Capitolo 29 - Ogni giorno della mia vita
La prima volta che Chloe si approcciò alla scrittura fu un mero esercizio di copiatura. Yu-Zhay le aveva chiesto di selezionare alcuni estratti dai romanzi che aveva letto per riscriverli in modo personale, ma Chloe non riuscì a produrre nulla più che una brutta copia dell'originale: si era impegnata per trovare sinonimi e cambiare la struttura delle frasi, ma le scelte stilistiche erano rimaste pressoché intatte. Occorsero settimane per scrivere qualcosa di decente, che convincesse Yu-Zhay ad assegnarle il compito successivo.
Il Monaco le suggerì la descrizione di paesaggi a suo piacimento e Chloe narrò della spiaggia frastagliata di Hoshu, del pruneto oltre il tempio, dei picchi montani in cui si allenava con Seojun e della Fonte in cui faceva il bagno. L'esercizio si spostò su personaggi, dialoghi e interazioni, e Chloe dovette osservare i suoi fratelli e sorelle con occhi diversi per trovare il modo in cui scrivere di loro e degli scambi a cui assisteva.
Quando fu soddisfatto, Yu-Zhay la invitò a riscrivere alcuni passaggi dei romanzi apportando piccole modifiche. Le chiese di domandarsi "cosa sarebbe successo se..." e di sostituire l'ambientazione, i personaggi o le svolte di trama per scrivere una versione alternativa. Chloe credeva che sarebbe stato semplice: come Tessitrice, era stata addestrata a prevedere più scenari possibili. Il collegamento logico tra azione e reazione, principio fondante dell'Heiko, non aveva per lei alcun mistero: soffiare forte avrebbe spento una candela; colpire qualcuno avrebbe provocato dolore; un fiore reciso sarebbe marcito; quelle erano reazioni che riusciva a immaginare e prevedere, eppure le situazioni che narrava avevano qualcosa di... sbagliato.
Lo sapeva, perché aveva letto abbastanza romanzi da percepire la differenza, eppure non riusciva a definire il suo errore. Come poteva collegare quelle idee tra loro? In quanti modi un dettaglio era in grado di influenzare le persone e le loro azioni? Yu-Zhay lavorò insieme a lei tre mesi interi perché Chloe comprendesse come applicare i suoi consigli, per fondere gli insegnamenti che lui e Chen-Yi le avevano trasmesso.
A quel punto il Monaco le chiese di immaginare se stessa al posto di uno dei personaggi. Chloe si sforzò per settimane, ma riflettere su come la sua presenza avrebbe modificato la storia era più difficile: avrebbe usato parole diverse? Sarebbe stata delusa come la protagonista? Avrebbe mantenuto il silenzio su quell'accordo? Avrebbe accettato di aiutare il suo amico?
Rimase bloccata tanto a lungo che Yi-Zhay tentò un altro approccio, chiedendole di inventare personaggi e situazioni del tutto nuove. Chloe cominciò scrivendo delle sue maschere, le coperture che doveva impersonare per via del suo ruolo, e scoprì che la pratica l'aiutava a mettersi nei loro panni. Scrivere di loro le ricordava anche che erano solo finzione, così da non mescolare le loro emozioni con le sue, che tanto faticosamente stava imparando a conoscere. Quando fu pronta, attinse solo dalla sua fantasia: fu prima complesso; poi fattibile; infine, spontaneo. A quel punto aveva lavorato su se stessa a sufficienza per diradare le nebbie della sua anima, scorgendo la via su cui Yu-Zhay l'aveva accompagnata, e più passava il tempo più diventava semplice comprendere l'animo umano ed empatizzare con le emozioni altrui.
Solo a quel punto tornò indietro, all'esercizio che l'aveva frenata. Non fu il Monaco a suggerirle di farlo, bensì il suo mandorlo: il giovane pruno spingeva i rami di fronte alla sua finestra, sfiorando i pannelli di carta nelle giornate ventose. Chloe l'aveva visto fiorire ogni anno da quand'era bambina, ma quel giorno era rimasto impresso nella sua memoria come la trama di un arazzo: l'aveva svegliata il canto dei passeri e aveva aperto le finestre in un gesto mosso dall'abitudine, lasciando che la fresca brezza del mattino le accarezzasse la pelle. Un sole acquoso si affacciava dalle nubi bianche, rischiarando frammenti di cielo azzurro. Il Ciclo dell'Aria non era ancora iniziato, eppure l'aria profumava già di primavera.
