Capitolo 61 - Quante volte
L'aria era immobile. Il distante ticchettio dell'orologio gli ricordava che il tempo non aveva smesso di esistere, ma Brycen non era in grado di processare quell'informazione. La mente era irraggiungibile, incapace di spiegare ciò che vedevano i suoi occhi.
C'era Chloe, vestita di nero da capo a piedi. Un pantalone, per di più, e una casacca dallo stile jiyano. Da quando indossava abiti della sua terra? Aveva il viso pallido, le labbra tremanti e qualcosa che sporgeva dalla spalla e dalla coscia. Due rametti – no, due frecce. Conficcate nella sua carne, tanto a fondo che il solo guardarle gli faceva tremare le gambe.
E poi c'era Kallum. Kallum Qualcosa, illeso nel suo completo elegante, nel suo salotto senza essere stato invitato. Stava sostenendo Chloe o la stava trattenendo? Cos'era successo?
Cosa le aveva fatto?
«Allontanati da lei!»
Brycen inspirò a fondo e il Sihir vorticò nel suo petto, cristallizzando neve e ghiaccio attorno alle sue mani mentre la temperatura nella stanza calava a picco. Kallum liberò Chloe e si fece indietro, imprecando a denti stretti. Tese un braccio come se gli stesse puntando contro qualcosa, ma in mano non aveva nulla, solo indice e medio dritte verso di lui a imitare una pistola.
«Non costringermi a sparare, Lovebird.»
Nei suoi occhi lampeggiò una luce pericolosa. Lo guardava come se avesse il controllo della sua vita tra le mani, come se stesse impugnando un'arma vera e—
Colpo di scena! Riesce a sparare dalle dita.
Il ricordo della voce allegra di Chloe gli mozzò il fiato. Brycen fissò la mano di Kallum e fu certo che, anche se non poteva vederlo, il Sihir stesse già scorrendo tra le sue dita.
È un uomo giovane, sulla trentina. Capelli biondi, sorriso sfacciato... Molto affascinante e con una bella parlantina. Me lo immagino stile gangster di Roumberg, hai presente?
Oro. Vibrava nei suoi occhi, tra i suoi capelli, e allora Brycen ricordò. Kin'iro significava oro.
«Rilassati, non sono tuo nemico» proseguì Kallum, allungando un sogghigno. «Siamo dalla stessa parte, giochiamo entrambi per l'Heiko Jun. Possiamo parlarne come persone civili, senza rischiare il congelamento?»
«L'Heiko...?»
Uno sbuffo incredulo gli sfuggì dalle labbra. L'Heiko Jun non esisteva più, forse non era mai esistito. Era solo uno spauracchio per gli invasori, nient'altro che leggende del passato. Ma allora perché Chloe non diceva nulla? Se ne stava immobile con gli occhi spalancati, tremava così tanto da far vibrare il petto, riempiendo il silenzio con il suono affaticato del suo respiro. Perché non lo correggeva? Perché sembrava così colpevole?
«Puttana Lemurea.» Kallum abbassò la mano, voltandosi verso Chloe. «Lui non sa un bel niente, vero?»
«Lasciaci soli.»
«Non darmi la colpa di questo casino, ci hai portati tu qui! Pensavo sapesse almeno questo, cazzo!»
«Kolt, va' via.» Chloe lo sibilò a denti stretti, a metà tra un ordine e una supplica. «Mi farò sentire io, ma ora ho bisogno che torni a Roumberg.»
Kolt – non Kallum o Kin'iro – si accigliò. Fissò Chloe per lunghi istanti prima di liberare un sospiro arrendevole, alzando le braccia.
«Va bene, Bluebird. Non che avessi voglia di sorbirmi i vostri problemi di coppia, comunque. Trovo l'uscita da solo.»
Chiuse la mano a pugno, battendo la nocca dell'indice sulla fronte nel tipico saluto roumberghiano, poi se ne andò.
«Brycen» chiamò Chloe, ma la sua voce era ovattata, distante. Brycen non riusciva ad afferrarla, come il suono di una sveglia durante un sonno troppo ostinato. «Brycen, ti prego...»
