Capitolo 18 - Occhi velati di nebbia

La maestosa campana d'ottone suonò quattro rintocchi, annunciando la fine delle celebrazioni – uno per il Lucente, uno per i suoi Serafini, uno per i Cherubini e l'ultimo per gli altri Angeli. Le voci dei fedeli si unirono in coro sia dentro che fuori la cappella, porgendo al Signore della Luce un canto di ringraziamento nella vecchia lingua di Hedea. Mani e occhi si levarono in alto: di giorno cercavano il sole, la più pura manifestazione del divino, ma dopo il tramonto offrivano le loro preghiere agli astri che abitavano il cielo notturno, dove la Schiera Angelica trovava dimora.

Il collegamento tra l'astrologia e la Chiesa della Luce era affascinante, anche se Brycen venerava le stelle in modo diverso. Quando alzava lo sguardo, lui non vedeva che frammenti di Beyled, pulsanti della stessa energia con cui aveva creato l'universo. Alcuni beyledisti sostenevano persino che fossero i suoi occhi, attraverso i quali osservava il mondo. Una credenza infantile, poiché non era rimasta alcuna coscienza con cui la Dea potesse interagire col mondo.

Eppure era lì. Era il canto armonico che riecheggiava nella piazza, benché non fosse rivolto a lei. Era la pietra grigia della cappella, le fiamme sottili sui ceri, le nuvole che oscuravano porzioni di cielo – ed era anche le stelle, che facevano capolino tra gli scorci illuminati dal bagliore lunare.

Così Brycen alzò a sua volta lo sguardo e riunì le mani a formare un triangolo, rivolgendo agli astri un silenzioso e personale elogio alla Dea Bianca. Offrire le proprie invocazioni ad alta voce non era una pratica comune agli zimei, che si rivolgevano a Beyled nei loro pensieri con le parole più sincere che erano in grado di offrire. Brycen lo preferiva alle lodi luciste, passionali nella composizione ma che risultavano vuote se ripetute per abitudine. Eppure non poteva negare che osservare così tanti devoti riuniti e ascoltare gli armoniosi canti che offrivano in preghiera suscitava in lui un certo fascino, persino se non ne condivideva la fede.

«Tu riesci a vederli?»

Chloe si aggrappò alla cancellata di ferro e si alzò sulle punte, allungando il collo nel tentativo di scorgere le teste di Mindy e Nosh nella folla. Brycen li cercò con lo sguardo, ma si trovò costretto a scuotere il capo.

«Forse avremmo dovuto scegliere un punto di riferimento diverso. Non immaginavo che i fedeli sarebbero stati così tanti da occupare anche l'esterno.»

«Oh, questo è niente.» Chloe incrociò le braccia al petto. «Sei mai uscito di casa nel giorno della Luminara? I fedeli sono così numerosi da riempire le strade, e le liturgie vengono trasmesse con i megafoni.»

«Non ho mai visto le processioni, però le ho sentite» disse Brycen. «Ti infastidisce così tanto? Io credo che sia un'ottima soluzione per coinvolgere tutti i lucisti durante un giorno così importante, dando la possibilità di sentirsi partecipe anche a chi non ha modo di unirsi attivamente. Lo trovo un bel gesto verso i fedeli, considerando quanto il senso di comunità sia importante per la Chiesa della Luce.»

«Buon per i credenti, ma perché devo essere costretta ad ascoltare anch'io?» disse Chloe, arricciando il naso in una smorfia. «Anche per noi heikun è fondamentale la comunità, ma nessuno oserebbe proporre una cosa del genere. Va contro l'Assoluto della Volontà: gli uomini hanno libero arbitrio sul loro destino in ogni aspetto delle loro vite, consapevoli dei rischi e delle conseguenze delle loro azioni. Urlarti preghiere addosso non ti lascia molta scelta.»

Brycen si limitò ad annuire. Il concetto di Volontà era il più intrigante tra i precetti cardine dell'heiko: si ergeva contro qualunque obbligo, aborrendo le opere di conversione, poiché ritenuti un limite alla libertà della persona. Conoscenza e comprensione erano alla base della cultura, affinché chiunque avesse gli strumenti per prendere le proprie decisioni con consapevolezza.

