La tavola imbandita per la cena era addobbata nei colori dell'autunno, un tripudio di arancione, verde e oro che dominava posate e stoffe. I sottili bracci d'argento dei dersvet, candelabri senza candele, si aprivano come rami d'albero per sostenere le Pietre di Sihir tagliate per l'illuminazione, abbracciati dai cesti di frutta di stagione che decoravano il centrotavola.
Molti dei suoi parenti erano già seduti. Rivolsero a Brycen occhiate fugaci mentre si avvicinava al tavolo, bisbigliando tra loro con sguardi divertiti e mani sollevate a nascondere le risa. Sua cugina Karamilla non si curò neppure di quello, scoppiando in una risata così acuta che le altre dovettero suggerirle di abbassare la voce.
Brycen inspirò a fondo. Quella cena si prospettava sfibrante e non voleva cedere al malumore prima ancora che iniziasse. Presi a piccole dosi e separatamente, persino gli zii o i cugini che meno sopportava sapevano essere una compagnia quantomeno accettabile; durante i pasti, riuniti tutti insieme ed ebbri di alcol, avrebbero messo a dura prova la pazienza della più moderata delle Sante.
«Se posso offrirti consiglio, fratello, dovresti mangiare un po' d'uva.» Mari scivolò al suo fianco con Chloe sottobraccio, occhieggiando verso le cugine. «Pare sia un ottimo disintossicante.»
Brycen soffiò uno sbuffo ilare. «Temo che non sarebbe sufficiente una piantagione intera.»
Offrì il braccio a Chloe, che abbandonò quello della sorella per il suo. Si era cambiata d'abito per la cena, indossando un elegante sarafan verde foglia e raccogliendo i capelli in una treccia che circondava il capo, com'era in voga tra le ragazze zimee della sua età. Era così graziosa che Brycen non poté fare a meno di sorridere.
«La visita della magione è andata bene?»
«Benissimo» disse Chloe, rivolgendo a Mari un'occhiata complice. «Abbiamo chiacchierato un po', tra una stanza e l'altra.»
Brycen drizzò il busto in un sussulto, cercando lo sguardo di sua sorella. «Cosa le hai raccontato?»
«Nulla di falso, parola mia.» Mari alzò le spalle e andò a sedersi, un sogghigno divertito sulle labbra.
Chloe tirò il braccio di Brycen e tese il collo per avvicinarsi al suo orecchio. «Davvero ti fingevi un testimone per infiltrarti in tribunale durante i processi? Quanto mi sarebbe piaciuto vederti!»
«A mia discolpa, ritengo che chiunque dovrebbe avere il diritto di assistere. Non c'è modo migliore per apprendere come funziona la legislazione all'atto pratico. Studiare giurisprudenza è—»
«Qualcosa che dovresti lasciare alla competenza di noi donne.»
Sua zia Ljudmilla lo superò, facendo scorrere gli occhi ametista su di loro in una smorfia sprezzante. Sollevò il mento mentre avanzava, come a volersi ergere ancora di più. Non che ce ne fosse bisogno: le donne zimee erano le più alte del continente e Brycen superava Ljudmilla solo di pochi centimetri.
«Se ti può essere di consolazione, temo non saresti comunque adatto alle professioni giuridiche» proseguì Ljudmilla, scoccando un'occhiata gelida a Chloe. «Parrebbe che tu sia eccessivamente facile da abbindolare.»
Curvò le labbra in un sorriso tanto ampio quanto fittizio, poi andò a sedersi.
«Che zietta amorevole. Tutto questo affetto mi commuove» sussurrò Chloe.
«Mi dispiace. Temo che sia solo l'inizio.»
Brycen la scortò al tavolo e le offrì il posto tra lui e Mari. Edvokin non tardò a occupare la sedia vuota alla sua destra, facendogli cenno di avvicinarsi a lui.
