Capitolo 33 - Rimuovere il velo

Chloe non aveva mai affrontato un viaggio così lungo. La sua esperienza con i mezzi di trasporto si fermava alle quattro ore necessarie a raggiungere Acamar, ed era uno spostamento piacevole: adorava osservare lo scenario cambiare a gran velocità fuori dal finestrino, cullata dal movimento mentre lasciava vagare la sua immaginazione.

Trascorse la prima parte del viaggio verso Kholod allo stesso modo, con l'euforia a curvare gli angoli delle labbra all'insù e un taccuino su cui scrivere le idee che il percorso in treno avrebbe stimolato. Ammirò la città lasciare il posto alle ampie pianure di Hedea fino alle dolci colline di Lasyard, scorgendo i profili dei piccoli paesi disseminati tra le campagne. Anche quando la pioggia cominciò a scrosciare oltre il vetro, gli occhi di Chloe si spinsero tra le fitte foreste e gli scorci cittadini, tra i campi coltivati e i ripidi pendii dei monti Teiluz che si perdevano nel cielo plumbeo, così fitto di nubi da inghiottire persino l'orizzonte.

Otto ore dopo la partenza l'entusiasmo si era già spento.

Brycen si era addormentato dopo aver superato i confini di Hedea, ma Chloe aveva un sonno troppo leggero per imitarlo. Era abituata a scuotersi dal torpore a ogni rumore sospetto, perciò riuscì a concedersi solo brevi attimi di riposo spezzati da continui risvegli. La fantasia si attenuò man mano che l'interesse verso l'esterno si tramutò in noia, perciò dovette abbandonare anche i propositi di scrittura. Come Tessitrice era stata addestrata all'attesa, ma quando raggiunsero i confini di Zima erano trascorse già sedici ore e non restava altro che pigra inerzia.

Abbandonare il treno per la diligenza non offrì alcun miglioramento. L'abitacolo era foderato di velluto, provvisto di cuscini e Pietre di Sihir per il riscaldamento, ma il rumore di zoccoli non era meno fastidioso delle rotaie. La carrozza traballava ad ogni dislivello e i finestrini non avevano vetri, perciò Chloe fu costretta a chiudere il pannello di legno quando il vento si fece troppo violento. Neve e ghiaccio rivestivano le vie, tanto più dissestate quanto più ci si allontanava dai centri abitati, e le frequenti soste per far riposare i cavalli dilatavano i tempi di quel viaggio già lungo e sfibrante.

Chloe non disdegnava le stazioni di posta, che le concedevano di sgranchirsi le gambe e osservare i pittoreschi paesini di Zima, dove ogni edificio era una pennellata di colore vivido su una tela altrimenti bianca. Gli occhi dei suoi abitanti, però, erano sempre su di lei: le loro espressioni mutavano quando incrociavano il suo sguardo, i volti si facevano freddi e scuri. Alcuni indietreggiavano, altri restavano a fissarla con smorfie di sdegno che contenevano a malapena. Nessuno le rivolse la parola. Brycen le assicurò che non avrebbero mostrato cattive intenzioni finché fosse rimasta al suo fianco, eppure non si allontanarono mai troppo dalla carrozza.

«Cosa sarebbe successo se fossi andata a Zima da sola, come turista?» domandò Chloe, abbandonandosi sui cuscini gialli e blu dell'abitacolo.

«In piccoli paesi come questo potrebbero persino aggredirti.» Brycen abbassò lo sguardo, tormentando la catenella dell'orologio tra le dita. «Le carovane turistiche però seguono un itinerario differente, fermandosi nei grandi borghi del sud per raggiungere Skeld. La capitale e le città del sud sono più tolleranti, lì saresti stata al sicuro.»

«Io però volevo andare a nord.»

«Nessuno ti avrebbe portata a nord. I mezzi turistici si fermano a Skeld e nessun cocchiere privato ti avrebbe portato con sé: quelli razzisti non avrebbero acconsentito a farti viaggiare sulle loro carrozze, gli altri ti avrebbero messa in guardia sui pericoli.»

"Dunque questa è Zima" pensò Chloe, ammutolendosi mentre la diligenza ripartiva.

Non avrebbe dovuto esserne stupita, ma più si addentrava nei territori zimei e più sentiva le nozioni che aveva appreso su quella terra premere con insistenza al centro del petto, come se le scoprisse per la prima volta.