Poi li aveva visti: piccoli germogli tra i rami ancora spogli, e fiori che ondeggiavano i petali rosati al vento. La prima fioritura dei mandorli non era maestosa come quella di metà primavera, quando l'intero pruneto si rivestiva di bianco, arancione e rosa, eppure Chloe non riusciva a pensare a niente di più bello.
Era rimasta immobile, osservando quei ramoscelli sottili e storti che sembravano indecisi su quale fosse la giusta direzione in cui crescere. Su quell'ossatura fragile spuntavano foglie vigorose e boccioli pronti a sbocciare, e in loro Chloe aveva rivisto se stessa.
Non sapeva dire perché quel giorno la vista del mandorlo l'avesse fatta piangere. Non sapeva descrivere la meraviglia che l'aveva avvolta, tale da non riuscire a muoversi, da perdere persino la capacità di parlare. Sapeva, però, di aver compreso qualcosa di importante per la prima volta. Sapeva, come non l'aveva mai saputo prima, che l'emozione straripante nel suo petto era felicità.
Giorno trentanove del Ciclo del Ghiaccio. Quattordici di Pisces, per il calendario sayfano. Chen-Yi non le aveva mai detto quale fosse il suo compleanno, perciò Chloe decise che sarebbe stato quello: in un certo senso, la sua vita era iniziata nel momento in cui si era affacciata alla finestra. La prima volta in cui aveva sperimentato la gioia e aveva saputo darle un nome.
E dopo seppe cosa scrivere. Non aveva ancora tutte le risposte, ma le trovò giorno dopo giorno: chiedersi cosa desiderava, cosa le piaceva e cosa l'avrebbe resa felice erano domande su cui era ancora incerta, ma riusciva a fare delle ipotesi. Figurare se stessa oltre il ruolo da Tessitrice non era più impossibile. C'erano cose che sfioravano la sua mente nell'immediato, facendola sorridere; c'erano scene di romanzi che la portavano a pensare "vorrei vivere qualcosa di simile"; c'erano sensazioni che la incuriosivano ed emozioni che sperava un giorno di poter provare.
Aveva quasi diciotto anni quando riuscì a scrivere qualcosa che non fosse la stesura del suo diario o un esercizio assegnato da Yu-Zhay. Qualcosa di nuovo, idee nate dalla sua immaginazione, specchio dei suoi veri sentimenti. Ad essi attinse a piene mani: si immaginò come una semplice ragazza di periferia, amata dai suoi genitori e dai suoi amici, desiderosa di viaggiare oltre i confini della sua campagna. Fantasticò di salire su barche e risciò per il puro gusto di farlo, e al suo fianco c'era sempre Yixing. Non era una prostituta, ma una facoltosa ereditiera che abbandonava la sua monotona vita per fuggire insieme a lei.
Chloe scrisse del loro amore così come aveva letto nei suoi romanzi: quel sentimento di profonda intesa, condivisione, affetto e passione l'attraeva come nessun altro. Scrisse come sbocciò tra loro, come le portò in giro per il mondo e come le chiamò di nuovo a casa, al futuro che avrebbero condiviso insieme in una semplice e tranquilla campagna.
E poi distrusse ogni pagina. Le strappò e le accartocciò, senza lasciarne traccia.
Quella non era lei. Era la vita di qualcuno che non esisteva né sarebbe mai potuto esistere. Lei era Kiyoko, la Tessitrice di Segreti; lo sarebbe stata fino alla morte o fino a diventare una Senza Volto, e allora sarebbe stata tutti e nessuno, solo una maestra per i suoi adepti. Qualunque altro futuro l'aveva sacrificato, offerto agli Dèi quando aveva quattordici anni. Non le apparteneva più. Poteva sopravvivere solo nelle sue fantasie.