«Desolato di dover essere portatore di tristi novelle, Yce, ma la fortuna non ti arride» sussurrò, aprendo due bottoni della blusa per liberare il collo. «Kholod è stata insolitamente quieta, quest'oggi. Neanche la più piccola disgrazia o l'accenno di uno scandalo. Parrebbe che persino quella vipera di mia sorella sia a corto di pettegolezzi, un avvenimento a cui non avrei mai pensato di poter assistere.»
«Dunque nient'altro di cui parlare se non del nostro arrivo.»
«Invero mia madre è distrutta, povera donna: smania per la necessità di trovare un argomento su cui sfogare la sua voglia di chiacchiere.» Edvokin afferrò una bottiglia di vodka, riempiendo il bicchiere di Chloe e poi quello di Brycen. «Pare ci attenda una serata squisita.»
Brycen si abbandonò a un sospiro, poi afferrò la bottiglia per ricambiare la cortesia.
Discorsi e domande si concentrarono su di loro già all'arrivo degli antipasti. Le sue zie e le sue cugine manifestarono curiosità sul nome di Chloe, sulla sua carriera e la sua famiglia, più simili a un'interrogazione che a una conversazione. Molte delle risposte erano menzogne studiate per l'occasione, ma lei le pronunciò con garbo e sicurezza, senza far vacillare il sorriso, padrona dell'etichetta zimea. Non un istante d'esitazione nel prendere parola, non una lieve confusione nel suo racconto. Talvolta si fermava a cercare la giusta parola o correggeva la forma delle sue frasi, ma la sua naturalezza era tale che, se Brycen non avesse saputo la verità, avrebbe ingannato persino lui. Le invidiava quel talento: lui non sarebbe mai riuscito a mentire così bene.
«Donzella Chloe, permettetemi di dire che sono meravigliata dal vostro eloquio» trillò sua zia Nvieska, che somigliava tanto a Jlenna da sembrarne la gemella piuttosto che la sorella maggiore.
«Vi ringrazio, Donna Nvieska. Mi sono impegnata con rigore in studio e pratica.»
«E ditemi, l'operazione è stata dolorosa?»
Chloe sfarfallò le ciglia. «Quale operazione?»
«Per correggere la malformazione all'ugola, mi pare ovvio.» Nvieska soffiò una risata leggera. «Non fatene vergogna, cara. So che i jiyani sono incapacitati per disgrazia naturale a pronunciare correttamente le vocali, per questo la vostra lingua ne è così poco provvista.»
Brycen strabuzzò gli occhi. Un involtino di cavolo gli andò di traverso e tossì così forte da far sobbalzare alcuni commensali. Dovette battersi il petto per chetarsi, sollevando una mano in segno di scuse.
«Zia Nvieska» la chiamò, schiarendosi la gola. «Chloe non ha subito alcuna operazione. Ritengo si tratti di un'informazione errata, non ho mai sentito di un jiyano con una simile malformazione.»
«Neanch'io l'ho mai sentito dire» ammise Zenaida, facendo cenno al marito perché le riempisse d'acqua il bicchiere. «Forse è davvero una falsa notizia, madre.»
Nvieska schioccò le labbra. «Sciocchezze! Siete poco informati. Se Donzella Chloe è stata graziata, di certo è per via della sua natura meticcia.»
«Invero è una fortuna che siate cresciuta a Sayfa» aggiunse Masha in un sospiro. Nessuna delle due informazioni era corretta, ma Brycen si guardò bene dal correggerle. «Ho sentito, riguardo Jiyu, notizie preoccupanti. Parrebbe che il segreto dei loro Rimedi siano lacrime di bambini agonizzanti, che allevano specificatamente. Li sottopongono a torture indicibili, povere creature!»
Un boato di sussulti sconcertato si levò dalla tavolata, seguito da borbottii pregni di disapprovazione. Chloe sollevò un sopracciglio e Brycen mimò delle scuse a fior di labbra mentre Edvokin riempiva di nuovo i loro bicchieri. Dea, era persino peggio di quanto avesse immaginato.
