Capitolo 63 - Non c'era Chloe
Brycen restò a fissare la toppa del portone d'ingresso per un lasso di tempo che non avrebbe saputo definire, ma che di certo era eccessivo. Nella penombra del suo giardino c'erano solo i versi di un rapace notturno a fargli compagnia, che suonavano alle sue orecchie come risate di scherno mentre il foro della serratura se ne stava immobile a fissarlo.
Le chiavi. Non aveva preso le chiavi.
Liberò uno soffio divertito, poi abbandonò la fronte contro la porta e scoppiò in una risata piena. Rise come di fronte ad una brillante commedia, perché di quello certamente si trattava; nient'altro che la trama di uno spettacolo dall'umorismo scadente.
"Oggi in scena: la mia fidanzata è una spia e io ho scordato le chiavi di casa."
Poi qualcosa all'interno si mosse. Brycen dubitò di aver sentito il suono di passi trascinati fin quando la maniglia non venne abbassata, aprendo la porta quel tanto che bastava per rivelare un volto incorniciato da capelli dorati.
«Che sorpresa, già di ritorno?» sghignazzò Kolt, invitandolo a entrare con un ampio gesto del braccio. «Prego, prego, fa come se fossi a casa tua.»
Brycen strabuzzò gli occhi. «Cosa ci fai tu qui? Come hai fatto ad entrare?»
«Oh, c'mon! Sembri un tipo intelligente, Lovebird, puoi arrivarci da solo. Un indizio: dovresti cambiare serratura. Davvero, i lucchetti giocattolo si aprono meno facilmente.»
Liberò l'ingresso e si lasciò cadere sul divano, appoggiando le caviglie incrociate sul tavolo basso che stava di fronte. Incastrò una sigaretta tra le labbra e ne infiammò la punta con un bizzarro accendino metallico che tirò fuori dalla tasca dei pantaloni, così piccolo da svanire nel suo palmo.
«Non è che hai un posacenere?» Si guardò attorno, poi afferrò il portaoggetti squadrato al centro del tavolo e ne svuotò il contenuto prima di portarlo al suo fianco. «Lascia stare, mi arrangio con questo.»
Brycen drizzò il busto e avanzò. «Fuori.»
«Che?»
«Fuori di qui» ripeté, nel tono più autoritario che riusciva a emulare. «Questa è casa mia, esci immediatamente.»
Kolt alzò un sopracciglio. Si prese il tempo di aspirare una lunga boccata dalla sigaretta prima di liberare un soffio di fumo di fronte a sé, allungando un sorriso sprezzante.
«Altrimenti?»
«Altrimenti chiamerò i Sovalye.»
Lui sgranò gli occhi e liberò un suono gutturale, soffocato a stento, che anticipò lo scoppio di una fragorosa risata.
«I Sovalye! Questa è bella! Cazzo, sto soffocando... Ma come ti vengono? Beh, fai pure. Sono davvero curioso di sapere come spiegherai loro il sangue che hai sulla camicia, sarà davvero divertente.»
Brycen abbassò lo sguardo, sfiorando la stoffa macchiata di rosso. Il blu era così scuro che nella penombra della strada si scorgevano a malapena gli aloni, ma erano più evidenti sotto le luci a Sihir del salone. E le mani... Le aveva ripulite solo in modo superficiale, tracce di sangue si erano seccate in prossimità delle unghie e tra le pieghe della pelle. Avrebbe potuto cambiarsi e ripulirsi, ma l'idea suonò così ridicola che sentì il viso avvampare.
«Rilassati, Lovebird. Far incazzare Bluebird è in fondo alla mia lista delle priorità, e le ho assicurato che non ti avrei fatto del male.» Kolt aspirò nuovo fumo. Ancora quei nomignoli; avevano un significato particolare o voleva solo infastidirlo? «Non ci sono treni notturni per Roumberg, ecco tutto. E tornarmene in albergo... Beh, diciamo solo che non è un'idea molto saggia in questo momento, perciò ho deciso che dormirò qui. Bella casa, a proposito. Mi aspettavo una vetrinetta ben fornita di liquori, però. Maledetti stereotipi sugli zimei, mi hanno illuso!»
