Capitolo 37 - Chi sei davvero [1/2]

KKarsel schiaffeggiò l'aria con la coda, nitrendo in uno sbuffo infastidito quando Chloe avvicinò la mano al suo muso. Agitò la testa e si tirò indietro in uno scalpiccio di zoccoli, borbottando finché lei non si arrese e abbassò il braccio.

«Mi sa che non gli piaccio proprio» disse Chloe, in sayfano.

Brycen le baciò la fronte corrucciata. «Non dartene pena: Karsel possiede una natura bisbetica, rifiuta chiunque tranne me. Mi sono occorsi mesi per convincerlo a far montare in sella anche Bethelie, e non lo faceva mai senza ribellarsi.»

Brycen sollevò una mano e Karsel sbuffò di nuovo, scompigliando le ciocche sottili che scivolavano ai lati del viso. Il resto dei capelli era raccolto in una treccia che partiva dall'attaccatura della fronte e accoglieva due trecce laterali più piccole, proseguendo fino al centro delle scapole. La pelle tirava in modo fastidioso quando aggrottava le sopracciglia o girava il collo; non era più abituato ad acconciature intricate come quella.

Anche la criniera di Karsel era intrecciata. Brycen la lisciò con le dita, ma il cavallo protestò con un nitrito che aveva il suono di un rimprovero.

«Pare sia ancora arrabbiato con me» sospirò Brycen. «Ha borbottato anche ieri. Suppongo di dovermi farmi perdonare per averlo trascurato così a lungo.»

Gli accarezzò il collo e lo massaggiò sotto le orecchie, attraversando il manto grigio con cautela. Quando i soffi lamentosi si chetarono, lasciò scorrere le mani lungo il muso. Karsel spinse la testa in avanti e Brycen vi appoggiò la fronte, respirando insieme a lui finché non lo sentì rilassare i muscoli.

«Siete adorabili.» Chloe liberò un mugolio intenerito. «Hai mai pensato di portarlo a Mehtap?»

«Karsel non è abituato a viaggi così lunghi.»

Brycen arricciò il naso. Era vero, ma quella giustificazione suonava più debole di quando l'aveva formulata anni prima. Karsel possedeva la stazza imponente e robusta tipica degli shire, in grado di sopportare sforzo e fatica. Aveva trainato carrozze, scalato montagne, raggiunto Brethstard al galoppo senza dare cenni di cedimento. Brycen avrebbe potuto tentare, ma aveva preferito arrendersi.

«Valuterò l'idea» si corresse, e le labbra di Chloe si curvarono in un sorriso soddisfatto. «È ancora giovane e in forze, potrebbe essere fattibile.»

«E magari col tempo diventeremo amici.» Chloe allungò piano il palmo verso il muso di Kalsel. Lui la scrutò guardingo, poi si scansò nell'ennesimo sbuffo.

«Su questo non assicuro nulla» rise Brycen. Prese Chloe per mano e la guidò più avanti, mostrandole una piccola fjord dalla criniera bianca e nera. «Per il momento, sarà meglio farti cavalcare Lorelei.»

Si riunirono a Edvokin e Mari, già in sella ai loro destrieri, e attraversarono al trotto la periferia di Kholod. I sentieri boschivi e le pianure innevate lasciarono il posto al perimetro interno della città, dove gli edifici iridescenti cominciavano a radunarsi in strutture sempre più piccole e omogenee. Erano ancora troppo distanti tra loro per delimitare vere e proprie vie; le strade prendevano quel nome solo a partire dal quarto anello, riducendosi a corridoi sempre più sottili man mano che ci si avvicinava al centro cittadino.

La locanda in cui lavorava Gavriil era situata al confine tra il quinto e il sesto anello, adiacente alla stazione di posta che solo i viaggiatori più facoltosi potevano permettersi. Per i residenti era ritrovo di bevute, ma di rado vi si recavano anche per mangiare: pranzi e cene andavano condivisi con i parenti, salvo celebrazioni o inviti. Le famiglie più abbienti però accoglievano gli amici nelle proprie dimore, avvalendosi dei cuochi privati, mentre quelle più modeste preferivano le economiche taverne degli anelli interni. Gavriil stesso non avrebbe dovuto essere in grado di ospitare un pranzo in un locale così lussuoso, ma i suoi datori di lavoro sapevano che la sua situazione economica sarebbe migliorata dopo le sue nozze.

