NON è Aurebesh.
In teoria, dovrei conoscere la cosa che sta più a cuore a Gale Mawe e usarla come password, sempre che riesca a capire questa lingua.
In pratica sarei tentato di usare il solito, vecchio, metodo: colpo di blaster, la porta si apre, e tanti saluti a tutti.
Ma, in proposito, il capitolo 'Scasso facile' del mio ololibro sacro, quello lasciatomi da mio padre, dice:

Quando devi aprire una porta in un edificio privato protetta da un codice o da una serratura magnetica, non essere tanto idiota da sparare al pannello di controllo: rischieresti di far scattare un allarme o di attivare un fulminatore incorporato nel sistema che ti neutralizzerebbe. La cosa più saggia da fare è, infatti ...

Ecco, appunto. Ho dimenticato quale sia la cosa più saggia da fare.

Poi, mi viene in mente una cosa.

Sono un idiota.

Sono un perfetto idiota.

MA PERCHÉ DIAMINE DOVREI SALVARE QUESTA TIZIA?

Tanto, i crediti ce li ho assicurati. Basta che vada nella cassaforte e mi prenda i soldi. Insomma, Ben Daac non si è ancora fatto vivo.
Per quanto ne so, potrebbe essere anche morto volando tra gli asteroidi.

Basta che vada nella cassaforte e prenda ciò che mi spetta... No, non posso.

Io lavoro per i soldi, è vero, ma qualcosa in cambio devo farla.
Pochi lo sanno, ma mio padre aveva un codice d'onore. È così che è diventato ciò che è diventato.
Io devo essere come lui.
Non sono un ladro.
Sono un cacciatore di taglie.

Beh, mi inventerò qualcosa per aprire la porta.
Il mio lato mercenario mi fa anche pensare che la ragazza da liberare possa essere in grado di darmi qualche indizio per aprire la cassaforte.

Estraggo un taglierino laser da una delle mie innumerevoli tasche interne. Lo regolo su una potenza intermedia e inizio a incidere la linea sottile che divide il pannello dallo stipite. Il materiale è, per fortuna, abbastanza morbido e, in poco tempo, riesco a staccare la tastiera, scoprendo un intreccio di fili ingarbugliatissimi. Devo riuscire a stabilire un contatto tra quelli giusti.
Ma quali sono quelli giusti?

Ne provo due a caso. Uno era in corrispondenza del tasto "invio", quando c'era il tastierino, quindi credo che debba funzionare.
Funziona. La porta metallica comincia a scivolare verso l'alto, con un clangore insopportabile che mi fa pensare che sarebbe stato di uguale effetto far scattare l'allarme.

La porta si ferma a metà del suo corso, lasciando solo un rettangolo in basso da dove si può passare.
Mi chino e riesco ad entrare, finalmente, nella cella.

È buia, però riesco a intravedere una sagoma distesa sul letto.
Le vado vicino e le do una pacca su quella che sembra essere la testa.

Sento un mugugno.

"Dobbiamo andare" dico, senza dare spiegazioni.

Altra lamentela.

"Sbrigati! Sono venuto a prendermi i soldi e non ho intenzione aspettare inutilmente!".

La figura si issa, affaticata, sul letto.

"Muoviti! I ricconi non si rapinano mica da soli!" la incito, esasperato.

Proprio quando intravedo un movimento che mi fa capire che la prigioniera si è appena alzata, sento uno stridente rumore metallico.
Ho un gran brutto presentimento.
Mi catapulto verso l'uscita.
L'uscita non c'è più. La porta si è chiusa definitivamente.

Sono bloccato dentro la cella con questa pigrona.

Beh, dai, ne ho viste di situazioni peggiori.
L'evasione dal centro di detenzione della Repubblica è stato uno scherzo, in fondo.

Adesso è diverso, però. Non posso aspettare tanti giorni e poi fare il colpo grosso. Ho solo una notte davanti, e poi il padrone di casa mi scoprirà e mi spedirà fuori a pedate. Se non peggio.

Questa è una delle occasioni in cui vorrei avere una spada laser come quelle dei jedi.
Persino quella viola di Windu non mi dispiacerebbe.
Tutto, pur di aprire questa maledetta porta.

