Capitolo 22 - Essere uomo

«Un cespuglio di cinguettii viola e profumatissimi è un'ottima sinestesia, Laurie, ma resta una traduzione errata» disse Brycen, addolcendo il tono mentre poggiava i gomiti sulla cattedra. «Vuoi riprovare?»

«Tsvetov» si corresse lei, balbettando appena. La voce cristallina aveva ancora strascichi dell'accento aperto di Hedea, ma gli accenti erano al posto giusto. «Kust ochen' aromatnykh purpurnykh tsvetov

«Bravissima.» Brycen distese le labbra, e vide Laurie sospirare di sollievo. Era la più giovane del suo corso, diciotto anni appena compiuti e occhi nocciola che la timidezza spingeva sempre in basso; nessuno più di Brycen sapeva quanto fosse essenziale a quell'età avere qualcuno che spronasse a fare il contrario.

«Gli zimei non sono accomodanti sugli errori di fonetica» proseguì Brycen, facendo scorrere lo sguardo sull'intera classe. Gli occhi dei suoi studenti erano vacui e distratti, segno che avevano rivolto altrove i loro pensieri durante l'interrogazione, ma sfruttare un tono di voce più alto e deciso era sufficiente a richiamare la loro attenzione. A quelle prime parole seguirono schiene drizzate e menti sollevati, e tutti gli rivolsero presto lo sguardo. «Di fronte a un errore di pronuncia o un accento scorretto, un sayfano tenderà a sforzarsi di comprendere ciò che avete detto, cercando una familiarità di suono nelle parole che possano dare alla frase senso logico. Non aspettatevi la stessa cortesia da uno zimeo: continuerà piuttosto a chiedervi di ripetere fin quando non lo direte nel modo giusto, anche quando il significato sarà ovvio. Per questo è fondamentale impegnarsi sin da subito a pronunciare correttamente ogni parola. Se vi sentite insicuri, portate con voi qualcosa su cui scrivere: un errore di scrittura, persino uno grammaticale, è considerato meno grave.»

Brycen si alzò, rigirandosi la catenella dell'orologio tra le dita mentre parlava. Non abbandonava mai il retro della cattedra durante le lezioni, se non per utilizzare la lavagna; Chloe, al contrario, trascorreva dietro il bancone meno tempo possibile.

Non mi piace il distacco che crea, gli aveva detto, e Brycen aveva riflettuto a lungo sulle sue parole.

Una cattedra non era poi così diversa da un bancone. Entrambi definivano i ruoli delle parti in gioco, ma rappresentavano anche un ostacolo netto e invalicabile. Generavano una distanza tra le persone che Chloe superava ogni volta che poteva, avvicinandosi ai suoi clienti e consentendo così anche a loro di avvicinarsi a lei. Brycen non era certo di poter applicare quella strategia con i suoi studenti, ma si sentiva abbastanza ottimista da tentare.

Doveva ringraziare Acamar, per quello: era tornato a Mehtap già da una settimana, eppure sentiva ancora addosso il buonumore che le vacanze gli avevano trasmesso. Forse il mare era davvero in grado di sovvertire gli animi, come sosteneva Chloe – o forse era soltanto lei, che trattava l'impossibile come fosse un gioco e lo invogliava a credere che fosse persino in grado di vincerlo.

«Adam, continuiamo con te.» Brycen raccolse il libro di testo dalla cattedra, appoggiandosi di schiena al bordo. «Stessa pagina, traduci dal capoverso successivo.»

L'uomo drizzò le spalle e annuì, passando una mano tra i corti capelli neri. «Dopo la vittoria, Don Dragunov regalò una bottiglia di nalewka al suo avvocato come ringraziamento.»

«Alla sua avvocata» lo corresse Brycen. «Sebbene a livello grammaticale yurist si comporti come un termine neutro, concettualmente è da considerare femminile.»

Adam si accigliò. «E un avvocato uomo come lo chiamo?»

«In nessun modo, temo. Non esistono avvocati uomini, le professioni giuridiche sono esclusiva delle donne.»

Gli studenti sollevarono sguardi stupiti, cominciando a borbottare. Solo due tra loro sembravano esserne al corrente, tutti gli altri guardavano Brycen come se si aspettassero che scoppiasse a ridere da un momento all'altro.