A Brycen la scelta del luogo non importava. Era lieto di avere una buona scusa per evitare un pranzo con i suoi parenti; era lieto di festeggiare la Promessa tra Gavriil e Mari, anche se in ritardo.

Ed era lieto di rivedere Bethelie. Li attendeva di fronte all'ingresso, radiosa nel suo bunad verde e oro, con il braccio stretto a quello del suo futuro sposo. Kristofer aveva la postura rigida da soldato, una barba rossa completa e un viso squadrato dalle sopracciglia folte che gli conferivano un'aria minacciosa. Mari lo aveva definito composto e garbato, un perfetto uomo dell'ovest, ma Brycen sentì addosso il suo sguardo perforante quando strinse le mani di Bethelie per il saluto.

Lei ridacchiò, gli occhi lucidi mentre Brycen portava le sue nocche alla fronte. «Vale lo stesso per me.»

Brycen aggrottò la fronte. «Non ho ancora detto nulla.»

«È mai stato necessario?»

Una risata leggera gli sfuggì dalle labbra. Mi dispiace, mi sei mancata, sono felice di rivederti... Brycen aveva vergato nelle sue lettere così tante parole, e mille altre avrebbe voluto pronunciarle ad alta voce, ma sarebbe stato superfluo. Bethelie era sempre riuscita a leggere i suoi silenzi, i suoi sguardi, i suoi pensieri.

Era lui che era diventato incapace di fare lo stesso, che aveva smesso di chiedersi cosa celasse il suo sorriso – e voleva tornare a farlo. Voleva tornare a quel tempo in cui nulla valeva più della loro amicizia, in cui non avevano bisogno di parlare per comprendersi.

Vale lo stesso per me.

«Colori! È l'orologio a mentire o Edvokin è davvero arrivato puntuale?»

Gavriil si accostò all'uscio sempre aperto della locanda, ridendo di un'ilarità che coinvolse il gruppo. I capelli d'ebano erano tirati all'indietro in una semplice coda e il bunad che indossava era di un verde troppo spento per essere considerato dignitoso, ma di buona fattura.

«Merito di mio fratello: pare sia l'unico in grado di persuaderlo a far qualcosa» disse Mari, sfoggiando un sorriso luminoso nel porgere le mani al suo promesso.

Gavriil si presentò a Chloe subito dopo, e così anche Kristofer. Brycen ne scrutò le espressioni mentre portavano le sue nocche alla fronte: il primo sfoggiò un sorriso ampio, gli occhi neri che tradivano una punta di curiosità; il secondo offrì un saluto rigido ma cortese, privo di pregiudizio, e Brycen liberò la tensione in un sospiro di sollievo.

Doveva aspettarselo: né Mari né Bethelie avrebbero accettato al loro fianco un uomo di mente ristretta o cuore arido – sebbene Kristofer continuasse a tenerlo d'occhio. Il suo sguardo si faceva severo quando lo vedeva rivolgere a Bethelie la parola, e a Brycen non era sfuggito il modo in cui si intrometteva in ogni loro discussione, stringendosi a fianco della sua promessa ogni volta che notava incrociarsi i loro sguardi. Non gli era apertamente ostile, però, e Brycen si sarebbe accontentato di quello.

Aveva bisogno di quel pranzo, di ritagliare insieme ai suoi affetti uno scorcio di serenità che appartenesse soltanto a loro. Uno spazio in cui Mari e Gavriil potessero condividere non solo i dettagli della loro Promessa, ma anche quelli sui loro progetti futuri; uno in cui Chloe poteva sentirsi libera di mostrare il suo entusiasmo e la sua frizzante personalità; uno in cui poter discutere di qualunque argomento senza curarsi dell'etichetta, ignorando gli sguardi e i giudizi esterni.