Quelle parole si mescolarono ai suoi ricordi, un affollarsi di scene confuse e sensazioni contrastanti, di risate e pianti e abbracci che gelavano le ossa, dettagli di cui intuiva il significato nascosto come fosse stato da sempre esposto alla luce del sole. Parole enigmatiche che diventavano evidenti, pensieri così concreti da poterli stringere tra le dita, collegamenti invisibili che finalmente riusciva a seguire – ma non voleva farlo. Voleva riavvolgere il tempo, lasciare spenta la luce e tenere all'oscuro sia il salotto che la sua mente. Voleva la sua confortevole ignoranza, fuggire da tutte le domande che gli affollavano la testa, dimenticare tutto ciò che cominciava a capire.
«Brycen, guardami... Ti scongiuro...» supplicò Chloe, aggrappandosi al suo braccio. Singhiozzò in un gemito di dolore, e il caos nella mente di Brycen cessò all'istante.
«Tsvetov, tu sei ferita.» L'afferrò per sostenerla, e un brivido corse lungo le gambe quando posò lo sguardo sul dardo che le perforava la spalla. «Devi andare subito in ospedale. Cerco una carrozza.»
«No! Non posso andarci, non chiamare nessuno. Per favore.»
Brycen deglutì, incrociando i suoi occhi. Non le piaceva il modo in cui lo guardava, i sottintesi che adesso riusciva a cogliere. Non era sicuro di voler sapere perché non poteva andare in ospedale, o come si fosse procurata quelle ferite. Non era più sicuro di nulla.
L'unica certezza rimasta era che nessuna domanda, supposizione o accusa era più importante della salute di Chloe.
Attraversarono un portale verso una stanza che non conosceva, illuminata da una piccola lampada a Sihir. Decine di armi da lancio luccicavano sulle rastrelliere appese alle pareti, accanto a scaffali ricolmi di documenti e pergamene ben sistemati. C'erano parrucche appoggiate su sostegni di legni, tanti armadi e cassettiere da occupare ogni spazio. Era così semplice intuirne il contenuto che lo stomaco si contorse, mentre i dettagli dello stanzino si confondevano alla sua vista annebbiata.
Così ovvio e così surreale. Reale eppure inverosimile. L'assurdo si era mescolato con la normalità: Chloe che apriva un varco sulla porta chiusa, rivelando il resto del suo appartamento. Chloe che tracannava due Rimedi differenti da piccole boccette contrassegnate da idiomi che Brycen non conosceva. Chloe che si stendeva sul letto e gli indicava dove recuperare il necessario per le medicazioni.
E lui che seguiva le sue direttive in silenzio, come fosse un'operazione quotidiana. Come se fosse ordinario sfilare dei dardi conficcati nella carne della propria fidanzata, avere le mani sporche del suo sangue mentre sfruttava Subsidence per ridurne la perdita, ricucire la sua pelle lacerata e bendare le sue ferite. Era uno strano, lunghissimo sogno, un susseguirsi di follia che la sua mente non riusciva a elaborare e che il suo corpo metteva in pratica come un meccanismo sotto l'impulso del Sihir.
Poi quella bolla di concentrazione si ruppe. L'urgenza cessò di guidarlo e Brycen si abbandonò seduto ai piedi del letto, drenato di energie tanto quanto di respiro. La realtà aveva perso colore. Puzzava di ferro, viscida come il sangue che gli macchiava le mani, così pesante da opprimergli il petto. Lasciò correre lo sguardo sui dardi che giacevano sul pavimento, sulle vesti scure che aveva strappato alla meglio, sui residui di garza e cotone che un tempo erano stati bianchi.
«Se stai aspettando che sia io a parlare, sappi che non so cosa dire. Non ne ho la più pallida idea.» La sua voce tremava, tanto che faticava a riconoscerla. Quel tono monocorde era davvero il suo? «Potresti cominciare spiegandomi cos'è successo.»
Chloe non rispose. Versava in uno stato catatonico, con il capo chino e gli occhi neri persi nel vuoto. Aveva un'espressione indecifrabile, o forse era solo lui che non riusciva a capirla. Non era certo di averlo mai fatto.
«Chloe» la chiamò, ma lei non alzò neppure lo sguardo. Schiuse le labbra e mormorò qualcosa, troppo lieve perché riuscisse a sentirlo. «Chloe!»
