Capitolo 39 - Far suonare i tamburi

La biblioteca di famiglia faceva impallidire quella che Brycen aveva costruito a Mehtap. Occupava un'intera ala della magione, innalzandosi da una base ottagonale per tutta l'altezza dei tre piani. Gli scaffali rivestivano le pareti fino al soffitto come fossero scavate al loro interno, mentre altri si innalzavano al centro in ampi colonnati. Un intreccio di scale e ballatoi si ramificava a collegare ogni area della struttura, ritagliando spazi per piccole alcove da lettura nascoste da tendaggi colorati.

I tomi erano suddivisi in macrocategorie, ma la disposizione interna seguiva l'ordine cromatico delle copertine, valorizzando l'estetica rispetto alla praticità. Non era un'organizzazione efficiente come quella che Brycen aveva adottato nella sua villa, ma la vista di quell'arcobaleno che si innalzava verso il cielo, fondendosi alla luce che filtrava dalle vetrate, riusciva a suscitare in lui una tale meraviglia da rimanerne estasiato a ogni ingresso.

Brycen respirò a pieni polmoni quell'aria intrisa di polvere che pizzicava le narici. Il profumo della carta e l'odore stantio che aleggiava in quel luogo erano così familiari da risultare piacevoli, nostalgici. Aveva trascorso così tante ore in quel luogo da ricordare l'esatta disposizione di molti dei volumi, e arrampicarsi sui gradini o correre qua e là lungo i corridoi sospesi lo metteva di buon umore. I suoi parenti avevano sempre denigrato l'idea di un uomo che si dedicava alla lettura con così tanta passione, ma le parole contenute in quei testi lo avevano forgiato più di quanto avrebbe mai potuto fare il loro disprezzo.

Occupò uno dei grandi tavoli in pietra rossa che sorgevano al piano terra, abbandonando sulla superficie una moltitudine di libri e fascicoli sulla Santa Velaj. Brycen li sfogliò uno a uno, scandagliando ogni paragrafo e confrontando testi e informazioni per poi tracciare nel suo taccuino le sue considerazioni a riguardo. Studio, analisi e scrittura erano un toccasana per le sue angosce: forzavano la sua mente a focalizzarsi, tagliando fuori il resto. La tempesta dei suoi pensieri si sfoltiva delle preoccupazioni e mutava in una brezza quieta, soffiando verso un'unica direzione che metteva ordine nella sua mente.

Non poteva ancora confermare le sue teorie a livello scientifico, ma come studioso non poteva fermarsi a quell'ipotesi. C'erano così tanti aspetti che che necessitavano un'analisi più approfondita, e doveva interrogarsi anche sulle conseguenze delle verità che acquisivano contorni sempre più nitidi nella sua mente: in che modo l'umanizzazione della Santa Velaj, venerata quasi fosse a sua volta un essere divino, avrebbe influito sul Beyledismo? Quella che per molti era una blasfemia, per Brycen era la sublimazione delle loro credenze. I poteri della Santa non erano manifestazione diretta della Dea Bianca, ma la sua particolare condizione non costituiva forse un miracolo ancora più grande? Il mondo e le sue regole erano essi stessi una creazione di Beyled; in quale altro modo avrebbe mai potuto scegliere di palesarsi agli uomini, se non attraverso i sottili meccanismi che regolavano la realtà così come l'aveva concepita?

Era necessario mettere per iscritto quelle riflessioni. Molti dei suoi connazionali avrebbero rifiutato di credergli, ma chi l'avesse fatto avrebbe messo in discussione ogni cosa: era giusto, era auspicabile. Ma Brycen non poteva distruggere i pilastri della loro fede senza preoccuparsi di guidarli nella costruzione di nuove fondamenta. Non desiderava che smettessero di credere, ma che iniziassero a pensare.

«Sapevo di trovarti qui.»

Brycen alzò il capo, incrociando lo sguardo di sua madre. Jlenna vestiva con un sarafan blu e rosso che cadeva morbido sui fianchi, le maniche bianche della blusa coperte dallo scialle ricamato che non mancava mai di indossare in casa. Lui, al contrario, si era liberato della giacca e del panciotto che costituivano la parte superiore del suo bunad e aveva tenuto addosso solo la camicia. Drizzò le spalle, aspettandosi un rimprovero per la sua sciatteria, ma l'espressione di sua madre era distesa. Un sorriso carico di dolcezza le illuminò il viso tondo mentre avanzava, raggiungendo il suo fianco.