Kholod avrebbe chiacchierato di loro – che fosse per la presenza di Chloe, per Bethelie e Brycen seduti allo stesso tavolo, per Mari che avrebbe sposato un semplice cuoco o per Edvokin che corteggiava troppe donne senza offrirsi in marito a nessuna – ma, almeno per un paio d'ore, potevano fingere che il mondo attorno a loro non esistesse.

E per quel paio d'ore, per la loro compagnia, per il suono delle loro voci e la vista dei loro volti felici, sarebbe sempre valsa la pena di tornare a Zima.

«Oh, Beyled candida. Sono già le quattro?» Mari alzò lo sguardo verso il grande orologio a pendolo che affiancava il bancone. «Meglio andare. Donna Mirjana sarebbe in grado di negarci l'ingresso se dovessimo presentarci in ritardo.»

«Mi piacerebbe che potessi venire con noi» disse Chloe, stringendo la mano di Brycen nella sua. «Non vorrei lasciarti da solo, già ieri siamo state via per mezza giornata...»

Brycen intrecciò le dita alle sue. «È solo la prima prova dell'abito, ci sono buone probabilità che siate a casa prima del tramonto.»

«Non temere, Donzella Chloe: sarà mia premura tenere compagnia a mio cugino durante la tua assenza. Per grazia di Beyled, nella nostra magione c'è sufficiente alcol da impedire a qualunque uomo di annoiarsi.» Edvokin riempì di vodka il suo bicchiere, bevendo in un rapido sorso. Per le norme della buona educazione non avrebbe dovuto servirsi da solo, ma non avrebbe dovuto neppure lasciare i capelli sciolti o tenere il kaftan sbottonato a mostrare la blusa azzurra che stava al di sotto. E le donne che frequentavano la locanda avrebbero dovuto lamentare le sue lacune in raffinatezza e creanza, invece lo seguivano con sguardo e gli rivolgevano occhiate languide e sorrisi sognanti. «Ho di recente acquisito una bottiglia di nalewka che sono certo delizierà i vostri palati. Gradiresti condividere qualche bicchiere con noi, Gavriil?»

«Sarebbe splendido, ma devo rifiutare. A breve sarò richiesto in cucina.»

«Quale tragedia» sospirò Edvokin, una mano premuta sul cuore. «Alle volte dimentico che tu sia schiavo di quell'orrenda malattia che risponde al nome di avere un mestiere. Ne sono costernato. Ti scongiuro, cugina, sposalo in fretta e guariscilo da questo terribile male.»

Gavriil si grattò la nuca, arrossendo un poco. «Cucinare mi aggrada. Tutto sommato è un buon lavoro...»

«Beyled candida, è più grave di quanto credessi. Vaneggia! Proferisce follie! Qualcuno salvi il mio amico dai suoi deliri, prima che sia troppo tardi!»

«Quanto a voi, Donzel Kristofer? Vi unite a noi?» Brycen indossò il suo sorriso più cortese.

Lui non ricambiò. «La prossima volta. Non sarebbe cortese lasciare che le Donzelle facciano rientro da sole, senza accompagnamento.»

«Certo che no, sarebbe inammissibile» si intromise Edvokin. «Sia mai possano smarrire la via nei due o tre tysna che separano la locanda dalla dimora Toralov. È una lieta circostanza che possano contare sulla presenza di un coraggioso soldato che possa ricondurle sane e salve a casa, non immagino come avrebbero fatto altrimenti.»

Kristofer si accigliò, ma non raccolse la provocazione. Si congedò per recuperare i cavalli e Bethelie lo seguì, anticipando le altre ragazze alla stazione di posta.

«Senza dubbio un brav'uomo, ma... Per i sette colori, quant'è noioso.» Edvokin sbuffò, abbottonando il kaftan fino al collo. «Sempre così zelante. E gradirei sottolineare che muovo questo commento pur essendo cresciuto affiancandomi al qui presente Brycen, un'eccellenza in ambito di coscienziosità.»

Brycen inarcò un sopracciglio. «Non sono così rigoroso.»