Brycen sospirò, chiudendo il libro. Sapeva che molti sayfani non erano al corrente di come si vivesse davvero a Zima, ma che lo ignorassero persino i suoi studenti... Nessuno aveva provato lo stimolo di approfondire l'organizzazione sociale del regno di cui stava imparando la lingua? O forse una struttura matriarcale suonava così assurda alle loro orecchie che non la credevano realmente possibile?

«A Zima c'è distinzione tra i mestieri che possono essere svolti solo da donne o solo da uomini. Per utilizzare una semplificazione, tutto ciò che è legato alla creatività o all'intelletto è prerogativa della sfera femminile; ciò che richiede uno sforzo fisico o un impegno considerato degradante per una donna è invece lasciato agli uomini.» Il solo spiegare quei concetti gli provocava un prurito sottopelle, ma afferrò un gessetto e cominciò a tracciare rune dai tratti decisi, composizioni di linee rette e angoli. Li pronunciò ad alta voce mentre ne scriveva la traslitterazione in alfabeto sayfano, più morbido ed elegante. «Soldato, locandiere e minatore, mestieri maschili. Musicista, insegnante e dottoressa, mestieri femminili. Sono solo alcuni esempi, vi farò avere un elenco più ampio appena possibile: purtroppo è raro, se non impossibile, che esistano eccezioni. Tenetelo a mente, se non avete modo di comprendere il sesso tramite contesto o pronomi.»

«Quindi possiamo dire che lei è la nostra professoressa?» Adam sghignazzò, e alcuni studenti lo seguirono in una breve risata.

Tu non sei una ragazza.

La baritonale voce di suo padre rimbombò prepotentemente nella testa di Brycen, sovrastando qualsiasi altro suono. Non c'era ilarità in quella voce. Non c'era alcuna risata nei suoi ricordi. Soltanto uno sguardo talmente carico di disprezzo da gelare persino il suo sangue.

Brycen strinse il gessetto tra le dita. «Sì, è corretto. Se si trattasse di una traduzione, non potrei considerarlo un errore.»

Si sforzò di sorridere mentre tornava alla cattedra, afflosciandosi sulla sedia. Avrebbe preferito stuzzicare l'indignazione dei suoi studenti, piuttosto che un becero e superficiale senso dell'umorismo. Come poteva essere quello l'unico commento che avevano da muovere a riguardo? Nessuno si era stranito di quella divisione tanto netta da influenzare la lingua. Nessuno gli aveva chiesto perché.

Forse era colpa sua. Avrebbe dovuto scagliarsi con più veemenza contro quella disparità di genere, invece che lasciar trasparire il suo malcontento da qualche smorfia e da un tono di rimprovero. Non ne avrebbero riso con tale leggerezza, se avesse spiegato che per insegnare era stato costretto a lasciare il suo paese; non avrebbero scherzato su quella situazione se avessero saputo del dolore e dell'umiliazione che aveva dovuto sopportare.

Ma se gli zimei stessi non nutrivano alcun interesse per l'argomento, tollerando pigramente la situazione o peggio riconoscendola come verità incontestabile, come poteva pretendere qualcosa di diverso dagli stranieri?

Un gigante ghiacciato da cui estrarre minerali.

Brycen non era stato assunto per fare polemica sul suo paese, per istruire sulla sua cultura o dibattere sui dogmi teologici alla base del contesto sociale e religioso, ma per insegnare la sua lingua. Era tutto ciò che importava ai suoi studenti quando entravano in classe e quello a cui avrebbe dovuto attenersi.

Infiammare i loro animi? Spingerli ad aprire le menti? Non ne sarebbe mai stato capace. Tutto ciò che sapeva fare era rimuginare, raccogliere idee e scriverle centinaia e centinaia di volte per occhi che non avrebbero mai letto, costruendo monologhi che nessuno avrebbe mai ascoltato. Se anche si fosse alzato in piedi, sciorinando alla classe le sue argomentazioni, non sarebbe cambiato nulla: dopotutto, nonostante i suoi sforzi, Brycen non era mai riuscito ad ottenere neppure la comprensione della sua famiglia.



«Non andare.» Mari gli afferrò un braccio, costringendolo a fermare il passo. Le sue piccole mani tremavano mentre stringeva la stoffa della rubakha. «Edvokin sarà presto a casa. Aspettalo: lui saprà cosa dire, risolve sempre tutto.»