Brycen sbuffò un sospiro pesante. «Non se ne parla.»
«Ecco, vedi? Illuso di nuovo. Avevo sentito dire che voi altri siete fissati con l'ospitalità.» Kolt picchiettò la sigaretta contro il bordo del portaoggetti. «O forse il problema è la nostra conoscenza in comune? Puoi stare tranquillo, non sono andato a letto con lei. Non che non ci abbia provato, ma a quanto pare è una di quelle monogame innamorate e fedeli, la peggior specie. Ah, ma nelle mie fantasie ci abbiamo dato dentro di brutto: lì me la sono proprio goduta, l'ho scopata in ogni posizione che—»
«Non osare parlare di lei in questo modo!» ringhiò Brycen. «Chloe è la mia fidanzata, modera i termini.»
«Ah, Lovebird, sei davvero uno spasso. Me lo rendi così semplice!» sghignazzò. Il suo sguardo brillava di un divertimento irritante. «La consideri ancora la tua fidanzata? Vedendo la tua faccia, prima, avrei scommesso che l'avresti lasciata... Cazzo, che simp. A proposito, dov'è lei adesso?»
«Non ti riguarda.»
Kolt sollevò un sopracciglio. «Ne sei proprio sicuro?»
Brycen serrò le labbra, prendendo aria in lenti respiri. Detestava ammetterlo, ma aveva ragione: non aveva idea di quale fosse il suo collegamento con Chloe. In che modo Kolt giocava per l'Heiko Jun? Il fatto che conoscesse Arturo Soleni era una casualità o...?
Il cuore si incrinò di nuovo, e un vibrante fastidio attraversò i muscoli. Arturo Soleni si era interessato al suo saggio solo perché Drumainn gliene aveva parlato. Drumainn, su cui Chloe aveva insistito tanto, arrivando al punto di minacciarlo pur di convincerlo. Era stata una menzogna anche il suo supporto? Non aveva fatto altro che tirare i fili di quella situazione per raggiungere i suoi obiettivi, tutto per ottenere... Cosa?
Brycen non riusciva a tracciare una linea che collegasse i punti. Chloe era quella che più di tutti l'aveva spinto a investire tempo ed energie in quel saggio, ma anche colei che si era mostrata più diffidente sull'entrata in scena di Arturo. Di fronte all'indecisione di Brycen era rimasta in disparte, spronandolo invece a scegliere di sua iniziativa.
Temo di non essere la persona più qualificata a darti un parere su questo.
E se anche si fosse trattata di una subdola manipolazione, se avesse agito su di lui così abilmente da spingerlo ad agire secondo la sua volontà senza che se ne rendesse conto, non aveva alcun senso. Perché indurlo ad avanzare, per poi lavorare nell'esatto opposto?
Ti è mai capitato di trovarti di fronte a un bivio con la consapevolezza che qualunque strada deciderai di imboccare sarà quella sbagliata?
Chloe aveva riso a quella domanda, di un'amarezza che cominciava a colorarsi di un significato del tutto nuovo.
Come sei riuscita a prendere una decisione?
Non l'ho presa. Ho finto di non vedere il bivio fin quando non mi sono trovata fuori strada.
«Va beh, lascia perdere. L'importante è che sia viva, deve ancora pagarmi.» Kolt sollevò le spalle, poi qualcosa attirò la sua attenzione.
Aggrottò la fronte e allungò la mano verso il contenuto del portaoggetti, che giaceva sparpagliato sul legno scuro. Si fece spazio tra le cianfrusaglie e afferrò la decorazione metallica che Chloe aveva raccolto all'interno di Oblivion, rigirandosela tra le dita. Accarezzare il ghirigoro all'angolo gli strappò un sogghigno.
«Chloe ti ha mostrato l'altra metà» comprese Brycen, e quelle parole vennero fuori in bilico tra una domanda e un'accusa. «Perché?»
«Non penso che volesse farlo.» Kolt studiò l'oggetto per qualche altro istante, poi lo abbandonò di nuovo sul tavolo. «Era sbronza da far schifo, non si ricordava neppure di averlo preso.»