Gli sguardi si alzarono verso di lui in sbuffi increduli, poi l'ilarità trattenuta tra le labbra arricciate sfociò in una risata piena.

«Te lo concedo, cugino, sai essere divertente. Un pregio di cui mi prendo personalmente il merito.» Edvokin rise di nuovo, poi offrì a Mari i palmi in attesa delle mani. «Dunque ti saluto, dolce cugina, ma a malincuore. Soffrirò la tua mancanza, oh meravigliosa creazione di Beyled, pregiata essenza la cui sola vista dona incommensurabile gioia a occhi e cuore.»

Mari sbuffò, gonfiando le guance in una smorfia offesa. «Non ho intenzione di presentarti alle sorelle di Kristofer.»

«Ritiro tutto: sei spietata, crudele in ogni sfumatura.» Edvokin rise, e quando portò le sue nocche alla fronte anche l'espressione di Mari si distese. Si voltò allora verso Chloe, ripetendo il gesto di saluto. «Attenderò con ansia il tuo ritorno a casa, Donzella Chloe. Nell'eventualità che ti raggiunga la rivelazione di aver scelto il cugino sbagliato, avrei piacere di informarti che la mia stanza è situata al terzo pian—» Mari lo tirò per un orecchio, fulminandolo con lo sguardo. «Ahia! Scherzavo, scherzavo!»

Brycen si unì alle risate, offrendo i suoi saluti prima di abbandonare la locanda con Edvokin. Fecero ritorno alla magione in uno sfrenato galoppo, allungando il tragitto fino al lago ghiacciato. Se fosse stata una gara, avrebbe vinto Edvokin – come sempre. Brycen non ricordava di essere arrivato alla scuderia prima di lui una singola volta.

Suo cugino possedeva tutte le qualità in cui lui era carente. Chloe aveva ammesso di trovarlo attraente, e qualunque persona dotata di vista avrebbe detto lo stesso: possedeva un fisico scultoreo e un viso espressivo, composizione armonica di lineamenti marcati che faceva da cornice a due occhi azzurri screziati di smeraldo.

Era eccellente nel duello, egregio nella caccia, fluido nella danza. Possedeva una tale arguzia da ingraziarsi il favore di uomini e donne persino quando si prendeva gioco di loro. Era facile credere che fosse egocentrico, superficiale e capriccioso, dato che si impegnava così tanto per apparire tale: orientava la sua vita al mero divertimento e poneva la sua personale libertà sopra ogni altra cosa, ma quanto più sfidava le norme convenzionali e tanto più catturava sguardi e interesse, ammaliando chiunque con il suo innato carisma.

Un tempo Brycen aveva creduto che, se fosse riuscito a imitarne il comportamento sfacciato e provocatorio, forse il parere sul suo conto sarebbe cambiato. Forse avrebbe imparato anche lui a prendersi gioco della società e delle sue regole senza subirne le critiche, le pressioni e l'emarginazione. Un'idea ingenua e sciocca: Brycen non era Edvokin. Suo cugino poteva permettersi di agire al limite del decoro, danzando tra uno scandalo e l'altro, perché il suo atteggiamento era considerato irriverente ma spiritoso, stravagante, innocuo; quello di Brycen, osceno e traviato.

Pericoloso, l'aveva definito sua zia Olga. Aveva persino vietato a Edvokin di giocare con lui, quand'erano bambini, sebbene così facendo aveva ottenuto l'esito opposto. Brycen ricordava di averla sentita lamentarsi più volte con sua madre, esprimendo il timore che Edvokin potesse essere contagiato dalla sua vicinanza. Nella sua ingenuità di ragazzo, aveva creduto che parlasse della sua presunta malattia; solo anni dopo aveva compreso di cosa sua zia avesse davvero paura. Un effeminato in famiglia era già troppo, meglio non rischiare di averne due.

«E dunque?»

Brycen sobbalzò, sbattendo le palpebre. «E dunque cosa?»

«Hai intenzione di rendere partecipi i presenti – ossia io – delle tue ponderazioni?»