«Ammetto di trovarlo rassicurante. Tu e Maritruska siete cresciuti tanto in fretta... Diventate persone diverse ogni anno che passa, eppure eccoti qui: chino su quel tavolo, sommerso da più tomi di quelli che potrebbero portare le tue braccia, come quando eri ragazzo. E dire che hai visitato questa sala così spesso che dovresti conoscere il contenuto di ogni libro a memoria.»

«C'è sempre qualcosa da scoprire, che sia una novità oppure un concetto già noto in cui si colgono dettagli che prima erano sfuggiti, riuscendo a interpretarlo in modo differente.» Brycen scostò la sedia, ruotando il busto verso di lei. «Credo di aver finalmente trovato qualcosa di concreto su cui concentrare le mie riflessioni, madre. Skeld si sta già muovendo in avanti, grazie all'attività progressista degli ultimi anni: serve solo una forte spinta nella giusta direzione. Temo sia prematuro parlarne adesso, ma se le mie teorie fossero corrette potrebbero spronare un reale cambiamento nel nostro paese.»

Jlenna gli rivolse un sorriso tiepido. Non gli aveva mai negato il suo sostegno, ma si guardava bene dall'esprimere approvazione in modo esplicito quando sfiorava simili argomenti.

«Speravo potessimo affrontare una conversazione di natura differente, se ti aggrada.» Jlenna si accomodò al suo fianco, sistemando le pieghe della gonna sulle gambe composte. «Tua sorella mi ha riferito che non hai intenzione di partecipare al Viime Kerta, nonostante i suoi tentativi di convincerti a rivedere la tua posizione. Sei davvero così irremovibile?»

Brycen sospirò. La consegna dei doni nuziali non era una vera celebrazione, la presenza di un solo membro per famiglia era sufficiente. Certo, Mari era la Belaya Sestra e avrebbe assistito Bethelie e Kristofer nel ricevere i regali, perciò ci si aspettava che i Metsiz avrebbero inviato qualcun altro a offrire il proprio; tuttavia non era obbligatorio che quel qualcuno fosse lui.

«Ho semplicemente deciso di fare un favore a me stesso e sollevarmi dall'obbligo di tollerare la presenza di Vladimir» disse, indurendo il suo tono. Gli era impossibile pronunciare quel nome senza increspare le labbra, come se ogni lettera fosse impregnata di acre veleno.

«So che tra voi non scorre buon sangue, ma non credi che sarebbe il caso di mettere da parte il vostro astio per il bene degli sposi?»

Brycen schioccò la lingua contro il palato. «Vladimir non ha intenzione di mettere da parte il suo astio, madre. E francamente non vedo come si possa giungere ad una tregua: lui è incapace di portare avanti una discussione a parole, mentre io mi rifiuto di impugnare una spada.»

«Presentati, almeno» lo pregò Jlenna. Gli accarezzò una guancia, sistemando dietro l'orecchio alcune ciocche viola sfuggite alle trecce. «Resta il tempo necessario a porgere i saluti e offrire il nostro dono, trascorri mezz'ora in loro compagnia e fatto ciò potrai congedarti con una qualche scusante.»

Era un buon suggerimento. Mari aveva speso una buona mezz'ora a cercare di convincerlo della stessa cosa, e persino Chloe si era mostrata concorde. Brycen sapeva già che i loro ragionamenti erano sensati: lui stesso avrebbe dato il medesimo consiglio, a ruoli invertiti, ma non era in grado di metterlo in pratica.

La sola idea di rivedere il suo ghigno beffardo era sufficiente a pizzicargli la pelle di un fastidio che rendeva insopportabile ogni cosa. L'aria era troppo pesante, la seduta scomoda, la camicia stretta; sentiva la penna ingombrante tra le dita e una gamba aveva cominciato a tamburellare sotto il tavolo. Sembrava che il cuore aumentasse la pressione a ogni battito e non c'era raziocinio che potesse fermare il processo.

Sarebbe stato diverso se avesse potuto contare su Edvokin, ma non era stato invitato al matrimonio. Vladimir doveva esserne soddisfatto; l'aveva infine avuta vinta e Brycen era certo che avrebbe approfittato della sua assenza. Neppure il pensiero di Chloe al suo fianco riusciva a placarlo – al contrario: se c'era la remota possibilità di riuscire a sostenere le offese nei suoi confronti, era certo che se avesse sentito una sola critica di Vladimir diretta a Chloe sarebbe esploso.