«Non è il mio nome» rispose a voce più alta, e inspirò a fondo prima di alzare lo sguardo. «Vorrei che lo fosse, credimi. Lo vorrei tanto, ma non lo è.»
"Certo che no. Chloe non è un nome jiyano."
Non gli era mai sembrato così ovvio. Si era talmente abituato alla mescolanza culturale di Sayfa che aveva dimenticato quanto Jiyu fosse legata alle sue tradizioni, nomi compresi. Gli era sembrato naturale, Chloe l'aveva presentato come naturale, ma era assurdo. Come aveva fatto a non pensarci prima?
Alla fine ho scelto un solo libro, gli aveva detto una volta. Brycen lo ricordava con limpida chiarezza, ma la leggiadria di quelle parole ora graffiava come vetro su metallo. Mi sembrava appropriato. E poi la protagonista si chiama...
Chloe. Era sempre stato lì, proprio davanti a lui, eppure non l'aveva mai visto.
Brycen chiuse gli occhi, massaggiandosi la fronte. Memorie come quella si ripetevano a cicli alterni nella sua mente, dettagli che si concatenavano in modi che mai avrebbe potuto prevedere. Era sempre stato bravo a farlo, a collegare le nuove informazioni con la vastità della conoscenza che aveva accumulato, ma non sapeva più dire se fosse un vantaggio o una condanna.
«Qual è il tuo vero nome, allora?»
«Non lo so, non me l'hanno mai detto. Loro mi chiamano solo Kiyoko.»
«Loro chi?»
Chloe rise, una risata amara e stanca. Abbandonò la testa contro il muro, proprio sotto ai rami del mandorlo fiorito dipinto sulla parete.
«So che conosci l'Heiko Jun, Brycen. Ho visto i libri che hai in casa. L'Ordine non è crudele e sanguinario come viene dipinto, però esiste. Molte delle informazioni che hai letto non sono veritiere, ma lo sono abbastanza. E io non ho più le forze o la volontà di tessere l'ennesima ragnatela di bugie per negare tutto.»
Brycen schiuse le labbra, ma il respiro era inchiodato nel petto. Scosse il capo mentre la vista si appannava, l'espressione distorta da piccoli spasmi involontari dei muscoli. Pregò, con tutta l'intensità della sua fede, di sentire Chloe esplodere in una risata e ammettere di aver solo organizzato uno scherzo un po' estremo. Pregò che il suono della sveglia lo trascinasse fuori da quell'incubo. Pregò quantomeno che la sua mente potesse dimenticare ciò che sapeva dell'Heiko Jun, pregò di non dover mai accostare la figura di Chloe a quella dei demoni della morte che popolavano le pagine di mille leggende.
Ma quando nulla di ciò accadde, non gli rimase che arrendersi.
«Dlya semi tsvetov. Sei davvero un'assassina.»
«Non lo sono.»
«E cosa, allora?»
«Non un'assassina. Il mio compito non è quello di prendere vite.» Chloe scandì con cura ogni parola. Una rassicurazione o un indizio? Si umettò le labbra e a Brycen sembrò che volesse aggiungere qualcosa, ma poi cambiò idea: chiuse gli occhi ed espirò, sistemandosi i capelli dietro le orecchie. «Vorrei poterti spiegare di più, ma... Ho giurato, Brycen. Ho giurato nel nome degli Dèi che avrei mantenuto i segreti dell'Heiko Jun. Non posso dire più di quanto tu non sappia già, a meno che tu non lo capisca da solo.»
«Oh, sì, capisco. Capisco molte cose, adesso: i tuoi silenzi, gli orari folli, tutti quegli strani atteggiamenti e quei misteri. Ecco come fai a conoscere così tanto, a saper fare così tanto, come riesci a capire le persone così bene e a recitare così bene. E tutte quelle domande... I tuoi svariati interessi, la tua spiccata curiosità...» Brycen si passò una mano sul viso, nell'inutile tentativo di far sbiadire quelle immagini che si facevano prepotentemente spazio nella sua mente. Tutto ciò che aveva amato di lei, quei piccoli dettagli che aveva elogiato, ammirato, persino invidiato. Le dolci risate di Chloe che riecheggiavano nella sua memoria sembravano ora prendersi gioco di lui. Aveva creduto di aver trovato l'arcobaleno, ma era solo il riflesso di una pozzanghera. «Raccoglievi informazioni, vero? Non un demone della morte, ma una delle sue ombre. Se non sei un'assassina, allora sei una spia.»