Raggiunto il gran salone, Edvokin aveva estratto dalla dispensa una bottiglia di vetro decorato che lasciava intravedere il liquido rossastro al suo interno. Brycen si rese conto di avere tra le mani un bicchiere già pieno, ma non ricordava di averlo afferrato: era così perso nei suoi pensieri che doveva averlo fatto in automatico.

Sollevò le spalle, sedendosi sul divano di velluto verde e rosso. «Non è nulla di che, in realtà»

«Cugino, tra le tue peculiarità risulta quella di essere fisicamente incapace di pensare a "nulla di che". Se sia un pregio o un difetto, mi è ancora difficile definirlo.» Edvokin sghignazzò, riempiendosi un secondo bicchiere; il primo lo aveva già svuotato.

Brycen avvolse il suo tra le dita. Il nalewka era più buono se bevuto ghiacciato; sarebbe stato sufficiente un respiro, sfiorare il bicchiere con Subsidence un solo istante. Nulla di più semplice. Doveva solo lasciar fluire il Sihir nel suo petto... E suo cugino avrebbe capito, senza bisogno di parlare.

Da anni desiderava liberarsi di quel segreto, abbattere l'unico muro che ci fosse mai stato tra loro. Se c'era una persona a cui avrebbe affidato la sua vita senza esitazione, era Edvokin; Brycen sapeva di avere il suo affetto, la sua lealtà, la sua comprensione. Era sempre stato al suo fianco e lì sarebbe rimasto, come gli aveva sempre assicurato.

Eppure le sue mani tremavano. La bocca era secca, vittima di un retrogusto amaro che impastava la lingua. Tentò di schiudere le labbra, ma fu inutile; era a malapena in grado di respirare, perché il petto sembrava ripiegarsi su se stesso un po' di più a ogni battito di cuore. Non riusciva a liberarsi di quel timore, così irrazionale che la sua mente faticava ad afferrarlo, a dare una forma a quelle ombre che si insinuavano sotto la pelle scavando solchi sempre più profondi.

Non poteva contrastarlo. Tutto ciò che sapeva sui Dotai sembrava svanire, ingoiato dall'oblio. Era di nuovo un errore, una blasfemia, un mostro, e ogni sicurezza che avesse mai raggiunto diventava polvere tra le sue dita. Ne restava solo una, l'unica a cui sentiva la necessità di aggrapparsi: Edvokin era una delle persone più importanti della sua vita e Brycen poteva sopportare la sua lontananza, ma non la sua assenza.

Gettò la testa all'indietro, bevendo fino a svuotare il bicchiere. Quando il pensiero di usare Subsidence abbandonò la sua mente, anche la tensione si sciolse. «Che ne diresti di aggiornarmi sulle novità più recenti?»

«Mari non ti ha già fornito un elenco completo di quanto accaduto a parenti e amici, corredato di commentario?» Edvokin sistemò una sedia di fronte a lui e si sedette di sbieco, sfruttando il basso schienale come appoggio per il braccio, la voce balbettante. «Lei sì che ha un eccellente talento nel rendere accattivante la più noiosa delle situazioni. Parola mia, dovrebbe raccogliere le sue osservazioni e mettere quelle in musica, ne verrebbero fuori canzoni di un divertimento senza eguali. Io gliel'ho proposto con le migliori intenzioni, ma lei ha creduto che scherzassi.»

«Un fraintendimento inaspettato. Dopotutto la serietà sembra ti sia cucita addosso.»

«Quella è una qualità che appartiene a te, Yce, e io nutro troppo rispetto nei tuoi confronti per privarti dell'esclusiva.»

Brycen liberò una breve risata. Allungò il bicchiere e lasciò che Edvokin lo riempisse di nuovo, bagnandosi le labbra. «Mi riferivo alle tue novità, Kin. Sei troppo conciso nelle tue lettere.»

«È un tentativo di riequilibrare la corrispondenza, poiché tu sei sufficientemente prolisso per entrambi» lo rimbeccò Edvokin, agitando una mano. «Come potrei accontentarmi di vergare lettere, se mi rendi così piacevole passare il tempo in tua compagnia? È naturale che scrivere diventi per me una sofferenza. Sarai tuttavia soddisfatto di sapere che i miei progetti di vita sono rimasti inalterati, ossia felicemente assenti. Forse non ho taciuto niente di rilevante. O forse sono straripante di liete novelle e l'alcol mi ha portato a dimenticarle tutte; in effetti, sarebbe un'opzione verosimile.»