Mi volto, con un'espressione poco cordiale, verso la prigioniera.
Tanto, non può vedermi in faccia a causa dell'oscurità e del mio casco.

Stranamente, questa tizia non sta strillando e nemmeno sta facendo tutti quei versi che fanno le donne quando si trovano in pericolo. La cosa assurda è che è a me che sta per venire una crisi isterica, invece.
Devo scoprire perché la porta si è richiusa.
Probabilmente, i cavi devono aver interrotto il contatto improvvisamente.

Devo fare qualcosa. Questo silenzio mi sta opprimendo.
La cosa che proprio non mi riesce di capire è che la tizia non fiata, non si sta muovendo, non tenta neanche di chiedermi chi sono.

Mi faccio coraggio pensando alle lastrine di crediti che mi aspettano nella cassaforte. DEVO uscire di qui.

Con il taglierino incido la parete della cella in corrispondenza di dove, dall'altra parte, dovrebbe trovarsi il pannello dei comandi. Riesco facilmente ad aprire uno spiraglio, oltre il quale c'è il groviglio di cavi elettrici. Individuo i cavi che dovevano essere in contatto e che, invece, come immaginavo, non lo sono.
Con un paio di pinze li ricongiungo.

La porta comincia a scorrere verso l'alto e, come prima, si blocca a metà. Mi piego ed esco fuori, facendo segno a Moira di seguirmi.
La sagoma, invece di chinarsi, si mette a pancia in giù e, con un goffo movimento a zig zag, cerca di passare da sotto la porta.
Ad un certo punto, sento dei gemiti e il rumore di qualcosa che sbatte contro il metallo.

A quanto mi pare di capire, deve essere così grassa che, anche a pancia in giù, non riesce a passare nell'apertura. Sono costretto ad afferrarle le mani per tirarla fuori. Sono enormi, grasse e quasi... Viscide. Sarà la crema che usa contro la pelle secca, cerco di rassicurarmi.

Flettendo le gambe all'indietro e tirando con uno sforzo immane, riesco finalmente a tirarla fuori di lì.
Mi siedo, ansante, alla parete, mentre la figura si alza.

"Grazie, amico mio!" mi fa una voce gracchiante e ben poco femminile. A tale frase, mi si gela il sudore che ho accumulato nella schiena.
Accendo la torcia e la punto verso di lei.

Al posto di una ragazza, però, vedo un alieno rosso e grondante grasso da tutte le parti del corpo, con un grosso gozzo sotto il mento e due piccole orecchie a punta volte verso l'alto, che si spolvera le maniche della giacca con fare evidentemente soddisfatto. Uno Jablogiano.

Lo fisso, atterrito. Meno male che tengo il casco in testa, altrimenti la mia immagine sarebbe rovinata per sempre.

Continua a parlare, ignorando il mio silenzio stupefatto. "Sì, disperavo proprio di essere liberato. Finalmente potrò continuare il mio regolare commercio di schiavi..."

Dopo l'iniziale stordimento (insomma, è difficile accettare di aver liberato uno stupido alieno al posto di una ragazza) mi avvento su di lui, e gli afferro il collo della giacca.

Lui mi sta a guardare impalato, terrorizzato, con la bocca aperta dalla quale esce un filo di bava. Il suo volto e il mio casco sono illuminati dalla luce della torcia che ho fatto cadere a terra mentre mi slanciavo ad aggredirlo.

"Esigo spiegazioni, altrimenti potresti vedere le tue budella sparse a terra in un secondo." gli intimo lapidario, mentre gli punto la bocca del mio EE-3 dritto sulla pancia.

Invece di rispondere, lui spalanca ancora di più i suoi occhi verde-acido e esclama: "Ma tu sei... "

"Io sono Boba Fett, sì. E ora, basta con le presentazioni". Gli premo ancora di più la canna sulla trippona che si ritrova. " Dov'è la ragazza?" gli chiedo.

Lui tira un sospiro di sollievo.