Chloe l'aveva sempre percepita distante, quasi fosse un luogo che esisteva solo nelle rassegnate critiche di Brycen. Era facile rimproverare quel modo di vivere così arretrato da risultare assurdo e infiammarsi di fronte alle ingiustizie che i suoi abitanti accettavano come normalità, tanto quanto lo era curiosare tra le usanze e le tradizioni locali come se fosse un gioco, nient'altro che l'ambientazione di uno dei libri che tanto amava leggere.

Ma Zima non era un luogo di fantasia o una rivisitazione storica durante una festa, in cui ci si poteva immergere senza sentirne realmente il peso. E Brycen non era un paragone attendibile: non era un semplice zimeo fuori dagli schemi, ma qualcuno che aveva studiato sin dalla giovinezza cosa c'era al di là dei confini di Zima e che aveva assorbito le influenze di Sayfa negli ultimi quattro anni. Si era distaccato così tanto dalla sua patria che, quando ne parlava, non riusciva a trasmettere quanto davvero profonde fossero le differenze tra la vita che aveva adesso e quella che aveva abbandonato.

Trascorsero le notti in locande di posta in pietra grezza, dove l'odore di alcool saturava le narici e musiciste in abiti coloratissimi cantavano fiabe in un dialetto così stretto che Chloe faticava a capirlo. Pietre di Sihir erano state incastonate lungo le pareti, alcune brillavano come stelle, alcune erano incandescenti come piccoli fuochi. Altre gemme decoravano il centro dei tavoli, e quando Brycen ne allineò i tagli alle punte del castone il profumo dolciastro del Sihir si fece più intenso. Chloe notò una Pietra anche nel gusli di una musicista, che emetteva una lieva pulsazione violacea ad ogni nota: doveva essere grazie al suo influsso che la musica era in grado di viaggiare così nitida e potente, sovrastando chiacchiere e risate degli avventori urlanti.

Chloe strabuzzò gli occhi. Come potevano gli zimei essere in grado di amplificare il suono solo incidendo una pietra, e al tempo stesso ignorare l'esistenza di cose come penne stilografiche, grammofoni o persino cerniere?

Brycen le aveva detto che "L'alba più chiara" era uno spaccato attuale, ma Chloe credeva di comprendere a pieno quelle parole solo adesso che visitava paese dopo paese, immergendosi nella vita arcaica e rurale di Zima. Non erano le tematiche del libro ad essere attuali: Zima non era cambiata. Era rimasta congelata nel tempo, identica a com'era stata ottocento anni prima.

Chloe appuntò ogni considerazione nel suo taccuino, ma avrebbe dovuto ripulire le informazioni dai suoi commenti personali prima di consegnarlo a Chen-Yi. Il suo mentore non si era opposto a quel viaggio solo perché ne riconosceva il potenziale: i Tessitori avevano difficoltà a muoversi e integrarsi nei territori zimei per riportare notizie, ma presentarsi come fidanzata di Brycen permetteva a Chloe di monitorare la situazione senza dare nell'occhio. Sarebbe stato un periodo breve, ma qualunque informazione fosse riuscita a raccogliere sarebbe stata gradita ai Custodi, che avrebbero trattato con cura ogni piccolo dettaglio.

Un sospiro sfuggì dalle labbra di Chloe quando alzò gli occhi verso Brycen, assorto nei suoi pensieri. Tutti i suoi racconti su Zima, tutte le nozioni che aveva condiviso con lei erano state recapitate all'Ordine. Le avrebbe creduto, se gli avesse detto di non aver fatto così tante domande con quell'obiettivo? Se gli avesse detto che voleva davvero visitare la sua terra, che non aveva niente a che fare con i suoi doveri...

No, non era corretto. Era curiosa, ma sapeva anche che ottenere informazioni su Zima era importante per l'Ordine. Quel pensiero era sorto spontaneo sin dalla prima volta che Brycen si era seduto al bancone del Nerea, e ronzava nella sua mente in ogni discussione. Viaggiare a nord... Sapeva di non poterlo fare. A quel tempo non aveva ancora compreso quanto radicato fosse l'odio degli zimei per i jiyani, ma sapeva che nessun Tessitore aveva mai raggiunto il nord.