Un'ideologia che aveva suscitato dapprima l'interesse e l'ammirazione di Brycen, poi la sua delusione. Jiyu affondava le sue radici nella religione: chiamava Eletti i suoi regnanti, considerati incarnazioni delle divinità, e le professioni di maggior rilievo socio politico erano esclusiva dei Monaci, che oltre ad essere guide spirituali erano anche medici, economi, professori e persino forze armate. L'Heiko – il concetto di Equilibrio tanto caro ai jiyani – non era soltanto una fede ma un'ideologia, una morale, uno stile di vita assorbito da ogni aspetto di Jiyu, al punto che era impossibile scindere le cose.

Non c'erano leggi che impedivano di professare altri culti, come accadeva a Zima con il beyledismo, eppure Brycen non vedeva le differenze che avrebbe voluto trovare. Esisteva davvero il libero arbitrio decantato dagli heikun? Era possibile parlare di scelta volontaria e consapevole in un simile contesto? Un lucista a Jiyu non avrebbe provato lo stesso fastidio di Chloe a Sayfa, costretto a interagire ogni giorno con l'ordine monastico?

Brycen si umettò le labbra, trattenendo quelle domande sulla punta della lingua. La possibilità di approfondire quell'argomento con un credente heikun faceva correre un brivido d'euforia lungo il corpo, ma aveva promesso che avrebbe rispettato la fede di Chloe. Sottolineare l'incoerenza dei suoi dettami non sembrava il modo corretto per farlo.

Il canto di chiusura giunse al termine e i fedeli si dispersero, superando il cancello in file disordinate. Il richiamo di Mindy li raggiunse poco dopo. Brycen la vide agitare un braccio mentre si faceva largo tra la folla, tenendo Nosh per mano.

«Oggi è il giorno migliore, diceva. C'è poca gente, diceva» borbottò Mindy, le sopracciglia aggrottate mentre occhieggiava al fidanzato. Lui rispose qualcosa in dialetto notranese che Brycen non riuscì a comprendere, ma che fece ridere Chloe.

«Lasciate fare a me» proseguì Nosh, sorridente. «Il trucco è capire dove andare prima, e io so dove mangiare il miglior gyros che potrai mai trovare fuori Kautia. Quanto a te...» Si accostò al fianco di Chloe, lanciandole uno sguardo complice. «Ho in mente qualcosa di speciale.»

Chloe assottigliò lo sguardo. «Quanto piccante?»

«Secondo me non riesci a finire di mangiarlo.»

«Fai strada.»

Chloe lo afferrò per un braccio e insieme scesero in strada, mescolandosi alla folla. Mindy si avvicinò invece a Brycen, camminando al suo fianco.

«E tu che mi dici di piccante?»

«Non mi dispiace, ma non lo reggo granché.»

«Oh, ma andiamo! Questa era facile» si lamentò lei in uno sbuffo. «Ma poi che vuol dire che non lo reggi, scusa? E il tuo Naru?»

«Le due cose non sono realmente collegate. Il peperoncino non aumenta realmente la temperatura, potremmo dire che il suo bruciore sia in realtà un'illusione. Mangiarlo stimola—»

«Sì, beh, comunque non intendevo quello.» Mindy agitò una mano. «Hai parlato con Chloe? Com'è andata?»

Brycen spalancò gli occhi in un sussulto, sentendo il viso avvampare. Com'era andata? In poche ore aveva oltrepassato più limiti di quelli che la sua immaginazione era stata in grado di tracciare, anche se Chloe l'aveva definito soltanto l'inizio.

E, Dea, gli era piaciuto. Sentiva ancora il sapore dei baci di Chloe sulle labbra, il suo profumo fruttato a stuzzicargli le narici, il suo respiro ansimante di piacere che gli solleticava il collo. Bramava di abbandonarsi ancora una volta a lei, al suo tocco, al crescendo di piacere che le sue mani avevano spinto sempre più in alto. E se pensava a quant'era stato appagante far scivolare le dita tra le sue gambe, sfiorando la sua pelle umida di eccitazione...

Brycen avvampò, infilando le mani nelle tasche del cappotto in un profondo respiro. Abbandonarsi a simili pensieri in pubblico? Era impazzito? Ecco, com'era andata: poche ore prima non era neppure in grado di concretizzare quelle immaginazioni senza provare vergogna, ora faticava a scacciarle.

«Sì, abbiamo... abbiamo parlato» disse, schiarendosi la voce. «È tutto risolto.»