«Diteci, donzella Chloe» disse zia Olga, in preda all'agitazione. Era l'unica tra le sorelle Metsiz ad aver ereditato i capelli verdi del padre, in compenso aveva tramandato quel colore a tutti i suoi figli. «Com'è possibile che simili atrocità siano lasciate impunite?»
«Il segreto dei Rimedi è, per l'appunto, un segreto. Solo i Monaci della Vita conoscono il metodo per crearli, perciò—»
«Io ho sentito dire anche che i jiyani pregano i loro Dèi con danze prive di pudore, spogliati di qualsivoglia indumento» aggiunse sua cugina Karamilla, le labbra piegate in un sorriso provocatorio mentre sollevava il bicchiere. Brycen era certo che si fosse inventata quel pettegolezzo sul momento: non c'era cosa che adorasse di più che creare discordia e bearsi delle reazioni altrui. «Le donne assumono veleni per rendere sterile il loro grembo e giacciono con più uomini nella stessa sera. Nello stesso momento, persino! Si accoppiano in pubblico, gli uni con gli altri e tutti insieme, come fossero animali.»
«Puhà!» Suo zio Wojek batté i pugni sul tavolo. «Beyled deve averli rinchiusi tra montagne e maree perché non si mischiassero con noi gente per bene.»
Brycen strinse le posate così forte che temette di spezzarle. Dovette sfruttare tutto il suo autocontrollo per contenere il Sihir e annullare la presa di Subsidence, che aveva rivestito l'oro con un sottile strato di ghiaccio. Abbandonò la presa sulla forchetta e svuotò il bicchiere, cercando conforto nel sottile bruciore dell'alcol che scivolava lungo la gola.
«Sono sorpreso di notare quanto tu sia informata sull'argomento, sorella» disse Edvokin. Non lasciò a Brycen il tempo di posare il bicchiere che lo riempì di nuovo in un cenno di intesa. «Da cosa deriva questo interesse, mi domando? Sei forse preoccupata del fatto che quest'anno nessun gentiluomo si sia proposto per corteggiarti? Invero una tragedia, una terribile disgrazia. Temo però di doverti deludere: verresti ignorata allo stesso modo persino in una di quelle danze di cui parli.»
Karamilla lo fulminò con lo sguardo, ma questo non fermò i suoi cugini dal ridere.
«Tua sorella però dice il vero, Edvokin. Ho sentito parlare di certe abitudini jiyane io stessa.» Masha occhieggiò ai bambini seduti in fondo alla tavolata, abbassando la voce. «Sapevate che non fanno distinzioni tra uomini e donne, quando si tratta di condividere il letto?»
Suo marito Korst, che era così simile a Bethelie da sembrare suo fratello piuttosto che suo zio, annuì al suo fianco. «Un mercante sayfano mi disse, in confidenza, che è impossibile distinguere l'una dall'altro. Si abbigliano con le medesime vesti e talvolta sostengono di essere ciò che non sono.»
«Pervertiti» sputò fuori Ljudmilla, arricciando le labbra. «Un'aberrazione contro natura.»
Il coltello di Brycen sfregò contro il piatto in uno stridio acuto. «Molte delle notizie che avete udito sono infondate. Trovo che sarebbe più saggio tacere nei riguardi di un popolo a noi così poco conosciuto.»
«Inoltre state mettendo a disagio la nostra ospite» aggiunse Mari, alzando uno sguardo severo.
Jlenna annuì. «I vostri discorsi l'avranno sconvolta, povera cara. Come potrebbe essere a conoscenza di ciò che commentate? Vi ricordo che non ha trascorso a Jiyu un singolo giorno.»