«Mi dispiace, Brycen.» Le labbra di Chloe si distesero in un sorriso amaro, la voce ridotta ad un sussurro. «Mi dispiace.»
Brycen chiuse gli occhi e abbandonò il viso tra le mani, stringendo i capelli tra le dita. La ragione si perse da qualche parte, sconfitta, schiacciata dal peso di quei pensieri che vorticavano frenetici e confusi. Erano tizzoni ardenti che non riusciva a domare, scintille che alimentavano il fuoco che bruciava nel suo petto fino a farne ribollire il sangue.
«E io che mi preoccupavo tanto! Quando mi chiedevo cosa nascondesse il tuo passato, pensavo: cosa l'ha ferita così tanto? Cos'è successo da farla stare così male da non riuscire a parlare? Come posso aiutarla e alleviare la sua sofferenza?» Scattò in piedi in uno sbuffo ironico e nervoso, sfogo per la nausea che si agitava nel suo stomaco. Mai fidarsi di un'ombra della morte, suggerivano i suoi libri. Chloe era così distante dalla figura spettrale che emergeva da quelle pagine, ma forse era proprio questo ciò che le rendeva così pericolose, inafferrabili. «Dea, sono stato così stupido! Era tutto in funzione di questo, non è così? Il tuo nome, il tuo lavoro, le tue conoscenze... Fa tutto parte della recita. Nient'altro che una copertura per non destare sospetti.»
«No, non lo è!» Chloe drizzò il busto e le spalle. Brycen si sarebbe aspettato che le sfuggisse almeno un lamento, ma nessuna smorfia di dolore le increspò le labbra. «Chloe non è una copertura, è reale. È chi sono davvero, è la mia vita, niente di tutto questo ha a che fare con l'Heiko Jun.»
«E Kallum, allora? O Kolt, o qualunque sia il suo nome. Cos'hai da dire su di lui?»
Chloe sgranò gli occhi, e un lampo di preoccupazione attraversò le iridi scure. «Tra noi non c'è stato niente. Devi credermi, io non—»
«Non ha importanza, Chloe!» Quel nome suonava così sbagliato tra le sue labbra, una parola sconosciuta di cui si era perso il significato. «Magari ci fosse stato. Non sai quanto vorrei che si trattasse solo di quello, preferirei dover gestire quel genere di tradimento che... questo.»
Brycen aprì le mani per abbracciare l'intera stanza, e anche quella scena sembrava sbagliata. Le coperte rosa sfatte e macchiate, le vesti scure dal taglio jiyano che cozzavano con l'arredamento dalle tonalità pastello. Scacciò quell'immagine per cercare il ricordo di un'altra Chloe, una che era ancora giusta, sebbene fosse anch'essa ferita e costretta a letto.
«Kolt è il Dotai di Altershot, non è così? Non stavi facendo ricerche per la scrittura. Erano solo scuse, avevi bisogno di quelle informazioni e non hai esitato a mentire per ottenerle.»
«Ero in difficoltà e avevo bisogno del tuo aiuto, soltanto questo. Se avessi potuto spiegarti tutto l'avrei fatto, ma non avevo altra scelta.»
«Potevi scegliere di non farlo! Potevi scegliere di non sfruttarmi in modo così meschino, ma hai preferito manipolarmi perché ti faceva comodo. Non mi hai semplicemente tenuto all'oscuro di tutto, mi hai usato, ti sei presa gioco di me per tutto il tempo» ringhiò Brycen, e ogni parola era l'urlo di dolore del suo cuore straziato. Erano rabbia, sconcerto e sconforto che gli artigliavano la gola e il petto, pizzicando gli occhi e martellando le tempie. «Quante volte è successo, Chloe? Quanto di ciò che hai detto e fatto è stato solo perché serviva all'Heiko Jun? C'è almeno qualcosa di vero in te, in quello che c'è stato tra noi?»