"La ragazza? La mocciosetta? Sì, sì, lo so... Non sparare! Non sparare. Lo so ... dov'è ... quella, calma. Il tizio che tiene questo posto l'ha messa in una delle camere degli ospiti".

"Puoi guidarmi fin lì?" gli chiedo, anche se è più un ordine che una domanda.

Annuisce, e noto che è oltremodo sollevato. "Seguimi" mi fa cenno con la mano.
Mi posizionò dietro di lui, minacciandolo costantemente con il blaster.
"Andiamo!" dico.

Mentre camminiamo, ci addentriamo nella parte più sfarzosa del "fungo" base spaziale. Cerco di non notare gli arredi ridicoli che stanno dappertutto e, come distrazione, mi diverto a punzecchiare la mia guida per ricavarne altre informazioni.

"Come mai non sei anche tu nelle stanze degli ospiti?" gli chiedo, anche se, ovviamente, immagino già quale sia la risposta.

Lui tira un sospiro. "Ho avuto problemi con la giustizia, ma Gale Mawe me ne ha tirato fuori. Non sono riuscito a ripagarlo e quindi... Eccomi qui. Ogni mattina mi tira fuori dalle prigioni e sono costretto a lavorare per lui".

Un vero usuraio, questo Gale Mawe. Io, i debitori insolventi li faccio fuori e basta. Lui, invece, li fa soffrire per il resto della vita.

"Che mansioni svolgevi, qui?" chiedo di nuovo.

"Devo proprio dirlo? Servizi igienici" risponde, con un tono tra il rassegnato e il gongolante.

Reprimo a fatica una risata.

"Quindi, sturavi i cessi" non riesco a trattenere questa constatazione.

Annuisce, non troppo entusiasta.

"Scommetto che non era il tuo lavoro, prima."

"Già. Una volta era diverso. Avevo una, ehm, specie di lavoro e per questo sono andato incontro a problemi con la Repubblica."

Un criminale, dunque. Un pirata che ha a che fare con la tratta degli schiavi, da quanto mi è parso di capire da quello che mi ha accennato prima.

"Qual è il tuo nome?" lo interrogo, come se fosse una domanda senza valore, mentre è proprio quella a cui volevo arrivare.

"Azmorigan" dice.

Cavoli, è proprio il ricercato di cui avevo visto la foto affissa in una cantina a Coruscant! Ora capisco perché, appena mi ha riconosciuto, è rimasto sconvolto: sono Boba Fett, un cacciatore di taglie, la sua bestia nera, insomma.

Fingo di non aver mai sentito il suo nome prima d'ora: tutto ciò potrebbe tornarmi utile. Il resto del viaggio verso gli appartamenti privati prosegue nell'assoluto silenzio.

Dopo aver svoltato diverse volte, mi fa cenno di seguirlo su di una piccola scala a chiocciola in ferro, tanto disadorna da schiantarsi in modo impressionante con lo stile cozzaro del resto della base.

Comincio a salire insieme a lui.

"Ehi, muoviti più delicatamente! Altrimenti ti alleggerisco il carico." sussurro, puntandogli con veemenza la pistola sul fondoschiena.

Mi deve aver preso alla lettera, perché comincia a camminare come una soave ballerina, ottenendo l'effetto opposto a quello che intendevo io. Le grandi falcate e i passi in punta di piedi non fanno altro che far sobbalzare ancora di più gli scalini di metallo.

"Ok, basta così" gli dico annoiato. "Cerca solo di camminare più lentamente.

Dopo molti, snervanti, passi, arriviamo, finalmente negli appartamenti privati.

Entriamo in un'area ancora più pacchiana di quella del piano di sotto.

"Dovrebbe stare in quella stanza!" mi dice sommessamente, indicandomi una porta in fondo ad un lungo corridoio.
Procedo a passi lenti e in punta di piedi, sempre con la pistola puntata su Azmorigan. Più mi avvicino alla camera, più l'arredamento si fa spartano.

Arrivati di fronte all'ultima porta, noto, voltandomi indietro, l'unica opera decente in tutta la base: il ritratto olografico di una donna dai capelli neri.

"Ecco, Moira è qui dentro." mi distoglie l'alieno.