«Anche la mia pazienza ha un limite, madre. Questi giorni mi hanno sfiancato a sufficienza e non possiedo né la voglia né le forze di sopportare anche Vladimir» sputò fuori Brycen. «Se ha a cuore sua sorella come dice, mi lascerà in pace al ricevimento nuziale. Questa sera, però, non farebbe che sfruttare ogni pretesto per infastidirmi come suo solito: non aspetta altro che un'occasione simile, e io non ho intenzione di fare il suo gioco.»

«E sia: agisci come meglio credi. Sappi però che non sono affatto concorde con il tuo atteggiamento.» Jlenna drizzò il busto, sistemando lo scialle sulle spalle in una smorfia offesa. «Presenzierò io a nome della famiglia, ma sarebbe opportuno che mandassi un garzone per recapitare a Bethelie e Kristrofer le tue scuse. Tu e Chloe avete ricevuto un invito personale, non giustificare la tua assenza è una mancanza di rispetto e un segno di maleducazione.»

«Ne ho già parlato con loro di persona, ti assicuro che non si offenderanno.»

«Come potrebbe una chiacchiera raffazzonata essere accettabile? Dovresti fare le cose come si conviene, così che tutti gli invitati siano al corrente delle tue buone intenzioni.»

Brycen roteò gli occhi al cielo e sospirò di nuovo. «D'accordo, madre. Se proprio insisti, manderò un garzone.»

Strappò una pagina vuota dal taccuino, dove poter scrivere la bozza da riscrivere a modo su un foglio di carta da lettere. Quella richiesta era facile da soddisfare, ma lo infastidiva: non era che l'ennesimo gioco di apparenze, l'unica cosa che sembrava avere importanza all'interno di quella famiglia.

«Beyled candida, devi proprio assumere quell'espressione?» sbottò Jlenna, incrociando le braccia al petto. «Non lo dico certo per irritarti, anche se la tua smorfia suggerisce il contrario.»

«Sono solo stanco di dovermi preoccupare dei pettegolezzi, madre.» Brycen si passò una mano sul viso, massaggiando le tempie. «Sono stanco di tutto questo. Mi nascondo da tutta la vita: devo tacere sul mio Naru, sulle mie passioni, sulle mie ideologie, sulla mia professione e ora persino sulla mia relazione. E nonostante questo, qualunque cosa faccia c'è qualcuno che riuscirà sempre a trovare un pretesto per accusarmi, primi fra tutti i miei parenti.»

L'espressione di Jlenna mutò. Il risentimento scivolò via dal suo viso e per un lungo istante non ci fu che silenzio, fin quando un lento sospiro non abbandonò le sue labbra.

«So quanto sia difficile per te, Brycen. Non c'è nulla che desidero di più al mondo della tua felicità, te lo assicuro, ma è necessario accettare qualche compromesso per mantenere l'armonia familiare.» Jlenna parlò con cautela, carezzandogli un braccio. «Porta pazienza, te lo chiedo come favore di madre. Concordo nel definire certi atteggiamenti poco riguardosi, ma ti assicuro che non sono mossi da cattiveria alcuna. Nessuno dei tuoi parenti vuole il tuo male.»

«Non ne sarei così sicuro. Sembra che denigrarmi sia il loro passatempo preferito.»

«Oh, suvvia.» Jlenna sbuffò, arricciando le labbra a cuore in una smorfia. «Ognuno possiede la propria personalità con pregi e difetti, ognuno le proprie idee e i propri gusti. È naturale punzecchiarsi in famiglia sulle cose che meno gradiamo degli altri, non sei il solo con cui accade: tuo cugino Edvokin si prende gioco di tutti, eppure i suoi interventi spingono te per primo alla risata.»

«Non trovo corretto il paragone. Quello di Edvokin è mero sarcasmo, ma quanto è stato detto durante la cena—»

«Sarebbe stato un argomento superato alla svelta, se ti fossi limitato a restare in silenzio come ti ho sempre consigliato» lo sgridò Jlenna, mescolando amarezza e apprensione. «La condotta di Karamilla è stata sconveniente, e posso assicurarti che tua nonna l'ha rimproverata come si conviene, ma tu non hai agito in modo più maturo. Quale reazione ti aspettavi di ricevere, rispondendo a quel modo a tuo padre? Dovresti mostrare più accortezza nei tuoi atteggiamenti, se vuoi evitare la discussione.»