Virkov, il domestico che aveva il compito di scortarli, si schiarì la voce. Teneva lo sguardo di rimprovero puntato su Brycen, naturalmente: non avrebbe osato mancare di rispetto a una donna, ma lui... Viveva nel settimo anello, eppure persino i servitori lo guardavano dall'alto in basso.

Brycen si strinse nelle spalle mentre Virkov apriva la porta dello studio personale di Trylenn, annunciandogli l'arrivo del figlio.

«Devo entrare. Si arrabbierà di più, se non lo faccio» sussurrò a Mari, cercando di sfuggire alla sua presa.

Lei però si strinse ancora di più al suo braccio, e ogni tentativo di farla desistere fu inutile. Virkov li fece entrare insieme, poi si congedò chiudendo la pesante porta di legno scuro dietro di sé.

Brycen si fermò al centro del tappeto dalle mille tonalità accese che rivestiva la stanza. Si era tolto la lunga gonna grigia e il corpetto della divisa scolastica, indossando rubakha e pantaloni, ma non aveva avuto tempo di lavare i capelli: li aveva raccolti in una coda alta, da cui sfoggiavano ancora i boccoli in cui li aveva acconciati. Tanto bastò per disegnare una smorfia di disgusto sul volto di suo padre, che arricciò le labbra come fosse sul punto di sputare ai suoi piedi.

«Mi ritengo un uomo indulgente, Brycen» disse Trylenn, la voce pesante come un macigno. Posò sulla scrivania il bicchiere da cui stava bevendo – vodka liscia, a giudicare dalla trasparenza – e si alzò, superando la scrivania in passi lenti. Da lui, Brycen aveva ereditato la corporatura slanciata, la forma del viso e i capelli viola, oltre che la passione per i cavalli.

Lì terminavano le loro somiglianze.

«Ho tollerato la tua debolezza e il tuo ostinato rifiuto verso i passatempi adatti al tuo genere.» Trylenn si fermò di fronte al primogenito, torreggiandolo a testa alta. Non degnò Mari di uno sguardo, tenendo puntati verso Brycen gli occhi azzurro ghiaccio. Lampi d'ira li attraversavano, manifestando il disprezzo che Trylenn non si era mai curato di nascondere. «Ho rispettato la volontà di tua madre nel concederti così tanto tempo da dedicare alla lettura. Ho soprasseduto sulle tue fughe notturne in biblioteca, sulle tue intrusioni ai circoli e persino sui tuoi piccoli furti alle Cave.»

Brycen trasalì, sentendo un brivido correre lungo la schiena. Mari si rannicchiò al suo fianco, ma erano le sue braccia quelle che avevano cominciato a tremare.

«Credevi di essere tanto furbo? Pensavi che non l'avremmo scoperto? È solo per la clemenza di tua madre se non ti è stata fornita una punizione esemplare, come avresti meritato.»

«Padre, io-»

«Silenzio!»

Trylenn strinse i pugni e Brycen indietreggiò di un passo al suono stiracchiato della pelle dei suoi guanti. Suo padre non aveva ancora allontanato le mani dai fianchi, eppure Brycen aveva già contratto i muscoli dello stomaco e dovette trattenersi per sollevare le braccia a proteggere il viso. Suo padre odiava quando lo faceva: più lui chinava il capo, più colpiva forte.

«Non osare interrompermi. Non voglio sentire suppliche o scusanti, non esiste clemenza che possa condonarti alcun perdono. Questo non è giustificabile: con questo hai superato ogni limite!» Trylenn gli afferrò i capelli, tirandolo verso di sé con tale veemenza da costringerlo a piegare il busto in avanti in un lamento.

Fu brusco anche quando lasciò la presa. Brycen sarebbe caduto, se non fosse stato per Mari: sentì la sua mano premere contro il petto mentre cercava di sostenerlo, pur barcollando a sua volta. Trylenn sembrò accorgersi di lei soltanto adesso: la afferrò per un braccio, strattonandola per costringerla a lasciare la presa. Lei si dibattè e si lamentò in mugugni spauriti, aggrappandosi a Brycen con tutte le forze, ma infine cedette. Si lasciò condurre controvoglia al fianco di suo padre, le guance rosse e gli occhi lucidi.

«Hai persino trascinato Maritruska in questa follia!»

«Non è colpa sua, padre! Siamo stati io e Edvokin a—»

Un singolo sguardo di Trylenn fu sufficiente ad ammutolirla. Le liberò il polso, che Mari strinse al petto in mugolii sommessi, tormentando tra le dita la stoffa del suo sarafan azzurro.