Osservo la serratura di questa porta. Anche qui c'è bisogno di una password. Purtroppo, in questo caso il tastierino per la password è posizionato direttamente sulla porta ed è un tutt'uno con essa.

Non c'è alcun pannello da staccare, insomma. Potrei provare a ritagliare la porzione di spazio occupata dalla tastiera. Ma credo che sia troppo rischioso, e comunque il materiale di cui è fatta la porta mi sembra troppo duro da trapassare con il mio laser.

Mentre analizzo la situazione, noto che il mio amico Jablogiano ha eluso la sorveglianza della mia EE-3 senza che me ne accorgessi e si è diretto verso il quadro che avevo adocchiato anche io prima.

Lo raggiungo. "Ehi, tu! Dove ti credi di andare!?" lo minaccio sottovoce. "Se adesso non posso spararti perché rischierei di far rumore, non ti preoccupare: appena saremo fuori di qui, ti succederà qualcosa di molto ma molto brutto!".

"No! No!" dice in tono di supplica. "Io stavo solo...".

"Parla piano, idiota!" lo apostrofo, esasperato, con voce afona, mentre  ricomincio a minacciarlo con il blaster.

"Ecco" mi spiega a bassa voce "io stavo solo vedendo che c'è una scritta qui sotto" e mi indica l'oloritratto.

È vero. Prima non l'avevo notato, ma, sotto la figura, a grandi caratteri, c'è scritto: "MALIA" sussurro tra me e me, nell'esatto istante in cui lo leggo.

"Potrebbe essere la password di apertura!" si azzarda a proporre come ipotesi l'ammasso di grasso.

Lo guardo un istante negli occhi.
Che idea assurda.

"Come no, e secondo te l'avrebbe scritta così grande? Su un quadro nel corridoio, poi?" lo canzono.

Azmorigan si mette d'un tratto sulla difensiva.
"Una volta ho sentito dire: se non vuoi che qualcosa venga trovata, allora mettila in bella vista".

"Mi sembra un po' un controsenso..." commento, sarcastico.

Mi avvicino di nuovo alla porta. Non trovo proprio il modo in cui possa riuscire ad aprirla.

Mi conviene giocare il tutto per tutto.

Comincio a digitare la presunta password che mi ha consigliato Azmorigan.

M

Non succede ancora niente.

A

Forse, la password ci sta.

L

O ne vedremo delle belle.

I

Forse non si apre, forse sì.

A

Oppure l'allarme suonerà.

Dopodiché, con il sudore alla fronte, avvicino il polpastrello dell'indice al tasto "Invio".

Mi decido. Dovrò pur farlo, prima o poi.

Clicco il pulsante e mi parte il cardiopalma per l'ansia.
Subito dopo, sulla porta si accende una lucina rossa.
Tiro un sospiro di sollievo aspettandomi che succeda qualcosa.

Il corridoio viene pervaso da un suono lungo, ripetitivo e a dir poco assordante.

Beh, qualcosa è successo. Ma non quello che intendevo io.

Prima che possa fare dietrofront e filarmela, sento un rumore metallico. Il mio prigioniero Jablogiano, che già stava per infilare la scala a chiocciola approfittando del mio momento di distrazione, si volta, incuriosito.

Con uno scatto verso destra, la porta si apre. Prima che possiamo rendercene conto, ne esce fuori una bambina di, credo, sei anni che grida: "Al ladro! Al ladro! Ci sono i ladri!".

Appena vede noi due, si blocca, gli occhi spalancati e il labbruccio tremante.

Con il tono di voce più suadente possibile, le chiedo: "Ciao! Conosci una ragazza che si chiama Moira, per caso? Forse dorme nella tua stessa camera?".

Lei comincia a calmarsi un po'. "Io sono Moira" dice, ancora piuttosto spaventata.

Moira? Lei? Non è possibile! Non è in età da matrimonio!
Ci sono molte più cose di quanto pensassi su cui Ben mi ha mentito.

Da dietro, vedo Azmorigan che le fa: "Ciao, ciao!", mimando le parole con un gesto della manona rossa, nel modo meno rassicurante che abbia mai visto fare a un bambino.
Lei scoppia in lacrime e lascia cadere a terra il suo shaak di peluche a terra.