«Io vorrei affrontarla, madre, ma sono l'unico disposto a farlo.» Brycen incrociò i suoi occhi con uno sguardo severo, restituendole quel rimprovero che non sentiva di meritare. «Nessuno vuole ascoltare, ma tutti si arrogano il diritto di sputare sentenze; nessuno si preoccupa di gettare veleno e disprezzo su tutto ciò che mi sta a cuore, ma la colpa sarebbe mia che non subisco passivamente?»

«Conosci le circostanze tanto quanto me. Non è così che puoi sperare di migliorare la situazione, non otterrai nulla se ti mostri così ostile.»

«Non ho mai ottenuto nulla neanche con la condiscendenza» replicò Brycen. «E qual è la giustificazione riguardo Chloe? Parrebbe che abbiano da ridire persino sul fatto che sia troppo cortese. Karamilla la crede un'approfittatrice e Jakov la trova insopportabile, per nessuna ragione se non la forma dei suoi occhi.»

«La loro diffidenza nasce soltanto dalla preoccupazione, Brycen. Giungono tante di quelle notizie, oggigiorno, che è difficile persino comprendere cos'è vero e cos'è falso... E riguardo i jiyani, di rado queste voci sono positive.» Jlenna drizzò il busto, sistemandosi meglio sulla sedia. La sua espressione aveva assunto una sfumatura avvilita e il suo sorriso era incerto; era difficile da notare, ma la voce tremava appena. «Chloe è una ragazza squisita, ma non puoi pretendere che tutti accettino la sua presenza con immediatezza. Dovresti porre fine alle ostilità e concedere loro più tempo, vedrai che tutti cambieranno idea. Ho avuto modo di parlare sia con tuo padre che con le mie sorelle, in questi giorni, e ti assicuro che le loro opinioni nei confronti di Chloe si sono ammorbidite.»

Brycen inarcò un sopracciglio. «Ammorbidite?»

«So che l'idea di presentarla come meticcia non ti era gradita, ma è servita al suo scopo. Sapere che è cresciuta a Sayfa ha sedato le loro preoccupazioni, e il comportamento di Chloe ha completato l'opera: nessuno può negare che sia una ragazza a modo e ben educata, i suoi atteggiamenti in questi giorni sono stati impeccabili.»

L'espressione di Jlenna si illuminò di soddisfazione, le labbra piegate in un sorriso allegro. Sembrava fiera di quel risultato, ma Brycen le riservò un'occhiata incerta: dopo la disastrosa cena d'accoglienza aveva evitato l'argomento quanto più possibile, ma non gli sembrava che ci fosse stato un qualche miglioramento. Dai suoi cugini, no di certo; quanto ai suoi zii...

Era vero, che Chloe non aveva dato loro alcun motivo per lamentarsi. Il suo comportamento era stato eccellente, tanto da sorprendere persino lui: Chloe aveva eliminato ogni traccia del comportamento libertino che si concedeva a Sayfa, abbracciando le menzogne che avevano costruito per renderla più accettabile agli occhi degli zimei con una facilità disarmante. Non una singola parola fuori posto, non un gesto mosso dall'abitudine che sfuggiva al suo controllo, ogni reazione rispondeva perfettamente alle aspettative.

Le lezioni di Ianteh sono state utili, gli aveva detto quando si era complimentato con lei per quella recita. Forse avrebbe dovuto davvero chiedere a quel ragazzo qualche consiglio.

«Non ti nascondo che l'idea di un possibile matrimonio tra voi li aveva messi in agitazione, ma adesso ne sono favorevoli. Sono pronti ad accoglierla in famiglia» proseguì Jlenna. «Volevo discutere anche di questo: io e tuo padre riteniamo che domani possa essere un buon giorno per pronunciare le vostre Promesse.»

Brycen strabuzzò gli occhi. «Domani?»

«Se lo desideri, è chiaro.»

«Certo che lo desidero, ma perché questa fretta?»

«Fretta?» Jlenna liberò un'ampia risata, coprendo la bocca con una mano. Brycen però conosceva il modo in cui rideva sua madre, e quel suono era più acuto e nervoso di quanto avrebbe dovuto. «Hai ventotto anni, Brycen. E se rammento correttamente, il fidanzamento tra te e Chloe procede già da parecchi mesi nonostante abbiate entrambi età da matrimonio. Non si può certo parlare di fretta, qualcuno oserebbe persino sostenere che tu sia in ritardo.»