Perciò il racconto della sua ubriacatura era reale? L'idea di Chloe in stato di ebbrezza che trovava rifugio da quell'uomo gli pizzicò la pelle in un fastidioso prurito, ma nel suo petto si fece subito spazio un'inattesa e rassicurante sensazione di sollievo. Ecco come si era ridotto, a pensare almeno su questo è stata sincera, con una tale soddisfazione da distendere i suoi nervi. Poteva essere più patetico di così?
Brycen chiuse la porta d'ingresso e si avvicinò a lui. «Perché pensavi che io collaborassi con l'Heiko Jun? Ha a che fare con Arturo Soleni?»
«No, no, scordatelo. Da me non avrai nessuna informazione, non è qualcosa di negoziabile. Ti sei già dimenticato tutto il discorso sulle priorità e sul non fare incazzare Bluebird? Se vuoi sapere qualcosa, chiedi alla tua fidanzata.»
Kolt si alzò dal divano in un mugolio lamentoso. Incastrata la sigaretta tra le labbra, affondò i pollici nelle tasche strette dei pantaloni e avanzò, fermandosi a un passo da Brycen. Drizzò il busto, poi incrociò il suo sguardo in un lampo di sfida. Fammi passare, sembrava chiedere; no, lo pretendeva.
«C'mon, Lovebird. Sappiamo entrambi che non mi butterai fuori di casa, quindi smettila di fare il sostenuto del cazzo» disse, sollevando il mento. «Fatti da parte e basta, da bravo.»
Brycen inspirò a fondo, serrando i denti. Si stava prendendo gioco di lui e la cosa peggiore è che aveva ragione, di nuovo. Quel sogghigno beffardo spingeva sulla parte più istintiva di lui, quella che rigirava lo stomaco sottosopra e guizzava tra i muscoli, ma non avrebbe ricorso alla violenza per così poco.
Ingoiò il suo orgoglio e si spostò di lato. «Sarebbe bastato chiedere per favore.»
«Non l'ho fatto? Che sbadato, devo essermelo perso per strada.» Kolt raccolse la sigaretta tra le dita, facendo brillare l'estremità di rosso prima di sbuffare fumo a un passo dal suo viso. «Se potessi dirmi dove tieni gli alcolici sarebbe fantastico. Mi aspetta un noiosissimo viaggio in treno, domani, voglio versarmi qualcosa da bere e buttarmi sul divano. Ti chiederei di farmi compagnia, ma non sei il mio tipo. Non ti offendere, è che l'aria da tenero cucciolo di foca proprio non fa per me.»
«In cucina, terza anta in alto» sibilò Brycen. «Serviti pure.»
«Ecco, vedi? Andare d'accordo non è così difficile» sghignazzò di nuovo, poi sparì dietro la porta della cucina.
Tieni sempre una bottiglia di vodka nel comodino, non sai mai quando potrebbe servirti.
Edvokin lo ripeteva sempre, ma quella era la prima volta che Brycen fu grato di aver seguito quel consiglio. Aveva dovuto svuotare parecchi bicchieri prima di riuscire ad addormentarsi, e il suo sonno era stato disturbato da incubi confusi alternati a stati di veglia in cui non faceva altro che rigirarsi in quello spazio troppo grande per una sola persona.
Kolt era già andato via quando decise che era giunto il momento di alzarsi dal letto, e Chloe... Chloe non c'era, e la sua assenza premeva sul petto fino a bloccargli il respiro. Sentiva il vuoto attorno ai fianchi, là dove Chloe lo cingeva ogni notte prima di addormentarsi accucciata contro la sua schiena. Sentiva il peso del silenzio che era solita riempire con le sue risate, la sua voce, le melodie canticchiate mentre si muoveva per casa. L'odore del potpourri era aspro, senza il profumo di fiori che Chloe spruzzava sulla pelle. Le giornate prive di colore senza il suo sorriso.