"Sì, davvero molto impressionante..." commento, scocciato, mentre prendo la bimba per la vita e me la tengo sotto il braccio.

Lei frigna ancora di più, un rumore insopportabile quello dei suoi pianti e quello dell'allarme messi insieme.
"No! No! Lasciamiiii!" si mette a urlare e scalcia a più non posso mentre attraversiamo il corridoio e imbocchiamo la scala a chiocciola.

D'un tratto, mi arriva un colpo più forte degli altri alla schiena.
Ho paura che, con uno dei suoi calcetti, mi abbia messo fuori uso metà Jetpack.
Mentre scendiamo a rotta di collo, sento Azmorigan che, da dietro, dice, in un grottesco falsetto: "Non ti devi preoccupare! Siamo venuti qui a liberarti!!"

Lei lo guarda in faccia e inizia a strillare ancora più forte.

"Sei rassicurante quanto un Rancor, palla di lardo!" grido ad Azmorigan, cercando di sovrastare i rumori molesti.

Intanto, sento dei passi pesanti scendere gli scalini sopra di noi.
"Deve essere Gale!" esclamo, mentre metto la mano sulla bocca dell'urlatrice folle che, per tutta risposta, mi sferra l'ennesimo calcio selvaggio al Jetpack.

Arrivati ai piedi delle scale, ci dirigiamo verso sinistra, in direzione dell'hangar.
Allora, mi ricordo di una cosa.
Importantissima.

Senza dare spiegazioni a nessuno, torno indietro e svolto, invece, a destra.

"L'uscita è da quella parte!" mi urla Azmorigan.

"Non mi interessa dell'uscita!" gli urlo di rimando, ma le parole sono soffocate dall'allarme. Come se non bastasse, la piccola peste riprende a urlare.

Sento sempre più lontani i pesanti passi dell'alieno. Deve aver deciso di approfittare del propizio momento di parapiglia per scappare. L'importante è che non lo faccia prendendo la MIA nave.

Intanto, però, sento sempre più vicini i passi del padrone di casa. Devo fare in fretta.

Una svolta a destra, una svolta a sinistra, poi, una scaletta di servizio.
Sono arrivato.

Sono arrivato alla cassaforte.

Un'enorme lastra di metallo liscio che occupa la parete intera. Davanti ad essa, ci sono tredici droidi che fanno la guardia.
Sono un modello non dissimile da quegli inutili droidi da battaglia che usano i separatisti, quindi non avrò difficoltà nel farli subito fuori.

Appena mi vedono, si danno il segnale convenuto (Roger Roger, quanto lo odio!), ma due di loro non fanno in tempo a finire di ripetere la parola che sono già stati abbattuti da un raggio proveniente dal mio blaster.
Si crea una confusione pazzesca, tra gli spari a vuoto dei droidi, i miei andati a segno, la sirena dell'allarme e le urla della bambina che si fanno sempre più acute.

Dopo trenta minuti, li ho sterminati tutti. Ancora tenuta per la vita, sotto il mio braccio, Moira osserva a bocca aperta (e, soprattutto, senza fiatare, per fortuna) il lavoretto che ho appena fatto agli ammassi di ferraglia.
Io, invece, ammiro con altrettanta estasi l'imponente porta, alta quanto la parete, della cassaforte.

"Almeno su questo, Ben Daac non ha mentito" dico tra me e me. La bambina, che deve avermi sentito, mi chiede: "Chi è Ben Daac?".
Mi volto verso di lei, ancora stretta sotto il mio braccio.
"Tuo padre, no?!".
Lei, sicura, risponde scuotendo la testa: "Mio padre non si chiama così!"

Lo immaginavo.

Intanto, sento abbattersi al suolo i lenti passi cadenzati di Mawe.

"Mio padre ha promesso che sarebbe venuto a, portarmi via si qui, un giorno, sai?!" continua lei. "Sai una cosa? Papà è vecchio, assomiglia un po' al nonno..."

"La sai una cosa? Se ora non chiudi quella bocca, ti fracasso la testa sul pavimento!" le dico bruscamente e con un pizzico di sadismo nella voce.