«Non posso scrivere di me» disse a Yu-Zhay, dopo avergli raccontato cos'aveva fatto. «Sarebbe solo l'ennesima maschera. Esisto io e poi esiste la persona di cui scrivo: quando parlo di lei attraverso la mia immaginazione, non è più me. Quando scrivo degli altri questo è ovvio, perché nelle mie mani possono solo essere dei personaggi, ma io... Non è la stessa cosa. E se lo dimenticassi? Se credessi che sono quella di cui scrivo, e che quella è la mia vita, allora neanch'io sarei più io.»
Yu-Zhay ponderò in silenzio per lunghi minuti, le mani chiuse a vortice come in una preghiera. «Vorresti essere la persona di cui scrivi, giovane Kiyoko?»
Chloe non rispose. Abbassò lo sguardo, ma la tazza sul tavolino aveva contorni sfocati, irraggiungibili. Sembrò che la sabbia risalisse lungo le gambe, graffiando la pelle, insinuandosi nel petto fino a riempire ogni spazio dedicato all'aria. Sentiva il suono dei granelli che si riversavano anche nella sua mente e ne ostruivano i pensieri, un sussurro che suggeriva alle sue orecchie di non riflettere su quella domanda.
Il Monaco non la rimproverò, né la incalzò. Per la prima volta, si salutarono lasciando il discorso in sospeso.
«Ho parlato con Chen-Yi e chiesto udienza alla Madre» le disse durante l'incontro successivo. Non erano in spiaggia, quella volta: il Monaco l'aveva invitata nel pruneto del tempio, per passeggiare con lei sotto gli alberi in fiore. «Vedi, ci sono dei limiti a ciò che io posso fare per te. Limiti che l'immaginazione, da sola, non può spezzare. Teoria, studio ed esercizio non sono sufficienti, giovane Kiyoko: ora che hai appreso, l'esperienza è l'unico modo perché questa comprensione non ti sfugga via dalle dita.
«Per troppo tempo ti è stata negata: hai imparato ad essere una Tessitrice di Segreti prima che una ragazza. Hai conosciuto l'allieva ma non la bambina, poiché Chen-Yi è stato un maestro ma non un padre. Non temere: hai fatto molti progressi nel nostro tempo insieme. Hai dato splendidi fiori, sono certo che darai anche frutti.»
«Credo mi sfugga un dettaglio, nobile Yu-Zhay» disse Chloe, le sopracciglia aggrottate. «Che esperienza mi manca? Cos'è che dovrei fare?»
Yu-Zhay soffiò una risata spontanea, bonaria. «Vivere, giovane Kiyoko. Solo vivere.»
I rami del mandorlo oltre la finestra avevano già perso ogni fiore. Restavano un fogliame rarefatto e ingiallito, prossimo alla caduta, e le morbide valve schiuse a mostrare le mandorle non ancora raccolte. L'albero aveva salutato la partenza di Chloe nel suo massimo splendore, ma adesso che accoglieva il suo ritorno era prossimo alla decadenza.
Chloe lo trovò appropriato. Aveva nostalgia della camera in cui era cresciuta, che sembrava scavata nel legno; sentiva la mancanza del letto incassato nel pavimento, dei tendaggi rossi e bianchi che scivolavano dal soffitto, del pruneto e del mare che scorgeva dalla finestra. Eppure, era impaziente di andarsene.
Rineko, la Monaca della Vita, l'aveva visitata non appena aveva raggiunto il tempio di Hoshu, ordinandole riposo mentre preparava un Rimedio adatto. Il proiettile non aveva intaccato gli organi e l'articolazione dell'anca era salva, ma la spina iliaca si era scheggiata.
I sayfani, che non conoscevano il concetto di Heiko, l'avrebbero definita fortunata; Chloe però sapeva che non era vero. La prontezza di riflessi con cui si era spostata era frutto del suo allenamento, di una reattività che aveva addestrato per anni fino a farla diventare parte del suo istinto. E la sua sopravvivenza era merito del fatto che Kolt non avesse voluto ucciderla: avrebbe potuto farlo, dopo averla accecata, ma si era limitato a fuggire.