«Oh, ma come potrei mantenere la concentrazione sulla cena dopo simili discorsi? Il dubbio oramai ha avvolto la mia mente, zia cara.» Karamilla sospirò, il viso magro stretto tra le mani. «Sento la necessità di sedare la mia preoccupazione. Perdonate l'indelicatezza della domanda, Donzella Chloe, ma potete affermare in tutta onestà di essere una donna vera?»
Chloe, che era riuscita – Beyled solo sapeva come – a mantenere una perfetta facciata di neutralità per tutto il tempo, cedette allo stupore e spalancò gli occhi, boccheggiando appena.
«Come, prego?»
«Mi è giunta voce che tale confusione affligga persino il vostro Santo Padre.» Karamilla pronunciò quel titolo con un tono più acuto, quasi fosse motivo di scherno. «Si dice che vesta di gonne e gioielli, reclamando di essere considerato una donna.»
«Non reclama nulla, è una donna» sibilò Chloe. Il tono era cortese, ma così freddo da far correre un brivido lungo la schiena di Brycen.
«Ma vera o falsa, mi domando?»
«Mia cugina chiede se sia nata in grado di generare figli oppure no» suggerì Masha con un filo di voce, le gote arrossate.
Chloe sfarfallò le ciglia. Si portò il bicchiere alle labbra, sorseggiando in un mugolio pensoso. «Sono desolata: il Santo Padre ha fatto voto di castità, perciò temo che non avremo mai la risposta. Non sapevo che fosse la gravidanza a rendere tale una donna... Oh, io non ne ho mai avuta una: potrei essere falsa? Potrebbero esserlo tutte loro?»
Trasalì, indicando le cugine di Brycen ancora senza figli. Non sembrò neppure un'accusa: Brycen non sapeva come riuscisse a farlo, ma Chloe mescolò curiosità e timore in modo così verosimile che Masha ne restò interdetta, balbettando una risposta che non riuscì a concretizzare.
«Vera o falsa che sia, come può una donna chiamarsi padre?» Ljudmila sollevò un sopracciglio, le labbra erano piegate in una smorfia severa.
«È una traduzione impropria» spiegò Brycen, svuotando il bicchiere. Edvokin, grazie alla Dea, lo riempì di nuovo: la vodka che usavano per accompagnare i pasti non era forte come la Beloye, ma Brycen pregò di riuscire comunque a ubriacarsi in fretta. «Non esiste un termine corretto. Noi diciamo "padre", ma a Jiyu non indica il genitore di sesso maschile in questo contesto, bensì quello materiale, concreto, in contrapposizione a tutto ciò che è astratto e incorporeo.»
Brycen si fermò. Ogni Tempio heikun era gestito da un Padre, e il più importante tra loro era il Santo Padre, al vertice della gerarchia monastica. Uno solo. Non due, come lo erano gli Dèi e gli Eletti che governavano Jiyu, come richiedeva il concetto dell'equilibrio. Non avrebbe dovuto esserci il suo opposto, la rappresentazione dello spirito? Non avrebbe dovuto esserci anche una Madre?
«Non mi stupisce che a Jiyu vi sia una tale confusione!» Suo cugino Jakov scoppiò a ridere. «Che un padre non sia un uomo lascerebbe intontito chiunque, è la stessa parola a dirlo!»
Brycen sospirò. «Il ruolo non è legato al sesso. "Padre" è una traduzione impropria.»
«Lo hai già detto, cugino.» Jakov rise di nuovo. «Visto? La discussione ha confuso anche lui!»
«Ho timore che vi fosse della confusione in partenza, ragione per cui ho sentito la necessità di porre la mia precedente domanda» disse Karamilla.
«Non si può negare che fosse un dubbio appropriato» la appoggiò Olga. «Come dire, se si fosse trattato del mio Edvokin nessuno si sarebbe certo posto il dubbio.»
Sogghignarono in molti, ma non Edvokin. Lui svuotò il suo bicchiere, roteando gli occhi. «Non rammento di aver dato il mio consenso a sfruttare il mio nome come metro di paragone. Di grazia, madre, tenetemi fuori dai vostri assurdi discorsi.»