Allora perché l'aveva detto? Perché aveva sentito naturale la necessità di sapere se fosse davvero così impossibile? Stava sfruttando Brycen per offrire conoscenza all'Ordine, oppure stava sfruttando la necessità di raccogliere informazioni per rendere accettabile il suo interesse personale? Per quale delle due avrebbe dovuto sentirsi in colpa?

Credeva di aver imparato a separare le sue due vite, eppure sembrava che fossero di nuovo sul punto di convergere. Credeva di aver capito cosa voleva per se stessa e cosa per Kiyoko, ma aveva mescolato le cose così tante volte che non vedeva più la linea che aveva tracciato. Non era neanche più certa di averlo mai fatto.

Chiuse gli occhi, massaggiando le tempie con le dita. Quei pensieri erano un vortice senza uscita, seguirli non l'avrebbe condotta a una risposta. Erano giuste e sbagliate entrambe le cose: aveva mostrato un interesse reale che era anche utile per il suo ruolo. Non stava sfruttando nessuno. Poteva ancora dire di essere sincera, sia una buona fidanzata che una buona Tessitrice. A sostenere il contrario era solo la stanchezza, che al quarto giorno di viaggio aveva cominciato a far vagare la mente più del dovuto.

Chloe sospirò di sollievo quando raggiunsero Skeld, rallegrata dall'idea di poter abbandonare la diligenza per un giorno intero. La città era strutturata secondo i canoni zimei – più ci si avvicinava al centro, più aumentavano degrado e povertà – ma strizzava l'occhio agli stranieri con accorgimenti che la rendevano più familiare. Locande e case-bottega avevano delle insegne a renderle riconoscibili, incise solo con l'alfabeto sayfano; gli zimei lo consideravano superfluo persino in città di grandi dimensioni come la capitale. Le porte erano lasciate aperte e ai passanti era concesso sbirciare attraverso le finestre per osservare gli spazi di lavoro, ma nessun nativo si sarebbe mai azzardato a farlo. Lungo la periferia si trovavano persino saune e terme pubbliche oltre che veri e propri ristoranti, che rivisitavano i tradizionali pasti zimei per i palati sayfani.

Gli sguardi dei passanti erano meno insistenti. Scorgeva di rado il disgusto nelle loro espressioni, che oscillavano dall'indifferenza a rari scorci di cortesia. Talvolta erano animati da viva curiosità, la stessa che si mostrava di fronte a qualcosa di così assurdo e bizzarro da suscitare ilarità; in altre circostanze Chloe l'avrebbe trovato fastidioso, ma era un sollievo sentirsi quantomeno rivolgere la parola.

Ed era un sollievo poter visitare la città oltre i confini della locanda. Skeld era definita un monumento vivente alla Dea Bianca, ma il colore sacro era presente solo in piccoli scorci e dettagli, nelle vesti delle Sacerdotesse o nei santuari. Il bianco non rappresentava la purezza, come a Sayfa, ma il tutto: era la somma di tutti i colori che Beyled aveva donato al mondo, manifestazione più pura della sua opera di creazione.

Chloe comprendeva perché si fosse guadagnata il nome di Arcobaleno Ghiacciato: l'intera città era un tripudio di vita, un concentrato di vibrante saturazione che si ergeva sprezzante tra le montagne innevate. Ogni sfumatura era un frammento della Dea, perciò ogni tonalità era esaltata a Skeld per renderle omaggio.

Palazzi dalle tinte accese svettavano in guglie sottili, sfoggiando coloratissimi motivi decorativi lungo le pareti e sulle cupole oblunghe. Persino le case del centro città – semplici costruzioni dai tetti alti e sottili – mostravano facciate dipinte nei colori dell'arcobaleno, che nelle magioni e nelle case-bottega delle periferie diventavano motivi unici, caratteristici, un vanto e un simbolo delle famiglie che le abitavano.

Le strade di pietre squadrate si componevano di mosaici variopinti, intrecci geometrici che rendevano ogni passeggiata l'ingresso in un caleidoscopio. Pietre di Sihir brillavano in cima a colonne piramidali – chiamarle lampioni sarebbe stato scorretto – lungo i viali e sui ponti, illuminando di mille tonalità differenti le acque del fiume Prezha. Ogni abitante sfoggiava abiti dalle stoffe sgargianti, ricchi di ricami e ornamenti che avrebbero rivaleggiato con i tradizionali abiti imperiali della nobiltà sayfana.