Alquanto impressionata, non piange nemmeno, e si limita a guardarmi con un misto di terrore e odio.

Odio essere duro con i bambini, ma quando ci vuole, ci vuole. E poi, ho bisogno di silenzio di riflettere su di una cosa. Immagino che suo padre fosse davvero quel vecchio, solo che non si chiamava Ben Daac. Eppure, questo nome...

I miei pensieri vengono interrotti dal rumore sempre più intenso di passi.

Ormai ho fatto la sconsideratezza di badare più ai soldi che alla mia stessa vita. Ho scelto la cassaforte, invece dell'hangar.
Mi faccio strada tra le carcasse dei droidi.
Arrivo alla parete liscia che mi separa dai crediti.

Ah, no, c'è un'altra cosa che mi sbarra la strada.

Il solito. Maledetto. Tastierino. Magnetico.
Ormai, anche se scatta l'allarme, fa niente.

Poggio a terra la bambina (ahio, mi si è addormentato il braccio!), poi prendo cinque cariche e le piazzo sulla lastra.

Torno indietro, nel corridoio, e cerco un nascondiglio dove ripararmi dalla detonazione. Trovo una nicchia fatta apposta per me, occupata da una statua che raffigura un... Boh?
Prendo la mirabile opera e la scaglio a terra, riducendola in frantumi piccolissimi, poi mi nascondo nella nicchia ormai vuota e faccio cenno alla peste di raggiungermi.

Appena lei entra nel nascondiglio, sopraggiunge il padrone di casa: un uomo di mezza età, dai capelli non ancora completamente ingrigiti, ben piazzato e muscoloso.
Ci passa davanti, senza accorgersi di noi, pigiati come sardine nella nicchia buia, e si ferma vicino alla cassaforte.
Non riuscendoci a vedere da nessuna parte, comincia a gridare: "Dove sei!? Lurido figlio della bava di un Hutt, esci fuori!!!".

Non ottenendo alcuna risposta, fa per estrarre un enorme fucile da clone dalla camicia da notte. Fa appena in tempo per voltarsi e rendersi conto delle cariche piazzate sulla parete, che la sua azione viene soffocata da una forte esplosione.

Tappo le orecchie alla bambina per evitare che senta le urla e il rumore.
Quando tornerò su Mandalore, dovrò assolutamente fare una visita psicanalistica per vedere da dove mi esce tutto questo istinto materno.

Un nugolo di frammenti di metallo e di polvere annebbia la mia visuale per qualche secondo.
Poi, il silenzio e un intenso odore di bruciato e di metallo fuso.
Terminato il fattaccio, mi alzo e poso a terra Moira.

"Tu non muoverti da qui, è chiaro?"

Lei annuisce rigorosamente con la testa.

Senza dirle altro, mi avvicino all'entrata della cassaforte. Il corpo di Gale giace a terra, distante dal luogo dell'esplosione, in fondo al corridoio. Deve essere stato sbalzato via.

I droidi che avevo distrutto in precedenza sono, invece, sepolti dalle lamiere, proprio a ridosso del varco che è stato aperto all'interno della porta blindata.

Attraverso l'apertura ed entro nella stanza. Puntando la torcia scopro che è spoglia ma, che in un angolo, è accatastata una montagna di crediti e di gemme preziose.
Ci sono anche delle cassette di sicurezza, dall'altra parte.

Punto di nuovo la torcia sui crediti. C'è qualcosa di strano. Più precisamente, delle gemme. Più precisamente dei rubini. In mezzo alle piastrine dei crediti, brillano due gemme rosse.

I due rubini, proprio mentre li fisso, si assottigliano

No, non due rubini.

Due occhi.

Gli occhi di un duros.

Gli occhi di Cad Bane.























Autrice: - Grascie mille per le 500 visualizzazioni!!!!!😘

Lettore: - Ma che grazie, che ti sto venendo ad ammazzare per il finale del capitolo!😬

Autrice: - Ehm...*si ripara dai lettori inferociti*.

Vabbè, di nuovo grazie e arrivederci!👋

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