«E perché mai, fratello? Ciò che va detto va detto.»
«Mi sfugge cos'è che andrebbe detto, cugina.» Mari sbattè la forchetta sul piatto, drizzando il busto. «Perché non abbandoni i futili giri di parole? Se hai accuse da fare verso mio fratello, esprimiti chiaramente.»
«Accuse? Io? Che sciocchezza! La mia era genuina curiosità.»
Edvokin sbuffò una risata. «Fidarsi della tua parola equivarrebbe a gettarsi in una fossa di serpenti velenosi e sperare di sopravvivere. Riflettendoci con più attenzione, preferirei questo scenario al doverti ascoltare.»
Brycen si massaggiò le tempie, inspirando a fondo mentre Karamilla offriva una risposta piccata che non aveva voglia di ascoltare. Era stanco di quella conversazione. Sapeva che rispondere a tono non avrebbe fatto altro che prolungarla, eppure non riusciva a placare il ribollire della sua collera. Le parole non dette si erano accumulate nel suo stomaco, spintonandosi le une con le altre come fiocchi di neve in una bufera, e il suo corpo sembrava troppo piccolo e fragile per contenerle tutte.
E Chloe... Brycen non riusciva a comprendere se il silenzio in cui si era rintanata fosse un bene o un male. Teneva le labbra serrate, il viso disteso in una neutralità spaventosa mentre continuava a mangiare. I suoi occhi sembravano vuoti, persi: potevano essere quelli di una persona indifferente o di una che meditava un omicidio.
Forse era solo più brava di lui a farsi scivolare addosso quei commenti. Forse aveva solo deciso di ignorarli, come aveva promesso di fare quando Brycen l'aveva avvertita su cosa avrebbero dovuto sopportare. Forse. Ma vederla in quello stato non faceva che alimentare il suo nervosismo.
"Trattieniti" si rimproverò, stringendo il pugno per far smettere alla sua mano di tremare. "Devi sopportare solo un altro po', la cena è quasi finita."
«Basta così.» Danika alzò uno sguardo severo, puntandolo su figlie e nipoti allo stesso modo. «Simili aberrazioni dovrebbero restare al di fuori di queste mura e di queste bocche. Avete dato sfogo al vostro divertimento a sufficienza, ora tacete.»
Karamilla arricciò il naso. «Non sei interessata alla risposta di Donzella Chloe, cara nonna?»
«La Matriarca ha parlato» sibilò Trylenn a denti stretti. «E la risposta è ovvia. È oltraggioso anche solo pensare che sia sufficiente indossare un abito per dichiararsi donna. Un uomo è un uomo, così Beyled l'ha creato e così resta.»
Il suo sguardo si fermò su Brycen mentre parlava. Pronunciò ogni parla con attenzione, come se fosse una lezione da impartire e volesse assicurarsi che venisse compresa.
Guardami, Brycen, sembravano dire i suoi occhi. Brycen sentì la voce piena di suo padre rimbombare dai suoi ricordi, la mano guantata che stringeva il suo viso dolorante. Rispondimi: sono stato chiaro?
Il silenzio piombò nella sala da pranzo. Le bocche continuavano a muoversi, le posate strisciavano sui piatti, eppure Brycen non sentiva più nulla. Solo il suono dello strappo che lacerò ciò che restava della sua pazienza.
«Pare che i miei cugini abbiano ragione: mi ritrovo piuttosto confuso.» Brycen liberò un soffio ilare, nervoso. «Un uomo resta uomo pur indossando una gonna? Perché ricordo di aver sentito da te un parere del tutto opposto, padre.»
«E in che occasione l'avresti sentito, mi domando?» domandò Karamilla.
I suoi occhi dorati brillarono di un divertimento sadico mentre sollevava il bicchiere per nascondere il suo sosgghigno. Brycen le stava facendo un favore, cedendo a quelle provocazioni. Lo sapeva; Beyled candida, lo sapeva.