Se durante il viaggio Chloe aveva avuto un assaggio concreto del perché Brycen odiasse la sua terra, la sola vista di Skeld fu sufficiente a farle comprendere perché non riusciva a smettere di amarla.

Il sole era quasi allo zenit quando raggiunsero il mausoleo della Santa Velaj, situato nel punto più a nord della città. La struttura di pietra bianca si elevava su due livelli, il più basso abbracciato da archi a tutto sesto e l'altro decorato con Pietre di Sihir incastonate e bassorilievi che rievocavano attimi salienti della sua vita. Lo spazio centrale era dedicato alla sua incoronazione, l'unica a possedere note di colore, con fasci d'arcobaleno stagliavano in ogni dove dal prisma al centro della corona.

Di fronte alla nicchia d'ingresso, un'immensa statua dalle fattezze femminili si stagliava sulla piazza gremita di gente, sovrastandola con i suoi trenta metri d'altezza. Non era scolpita nel marmo bianco o nel gesso, come le altre sculture beylediste che Chloe aveva visto in città: la solenne figura della Dea Beyled si ergeva in un blocco lucente di lamine screziate, come se per costruirla fossero stati ammassati frammenti di vetro e Pietre di Sihir, creando lineamenti frastagliati e approssimativi. Il risultato ricordava le opere della corrente avanguardista di Sayfa, con le fattezze della donna che risultavano più o meno riconoscibili in base all'angolazione da cui la si guardava o alle pallide sfumature che il sole disegnava attraverso le superfici trasparenti – o almeno quelle che riusciva a raggiungere: la parte alta della statua era tenuta in ombra da un drappo bianco sorretto da un sottile sostegno di marmo, che scivolava come un velo a coprire il capo e le spalle.

«Se volevi sorprendermi, ci sei riuscito. Non avrei mai pensato di vedere qualcosa del genere a Zima.» Chloe ridacchiò, schermando gli occhi con una mano per alzare lo sguardo.

Forse soffermarsi sugli spuntoni triangolari che fuoriuscivano dalla figura della Dea non fosse il modo corretto di ammirarla, ma non poteva farne a meno: Chloe riusciva solo a pensare che sembrava fosse stata distrutta e poi ricomposta alla bell'e meglio, oppure che stesse osservando il suo riflesso attraverso uno specchio ridotto in frantumi.

«È stata la Santa Velaj in persona a commissionarla» disse Brycen. «È stata costruita secondo le sue indicazioni. Beyled non ha un aspetto definito, per questo è stata rappresentata in questo modo.»

Chloe strabuzzò gli occhi. «Vuoi dirmi che questa statua risale al Primo Millennio?»

«Qualcuno sostiene che sia indistruttibile per volontà di Beyled stessa.» Brycen la prese sottobraccio, sfruttando il gesto galante per sussurrare in sayfano al suo orecchio. «Io credo che la Santa Velaj si sia affidata a un Dotai con capacità in grado di mantenere la struttura inalterata nel tempo, come Ehnance, Blockade o persino Time-Lapse

«Questo lo supponevo, ma è così anacronistica! Pur considerando Foreshadow, è incredibile che la Santa Velaj sia riuscita a vedere oltre mille anni nel futuro.» Chloe abbandonò a sua volta lo zimeo, abbassando la voce. Gli zimei non apprezzavano l'uso delle lingue straniere nella loro terra, ma ancor meno avrebbero gradito il significato di quelle parole. «È lei a essersi ispirata alle avanguardie attraverso le sue visioni, o viceversa?»

«Entrambe le cose, probabilmente. Temo sia un paradosso irrisolvibile.» Brycen lanciò uno sguardo all'orologio da taschino. «È quasi ora. Vieni, liberiamo il passaggio.»

La scortò lontano dal centro della piazza, alle spalle della grande statua di Beyled. Chloe seguì il suo sguardo fino all'ingresso del mausoleo, da cui vennero fuori due Vakt in armatura completa con lunghi mantelli arcobaleno che ondeggiavano alle loro spalle. Si disposero ai lati, lasciando che il sole riflettesse sfumature eteree sul metallo cangiante che li rivestiva da capo a piedi, poi sollevarono le armi inastate simili ad alabarde.