Su quello, però, avrebbe riflettuto dopo. Le testa doleva ancora per l'uso intenso di Maelstrom e la sua priorità era capire come giustificare la sua ferita a Brycen. La Monaca le aveva ordinato una settimana di riposo assoluto per non aggravare la frattura al bacino, perciò non poteva limitarsi a nasconderla e fingere che non esistesse.
Non poteva rivelarne la natura, perché le pistole erano troppo rare a Mehtap. Se avesse impedito a Brycen di guardare sotto il cerotto, avrebbe potuto spacciarla per un'escoriazione a seguito di un urto o una caduta... La posizione, però, era problematica. Le ferite più gravi avrebbero dovuto essere altrove, sulle parti del corpo più esposte: mani, braccia, ginocchia, i lati del corpo. Persino la schiena sarebbe stata più credibile. Chloe poteva ricamare una storia convincente, ma sarebbero serviti troppi dettagli, troppe specifiche, troppe coincidenze; la realtà poteva permettersi di essere bizzarra, ma la finzione doveva risultare normale.
Una coltellata sarebbe stata più semplice da spiegare: una ferita localizzata e profonda, inflitta con tanta forza da raggiungere l'osso, causata da... un'aggressione durante una passeggiata notturna? Brycen viveva in un quartiere tranquillo, ma Chloe poteva fingere di essersi allontanata troppo e di aver attirato le attenzioni di un passante ubriaco. Sapeva come difendersi, ma il coltello l'aveva sorpresa. Per fortuna il malvivente era fuggito e...
Chloe arricciò il naso, cancellando gli appunti che aveva scritto sul taccuino. Con un racconto simile, Brycen avrebbe insistito per denunciare l'accaduto ai Sovalye e Mindy avrebbe ingigantito il pericolo, preoccupandosi più del dovuto.
Cancellò il logogramma del coltello e tracciò nuove linee di quella rudimentale mappa concettuale. Doveva pensare a un evento accidentale, che non lasciasse altro da fare se non prenderne atto. Cos'altro avrebbe potuto causare la ferita? Una scaglia metallica; una pietra acuminata; una scheggia di legno. No, non andavano bene: serviva la spinta di uno scoppio per conficcarle così in profondità, ma un'esplosione era un incidente appariscente, complesso, ostico da gestire.
A meno che...
«E così serviva una pallottola per farti restare al tempio più una manciata di minuti. Non rammento l'ultima volta che abbiamo condiviso un pasto.»
Seojun si accostò alla porta, le labbra incurvate in un sorriso che stropicciava i tatuaggi da Purificatore sulla guancia. Aveva tolto l'armatura per indossare un comodo changpao, ma aveva ancora l'arma con sé.
Chloe ridacchiò, ammorbidendo l'espressione. «È un modo per dire che ti sono mancata?»
«Come sempre, sorellina.»
Tutti i membri dell'Ordine erano fratelli e sorelle, ma nessuno si apostrofava così in modo diretto. Solo Seojun lo faceva, e solo con lei: era già un Adepto quando Chloe era stata portata al tempio. L'aveva vista crescere da quand'era solo un'infante.
Chloe non aveva mai compreso davvero quanto affetto ci fosse in quel nomignolo, non prima di Yu-Zhay. Lo aveva chiamato fratellone come fosse una conseguenza logica, una mera istituzione di ruoli, così come Chen-Yi era il suo maestro. Quel significato apparteneva al passato, ma era stata una parola vuota per così tanti anni che Chloe si domandava se Seojun sarebbe mai riuscito a cogliere la differenza.
Seojun superò la soglia, ma attese il cenno di Chloe per avvicinarsi. Afferrò uno sgabello e si sedette a fianco del letto, le spalle rigide e il guan pao stretto nella mano destra. «Come stai?»
