PROLOGO
UNA NOTTE DI SETTEMBRE
La pioggia lasciava il suo segno sui cappotti dei passanti, suscitando irritazione negli adulti e gioia nei bambini, che in quel momento, passeggiavano mano nella mano con i genitori per le strade di Londra. È il 1875, ed è proprio qui, durante la notte del tre di Settembre, che la storia comincia.
Tye Bennett, soli cinque anni trascorsi in questo mondo, si lasciò trasportare dalle voci dei suoi genitori, mentre rientravano da una passeggiata, accompagnati dal suono del Tamigi. Il giorno era soffocante, con le strade che vomitavano passanti da ogni cunicolo, ma la notte no; la notte per Tye era come una suonata intima a lui dedicata. Gli piaceva osservare il mondo quando calavano le tenebre, perché di notte, tutto era sottosopra.
La madre gli sistemò il cappotto, già rattoppato in più punti. Mentre il piccolo la osservava, non poté fare a meno di notare un tremolio nelle movenze delle mani. A quel gesto ne seguirono di altrettanto curiosi: suo padre gli diede un bacio sulla fronte e sua madre si costrinse in un sorriso teso. Non che non fossero genitori affettuosi, ma il piccolo non si sarebbe aspettato gesti, che solitamente, si riservano ai saluti.
Dopo svariati minuti raggiunsero il palazzo reale e spesero qualche commento sulla realizzazione di una torre provvista di orologio, che era appena stata terminata; un investimento a lungo termine da parte dei reali. Tye ammirò i ponteggi e immaginò come sarebbe stato affacciarsi sulla città da un palazzo così vicino al cielo. Chissà che emozione darebbe guardare i passanti, piccoli come puntini, con il vasto blu all'orizzonte. Tye giurò a sé stesso di trovare un posto simile un giorno, un giorno avrebbe osservato il cielo da suo pari.
Per raggiungere il letto della sua cameretta, gli ci sarebbero voluti ancora tre isolati a piedi, e il sonno si stava già facendo sentire, annebbiandogli i pensieri e facendogli ignorare i sussurri dei due coniugi.
Udirono un suono, come un respiro grottesco e affannato, provenire da un lato della strada. Lì, una figura oscura stava accovacciata tra le ombre, con la schiena ricurva. La luce del lampione non faceva che rendere il punto in questione ancora più indecifrabile, mentre il suono continuava imperterrito.
Il signor Bennett afferrò il piccolo per un braccio e si mise davanti alla sua famiglia così da fungere da scudo.
Fece qualche piccolo passo in avanti, per comprendere meglio di cosa si trattasse; ma in quel breve tempo, l'ombra si mosse e un enorme cane nero piombò sul petto del povero signor Bennett. Atterrato e sconvolto, tentò di scrollarsi di dosso la bestia. Questa sembrava tuttavia essere più interessata al cappello dell'uomo, piuttosto che al signore stesso. «Diuk! Vieni qui Diuk!»
Una voce di donna richiamò il cane all'ordine, mentre la proprietaria usciva dall'angolo della strada, quasi come creata dalle tenebre.
La signora Bennett si strinse al marito, portando il piccolo Tye lontano dal suo nuovo amico a quattro zampe. La donna si mostrò come un'anziana signora, avvolta in un cappotto estremamente raffinato, con bottoni d'oro, richiamanti un blasone nobiliare, che Tye non riusciva a decifrare. Indossava un cappello abbinato fatto di una pelliccia tinta di rosso, così come il cappotto. Il viso era ordinario, con qualche ruga portata con leggerezza; la donna non mostrava i segni tipici di chi sente il peso degli anni, anzi l'espressività del suo volto era viva, come quella dei giovani attori, eppure non esprimeva confidenza.
Il cane si mise al fianco della donna, con il cappello appena conquistato tra le fauci. Tye ridacchiò all'immagine, ma si zittì non appena sua madre aprì bocca.