«È tutto vero, tutto quanto!» gridò Chloe, la voce rotta da una sofferenza che sembrava sincera. Sembrava, ecco la parola chiave. Sembrava così vera che Brycen non sapeva dire se lo fosse oppure no. «Non ho mai voluto sfruttarti, mai. Io ti amo, Brycen. Ti amo. Questa non è una bugia, la mia vita non è una bugia! Ho mentito solo su ciò che era necessario, non sul resto. E mi dispiace, mi dispiace davvero, ma credevo che accettare questo compromesso fosse l'unico modo per essere felice.»
«E non ti importano le conseguenze? Non ti preoccupi di calpestare i sentimenti e la fiducia di chi ti ama, non ti interessa di chi soffre fintanto che tu puoi essere felice?» Brycen incrociò il suo sguardo, ma gli sembrò sconosciuto. Per la prima volta, in quelle pozze scure non vide altro che un baratro vuoto. «Come puoi essere così egoista?»
Chloe sgranò gli occhi, stupita. Non offesa o arrabbiata, sembrava solo confusa. «No, io... Io volevo solo stare con te, con tutti voi, io... Io volevo solo una vita normale, Brycen. Pensavo che fosse l'unica occasione per averla, io... Non sapevo cos'altro fare! Non avrei mai voluto che qualcuno soffrisse per questo, tu meno di tutti.»
«Sognavamo una vita insieme, Chloe!» urlò, la voce rauca che raschiava contro la gola. «Sognavamo una famiglia, dei figli... Mi hai lasciato credere che avremmo potuto avere tutto questo e io ci ho creduto, come potevi pensare che non avrei sofferto?»
Hai dimenticato un gatto! Ci sposeremo, avremo due figli e un gatto.
Singhiozzò nel riprendere fiato. Le lacrime gli bruciavano gli occhi, ma lasciò che si accumulassero fino a sfocare l'immagine di Chloe.
Anche così, non riusciva a cancellare il sorriso dei suoi ricordi. Non riusciva a liberarsi dal calore del suo corpo stretto al suo, dalla sensazione di pace che solo le sue dita sottili tra i capelli riuscivano a dargli.
I bambini ameranno la spiaggia e insisteranno per andarci ogni giorno d'estate.
Non riusciva a dimenticare il sapore di quei baci rubati tra una parola e l'altra, quel delicato odore di fiori che profumava la sua pelle, le sfumature della gioia più pura riflesse nei suoi occhi.
La libreria sarà così grande da far impallidire la tua: una stanza enorme – no, un intero piano!
La sua risata. Dea, quanto amava la sua risata. Dea, quanto faceva male.
«Mi hai promesso un futuro che non esiste, era necessario anche questo?» Parlare non era mai stato così difficile. Era come aprire le finestre durante un incendio, eppure non poteva esimersi dal farlo. Aveva bisogno di quell'aria, anche se sarebbe servita soltanto ad alimentare le fiamme. «Non ti ho mai chiesto di illudermi fino a questo punto, è stata una tua scelta. Non hai esitato a intrappolarmi con promesse che sapevi già di non poter mantenere. Hai deciso che mentirmi fosse qualcosa di giustificabile, ti sei approfittata della mia pazienza e del mio amore perché sapevi che non ti avrei mai forzata e non te l'avrei mai rinfacciato!»
«Non è così! Non è così, Brycen, ti prego...» supplicò Chloe. Allungò la mano a cercare la sua, ma Brycen la ritirò, facendo un passo indietro per sfuggirle. «Non volevo illuderti, desidero quella vita tanto quanto te. La desidero così tanto che ho mentito anche a me stessa e sì, sono stata un'egoista, e mi dispiace. Mi dispiace, mi dispiace davvero tanto, ma adesso ho capito cosa devo fare e sono pronta a fare la mia parte. Posso sistemare le cose, possiamo avere quel futuro!»
«Questo è quello che possiamo avere!» Brycen afferrò la maschera di stoffa che giaceva sul letto, agitandola davanti ai suoi occhi prima di gettarla ai piedi del letto. «Tu che sparisci per ore senza farmi sapere dove tu sia o cosa stai facendo. Tu che torni a casa con ferite che Beyled solo sa come ti sei procurata. Tu che continui a mentire, ancora e ancora, vivendo una vita che non conosco e tornando a casa come se nulla fosse. Come pensavi di tenermelo nascosto dopo il matrimonio? Come pensavi di far conciliare tutto quando saresti rimasta incinta? Come pensavi di giustificarlo quando la scusa della scrittura non avrebbe più retto?»