Ma se Karamilla pensava che fosse lui a provare vergogna per quanto accaduto, stava commettendo un errore.
«Interessante quesito» disse Brycen, senza distogliere gli occhi da Trylenn. «Forse mio padre vorrà delucidarti in merito?»
La tavolata si zittì, stavolta non solo nella sua mente. Alcuni visi si fecero pallidi di stupore, altri – come quello di sua madre – paonazzi di vergogna. Alcuni sollevarono lo sguardo, altri lo spostarono altrove. Edvokin tracannò l'ennesimo bicchiere di vodka mentre Mari drizzava le spalle, tesa come la corda di un gusli. Solo Chloe aggrottò le sopracciglia, incapace di cogliere il sottinteso che era ovvio per chiunque altro.
Brycen cercò la sua mano e lei abbandonò la forchetta per stringerla. Era Trylenn che avrebbe dovuto provare rimorso e senso di colpa, non lui. Era a Trylenn che i suoi familiari avrebbero dovuto rivolgere parole di biasimo, eppure non l'avrebbero mai fatto. L'avrebbero sempre guardato con gli occhi di chi credeva che l'unico motivo di imbarazzo, l'unico di chiunque in quella stanza, fosse condividere con Brycen il sangue.
Un tempo quello sguardo gli avrebbe fatto male. Brycen aveva passato anni a chiedersi se non fosse lui ad essere sbagliato, se la Dea Bianca non avesse davvero maledetto la sua esistenza e scombinato ogni cosa di lui perché fosse fuori posto. Un tempo ne aveva sofferto, tanto dei silenzi quanto delle accuse, avvertendo la costante pressione di quei segreti mantenuti per il terrore di una punizione.
Quella sofferenza premeva ancora là dove quel disprezzo aveva inciso le sue ferite, bruciava come una cicatrice mai guarita, ma era diventata sopportabile. Persino il dolore era sbiadito: forse era solo per l'adrenalina che aveva sostituito la tensione, forse per la vodka che aveva bevuto, forse per la presenza di Chloe al suo fianco. Quel silenzio doveva averla confusa, ma non fece altro che intrecciare le dita alle sue.
Era sufficiente. Quelle occhiate non riuscivano più a ferirlo come prima, non scalfivano la sicurezza delle risposte che aveva trovato con così tanta fatica. A malapena riusciva a ricordare perché dovesse trattenersi: avrebbe dovuto alzarsi in piedi, gettando fuori tutto il risentimento che aveva represso per una vita intera. Aveva una voglia matta di farlo. Sarebbero state parole sprecate, sicché la sua famiglia non parlava la lingua della logica, ma non era importante. Sarebbe stato inutile, ma anche soddisfacente.
«Non rammenti, padre? Vuoi che ti rinfreschi la memoria?»
«Osa» ringhiò Trylenn a denti stretti.
Lo fissava con una furia gelida, stringendo i pugni così forte da far sbiancare le nocche. I pasti erano gli unici momenti in cui non indossava i guanti, ma a Brycen sembrò di sentire ugualmente il suono della pelle che veniva stiracchiata, ancora così fresco nella sua mente dopo tutti quegli anni. Adesso non gli faceva più paura.
Quando i suoi occhi di ghiaccio lo trafissero, Brycen non abbassò lo sguardo. Questo fece infuriare Trylenn ancora di più: accartocciò labbra e naso in una smorfia, il viso paonazzo di rabbia.
«Per i colori di Beyled, che ora si è fatta!» Jlenna trasalì, indicando il grande orologio a pendolo sul fondo della stanza. «Levki, perché mai non è ancora stato servito il dolce?»