Sette Sacerdotesse uscirono in una fila composta, avvolte da tuniche immacolate e con i capelli raccolti in grosse trecce attorno al capo. Si fecero largo tra la folla portando alle labbra quella che a Chloe sembrava un'ocarina tozza, ma ognuna di loro suonava una singola nota: la composizione musicale che accompagnava il loro cammino era creata dalla perfetta coordinazione tra le fanciulle, i cui soffi riempivano l'aria di suoni acuti e sospirati. Quando la musica ebbe fine, le Sacerdotesse si inchinarono di fronte alla statua della Dea in un lungo momento di silenzio che Chloe comprese essere dedicato alla preghiera: Brycen non lo faceva mai a voce alta. Univa le mani di fronte al petto, delimitando la forma di un triangolo con le dita, e sollevava gli occhi al cielo – e così fece adesso, insieme a tutti i presenti.

Gli sguardi tornarono sulle Sacerdotesse solo quando le donne soffiarono una scala musicale nei loro strumenti, pronunciando una breve lode in zimeo antico. Chloe riuscì a comprendere solo in parte il suo significato: si rivolgevano a Beyled come Signora del bianco silenzio, Protettrice dei colori e della musica, e qualcosa che aveva a che fare con la realtà e un velo. Parlarono all'unisono con voci melodiche e insieme si avvicinarono alla sottile colonna di marmo, tirando una lunga corda bianca. In uno schiocco secco il drappo bianco si sganciò dal sostegno, esponendo la sommità della statua al sole.

La luce si riversò sui frammenti di vetro in un lucente bagliore che i prismi rifrangevano e disperdevano, tingendo di gradazioni iridescenti l'intera figura della Dea. Il gioco di luci e colori proseguì oltre, riflettendosi sulla pietra bianca del mausoleo; quando il fascio arcobaleno attraversò le Pietre di Sihir usate come decorazione, queste reagirono espandendo i sette colori in auree radiali lungo tutta la superficie, creando uno spettacolo cangiante di sfumature.

Chloe sussultò, trattenendo il fiato di meraviglia. «E quale Dotai ha fatto questo?»

«Nessuno. Le Pietre di Sihir amplificano il fenomeno, ma il resto è soltanto scienza» disse Brycen. «La Santa Velaj fu la prima a scoprirlo, grazie alle sue visioni: osservò che la luce si divide nei colori dell'arcobaleno quando attraversa un prisma. Dunya giunse alla stessa conclusione solo seicento anni dopo, con il modello a sei colori che oggi viene utilizzato anche a Sayfa.»

«Non ne avevo mai sentito parlare»

«Temo sarebbe una sorpresa anche per molti zimei: vedono il risultato, ma non hanno familiarità con il concetto di base.» Brycen parlò di nuovo a voce più bassa, sussurri che Chloe faticava a sentire ora che le Sacerdotesse avevano ricominciato a suonare. «Penso che in pochi si siano davvero resi conto di quanto importante fosse questa scoperta. Per loro è solo l'ennesima manifestazione del divino, non qualcosa da spiegare razionalmente. Una sorta di...»

«Mistero di fede.»

Brycen annuì, ma le labbra sottili si piegarono in una smorfia. «Una giustificazione dal nome altisonante da utilizzare come risposta ad ogni domanda irrisolta, per timore di vedere le incongruenze del proprio credo.»

Chloe distolse lo sguardo, seguendo le Sacerdotesse in fila che rientravano nel mausoleo. Sapeva come evitare che di manifestare il suo fastidio, ma non poteva impedire al corpo di provarlo: il petto si infiammò all'istante, reclamando aria mentre uno sgradevole formicolio scendeva lungo gli arti e punzecchiava le dita.

Avrebbe dovuto correggerlo, avrebbe dovuto sostenere la teoria che Chen-Yi le aveva offerto, eppure le sembrava una replica troppo debole. Brycen era devoto a divinità differenti, eppure la sua fede era sincera: non aveva bisogno di nascondersi, quando parlava di Beyled. Il suo approccio era coraggioso, libero, disteso; non aveva timore di interrogarsi né si preoccupava di porre quesiti che altri avrebbero giudicato blasfeme, perché credeva che la verità avesse il volto della Dea Bianca e che in ogni risposta avrebbe trovato il suo nome.