Mindy liberò uno sbuffo ilare, e le sue labbra si allungarono in un sogghigno che non gli piacque. Teneva lo sguardo basso, fisso sulle mani nascoste dietro la spessa stoffa nera; aveva intuito qualcosa. Brycen non ebbe il coraggio di chiedere cosa.

«Parlato, eh? Si dice così, adesso?» sghignazzò Mindy. Brycen sentì il viso farsi più caldo, perciò anche più rosso. «Buon per voi. Motivo in più per festeggiare, no? Oggi sì che possiamo stappare la vodka.»

Allungarono il passo per raggiungere Chloe e Nosh, intenti a discutere su quale bizzarro accostamento culinario avrebbe dovuto mangiare il perdente nella loro sfida. Festoni alimentati a Sihir pendevano dai balconi ai lati delle strade, descrivendo un percorso illuminato dove chioschi, bancarelle e attrazioni di ogni genere si alternavano a grossi ceri e piccoli fuochi celebrativi. Drappi e nastri di tessuto oro e bianco svolazzavano in alto, al riparo dalle fiamme, mostrando il simbolo della Chiesa della Luce – una campana formata da due elle che insieme componevano la figura di un angelo stilizzato – e il nome dell'Angelo Iezalel, accostato a brevi odi e stralci di preghiere in hedeanto che ogni lucista ricordava a memoria.

Nosh li guidò tra i chioschi culinari, dove l'aria era satura di fumi di arrosti e profumi di pane, carne e spezie. Chloe ottenne la vittoria nella loro sfida, divorando tutti gli spiedini di peperoncino senza un sorso d'acqua, mentre Brycen degustava piatti tipici di cui non aveva mai sentito il nome, avvolti da fogli di carta spessa o serviti in contenitori abbastanza piccoli da sorreggerli con una sola mano. Lo sfrigolare dell'olio si accostava alle voci dei venditori di abiti, tessuti e cianfrusaglie, e a quelle dei musicisti che glorificavano il Signore della Luce con le loro canzoni.

«E questa che roba è?» Mindy sollevò da una bancarella un contenitore metallico dalla forma a coppa, tenendolo stretto dai manici ricurvi. Incisioni fogliformi si innalzavano lungo la superficie rigonfia, culminando in petali dischiusi sul coperchio areato. Quattro lunghi piedi scivolavano giù dalla base, arricciandosi alle estremità per formare un sostegno stabile.

«Non è un vaso?» tentò Nosh, aggrottando le sopracciglia.

«Un vaso con un rubinetto?» Mindy ruotò l'oggetto fino a mostrare la piccola proboscide che si allungava verso il basso. «Pensavo a una teiera, ma non si stacca dal piedistallo.»

«Intuizione non del tutto errata: è un samovar» disse Brycen. «In realtà sarebbe più corretto definirlo un bollitore portatile ispirato al samovar, è palese che non si tratti di un pezzo originale. Quelli zimei sono interamente dipinti e non possiedono l'alloggio per il combustibile, ma un castone per le Pietre di Sihir. Se ben tagliata, una sola gemma di pochi centimetri può generare calore per mesi. In ogni caso la funzione è la stessa, si sfrutta la fonte di calore per portare l'acqua a ebollizione e mantenere il calore senza ricorrere ai fornelli.»

«È stupendo!» Chloe raccolse il samovar dalle mani dell'amica, studiandolo da angolazioni differenti. Brycen sentì le labbra piegarsi all'insù al solo vedere con quale entusiasmo lo scrutava, gli occhi neri brillanti di energica curiosità «Perché non li costruiscono più? È così grazioso, sarebbe comodo averne uno.»

«E dove lo vorresti portare? Guarda quant'è grosso, e chissà quanto fumo viene fuori... Fai prima a portarti dietro un fornelletto al Sihir, almeno ci riscaldi quello che ti pare.» obiettò Mindy, arricciando il naso tondo. «Però è buffo, no? Sentire che qualcosa del genere sia stato ispirato dagli zimei e non il contrario.»

«È più comune di quello che credi» disse Brycen in un soffio leggero. «Gli utensili alimentati a Sihir, come forni o lampadari, discendono in gran parte da progetti zimei. Fino alla prima metà del Secondo Millennio, la nostra tecnologia non aveva pari nel continente: è stata Zima a comprendere per prima come utilizzare le Pietre di Sihir come fonte di energia, ciò che ha fatto l'Impero è stato imitarci e tentare di riprodurre simili risultati senza ricorrere ai tagli.»