«Voglio lasciare l'Heiko Jun.» Chloe chiuse gli occhi, la voce tremante. Strinse le coperte macchiate tra le dita e respirò piano, come se avesse bisogno di tutta la sua concentrazione per farlo. «Io... non so quali saranno le conseguenze, ma le accetterò. Ho preso la mia decisione. Ho scelto chi voglio essere, ho intenzione di trovare la mia strada e voglio farlo insieme a te, Brycen. Te l'ho promesso, ricordi? Dalla prossima settimana sarà tutto diverso. Niente più menzogne, niente più Kiyoko.»
Un paio di giorni.
C'era un'angoscia eccessiva nello sguardo di Chloe mentre lo diceva, quello lo ricordava. Possibile che fosse una menzogna anche quella? Che avesse costruito quella giustificazione solo per sfruttarla al momento opportuno? Eppure sembrava così credibile, così... sincera. Era vero, oppure era solo la necessità di trovare una giustificazione a farlo tentennare?
"Mai fidarsi di un'ombra della morte" ripeté a se stesso; ma se anche l'avesse fatto, sarebbe cambiato qualcosa? Se il pentimento di Chloe fosse stato reale, se quello struggersi era il vero riflesso delle sue emozioni, sarebbe bastato a cancellare mesi di bugie e sotterfugi?
«Me l'avresti detto?» chiese Brycen in un soffio. «Se non ti avessi scoperta stasera, mi avresti comunque raccontato tutto quanto?»
Sarebbe stato sufficiente. Aveva un bisogno così disperato di trovare qualcosa a cui aggrapparsi, qualsiasi cosa, che si sarebbe accontentato di quello. L'avrebbe accettato e si sarebbe fidato della parola di Chloe senza esitare, perché il dolore era più forte della rabbia e quel barlume di speranza era troppo invitante per non afferrarlo.
Ma le labbra sottili di Chloe si accartocciarono in una smorfia mentre scuoteva il capo. «Ho giurato, Brycen. Ho giurato agli Dèi.»
Brycen chiuse gli occhi in un lento respiro. «Tutto diverso? Niente più menzogne?» ripeté, liberando uno sbuffo ilare. «Non avresti fatto altro che nascondere le tue bugie sotto il tappeto. Avresti continuato a mentire, tenendomi nascosta una parte così importante di te per sempre. L'avresti reputato accettabile solo perché non l'avrei mai saputo. È così, Chloe?»
Lei prese fiato, ma qualunque risposta volesse offrirgli la fermò tra le labbra. Chiuse di nuovo gli occhi e chinò il capo, colpevole.
E persino quell'ultimo bagliore si spense.
«Capisco.»
Brycen le rivolse un ultimo sorriso amaro prima di voltarsi, muovendo laconici passi verso la porta.
«Hai detto che saresti rimasto al mio fianco!» lo fermò Chloe, il tono che tradiva agitazione più che rimprovero. Quando Brycen incrociò il suo sguardo, i suoi occhi vibravano di un terrore che poche volte le aveva visto addosso, e singhiozzava così tanto da faticare a parlare. «Hai detto che accettavi i miei segreti. Hai detto che qualunque cosa fosse successa in passato non era importante, perché ami la persona che sono oggi. Hai detto che avremmo potuto affrontarla insieme, che mi avresti ascoltata e... Ti prego, Brycen. Ti prego, non lasciarmi adesso.»
Lasciarla. Quella parola suonava così aliena. Non l'aveva mai pensata, neanche una volta, neanche adesso. Porre fine alla loro relazione non era mai stato nei suoi desideri.
Qualunque cosa accada, le aveva detto. Mi fido di te. Va tutto bene. Sono qui per te.
«Ogni singola parola è ancora valida. Sono così follemente innamorato che avrei davvero accettato qualsiasi cosa, avrei perdonato tutto. Giusto o sbagliato che fosse, l'avrei fatto.» Si rigirò la catenella dell'orologio tra le dita, trovando conforto nell'accarezzare i piccoli anellini dorati. «Ma questo non è il tuo passato, è il tuo presente. Questa è la persona che sei oggi: non c'è niente da perdonare, niente da superare, niente da guarire. La ragazza che amo, quella a cui ho pronunciato quelle parole, non esiste. E io sono solo uno sciocco che ha creduto a un sogno che viveva soltanto nella sua mente, di nuovo.»