Brycen la rivedeva ovunque, ora distesa sul divano a leggere, ora seduta a gustare il pranzo che le aveva preparato, ora a ballare un allegro motivetto alla radio, ora a gettargli le braccia al collo per rubargli un bacio. Più si sforzava di cancellare la sua immagine, più lo perseguitava. Quando non aveva doveri da svolgere permaneva in uno stato di immobile catatonia, e la sua concentrazione era un filo così sottile che sarebbe bastato un soffio a spezzarlo. E quando non aveva di che pensare, poiché si rifiutava di pensare alla notte precedente, allora non pensava a nulla.
Il secondo giorno senza Chloe fu identico al primo, e così il terzo e il quarto. Brycen esisteva, ma era assente. Pensava senza pensare, viveva sospinto dalla forza dell'abitudine. Le lezioni in Accademia gli offrivano una scusante per distrarsi, ma aveva evitato i suoi amici sfruttando ogni scusante possibile.
«Chloe è andata a trovare la sua famiglia, ha delle questioni personali da risolvere a Jiyu» aveva detto, perché non era in grado di sopportare anche le loro preoccupazioni. «Si scusa per non essere riuscita a salutare, ma tornerà presto.»
Sarebbe stato più facile se avesse potuto raccontare loro ogni cosa, eppure l'idea lo rendeva persino più agitato. L'Ordine non è crudele e sanguinario come viene dipinto, aveva detto Chloe; Brycen non sapeva se crederle o no, ma aveva la sensazione che meno persone l'avessero saputo e meglio sarebbe stato per tutti – tranne che per lui.
Quando la sua relazione con Bethelie era finita, non era rimasto da solo. Il supporto di Mari era stato agrodolce, ma non gli era mancato. E suo cugino non aveva mai lasciato il suo fianco. Brycen non riusciva neanche a immaginare come avrebbe potuto superare quel periodo se non fosse stato per lui, che gli aveva ricordato che la vita non era giunta a conclusione, che l'aveva sostenuto ogni volta che ne avesse avuto bisogno.
Ma adesso Edvokin non c'era. Non c'era sua sorella, non c'erano i suoi amici.
Non c'era Chloe.
Chloe, la sua bussola, il suo caleidoscopio di colori, non c'era. E Brycen si era perso nella tormenta.
Il sesto giorno cominciò a risvegliarsi dal suo torpore. Non era certo che fosse una cosa positiva, perché con la mente di nuovo attiva doveva fare i conti con quanto accaduto, e prendere decisioni per cui non era ancora pronto.
Non sapeva cosa fare della loro relazione. Non sapeva se considerarla la sua fidanzata, non sapeva se e come sarebbero mai potuti tornare alla normalità, né se sperare in un lieto fine per il loro amore fosse la scelta giusta da fare. Non poteva permettere che fosse la sua sofferenza a scegliere, doveva accettare che forse la solitudine sarebbe tornata ad essere la sua prassi. Doveva riconoscere che forse non avrebbe più vissuto quei ricordi che gli affollavano la mente, che tutte quelle piccole cose di Chloe che tanto adorava non avrebbero più fatto parte di lui. Doveva rassegnarsi all'idea di aver amato un artefatto, una meravigliosa bugia, e comprendere come imparare di nuovo a vivere senza.
Doveva ripeterselo più e più volte, perché il suo cuore si rifiutava di ascoltare. Si ostinava ad aggrapparsi a quei ricordi, dipendente dalla felicità che Chloe gli aveva regalato, e scandagliava ogni ricordo alla ricerca delle tracce del suo amore per lui, di qualcosa, qualunque cosa, che potesse discolparla. Scalciava e si dimenava, cercando di corrompere la ragione, ma Brycen non voleva permettere alla memoria del loro amore di divorarlo, né al dolore di annullarlo. Aveva già commesso quell'errore una volta, aveva dato a Bethelie una tale importanza nella sua esistenza che senza di lei era andato tutto in pezzi, e non sarebbe successo di nuovo.
Il quindicesimo giorno, però, pensava ancora a lei. Il sonno lo evitava, il tempo non aveva mitigato la sofferenza, le domande dei suoi amici erano sempre più difficili da gestire. La sua mente era debole e stanca, e Brycen non aveva la forza di rimettere insieme da solo i pezzi della vita che Chloe aveva distrutto.