Brycen allungò lo sguardo sulla bancarella, dove utensili e attrezzi di legno e metallo erano esposti l'uno accanto all'altro in una mescolanza di epoche e utilizzi. Nessuno di loro possedeva un castone, Zima era l'unico regno a conoscere le tecniche di taglio adatte per manifestare le diverse capacità intrinseche delle Pietre di Sihir, altrimenti impossibili da sfruttare. Un taglio accurato poteva far brillare le gemme o far emettere loro calore, e i maestri tagliatori più esperti erano in grado di regolare con precisione diverse caratteristiche, come il colore o l'intensità della luce emessa.

Mindy strabuzzò gli occhi, fissandolo a bocca aperta. Definire stupita l'espressione sul suo viso sarebbe stato riduttivo. «Sul serio? Che cazzo è successo dopo? Non ti offendere, ma... Voglio dire...»

Il suo sguardo vagò lungo la bancarella, e Brycen lesse nelle sue labbra arricciate tutte le parole che aveva taciuto. Alcuni utensili erano in buono stato, ma i più presentavano gravi segni di usura, polvere e ruggine. Quello era un assortimento di antiquariato, una strumentazione così desueta da risultare assente persino nella conoscenza collettiva. Mindy e gli altri non sapevano cosa fosse un samovar perché non ne avevano mai visto uno, perché la tecnologia era migliorata al punto da renderlo inutile. Quello che per la famiglia di Brycen era un oggetto di uso quotidiano, per un sayfano era già un pezzo di storia.

Cos'era successo?

«L'ingegneria roumberghiana ha rivoluzionato il concetto stesso di progresso scientifico, e la manifattura zimea non può competere con le industrie. Era inevitabile» disse Brycen, spingendo le mani contro il fondo delle tasche.

Distese le labbra, ma il sorriso era diventato pesante da mantenere. Un retrogusto amaro gli avvolgeva la lingua, un sapore che Sayfa aveva mitigato con i suoi profumi di libertà e innovazione, eppure Brycen non riusciva a dimenticarlo. Non voleva dimenticarlo.

Non poteva distruggere oltre un millennio di tradizionalismo, lo sapeva; non aveva nulla, se non indagini filosofiche e argomentazioni che nessuno avrebbe ascoltato. Ma cosa gli restava, se non quello? Forse la sua speranza era inutile, così come i saggi e i trattati che teneva chiusi nei suoi cassetti, eppure abbandonarla sembrava un fallimento ancora più grande.

Brycen si lasciò guidare nell'intreccio di vie addobbate a festa, inoltrandosi nelle aree dedicate ai regni stranieri. Guardò Chloe correre da una bancarella all'altra, ora attratta dai teschi decorati della tradizione yaveni, ora dalle tonalità sgargianti delle stoffe zimee, ora dai banchi jiyani di fronte ai quali stazionò per oltre mezz'ora. Brycen non avrebbe mai parlato della sua terra con la devozione che animava Chloe, né avrebbe provato lo stesso fiero orgoglio nel definirsi zimeo, ma vedere l'entusiasmo con cui illustrava i cimeli delle sue tradizioni scacciò una cospicua parte del malumore che si era annidato sul fondo della mente.

Gli addobbi di un circo attendevano il loro arrivo in piazza, diramando i suoi tendaggi rossi e viola al chiarore dei bracieri. Non era necessario osservare la pelle color ebano degli artisti per riconoscere che si trattava di Sehr, gli artisti nomadi di Verlate. A differenza dei circhi in voga a Sayfa, quelli verlatiani si strutturavano all'aperto e prevedevano più esibizioni in contemporanea, così da creare un ambiente ricco di spettacoli di cui chiunque poteva godere, che avesse intenzione di sostare in piazza per ore o solo pochi minuti.