«Io sono quella ragazza, Brycen!»
Chloe saltò giù dal letto, uno slancio che la gamba ferità non parve apprezzare. Barcollò, contorcendo il viso in una smorfia di dolore, e l'istinto di Brycen rispose in modo automatico: scattò in avanti per raggiungerla, accogliendola tra le braccia per sostenerla. Quel guizzo di preoccupazione si spinse fino alle sue labbra, ma di quel "Stai bene?" che avrebbe voluto pronunciare non venne fuori che un rantolo.
«Quello che c'è tra noi è reale» gemette Chloe. «I miei sentimenti sono reali, io sono reale!»
Il suono della sua voce spezzata sgusciò attraverso il rancore, avvinghiandosi al cuore. I muscoli tremavano dall'esigenza di stringerla a sé, il suo intero corpo era in fermento, scosso dal bruciante bisogno di confortarla, di porre rimedio alla sofferenza che leggeva nei suoi occhi.
Desiderò di dimenticare tutto. Per un attimo, l'idea di restare all'oscuro sembrò una benedizione, e si ritrovò a bramare il conforto dell'ignoranza pur di placare il dolore, pur di ritrovare in quello sguardo la scintilla che l'aveva fatto innamorare, che gli aveva donato gioia, speranza, forza e libertà.
Ma non c'era più. Forse non c'era mai stata. Non esisteva che nelle sue memorie, e nel tormento di quell'amore che gli corrodeva le ossa.
«Vorrei poterti credere» mormorò, piegando le labbra in un sorriso sofferente. «Amo ancora quella ragazza, ma tu... Io non so chi tu sia. Ti guardo e riesco a vedere solo le tue menzogne.»
Chloe sbiancò. Un singulto sfuggì dalle sue labbra tremanti, bagnate dalle lacrime che le attraversavano il volto. «Brycen... Ti scongiuro...»
«Hai bisogno di riposare.» Distolse lo sguardo. Poi, in un lento sospiro, si allontanò da lei. «E io ho bisogno di tempo. Ho bisogno di stare da solo.»
La sentì singhiozzare, biascicando il suo nome, ma non si fermò. Avanzò verso l'ingresso e in silenzio uscì di casa, senza cedere alla tentazione di rivolgerle un ultimo sguardo prima di chiudersi la porta alle spalle.
Oggi disegno più o meno tematico! Questo disegno è infatti relativo alla primissima versione di questa scena, che si chiudeva con lo stesso risultato pur essendo il contesto un po' diverso XD Ma tornando al capitolo...
Ouch.
Spero che questo abbia fatto male a voi che l'avete letto quando ne ha fatto a me che l'ho scritto :')
Era inevitabile che si arrivasse a questo punto, sapevamo tutti che il momento della verità sarebbe giunto in un modo o nell'altro, ma Brycen non l'ha presa affatto bene. Dopo tutta la comprensione mostrata in questi capitoli, si sente doppiamente preso in giro: non solo la mazzata di scoprire la verità, ma anche la consapevolezza di essere stato bellamente sfruttato, e in più Chloe - per quanto sia costretta dal Giuramento, sotto questo punto - si sarebbe portata il segreto con sé nella tomba.
Brycen ha ragione su tutto e forse è questo che fa più male, che nonostante tutte le motivazioni e le giustificazioni di Chloe lei si è comportata davvero molto male in più occasioni (compresa questa discussione, còff), e mettere pezze non è abbastanza. Brycen è buono e caro, TROPPO buono e caro, ma questo è stato davvero too much per lui...
... ma non tanto da tirargli fuori mezza parolaccia, allucinante quell'uomo. Però hey, HA URLATO, da segnare nel calendario! *sdrammatizziamo che è meglio*
Vi aspettavate questa reazione o pensavate che anche stavolta sarebbe stato più morbido? Avevate immaginato "il momento della verità" in modo diverso?
Ma soprattutto... Non ci siamo dimenticati che Brycen non è l'unico con cui Chloe deve confrontarsi, vero? (:
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