«Sai che non intendo questo, madre.» Brycen assottigliò lo sguardo, riducendo le labbra ad una linea sottile. «Non se n'è mai discusso apertamente in famiglia e non ci sarebbe tempo per conoscere i genitori di Chloe, o inviare loro quantomeno una lettera.»

«Ho già discusso io con tua nonna e le tue zie, non hai di che temere. E sono certa che i genitori di Chloe non si offenderanno nel ricevere la mia lettera in seconda istanza, so bene che il rito matrimoniale funziona diversamente fuori dai confini» spiegò Jlenna, lisciando la stoffa dello scialle sul petto. «Si sa che le Promesse pronunciate dopo una cerimonia nuziale sono benedette dalla Dea Bianca, perciò è un'occasione da non perdere.»

«Se fosse questo il motivo, il tuo consiglio sarebbe di aspettare le nozze di Mari e fare la proposta come si conviene.» Brycen marcò quelle parole con fastidio, tante erano le volte che sua madre le aveva ripetute. «Zio Wojek era disgustato da Chloe al suo arrivo, e fino a due giorni fa mio padre era tutt'altro che ben disposto nei suoi confronti. Senza considerare i commenti di zia Olga, le credenze distorte di zia Nvieska e la palese ostilità di zia Ljudmilla. Vuoi dirmi che non solo hanno cambiato idea così in fretta, ma sono persino concordi a procedere con la Promessa domani stesso? Non sono uno sciocco, madre. Cosa stai tramando?»

Jlenna offrì in risposta frasi confuse e balbettate, risolini nervosi, piccole smorfie; poi ogni traccia di finta allegria svanì dal suo sguardo, e sul viso calò un'ombra scura mentre abbassava gli occhi.

«Mi duole rivelarlo, ma l'arrivo di Chloe ha causato nuovi pettegolezzi sul tuo conto» rispose tutto d'un fiato, incrociando i suoi occhi con malcelata angoscia. «In città si mormora che il vostro fidanzamento sia una farsa, e che Chloe sia una fanciulla che hai pagato affinché interpretasse il ruolo della tua innamorata. Si dice che tu e Bethelie abbiate un accordo, a riguardo, in cambio di Pietre di Sihir dalle nostre Cave.»

«Questo è ridicolo!»

Il perfido sorriso di Karamilla si fece spazio tra i suoi pensieri. Le accuse che gli aveva rivolto non potevano essere una casualità: che avesse solo riportato il pettegolezzo o che l'avesse messo in circolazione lei stessa, dopo la loro discussione doveva aver deciso di alimentarlo. A Brycen sembrò di udirla sghignazzare, soddisfatta per la riuscita del suo dispetto.

Respirò a fondo, sentendo la mascella tremare sotto i denti serrati. Nella loro ipocrisia, i suoi parenti confinavano accuse e pettegolezzi alle mura domestiche: non avrebbero rischiato di infangare pubblicamente il nome di uno di loro, perché lo scandalo del singolo avrebbe portato disonore all'intera famiglia. Karamilla era egoista al punto da ignorare persino questo concetto?

«Non crucciarti, Brycen. Sono solo pettegolezzi» lo rassicurò Jlenna, accarezzandogli una spalla. Si premurò di lisciare le pieghe della camicia, come se fosse sufficiente sistemare quei dettagli per rimettere ogni cosa al suo posto. «Nel momento in cui pronuncerete le Promesse pubblicamente, tutti si ricrederanno. E quando Beyled vi benedirà con il primo figlio, qualsiasi diceria sarà—»

«Volete che la sposi per questo, vero? Per mettere a tacere i pettegolezzi.»

Jlenna abbassò lo sguardo. «Non voglio influenzare la tua decisione, per questo l'avevo taciuto, ma è innegabile che la tua reputazione ne gioverebbe. Cerca di comprendere la situazione, te ne prego: circolano voci sin dalla giovinezza, poi il tuo fidanzamento sospetto con Bethelie....»

«Sospetto?» Brycen liberò uno sbuffo scettico, quasi derisorio. «Si mormorava di un possibile matrimonio prima ancora che la nostra relazione diventasse ufficiale. Chiunque era certo che avremmo convolato a nozze.»