«Fa ancora male, ma è sopportabile.» Chloe lanciò un'occhiata alla protuberanza che la medicazione creava sotto la stoffa pulita dello yukata. La ferita aveva smesso di bruciare, ma pulsava in fitte costanti. «Mi dispiace, fratellone, ma sto solo aspettando di recuperare le forze per andare via. Devo tornare a Sayfa il prima possibile per far quadrare tutto.»
«Posso accompagnarti, se ne hai bisogno. Ti porterò in braccio fino a Mehtap, così non dovrai sforzare il bacino.»
Le labbra di Chloe si distesero. Il tono di Seojun era sempre così rigoroso, eppure la faceva sorridere. «Lo hai già fatto fino a Hoshu, sarai stanco... E non potrei riportarti indietro con Maelstrom.»
«Non ha importanza. Ho tempo da sprecare, ora che la missione è conclusa. Sfruttarlo per salvaguardare la tua salute è un buon uso» disse Seojun. Poi le sue sopracciglia si aggrottarono un poco. «Sei certa di riuscire ad occuparti del roumberghiano?»
«Oh, non preoccuparti di lui. Non mi coglierà impreparata una seconda volta.»
Seojun annuì, poi tacque. I Purificatori non avevano molto di cui parlare: la loro vita si divideva tra allenamenti, missioni, preghiere e riposo. Non erano però i demoni di cui narravano le leggende, gli spietati assassini a cui non importava altro che eseguire gli ordini: seduto al suo fianco, Chloe vedeva solo un uomo che si sarebbe accontentato del silenzio, pur di trascorrere del tempo con una persona a lui cara.
Ora che Seojun si era liberato dell'elmo, si poteva vedere la cicatrice che gli attraversava la fronte e la parte alta del capo, tagliando a metà i capelli bianchi. Anni prima le aveva raccontato di essersi unito all'Ordine dopo essere sopravvissuto alla ferita che gli aveva quasi spaccato il cranio in due; sarebbe morto se i Purificatori non fossero arrivati in tempo, salvando lui e la sua famiglia dagli aggressori.
Seojun aveva deciso di seguire il loro esempio, di dedicare la sua vita a proteggere e servire. Non erano sete di sangue o di giustizia a muoverlo, ma devozione e spirito di sacrificio. Tutti avevano una storia simile da raccontare, al tempio; tutti portavano i segni di una scelta sofferta, era evidente persino in coloro che non avevano condiviso con lei il proprio passato. Tutti avevano un motivo che li aveva spinti ad abbandonare la loro vecchia vita, a rinunciare a tutto pur di mantenere l'equilibrio di pace e prosperità del loro paese e dei suoi abitanti.
Tutti tranne Chloe.
Il vortice era il simbolo più sacro a Jiyu, il modo più semplice per rappresentare gli Dèi. Era l'unione tra due opposti che confluiscono in un unico centro, il potere di creazione e distruzione, il divenire, l'infinito. La spirale era la più pura manifestazione di Edoi e Hun, perciò Jiyu era considerata terra benedetta: c'erano vortici sulle alte montagne che la separavano da Sayfa, spirali minacciose di tempeste e uragani che rendevano pericolose le escursioni; c'erano vortici nelle acque che abbracciavano il resto della penisola, gorghi così potenti da frammentare le coste in una moltitudine di piccole isole, facendo desistere i marinai più esperti dall'avventurarsi senza conoscere i passaggi sicuri.
Con i valichi montuosi ben protetti dai Monaci della Guerra, in molti avevano tentato di raggiungere Jiyu lottando contro le acque impervie, ma tutti avevano fallito. Le loro navi erano andate distrutte, spinte alla deriva dalle forti correnti o risucchiate all'interno di quei gorghi mortali. I dunier, i più ostinati nei tentativi di conquista, diedero loro il nome di maelstrom: col passare del tempo le leggende associarono questo termine a spiriti, mostri, divinità e infine ad una specifica emanazione del Sihir, un Naru che secoli dopo sarebbe finito tra le mani di Chloe.