«Perciò le tue giornate sono divenute irrilevanti? Ti sei infine abbandonato alla monotonia dello scorrere del tempo, cedendo a una quotidiana uniformità di eventi?»

«Per cortesia, Yce, poni fine alla mia vita se dovessi mai accennare un simile pensiero! Banalmente, trovo che le mie giornate siano più interessanti da vivere, che da raccontare... Perciò temo che dovrai concedermi il tuo tempo e la tua presenza, se sei interessato a saziare la tua curiosità.»

«Perché ho la sensazione che tu abbia già qualcosa in mente?»

Edvokin avvicinò la sedia e si piegò in avanti, come se volesse condividere un segreto. «Chloe ti ha mai visto ubriaco? Davvero ubriaco, intendo.»

«Non così ubriaco, ma non ero molto lucido quando mi sono dichiarato a lei.»

«Oh, quello lo supponevo. Neanche la più fervida immaginazione riuscirebbe a suggerirmi come un simile scenario si sarebbe potuto avverare nel modo in cui l'hai descritto, se fossi stato sobrio» disse Edvokin, buttando giù il nalewka. Il suo bicchiere non restò vuoto a lungo: prima di riprendere a parlare, l'aveva già riempito. «Ad ogni modo, come regalo tardivo da parte mia per il vostro fidanzamento, pensavo di donarle la possibilità di assistere a questo magnifico quanto surreale spettacolo. Mi rattrista non poter presenziare al matrimonio di Bethelie, sarebbe stata una deliziosa occasione per questi miei propositi. Un vero peccato.»

«Un peccato per i tuoi propositi... o per le sorelle di Kristofer?»

Edvokin allungò un sorriso furbo. «Una più squisita dell'altra, mio caro Yce. Tuttavia la mia preferenza si è posata su Ewa Borg: trentaquattro anni e già vedova, povera creatura. Una donna così giovane non dovrebbe portare il grigio del lutto troppo a lungo, concordi?»

«Ewa Borg» ripeté Brycen, rigirandosi il bicchiere pieno a metà tra le dita. «Mari mi ha riferito che Vladimir abbia seria intenzione di corteggiarla. Devo supporre che questo tuo interesse verso di lei non abbia correlazione alcuna con questa notizia, non è così?»

«Che incredibile e oltremodo inaspettata coincidenza.»

«Kin

«È forse reato corteggiare una donna? È a lei che spetta la scelta, sicché nessuno potrebbe accusarmi di aver mancato di rispetto a Vladimir se lei dovesse preferire me. Non è certo una mia colpa se le fanciulle mi reputano più interessante, più divertente e più avvenente di lui...» Si fermò, accarezzando il mento liscio. «Rettifico: per quest'ultima potrei aver contribuito, in effetti.»

Brycen lasciò ciondolare la testa di lato. Non gli piaceva il modo in cui Edvokin rideva delle sue gesta, ma l'idea di Vladimir ignorato a causa sua era divertente. Lo immaginò furente di rabbia e gelosia di fronte all'ennesimo rifiuto e dovette schiarirsi la voce per scacciare quell'ilarità, portando il bicchiere alle labbra per cancellare il sorriso.

«Troppo tardi, cugino. Ho visto che ridevi.» Edvokin gli afferrò la mano, versandogli altro liquore. «Non sprecare fiato nelle tue solite prediche morali. Puoi concederti di odiare Vladimir, Beyled in persona sosterrebbe che tu ne abbia il diritto. E che vita grama sarebbe, se ci fosse vietato gioire per la disfatta dei nostri nemici!»

«È scorretto nei confronti di Donna Ewa. O vorresti dire che sei realmente intenzionato a sposarla?»