«Per l'appunto. Ma non hai chiesto a Bethelie di sposarla quando ha raggiunto la maggiore età, e in città si sono dunque interrogati sulle motivazioni» spiegò Jlenna, senza nascondere un accenno di rimprovero. Te l'avevo detto, suggeriva la sua espressione stizzita, avresti dovuto ascoltare le mie parole.

Sua madre l'aveva vessato per settimane affinché sposasse Bethelie al suo ventesimo compleanno, ma la legge vietava di viaggiare oltre i confini di Zima prima dei ventun anni. Se avessero celebrato subito il matrimonio, Brycen sarebbe stato costretto a vivere in casa Toralov per un anno intero – e si rifiutava di condividere il tetto con Vladimir, fosse anche per un solo giorno.

«In conclusione non c'è stato alcun matrimonio, e la vostra relazione è terminata in concomitanza alla tua partenza per Sayfa. In città si è ritenuto lecito supporre che il vostro sia stato un matrimonio di convenienza, un accordo portato avanti fintanto che era necessario. In molti ritengono che fosse solo una copertura per... Beh, puoi immaginare per che cosa.» Jlenna si schiarì la voce, abbassando lo sguardo in imbarazzo. «E ora pensano che sia Chloe a svolgere il medesimo ruolo. Il tuo fidanzamento con lei è giunto inaspettato, e coinciso guardacaso con la notizia della Promessa di Bethelie. Per di più, parliamo di una jiyana... ma non dovresti stupirti se in città hanno tracciato i collegamenti che ritenevano più veritieri. Puoi biasimarli, di fronte a tante coincidenze?»

Brycen si accigliò. «Condividi i loro sospetti, madre?»

«Per il sette colori, non potrei mai!» Jlenna sussultò, afferrando la mano di Brycen che teneva la penna. «Lo giuro sul candido nome di Beyled, non ho mai dubitato della sincerità del vostro affetto reciproco. Ho fiducia nelle tue parole, so che se celassi un simile segreto me ne avresti già parlato.»

«E mio padre? Le mie zie, mia nonna... Loro temono che sia vero, non è così? Ecco perché vogliono che il matrimonio avvenga il prima possibile. Piuttosto che sapermi innamorato di un uomo, preferiscono che sposi una jiyana: non sono pronti ad accoglierla in famiglia, hanno solo scelto il male minore.» Brycen si rigirò quelle parole sulla lingua, il sapore acre della delusione a sporcargli le labbra. «No, è il contrario: sarò io a far parte della sua famiglia. Quando sposerò Chloe non sarò più un Metsiz. Vogliono liberarsi dei pettegolezzi tanto quanto della mia presenza.»

«Come puoi pensare una simile crudeltà?» Jlenna scattò in piedi. Nei suoi occhi c'era un tale dolore che Brycen si pentì di aver pronunciato quelle accuse ad alta voce, sentendo accartocciarsi lo stomaco. «Tu sei mio figlio, Brycen, e lo sarai anche quando cambierai cognome. Lo saresti persino se fossi un invertito, così come non hai smesso di esserlo quando ho scoperto che sei un Dotai. Credimi, non è per scacciarti che ti ho offerto il mio consiglio, la mia intenzione era solo—»

«Ti credo, madre. Ti credo.» Brycen si alzò, raccogliendo le mani di Jlenna tra le sue. Lei riprese fiato a fatica, le labbra tremanti e gli occhi lucidi; era facile al pianto, ma le sue lacrime erano sempre sincere. «So che tu non avresti agito in modo così subdolo, ma puoi dire lo stesso degli altri? Pensi che avrebbero usato le tue stesse parole, se i sospetti su di me fossero fondati? Pensi che avrebbero accettato l'idea che sono partito per diventare una professoressa? Pensi che mi chiamerebbero ancora figlio, nipote e cugino se sapessero che sono un Dotai?» Brycen deglutì. Gli occhi pizzicavano, la gola si era annodata in un groviglio che non era in grado di sciogliere. «Non mentire. Se hai mantenuto il segreto sul mio conto è perché conosci la risposta a questa domanda. Hai dovuto cercare compromessi perché non c'era altra scelta, hai lasciato che mio padre mi... educasse a suo modo perché sapevi che non avrebbero accettato altro.»