Gli Heikun non credevano nel destino, ma una simile serie di coincidenze era impossibile da ignorare: il caso aveva concesso quel potere proprio ad una jiyana. Il caso aveva voluto che fosse figlia di traditori, così che i membri dell'Heiko Jun la trovassero. Il caso aveva fatto sì che il suo Naru si sbloccasse di fronte ai loro occhi, manifestando i vortici oscuri che l'avrebbero accompagnata per il resto della sua vita.
Il caso; perciò, gli Dèi.
Fu la Madre a darle il nome Kiyoko, bambina santa, e ad affidarla a Chen-Yi affinché la crescesse nel tempio di Hoshu. Quand'era piccola, il Senza Volto le ripeteva che aveva ottenuto un'occasione con rari precedenti: le era stata offerta la possibilità di conoscere l'Ordine sin dalla giovinezza, di crescere nella piena consapevolezza del suo ruolo e della sua importanza. Non l'avrebbero costretta a unirsi a loro – andava contro l'Assoluto della Volontà – ma l'avrebbero indirizzata verso la giusta via, sperando che un giorno decidesse di imboccarla.
Nessuno le aveva mai detto che avrebbe dovuto farlo; nessuno le aveva mai detto che la sua unica alternativa era diventare una Tessitrice di Segreti; nessuno le aveva mai detto che era obbligata a pronunciare il Giuramento.
Nessuno le aveva mai detto neanche il contrario.
«Seo, posso farti una domanda?» Chloe posò il taccuino sulle sue gambe, lasciando scivolare la penna dalle dita. Le mani erano gelide, e non riusciva a mettere più a fuoco le parole. «Senti mai la mancanza della tua famiglia e dei tuoi amici?»
«Ogni giorno della mia vita.»
Chloe strabuzzò gli occhi in un sussulto. Chen-Yi l'avrebbe rimproverata per una risposta così diretta. In effetti, il suo mentore l'avrebbe rimproverata anche solo per la domanda: non era una discussione che poteva affrontare con lui. Il Senza Volto avrebbe indagato su ogni parola e lei non era pronta a gestirlo.
«Non passa mai davvero» proseguì Seojun in un sospiro. «Né il tempo né l'addestramento sono in grado di colmare quel vuoto, lo rendono solo più sopportabile.»
«Ti sei mai pentito di aver rinunciato a loro?»
«No, mai. Non esiste sacrificio senza sofferenza: quando ho deciso di diventare un Purificatore, sapevo quanto male avrebbe fatto. Ero pronto a sostenerlo allora, e lo sono adesso.»
«Neanche una volta? Fosse anche solo per un istante, un dubbio passeggero.» Chloe deglutì. Tenne lo sguardo fisso sul taccuino, sul nome di Brycen che si ripeteva più volte nella pagina. «Non hai mai desiderato tornare indietro e scegliere una via differente, una in cui poter vivere al loro fianco?»
Seojun inspirò a fondo. Abbandonò la fronte contro l'asta del guan dao, stretta tra le mani. Gli allenamenti avevano reso le sue dita callose e storte; Chloe sapeva che nella sua giovinezza Seojun era stato l'apprendista di un decoratore, ma non sarebbe più riuscito a maneggiare un pennello con la precisione di un tempo.
«Vado a trovarli, certe volte. Li osservo da lontano senza farmi vedere. Mi assicuro che stiano bene» disse Seojun, la voce bassa e roca. «Non è semplice nostalgia: guardarli mi ricorda perché combatto. Mi ricorda a chi devo la mia vita. Mi ricorda per chi facciamo tutto questo. Gli Dèi non ci hanno imposto una scelta semplice, ma qualcuno dev'essere pronto a portarne il peso. La pace è possibile solo grazie a noi, sorellina: se la mia sofferenza è il prezzo da pagare, sarò sempre disposto a farlo.»
Chloe serrò le labbra, stringendo il taccuino tra le dita. La devozione di Seojun era ammirevole; era l'uomo più onorevole che avesse mai conosciuto, insieme a Brycen. Il loro spirito di sacrificio era così luminoso da abbagliarla, tanto da rivelare le sue ombre.