Chen-Yi non le avrebbe mai permesso di fare lo stesso. La fede non va confermata o smentita... Chloe non ricordava questa frase nei testi sacri, ma solo sulle labbra del suo mentore. Yu-zhay avrebbe detto le stesse cose? Un Monaco della Preghiera l'avrebbe rimproverata anche per quelle domande? Gli Dèi l'avrebbero perdonata se trovava le parole di Brycen più condivisibili di quelle del suo mentore?

«Suppongo che per uno straniero sia soltanto un bello spettacolo, ma quando lo vidi da bambino per la prima volta ne rimasi sconvolto.» Brycen ridacchiò al suo fianco, lo sguardo ancora rivolto alla statua. «L'avresti mai immaginato? I colori non esistono. La realtà che vediamo non è altro che un inganno creato dalla nostra percezione, eppure abbiamo la presunzione di conoscere la risposta ad ogni domanda, persino quelle che non abbiamo il coraggio di porci. Non ci rendiamo conto che tutto ciò che dovremmo fare è rimuovere il velo, guardare attraverso l'invisibile.»

Chloe distese le labbra, rilassando i muscoli. Persino quando Brycen non aveva idea dei pensieri che vorticavano nella sua mente, era in grado di sedarli. Il cuore di Chloe sussultava ogni volta che lo sentiva pronunciare frasi così dense di passione. Lo guardò, il mento alto e un sorriso entusiasta sul volto, le tonalità cangianti delle luci che si riflettevano nei suoi occhi; lo immaginò bambino, con la stessa espressione sul volto e l'animo che rifiutava di fermarsi alla superficie di quel fenomeno.

«Il Sihir è la Vera Forma. I Naru piegano le leggi che regolano il mondo così come lo conosciamo perché esse non sono altro che un'illusione.» Chloe citò ciò che ricordava degli appunti di Brycen. «Allora è qui che è iniziato tutto.»

«È stato come se qualcuno avesse tolto un velo anche davanti ai miei occhi.» Brycen arrossì un poco, tornando ad armeggiare con la catenella dell'orologio. «Non sono soltanto i colori: Beyled ha creato Halka perché fosse un mondo adatto alle nostre menti, ma l'umanità ha costruito tutto il resto. Linguaggi, strutture sociali, etica, istituzioni, regolamenti... È un concetto così semplice, eppure continua a sfuggirci. Abbiamo plasmato il pianeta più di quanto possa fare il più potente dei Naru, ma ci comportiamo come se la nostra unica possibilità sia obbedire a ciò che vediamo quando apriamo gli occhi.»

"Come recita l'Assoluto della Verità" riconobbe lei. "La verità degli Dei è reale, ma quella degli uomini è plasmata secondo la necessità".

Non avrebbe dovuto confrontare i suoi dogmi con quelli di altre religioni, eppure anche quello non le sembrava più così sbagliato. Era peccato riconoscere che i valori più saldi delle loro anime coincidevano? Chloe non sentiva vacillare la sua fede, solo un'ondata di soddisfazione avvolgerla fino alla serenità. Non era importante che Brycen non pregasse Edoi e Hun: oltre le loro divergenze, osservavano la vita allo stesso modo.

«Pensa a come potrebbe essere il mondo se l'umanità si liberasse dei preconcetti che secolo dopo secolo abbiamo costruito nelle nostre menti» proseguì Brycen, alzando un braccio come a voler afferrare i fasci arcobaleno che si insinuavano tra le superfici di vetro. «Se ci ricordassimo che possiamo andare oltre ciò che vediamo, oltre ciò che le nostre braccia riescono a raggiungere, oltre ciò che le nostre menti riescono a comprendere. Se fuggissimo dalle gabbie in cui noi stessi ci siamo rinchiusi, liberandoci dal timore del diverso e dell'ignoto, accettando che è possibile abbandonare le nostre certezze per cercarne di nuove.

«La Santa Velaj lo ha visto: le Scritture parlano di città dai mille colori nel bianco più puro, un luogo illuminato dove gli uomini vivono in pace. Collaborano tra loro come pari per far prosperare il mondo, svincolati dal pregiudizio di ogni discriminazione, in comunione con ciò che li circonda. Molti credono che sia il paradiso, ciò che ci attende dopo la morte.»

«E tu cosa credi?»