Il domestico chinò il capo e si scusò per il presunto ritardo mentre Jlenna sorrideva alla tavolata, cambiando argomento come se nulla fosse successo. Quando incrociò lo sguardo di Brycen, indugiò per un istante su di lui: lascia morire la discussione, imploravano i suoi occhi. Jlenna aveva sempre fatto del suo meglio per supportare sia Brycen che la sua famiglia, struggendosi nel vano tentativo di conciliare i Metsiz in una parvenza di normalità.
Brycen sospirò, sentendo quell'impeto di rabbia esaurirsi come una fiamma soffocata da uno spegnitoio. Restava solo il fastidioso fumo della sua irritazione, ma quello era in grado di gestirlo. Né suo padre né gli altri meritavano che fosse lui a fare un passo indietro, non meritavano di sottrarsi ai rimproveri che Brycen avrebbe voluto far loro.
Sarebbe stato soddisfacente... ma anche inutile; e non avrebbe ignorato le richieste di sua madre soltanto per il suo personale appagamento.
«Temo che mio fratello e mia cognata siano molto provati per il lungo viaggio» disse Mari d'un tratto, sporgendosi per lanciargli uno sguardo d'intesa. «Preferite tornare nelle vostre stanze?»
«Non temete di arrecare offesa, di certo nessuno sarà così indegno da negarvi il dovuto riposo.» Edvokin allungò un'occhiata più lunga verso sua sorella. Karamilla arricciò il naso, ma nessuno osò obiettare: si levò un coro di improvvisa cortesia nell'augurare una nottata serena.
"Ipocriti."
«Sì, credo sia meglio congedarsi» disse Chloe, accarezzando la mano di Brycen in un sorriso.
Quel contatto stava durando troppo per i canoni dell'educazione zimea: Brycen notò che le sue zie fissavano le loro dita intrecciate con un velo di disappunto, ma le ignorò. Che lo aggiungessero alla lunga lista di pettegolezzi e rimostranze che già avevano sul suo conto.
Si alzò insieme a lei, senza lasciare la presa. «Mari, potresti accompagnare Chloe nella sua stanza?»
Sua sorella annuì e li seguì fuori dalla sala. Aveva imparato a muoversi così bene che era impossibile sospettare della sua menomazione senza esserne già a conoscenza: li superò in rapidi passi e camminò di fronte a loro, le mani intrecciate dietro la schiena.
«Casa dolce casa, non è così, fratello?»
«Già» sospirò Brycen. «Casa dolce casa.»
Welcome to the family Madrigal ♫ Ah no, scusate, errore mio.
Bene bene, finalmente avete conosciuto l'allegra famigliola di Brycen! Non sono solo numerosi, ma anche tutti molto simpatici. Una bella riunione di famiglia, non credete? (:
Sommergetemi di pareri, sono curiosissima! Com'è stata questa prima impressione? Ma soprattutto, avete già inquadrato il vostro Metsiz più detestabile? Trylenn escluso, sennò è troppo facile (?)
Mi rendo conto che con tutte queste persone ci si perde, specie considerando che sono tutti nomi un po' particolari; ho cercato di cercare una via di mezzo tra il "parlano solo due" e il "NON SI CAPISCE UN CAZZO", fatemi sapere la vostra! Immagino che in ogni caso fare un po' di confusione tra i personaggi sia inevitabile, soprattutto considerando che ve li siete ritrovati tutti insieme, ma spero che non lo sia anche la lettura.
Per facilitarvi le cose ho preparato anche un albero genealogico che vi lascio qui sotto insieme al disegno di Trylenn! E voi direte: "ma sei stronza, scusa, potevi metterlo subito", ma in realtà mi interessava anche capire quanto è incasinato SENZA avere il supporto visivo, quindi... sorry? XD
Avviso che questi sono solo i nomi dei membri della famiglia che vivono attualmente nella magione Metsiz. Sono assenti i defunti (tra cui il nonno di Brycen) e tutti gli uomini (cugini, zii e prozii) che, essendosi sposati, non vivono più in casa. Ovviamente è assente anche la prozia Anja e prole, per gli stessi motivi.
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