Troppo pochi. Quindici giorni erano troppo pochi perché potesse smettere di amarla, troppo pochi per abituarsi alla sua assenza, troppo pochi per rassegnarsi. La logica lo rimproverava per quella debolezza, ma il cuore non riusciva a darsi pace, perché quindici giorni senza avere sue notizie erano troppi.
Nessuno la vedeva da quel giorno. Non si era presentata a lavoro e non aveva risposto le volte in cui Brycen aveva trovato il coraggio di tornare a casa sua e bussare alla porta.
Sparita. Senza una parola, un messaggio, una traccia. Qualcosa, qualunque cosa.
Brycen non si era chiesto cosa sarebbe successo dopo, quando aveva lasciato il suo appartamento. Non si era domandato cosa avrebbe comportato per lei essere stata scoperta, non si era assicurato che fosse in grado di prendersi cura di quelle ferite. Perché non le aveva chiesto nulla? Perché non le aveva fatto più domande su quel giuramento? Perché non aveva ascoltato le sue suppliche e non era rimasto al suo fianco?
Aveva letto tutti i libri sull'Heiko Jun che era riuscito a trovare, ma le informazioni erano così vaghe e ambigue da confondergli le idee. Si contraddicevano costantemente, alimentando la sua preoccupazione.
L'Ordine non è così crudele e sanguinario come viene dipinto.
Continuava a ripeterselo, eppure doveva esserle successo qualcosa, perché un simile comportamento non era da lei – ma poteva esserne certo? Poteva ancora dire di conoscerla così bene? Chloe lo aveva ingannato, sfruttato e manipolato per tutto il tempo. E se c'era qualcosa di sincero, in lei, Brycen non avrebbe saputo distinguerlo dalle menzogne.
"Non dovresti struggerti tanto", si rimproverò.
Aveva il diritto di essere arrabbiato, di biasimarla per ciò che aveva fatto. Chloe meritava ogni singola accusa che le aveva rivolto — ma cosa ne aveva ottenuto lui? Cosa gli era rimasto? Una profonda sofferenza. Confusione. Vuoto. Avere ragione non aveva importanza. Giusto o sbagliato erano concetti relativi, e Brycen voleva soltanto un'altra occasione per parlare con lei, quantomeno assicurarsi che stesse bene.
Ma il ventiduesimo giorno senza Chloe, Brycen si arrese alla consapevolezza che né le sue ricerche né le sue riflessioni l'avrebbero riportata indietro. E non poteva fare altro che aspettare.
Non si può non chiudere questo capitolo con un Brycen depresso u_u
Per fortuna che c'è Kolt a risollevare un po' gli animi! ♥ Visto, fantAsilena? Un posto dove dormire in effetti lo ha trovato... XD
Lo ammetto, nel drama generale mi sono divertita moltissimo a scrivere quella scena! E Kolt sarà stronzo ma in effetti c'ha ragione, Brycen un po' simp lo è *carezza il suo adorabile cucciolo di foca*
La reazione di Brycen è... Beh, da Brycen. C'è chi piange sul divano mangiando gelato e chi si esibisce nella sua miglior interpretazione del meme su Pablo Escobar ragionando su ogni singolo momento dall'alba dei tempi. Ormai lo sapete, rimuginare sulle cose per giorni e giorni è il suo modo di affrontare le cose, un overthinker fatto e finito, ma persino uno come lui - che mette logica e raziocinio sopra ogni cosa - non riesce a dominare le sue emozioni, e nonostante le sue buone intenzioni è vittima del suo dolore - e della sua preoccupazione.
E Chloe in tutto questo, dov'è? Perché non si è fatta sentire così a lungo? Non lo sa che il ghosting è una brutta cosa? Ma soprattutto, perché io sono incapace di restare seria quando esplode il drama? XD
I più attenti potrebbero persino indovinare... Cos'è successo a Chloe, dico, non perché io sono un pagliaccio (?)
Beh, spero che vi sia piaciuto anche questo capitolo di mezza-introspezione, ci rivediamo Sabato per la continuazione!
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