Jlenna si irrigidì. Il viso si fece paonazzo mentre boccheggiava, distogliendo lo sguardo. «Hanno difficoltà a comprendere certe questioni, ma ciò non significa che—»

«Nessuno si è mai interessato alla mia malattia» la fermò Brycen. «L'hai mai notato? Tu e Mari siete al corrente della verità, ma il resto della famiglia crede che mi sia trasferito per ricevere cure specifiche. Eppure nessuno si è mai preoccupato di chiedermi come sto, come procede il trattamento o banalmente come fosse la mia vita lì. Edvokin è l'unico ad aver posto domande su di me e sulla mia salute, che abbia espresso il desiderio di farmi visita – cosa che zia Olga gli ha impedito di fare, e sappiamo che non è il viaggio a preoccuparla. Sostieni che non vogliono il mio male, ma solo fintanto che corrispondo alle loro aspettative. Quanto al resto, a nessuno importa.»

Jlenna aprì le labbra e le richiuse, spingendo lo sguardo ancora più in basso. Mormorò qualcosa che Brycen non riuscì a cogliere, forse delle scuse, mentre le mani tremavano tra le sue. Gli occhi vacui fissavano il pavimento, ma sembravano non guardare nulla.

«Non so neanche perché mi stupisco così tanto. Non so cosa mi aspettavo.» Brycen soffiò una risata amara, liberandola dalla sua presa.

Lo sapeva, anche senza quell'implicita conferma. L'aveva sempre saputo. La speranza che i suoi parenti potessero cambiare idea, che non fossero così spietati da curarsi delle dicerie più della sua felicità, era solo un'illusione. Perché non riusciva a lasciarla andare?

«Edvokin ha ragione» sussurrò, ridendo di nuovo. «Dovrei far suonare i tamburi.»

Superò sua madre senza rivolgerle lo sguardo. La udì chiamare il suo nome mentre spalancava le pesanti porte della biblioteca, ma la ignorò; proseguì a passi svelti lungo il corridoio, finché non intercettò la presenza di un domestico.

«Weimar» lo chiamò, a voce ben alta. C'era sempre qualcuno in ascolto tra le mura di casa; che sentissero. «Ti chiedo la cortesia di spostare la valigia di Donzella Chloe e tutti i suoi averi nella mia camera da letto. Prepara la stanza affinché possa accogliere entrambi e occupati di sistemare la toletta, includendo trucchi e accessori femminili.»

L'uomo sbiancò. «Donzel Brycen, voi... Ne siete certo?»

«Più che certo, Weimar. Non preoccuparti di portare dei paraventi: le damigelle potranno vestire e acconciare Donzella Chloe in mia presenza.»

«Brycen! Per i colori della Dea!» Jlenna giunse trafelata al suo fianco e gli afferrò un braccio, stringendolo con mani tremanti. «Che significa tutto questo?»

«Se la famiglia desidera così ardentemente una prova che possa sedare i pettegolezzi, mi sembra doveroso procurargliene una: informa loro che io e Chloe condivideremo il letto, questa notte. In verità abbiamo giaciuto insieme, di nascosto, fin dal nostro arrivo.» Brycen strattonò il braccio via dalla presa di sua madre. «Ritieni che sia sufficiente o vuoi invitarli a entrare per vedere con i loro occhi?»

Jlenna avvampò, coprendo la bocca con le mani in un sussulto. Anche il viso di Weimar si fece paonazzo, e solo allora Brycen realizzò cos'aveva detto: serrò le labbra e puntò lo sguardo ai suoi piedi, ma la collera era più forte della vergogna. Nella sua mente c'era spazio soltanto per gli sguardi sprezzanti dei suoi parenti, e quello gelido di suo padre dominava tra tutti.

«Fa' come ti ho detto, Weimar, o me ne occuperò da solo.»

Brycen si voltò, allontanandosi senza lasciar loro il tempo di replicare.


Che dire, le cose si mettono sempre meglio e i Metsiz si riconfermano la famiglia migliore del mondo, piena di comprensione e amore (:

Se Brycen arrabbiato vi aveva sorpresi tanto, sono un sacco curiosa di vedere le reazioni a questa conclusione di capitolo xD Succede così raramente, che Brycen prenda decisioni così d'istinto, che possiamo davvero segnarlo sul calendario!

E di Jlenna, invece, che ne pensate? Su di lei ci sono stati tantissimi accenni nel corso della storia, sia positivi che negativi, ma credo che questo confronto aiuti ad inquadrare meglio la sua personalità e, soprattutto, la sua costante ricerca di un equilibrio impossibile.

Spero siate pronti per il matrimonio di Beth, piuttosto: ormai ci siamo! ♥ 



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