Brycen sentì la gola stringersi come se una mano l'avesse afferrata, infilzando le dita affusolate fin dentro le carni. Sapeva che non aveva motivo di temere: suo padre non sarebbe andato oltre quello, non con lei. Persino Trylenn non si sarebbe azzardato a colpire una donna. Ma vedere sua sorella così rannicchiata e tremante, gli occhi blu spalancati e le labbra serrate per trattenere il pianto, gli contorse ugualmente lo stomaco.

«Non provi alcuna vergogna, Brycen?» Trylenn arricciò le labbra in una smorfia di disgusto. «Hai reso una bambina complice di una simile depravazione e lasci persino che se ne assuma la colpa. E cos'avresti fatto dopo? Avresti rubato i suoi abiti o quelli delle tue cugine?»

«Ho indossato la divisa solo perché è obbligatoria per andare a scuola» disse Brycen, sforzandosi di non far tremare la voce. «Ma se anche l'avessi fatto per volontà, quale sarebbe il problema? Sono soltanto ves— »

«Non osare concludere quella frase!» tuonò Trylenn, indurendo lo sguardo «Sei fortunato che Maestra Ekrenia abbia mostrato comprensione, accettando di mantenere il riserbo sulla faccenda per la stima che nutre verso me e tua madre. Sei fortunato che abbia deciso di riportarti a casa con discrezione, invece di chiamare le guardie.»

«Non mi avrebbero arrestato.»

Trylenn si accigliò. «Cos'hai detto?»

«Non mi avrebbero arrestato» ripeté lui, con più decisione. Inspirò a fatica, sentendo il ventre tremare e il cuore martellargli fin nelle orecchie, ma sollevò comunque gli occhi per incrociare lo sguardo di suo padre. «Ho studiato la legge, padre. Non ho ancora raggiunto la maggiore età, perciò non avrebbero avuto il diritto di arrestarmi. Avrebbero potuto soltanto ammonirmi di non avvicinarmi più alla scuola, o al più elargire una multa.»

«Hai studiato la legge.» Trylenn liberò uno sbuffo ilare, ma non durò che un momento: la sua espressione si incupì subito, in un rancore che a Brycen sembrò persino più marcato di prima. «Gli uomini non studiano la legge! Avrei insistito per farti arrestare io stesso, che Beyled mi sia testimone! Avrei preferito che ti avessero gettato per sempre nella più buia e fredda delle celle piuttosto che vederti con quella... quella cosa addosso!»

Brycen tentennò. Sentì le gambe farsi deboli e la vista si annebbiò per un istante, sfocando il viso di suo padre in contorni indistinti.

«Volevo solo seguire le lezioni. Avrei persino pagato la retta, io... Non ho fatto del male a nessuno.»

«Lo hai fatto alla tua famiglia!» lo interruppe Trylenn, battendosi il petto. «Hai arrecato un profondo dolore a me e tua madre. Hai ragionato per un solo istante sulle conseguenze? Hai pensato allo scandalo che scoppierebbe se si venisse a sapere? Già da tempo circolano voci che ti definiscono un effeminato e tu hai pensato bene di darne conferma!»

«Voci? Circolano voci?» Brycen strinse l'orlo della rubakha tra le dita. «Vladimir e i suoi amici mi hanno picchiato più volte, e per te sono io a meritare la prigione? Lui mi ha rotto il naso senza alcuna ragione, questo non ti preoccupa?»

«Mi preoccupa che mio figlio non sia in grado di farsi rispettare da solo e che abbia bisogno di suo cugino a difenderlo! Mi preoccupa che neanche questo sia riuscito a tirarti fuori un minimo di risolutezza!» ringhiò Trylenn, puntandogli un indice contro. «Sapresti come reagire, se seguissi i miei insegnamenti. Nessuno oserebbe anche solo minacciarti se ti comportassi come si conviene, invece di perseguire certe idee immorali!»

«Io voglio solo andare a scuola, cosa c'è di immorale in questo? Sono intelligente tanto quanto le ragazze della mia età e persino più di alcune di loro!»

«Tu non sei una ragazza!» Trylenn marcò ogni singola parola con una furia tale da arrossargli il volto. «Sei un uomo, esigo che impari a comportarti come tale.»