«Sposarla? Colori, Yce, che verbo agghiacciante. Stuzzica il mio interesse, questo posso assicurartelo: crine di un nero intenso come piume di corvo, penetranti occhi color dell'oro, invitanti labbra carnose. La gravidanza le ha fatto dono di fianchi rotondi e seni floridi con cui agogno di fare conoscenza. Pensavo—»

«Ho afferrato il concetto, Kin. Risparmia pure i dettagli.»

Edvokin sollevò un sopracciglio. Si alzò per lasciarsi cadere sul divano, circondando le spalle di Brycen con un braccio.

«Dunque è successo.» Curvò le labbra in un sorriso beffardo. Si avvicinò abbastanza da fargli sentire l'odore del nalewka mentre parlava, la voce ridotta a un sussurro mellifluo. «Com'è stato? Suvvia, Yce, a me puoi raccontarlo.»

«A cosa ti riferisci?»

«Al sesso.»

Brycen avvampò. Inspirò a fondo e vide gli occhi di suo cugino brillare di malevola curiosità mentre lui boccheggiava, la sorpresa incastrata tra le labbra in balbettii inconcludenti.

«Non sei arrossito» spiegò Edvokin. «Prima, non adesso. È affascinante la quantità di sfumature di rosso che riescono a colorare il tuo viso, questo va sottolineato. Ciò detto, è la prima volta che muovo simili commenti e non ti vedo assumere un'espressione sconcertata, perciò qualcosa dev'essere cambiato per certo. Mari aveva supposto, ma questo rappresenta la conferma: l'irreprensibile Brycen Metsiz ha infine ceduto ai piaceri della carne, non è così?»

«Io...» Brycen deglutì a vuoto. Edvokin lo fissava con tale malizia che fu costretto a distogliere lo sguardo, sentendo il petto agitarsi per l'imbarazzo. «Non c'è nulla da dire. E sai bene che non dovremmo parlarne a porte aperte, potrebbe sentirci qualcuno.»

«E se anche fosse? La troveresti una tragedia?» Edvokin gli offrì un sorriso sghembo, bevendo ciò che rimaneva del suo liquore. «Sei stato tu a sostenere, se ben rammento, che la castità in quanto virtù sia un costrutto sociale che non ha nulla a che fare con gli insegnamenti di Beyled, dunque non v'è motivo di provare vergogna. Invero dovresti far suonare i tamburi e rendere partecipe l'intera famiglia: parola mia, porrebbe fine una volta per tutte a certi pettegolezzi che noi sappiamo.»

«E ne farebbe nascere di nuovi.»

«Trascurabili, Yce, te l'assicuro.» Edvokin abbassò lo sguardo, oscillando il bicchiere ormai vuoto. «Nessuno resterebbe sconvolto nello scoprire che hai condiviso il letto con una fanciulla prima del tempo, a meno che non sia di buona famiglia o già sposata. Una simile notizia farebbe scalpore per non più di qualche settimana, poi verrebbe a noia. Bacia Chloe in pubblico più spesso, abbandonati alle effusioni che vi scambiate a Sayfa, lascia intendere che abbiate condiviso momenti di intimità insieme; puoi star certo che placherebbe ogni sospetto.»

Brycen serrò le labbra. Si passò una mano sul viso, abbandonandosi contro lo schienale. Edvokin aveva ragione: il fidanzamento con Bethelie aveva soffocato le dicerie, almeno per qualche tempo. I Toralov avrebbero ripudiato Bethelie se avessero scoperto un'unione prematrimoniale, sicché Brycen aveva mantenuto eccessiva prudenza nella loro relazione, ma non c'era nessuno a rivendicare l'onore di Chloe. Se i Metsiz o gli abitanti di Kholod avessero scoperto i loro incontri notturni, l'unica conseguenza sarebbe stata essere additati come depravati – e suo cugino era la prova che quelli erano scandali facili a raffreddarsi: si mormorava che Edvokin avesse giaciuto con molte fanciulle, eppure la sua reputazione non lo screditava agli occhi della società come avrebbe dovuto. Non era uno stigma da temere. Non era blasfemia, non era reato. Essere un depravato non era grave come essere un invertito.

 

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