Di fronte a loro, innalzato da una piattaforma lignea, vi era un domatore di Kimse dai capelli neri annodati in lunghe ciocche. Le due donne che lo accompagnavano – forse le sue mogli – si occupavano di un piccolo gruppo di Axi, i Kimse più comuni: il Sihir influiva su di loro in modo superficiale, rendendoli più grandi, forti e robusti della controparte naturale. I sei suricati grossi quanto gatti che zampettavano e saltellavano tutt'attorno, scambiandosi di posto come danzando al ritmo dei piccoli tamburi che le donne picchiettavano con le dita. Era singolare vedere tanti Axi della stessa specie tutti insieme, eppure sfiguravano di fronte alla presenza della Chimera. L'uomo guidava l'enorme Kimse attraverso un percorso a ostacoli con la sola intonazione della voce.

A una prima occhiata si sarebbe potuta definire un formichiere Axi. Grossa quanto un orso, la bestia possedeva il muso allungato e coda vaporosa tipica della sua specie, ma il Sihir non aveva modificato solo le sue dimensioni: i suoi occhi erano grandi e gialli, dalla pupilla sottile, e la corporatura longilinea rendeva i suoi movimenti sinuosi. La sua piccola bocca non avrebbe potuto spalancarsi, ma lo fece. Il muso si aprì in un verso vibrante, spaccandosi fino alle orecchie per rivelare la sua natura ibrida in fauci simili a quelle di un serpente.

Un brivido corse lungo le gambe di Brycen. Indietreggiò di un passo, mentre al verso disgustato di Mindy si accompagnava quello esaltato di Chloe e Nosh. L'innata aggressività delle Chimere era contenuta dal domatore Sehr, ma era presente. Brycen poteva percepirla in un ogni schiocco di coda, nell'interminabile lingua biforcuta che saggiava l'aria mentre gli artigli scuri graffiavano il legno.

Mostri, li chiamavano a Zima, lo stesso termine che usavano per i Dotai. Mostri che potevano essere addestrati e tenuti a bada, ma pur sempre mostri.

Proprio come lui.

Brycen strinse gli occhi, stropicciandoli con le dita. Non avrebbe ceduto di nuovo a quella superstizione. Sapeva che era priva di fondamento, anche se doveva ricordarlo alla sua mente ogni volta che tornava a bussare alla porta.

Si voltò, spostando l'attenzione sugli spettacoli adiacenti. Superò con lo sguardo un gruppo di giocolieri che roteavano bastoncini dalle estremità infuocate, danzatori in equilibrio su corde...

E poi la vide.

Brycen si avvicinò, osservandola volteggiare tra le estremità fluttuanti dei tessuti aerei. I drappi azzurri stringevano l'acrobata in vita, ma non erano agganciati ad alcun sostegno. Si libravano come ali di farfalla, avvolti da una patina violacea che sfolgorava alla luce dei fuochi. La ragazza, una minuta verlatiana dalle lunghe trecce color porpora e le vesti dorate in contrasto con la pelle scura, si dimenava tra loro in una danza al ritmo di tamburi, avvolgendoli attorno a corpo e arti per disegnare pose aggraziate a mezz'aria. Un ampio sorriso si aprì sul volto mentre catturava i tessuti attorno ai piedi, esibendosi in una spaccata laterale. Con i drappi tesi ben stretti tra le mani, spinse le gambe all'indietro e gettò il busto in avanti: un sussulto si levò dalla folla quando l'acrobata curvò la schiena in un angolo innaturale, con la nuca che sfiorava le cosce mentre dondolava sopra le loro teste.

«Quello è Sihir?» Nosh alzò lo sguardo, puntando il dito verso l'acrobata – no, un po' più in alto, dove l'alone viola era più denso attorno ai lembi fluttuanti. «Com'è che riesco a vederlo

«È per via del suo Naru» disse Brycen. «Quello che stiamo osservando prende il nome di Rawcore, è unico nel suo genere. Invece di assorbire Sihir per modificare la realtà, manipola l'energia in modo diretto. Ne aumenta la concentrazione fino a renderla concreta e malleabile, forzandola ad assumere una forma fisica. È così che l'acrobata riesce a sostenere i tessuti a mezz'aria, è come se il Sihir li avesse afferrati; non solo siamo in grado di vederlo, ma potremmo persino toccarlo

«E si esibisce in una comune piazza di Mehtap, come qualsiasi altro artista Sehr» disse Chloe, affiancandolo. «Com'è possibile? È assurdo.»

Mindy schioccò le labbra. «Che c'è di male?»