«Tra i Demiurghi di Lasyard ci sono stati molti uomini, considerati tra i più grandi filosofi dei tempi. L'imperatore di Hedea è sempre stato un uomo, e i Lunae hanno conquistato metà del continente. Erano uomini anche lo scienziato Norbait, lo scrittore Vemelli e il compositore Lu'hen, e io voglio seguire il loro esempio.»

«L'unico esempio che dovresti seguire è quello che Beyled ha stabilito.»

«E in che parte delle scritture lo ha fatto? Le ho studiate da cima a fondo e non c'è una singola frase che stabilisce qualcosa del genere. Che ci fossero degli uomini a proteggere la Santa Velaj nel suo viaggio non vuol dire che sia l'unica cosa che siamo autorizzati a fare.» Brycen drizzò le spalle e la differenza tra le loro altezze non gli sembrò più così schiacciante. «Beyled è in tutti i colori del mondo. Ci chiede di apprezzare ognuna delle infinite tonalità della vita; ci ricorda che le differenze non sono che un'illusione dei nostri occhi, e che siamo tutti figli della stessa luce; ci chiede di amare la diversità, di farla risplendere, non di soffocarla. Non sono io che sto andando contro la volontà della Dea, padre: siete voi che snaturate ogni sua parola per giustificare quello che—»

La mano di Trylenn si abbattè contro la sua guancia con una forza tale da scaraventarlo al suolo. Brycen sentì Mari soffocare un grido tra le mani mentre il dolore gli avvolgeva il lato sinistro del viso. Il tappeto aveva attutito la botta, ma sentiva pulsare il braccio su cui era caduto e il sapore denso e ferroso del sangue gli sporcava le labbra.

Trylenn aveva colpito con più violenza del solito. Era stato un soldato, nella sua giovinezza: la sua non era una forza che un ragazzino di quindici anni avrebbe dovuto provare sulla sua pelle. Un po' più forte e gli avrebbe dislocato la mandibola o addirittura fatto perdere i sensi: a Brycen sembrò di esserci andato molto vicino. Sentiva un ovattato brusio rimbombargli nell'orecchio e faticava a mettere a fuoco la stanza, che sembrava oscillare come preda di una tormenta.

Vedeva Trylenn, però. I suoi occhi gelidi che lo fissavano offesi, feriti, mentre aveva ancora la mano sollevata. Come se fosse suo il dolore, suo il sangue che gocciolava sul tappeto.

«Non hai motivo di temere, padre. Non ho mai voluto essere una donna.» Brycen sollevò lo sguardo, e mai come allora le sue parole si impregnarono di tanto odio. «Ma se essere uomo vuol dire essere come te, non voglio diventare neanche quello.»

Trylenn spalancò gli occhi, ringhiando mentre si preparava a colpire ancora. Brycen strinse occhi e denti per incassare, invece sentì le braccia di sua sorella circondargli il collo.

«Padre, no! Per favore, basta!» supplicò Mari, accasciandosi tremante tra le braccia di Brycen.

L'ira di Trylenn si mitigò di fronte alle sue lacrime, e la sua espressione recuperò compostezza. Diede le spalle ai suoi figli e afferrò il bicchiere, svuotandolo del contenuto in un sorso rapido mentre Mari continuava a singhiozzare.

«Mi dispiace. Mi dispiace tanto. Fa così male?» Mari sfiorò la guancia del fratello, ma ritirò la mano in un sussulto. La strinse al petto, lo sguardo pregno di una preoccupazione tale da sbiancarle il viso, poi corse via. «Vado a chiamare nostra madre.»

Trylenn si avvicinò di nuovo a suo figlio, inginocchiandosi al suo fianco. La porta rimasta aperta non sembrava turbarlo, afferrò Brycen per la rubakha e lo schiantò contro la parete. Le spade appese ai sostegni tintinnarono sopra la sua testa, ma nessuna delle lame che adornavano lo studio di Trylenn sembrava pericolosa quanto lui.

«Questa è l'ultima volta che tollero una simile mancanza di rispetto, Brycen» disse, il pugno premuto sul petto che lo teneva ancorato al muro. «Da oggi ti è proibito parlare di scuola, di insegnamento o di qualunque altra idea insulsa e deviata tu ti sia messo in testa. Nulla di quanto successo oggi è mai accaduto, non voglio mai più sentire una singola parola a riguardo. Correggi il tuo atteggiamento o le conseguenze saranno ben più gravi di un misero schiaffo. Sono stato chiaro?»