«Foreshadow» disse Brycen, e ogni tassello trovò il suo posto. «Se è stata una visione, allora—»

«Ha visto ciò che aveva davanti agli occhi» realizzò Chloe. Che fosse stata o meno una Santa, Velaj aveva posseduto quel Naru. Aveva mentito sulle visioni, oppure... «Ha visto Skeld. Ha visto Zima.»

Brycen sfoggiò un sorriso fremente di eccitazione. «Le visioni di Foreshadow non sono certe, si limitano a mostrare il futuro più probabile in quel momento. Più è distante, minore è la possibilità che si avveri. La Santa Velaj doveva saperlo, ecco perché ha tramandato le Scritture; ecco perché ha fondato Skeld. Ci ha lasciato questa statua come promemoria, per ricordarci che qualsiasi sfumatura è figlia della stessa luce, che il mondo esiste solo perché il bianco si è separato in gradazioni infinite. Per ricordarci che noi, come il vetro, possiamo essere artefici di meraviglie se permettiamo alla luce di attraversarci senza ostacoli.»

Poi qualcosa nell'espressione di Brycen cambiò. Il sorriso morì tra le labbra e la luce nel suo sguardo si spense, perdendo ogni traccia del sognante entusiasmo che lo aveva animato. La meraviglia si trasformò in una rassegnazione sofferente, un cordoglio così pesante da inumidire gli occhi e far tremare le labbra.

«E noi lo abbiamo dimenticato.» Brycen abbandonò le braccia lungo i fianchi in un sospiro, come prosciugato da ogni energia. «Abbiamo preferito interpretare le sue parole nel modo più conveniente. Abbiamo ripudiato gli insegnamenti della Dea Bianca, spacciando la nostra superficialità per devozione e sfruttandola per giustificare ogni nostro egoistico intento. Abbiamo frainteso, riscritto, ignorato, eretto un mondo che è opposto ai suoi desideri. Tutti gli sforzi della Santa Velaj sono andati sprecati.»

«No, non è vero: tu lo ricordi, hai compreso il suo messaggio. Forse quella visione non è più nel nostro futuro, ma finchè c'è qualcuno che lotta per raggiungerla c'è ancora speranza. Questo è proprio ciò che l'arcobaleno rappresenta, a Jiyu: speranza.»

Chloe si spostò di fronte a lui e gli strinse le mani, trattenendo l'istinto di afferrare il suo viso. Non poteva farlo, non finché centinaia di zimei potevano vederli, ma sentiva l'urgenza di guardarlo negli occhi. Non le interessava che stessero parlando del paradiso beyledista, di aspirazioni e credenze che non avevano nulla a che fare con la sua religione: non si sentiva in difetto. Era un sogno troppo luminoso per non supportarlo.

E l'Heiko Jun non si adoperava forse con gli stessi propositi? Quello che Brycen stava descrivendo era l'equilibrio a cui ogni heikun aspirava, non importava il nome con cui lo si chiamasse.

Brycen sospirò, ma abbozzò un sorriso spento, stanco. Come se l'entusiasmo per quel sogno fosse stato distrutto per l'ennesima volta e non era certo di avere la forza per ricomporre i pezzi.

A Chloe sembrò di ricevere un pugno nello stomaco. «Bry...»

«Dovremmo rientrare.» Lanciò un ultimo sguardo alla statua di Beyled prima di voltarsi. «Sarebbe meglio non tardare oltre la partenza.»



Benvenuti a Zima! Un capitolo di alti e bassi, con un viaggio non proprio idilliaco per immergersi in quella che sembra davvero tutt'altra epoca. In compenso abbiamo visto la meravigliosa Skeld ♥ Forse un po' pacchiana con tutti quei colori così accesi, però la immagino stupenda~

Si torna a parlare della Santa Velaj, con qualche chicca in più sul beyledismo. Chloe si sta sciogliendo un po' a riguardo: sono piccoli passi, ma Brycen le sta fornendo la giusta ispirazione. Siamo ancora lontani dalla presa di coscienza, ma chissà... D'altronde non può scappare per sempre da se stessa, giusto?

Preparatevi, perché nel prossimo capitolo faremo la conoscenza della famiglia di Brycen, compreso il mio personaggio preferito ♥


Dato che non ho disegni a tema... Tiè, totalmente a caso, eccovi Brycen e Nosh!


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