Poteva scorgerle muoversi dentro di sé, strisciando nel suo petto. Tornavano sempre, per quanto provasse a scacciarle, a fingere di non vederle. Ogni volta che credeva di aver compreso come convivere con loro, tornavano a dimenarsi; perché si ostinavano a darle il tormento? Perché sembravano crescere di giorno in giorno, invece che sparire?
«Non sembra la risposta che ti aspettavi di sentire.»
«Non so che cosa mi aspettavo» sputò fuori Chloe, raccogliendo la penna. «Per me è stato diverso, dopotutto. Io non avevo nulla da sacrificare.»
"E adesso che ce l'ho, non sono più certa di volerlo fare."
Chloe chiuse gli occhi, respirando piano prima di aprirli. Non poteva averlo pensato davvero, giusto?
«Non sono un Monaco dell'Anima né un Senza Volto, ma non credo che il senso di tutto questo sia farti sentire in colpa, sorellina.» Seojun si sporse a picchiettare sul taccuino. La smorfia sul viso rendeva difficile leggere i segni sulla guancia.
Chloe incrociò il suo sguardo, carico di una compassione che di rado si concedeva di mostrare. Solo quand'erano al tempio, quand'erano soli. Le voleva bene, ma sarebbe stato così condiscendente se avesse compreso cosa realmente la tormentava? Che il vuoto dentro la sua anima era così profondo da non volerlo neppure guardare?
Chloe strinse comunque la mano nella sua. Sorrise, e l'uomo ricambiò con sollievo.
Un mallo si staccò dall'albero e rimbalzò sul davanzale di legno, rotolando fino ai piedi del letto. Lo schiocco improvviso del ramo fu sufficiente a far saettare lo sguardo attento del Purificatore verso la finestra: i muscoli si irrigidirono di riflesso, le gambe pronte a scattare mentre la mano rinsaldava la presa sul guan dao.
«Oh no, nascondetevi!» Chloe rise, agitando le braccia. «Le mandorle sono passate all'attacco, siamo spacciati!»
Seojun serrò le labbra, rilassando i muscoli in un lento respiro. «Non ricordavo che quell'albero desse frutti» si giustificò, lo sguardo ancora all'erta.
Era inevitabile: un Purificatore non si rilassava mai davvero. Chloe credeva che Seojun avesse dimenticato come fare.
«Era così fino a otto anni fa, poi ne ho piantati altri qui attorno. Certi mandorli possono regalare la più meravigliosa delle fioriture, ma non daranno mai frutti finché restano da soli o con i loro simili. Devono avere accanto varietà diverse, allora raccoglierai mandorle da tutti loro.» Chloe allungò un braccio ad indicare oltre la finestra dove il giardino proseguiva in una moltitudine di alberi differenti, invitando Seojun ad allungare il collo per vederli. «Adesso è difficile distinguerli, ma se ti affacciassi in primavera noteresti che quelli a destra hanno fiori bianchi, mentre quelli a sinistra sono rosa. Finché restano vicini continueranno a fruttare, ma se li separassi non otterresti nemmeno una mandorla.»
"E così io se tornassi a vivere qui, se fossi solo Kiyoko."
«Pensandoci, se hai davvero tempo da perdere potresti raccoglierne un po'.» Chloe indicò il mandarlo con la penna, tirando le labbra in un nuovo sorriso. Mandorle, ecco di cosa si parlava; nient'altro. Non pensava a nient'altro. «Sarebbe un peccato se tanto impegno andasse sprecato.»
Gli ultimi pezzi del puzzle riguardo il passato di Chloe si incastrano! Che la sua fosse una situazione molto particolare si era già intuito, ma lo è anche all'interno dell'Ordine stesso, un'anomalia che Chen-Yi non ha saputo gestire.
Il suo Giuramento è qualcosa di molto fumoso: nessuno l'ha davvero obbligata, ma non era palesemente in grado di prendere una decisione... Ed ecco il risultato.
Che ne pensate? E che mi dite di Seojun? 👀
Chloe che ammira il mandarlo fuori dalla sua finestra a Jiyu, per il giorno 20 dell'Inktober di quest'anno!
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