Brycen non rispose. Serrò la mascella tremante e si sforzò di prendere fiato, ma la sottile carezza del Sihir nel suo respiro lo turbò. Quando aveva cominciato ad assorbirlo? Lo sguardo cadde sul centro del tappeto, dove le fibre erano congelate. Minuscoli cristalli di ghiaccio si erano depositati sulla superficie, rivestendo un'area grande quanto un palmo. Mari doveva averlo notato – ma non Trylenn, per fortuna. Non ancora.

Brycen deglutì, sentendo formicolare le dita fino a perdere sensibilità. Gettò fuori l'aria, scacciando il Sihir con tanta forza che gli occhi cominciarono a pizzicare.

"Scongelati! Oh Beyled candida, ti scongiuro..." pensò, pregando l'energia mistica di liberare il tappeto dalla sua morsa. Le orecchie erano vittima di un fischio acuto e persino il dolore al viso sembrava insignificante di fronte al terrore che gli attanagliava il cuore. "Mi denuncerà alle guardie, se lo scopre. Mi farà arrestare e giustiziare, oppure mi ucciderà qui e ora, con le sue stesse mani."

«Guardami, Brycen. Guardami!» Trylenn gli afferrò il viso e lo costrinse ad alzare lo sguardo, ignorando i suoi lamenti di sofferenza. La sua mano lo stringeva così forte da fargli male. «Osa versare una singola lacrima e riceverai un altro schiaffo. Rispondimi: sono stato chiaro?»

Brycen boccheggiò, lanciando solo un fugace sguardo alle sue spalle. Il ghiaccio non aveva lasciato tracce. «Sì, padre.»

«Molto bene. Ora va', prima che arrivi tua madre.»

Non appena fu libero dalla sua presa, Brycen si mise in piedi e scappò. Si precipitò all'esterno della magione e raggiunse le stalle, dove sellò Karsel alla svelta. Sentì la voce di sua madre che lo chiamava, ma la ignorò: montò invece in sella e incitò lo shire a correre più veloce che poteva. Galoppò verso le pianure e oltre, dove ad avvolgerlo non c'erano altro che vento, gelo e neve vorticanti di Sihir. Solo allora si concesse di piangere.



«Giulia, traduci tu la prossima.»

Brycen si massaggiò la fronte con le dita. Non erano i suoi studenti la causa di quel risentimento. Non voleva che i ricordi soffocassero il benessere che Acamar gli aveva lasciato, e ancor meno avrebbe permesso loro di interferire con le sue lezioni.

La studentessa annuì, sistemando dietro le orecchie alcune ciocche biondo platino che sfuggivano al fiocco che li teneva legati. «Donzella Yulis non ha ancora ricevuto la lettera—»

«Perdonate l'interruzione!»

Giulia interruppe la lettura in un sussulto quando la porta dell'aula si spalancò, facendo sobbalzare più di uno studente.

«Devi seguirmi, Brycen: abbiamo bisogno di te.» Chloe si affacciò oltre l'uscio, la divisa del Nerea indosso e la preoccupazione dipinta sul viso. «È un'emergenza.»



Un applauso a Trylenn che concorre per il premio "padre dell'anno", complimenti! È già entrato nelle vostre simpatie, ne sono certa.

Flashback anche per Brycen, per nulla allegro... :/ Essere un Dotai non è l'unica cosa che ha condizionato la sua vita, anzi: il suo modo di essere è all'opposto di ciò che la società zimea considera virile, e questo gli ha creato non pochi problemi. Sounds familiar? 

 Chissà perché ha sempre sognato di lasciare il suo paese, un vero mistero X°D

Nel presente, però, a quanto pare c'è necessità del suo aiuto... Ci vediamo al prossimo capitolo per scoprire cos'è successo!


Note:

Rubasca: Tipico camiciotto russo, legato in vita con una cintura o una fascia. Quella indossata da Brycen potete vederla nel disegno qui sotto, mentre nel commento vi lascio un esempio!

Sarafan: Abito tradizionale russo, tra i commenti vi lascio un esempio!

PS: Il paragrafo su Giulia è una doppia dedica/cameo: la descrizione dei capelli fa riferimento a Chandra di "Come Aria e Terra", di Miss_Chandra, mentre la cara Yulis è la protagonista di "Ultra Violet", di JulietMCooper! Consigliatissime entrambe, andate a leggerle ♥


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