«Nulla, ma... Bry mi ha detto che a Verlate venerano il Sihir. I kraajal considerano i Dotai frammenti della divinità, giusto?» Chloe cercò lo sguardo di Brycen, e lui annuì mentre sentiva il sorriso farsi più ampio. «Pensavo: se uno qualunque di loro è visto come una manifestazione suprema, una Dotai con un legame così puro e diretto con il Sihir dovrebbe essere...»

«Una Dea incarnata. La volontà stessa del Sihir racchiusa in spoglie mortali» completò Brycen. «Rawcore può interagire con le Fonti e le Cave, sottraendo o infondendo loro energia. In passato si credeva che potesse fare lo stesso con i Dotai, donando poteri a persone comuni o prosciugando i loro Naru, sebbene non sia mai stato confermato. Per un kraajal, la sola possibilità è qualcosa di straordinario. Una singola parola di questa Sehr basterebbe a far piegare ogni sultano al suo cospetto. Sarebbe in grado di riunire le Città-Stato sotto il suo vessillo, se lo volesse, come la Santa Velaj ha fatto con Zima.»

«Possibile che nessuno dei Sehr l'abbia riconosciuto?»

«Non mi stupirebbe. Non esistono Centri di Ricerca a Verlate. Forse non hanno compreso il reale funzionamento del suo Naru. Forse sì, ma non sono kraajal. Forse questa compagnia si è stanziata a Sayfa prima della sua nascita.»

«O forse è scappata dal suo paese perché la vita da divinità non le si addiceva: è arrivata a Sayfa per seguire la sua vocazione artistica, lontana dalle pressioni religiose. Sarebbe una storia interessante!» ipotizzò Chloe. Brycen aveva imparato a distinguere i suoi sorrisi, e conosceva la piega che le incurvava le labbra: sarebbe rimasta a scrivere fino a notte fonda.

«Ammetto di essere sollevato nel sapere che si trova a Sayfa, gli ultimi dati su Rawcore raccolti dai Centri risalgono a più di cento anni fa.» Brycen sospirò, rigirandosi la catenella dell'orologio tra le dita. «Sarebbe meraviglioso potersi confrontare con lei sul suo Naru.»

«Perché non vai a farle qualche domanda? Credo abbia finito.» Chloe indicò l'artista con un cenno del capo. La Sehr dondolava tra i tessuti come se fosse su un'altalena, scendendo di quota fino a toccare il suolo.

Brycen liberò uno sbuffo ilare mentre la verlatiana raccoglieva i tessuti al petto, agitando le mani per ringraziare il pubblico che l'applaudiva. «Non posso avvicinare una sconosciuta solo per questo, Chloe. Sarebbe imbarazzante, per non dire scortese. Per alcuni sono domande personali, senza considerare che sta lavorando e—»

«D'accordo, ci vado io.»

Chloe sgusciò via prima che fosse in grado di rispondere, svanendo nella folla. La risata piena di Mindy coprì il suono dei suoi borbottii, e una pacca energica lo colpì al centro della schiena.

«Vale, noi andiamo a vedere i giocolieri» disse Nosh. «Appena la recuperi, ci vediamo lì.»

Brycen si passò una mano sul viso, osservando i suoi amici allontanarsi. Di Chloe, invece, non c'era più traccia. Brycen dovette farsi largo nella calca per riuscire a scorgerla, in compagnia della giovane Sehr. Conversava con lei quasi fossero amiche di vecchia data: la rapidità con cui riusciva a entrare nelle simpatie della gente non avrebbe mai smesso di stupirlo.

«Brycen! Vieni, te la presento» lo chiamò Chloe, invitandolo ad avvicinarsi. «Lei è Tipee Shuudar.»

L'acrobata sorrise. Si sfiorò la fronte con la mano e sollevò l'altra per tracciare a mezz'aria un simbolo che Brycen non conosceva, piegando il busto di lato. Ora che poteva vederla da vicino, notò che il bindi al centro della sua fronte era viola, il colore dei Dotai, ma era circolare. Se fosse stata una credente kraajal la forma sarebbe stata quella di una goccia.

«Mi spiace, le ho chiesto del Naru ma non sapeva neppure come si chiamasse. Ha imparato da sola quello che sa fare» proseguì Chloe. «È a Sayfa da poco, non aveva mai sentito parlare di Centri di Ricerca. Le stavo giusto consigliando di andarci.»

Brycen strabuzzò gli occhi. Aveva perso di vista Chloe solo per una manciata di minuti, com'era riuscita a imbastire una conversazione così ricca di dettagli?

«È gioia per me vedere tanti di noi!» Tipee batté le mani, facendo tintinnare i bracciali dorati che pendevano dalle braccia sottili. Era così piccola e magra da sembrare una ragazzina, sebbene i tratti del viso tondo suggerissero un'età prossima alla ventina. Il suo sayfano era barcollante, sporcato dall'accento morbido di Verlate che addolciva e trascinava ogni consonante. «Tuo Kraasig... No, qui chiamate Sihir, sì? Hai Sihir bellissimo, Bryce. Puro e fresco, come acqua che scorre. Capisco che sei persona buona, Sihir non mente: lui dice, io vedo.»

Fresco. Non era mai stato confermato che gli utilizzatori di Rawcore fossero in grado di vedere il Sihir, ma quante probabilità c'erano che quell'aggettivo fosse una coincidenza?

«Tuo Sihir come vento» proseguì l'acrobrata, guardando Chloe. «Vento che gira, gira... Come si dice? Si muove e alza la sabbia, ma dentro è calmo. Voi due bella coppia!»

«Il suo Sihir?» ripeté Brycen. Lanciò un'occhiata a Chloe, ma nella sua espressione era dipinta la sua stessa sorpresa. «Riesci a vedere il Sihir in chiunque, Tipee? Non solo nei Dotai?»

Lei rise. «Bakavaas! Voi del continente avete idee confuse, mie madri ripetevano sempre. Sihir è anima di mondo e persone e lo vedo in ogni cosa, nei Dotai e quelli che no, anche negli Annebbiati.»

Brycen aggrottò le sopracciglia. «Annebbiati?»

«Annebbiati qui» ripeté Tipee, indicandosi gli occhi. «Anche loro hanno Sihir. È detto di no, ma ho visto che non è vero.»

"Kautiani" riconobbe Brycen, mentre Tipee si congedava per raggiungere i suoi compagni. L'incapacità del loro organismo di sviluppare la connessione al Sihir tipica dei Dotai aveva generato molte leggende, prima che il Gene 570 venisse individuato come responsabile. Nel corso dei millenni erano stati considerati maledetti, rinnegati dal Sihir, scacciati da ogni civiltà finché l'Impero non aveva offerto loro un luogo da chiamare casa.

Era la prima volta che Brycen sentiva qualcuno chiamarli annebbiati, ma non era difficile intuirne la ragione: a causa delle pupille grigie, i loro occhi sembravano davvero coperti di nebbia, specie quando l'iride aveva una colorazione chiara come nel caso di Louis. Era un termine azzeccato, per quanto suonasse bizzarro alle orecchie di Brycen. Occhi velati di nebbia era la traduzione letterale di una locuzione zimea che indicava la cecità.

Brycen trasalì, stringendo la mano di Chloe. «Vedeva la realtà per ciò che era e ciò che sarebbe potuta essere, sebbene i suoi occhi fossero velati di nebbia. Come ho fatto a non pensarci prima? Per questo erano certi che non fosse una Dotai.»

Lei sfarfallò le palpebre sotto le sopracciglia aggrottate. «Tesoro, ma di che stai parlando?»

«La Santa Velaj. Glaza zatyanuty tumanom, occhi velati di nebbia. Per tutto questo tempo ero convinto – no, tutti erano convinti di averlo interpretato in modo corretto, ma ci sbagliavamo. La Santa Velaj non era cieca, Chloe: era una kautiana.»


Godiamoci questo momento di festa, che ne dite? ♥ Spero vi piacciano le piccole chicche di worldbuilding che vengono fuori qua e là~

Purtroppo non avremo modo di conoscere Verlate da vicino in questa storia, ma Tipee è un personaggio su cui vorrei scrivere qualcosa in futuro... Non dimenticatevi di lei!

Quanto alla rivelazione raggiunta da Brycen, non preoccupatevi: sarà lui stesso a riordinare i tasselli 👀

Ed eccovi Tipee che si esercita su un cerchio aereo. In origine la sua performance prevedeva questo attrezzo, ma poi ho preferito optare per i nastri (e anche l'abbigliamento è diverso, rispetto al capitolo)

Vi lascio anche il simbolo della Chiesa della Luce!

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