«Volete cortesemente tenere a bada il vostro mostro? Mio marito poteva rimanere ferito per questa vostra mancanza di attenzione Miss...» La signora Bennett si fermò, in attesa di una riposta. La proprietaria del cane con un velato sorriso rispose: «Oh non sono necessarie presentazioni mia cara, io e il mio piccolo "mostro", togliamo subito il disturbo, mi scuso per l'accaduto.» Concluse restituendo il cappello ancora gocciolante bava. Tenne sempre una postura molto retta, quasi fuori dal mondo, come se non fosse del tutto umana, come se avesse il portamento di qualcuno che è più di ciò che appare.
Tye era sempre stato portato per l'osservazione e l'analisi, amava scrutare i dettagli delle persone per conoscerle meglio e questo si era rivelato utile in quei momenti in cui faceva qualche marachella e doveva poi scusarsi con le dovute maniere, o imparare a mantenere un segreto con i suoi compagni di gioco.
Il signor Bennett fermò la donna e si scusò per l'atteggiamento della moglie, dopotutto non era decoroso per una signora rispondere in modo così rude. Si tolse il cappello e sorrise; alcune gocce di bava caddero ai piedi della donna dal bordo del cilindro.
«Piacere di conoscerla signora, mi permetta di presentarmi, sono Victor Bennett, e questa è la mia famiglia, Anne e il piccolo Tye.» Mentre li presentava si esibiva in una riverenza: l'eleganza per Victor Bennett era lo svezzamento di ogni uomo rispettabile.
Tye osservava il comportamento del padre tentando di assimilare gesti e posture, persino il tono della voce pareva essere studiato per affascinare. La misteriosa signora ricambiò riverenza e sorriso, ma omise nuovamente il suo nome, quasi fosse del tutto irrilevante.
Il cane posò lo sguardo sul signor Bennett guardandolo con occhi sognanti; ridacchiando tra sé e sé, Tye pensò che fosse ancora decisamente offeso dalla perdita del cilindro.
La tensione, se prima leggera, ora invadeva l'area circostante. La signora Bennett si strinse al braccio del marito; i coniugi sembrarono fare caso solo ora ad alcuni dettagli presenti nell'anziana signora.
Era davvero tardi, il piccolo faticava a mantenere la lucidità, e la sua mente cominciava già a vagare in sogni ad occhi aperti. Una voce diceva qualcosa riguardo alla sistemazione di conti, il resto dei suoni era confuso, poi di nuovo comprensibile. Tye pensò di non aver mai avuto così tanto sonno, era un sogno o realtà? Era tutto così confuso...
La stessa voce di poco fa parlò nuovamente, questa volta chiara e diretta: «Due teste non fanno la moneta Victor.» Poi tutto fu di nuovo confuso, Tye barcollò per un attimo e riuscì a riprendere l'equilibrio.
Un gorgoglio improvviso, il rumore di un treno, il suono aumentò, iniziò a fischiare, forte, sempre di più, o forse era un grido? Il bambino si riparò le orecchie con le mani, successivamente le usò per tenersi la testa... Gli faceva male, molto male, un altro suono più forte, risate? No... singhiozzi. Tye voleva solo dormire, si sarebbe steso lì sul ciglio della strada pur di poter chiudere gli occhi, ma non poteva; sua mamma gli aveva sempre insegnato che gli ometti per bene non si siedono agli angoli di strada. Tye fece un altro passo indietro tenendosi il capo, sentiva che stava per esplodere; con gli occhi serrati, scivolò, e la forte caduta sembrò restituirgli la lucidità solo per un momento; giusto per aprire gli occhi. Quando lo fece, invece che la testa, decise di proteggersi il cuore, se ancora poteva.
Rosso, rosso ovunque. Corpi, un odore acre nell'aria, morte e terrore. La morte e il terrore lo avevano marchiato, li sentiva fin dentro le ossa. Vacillò, l'intero quartiere sembrò scosso da un terremoto, o così gli parse.
Il cane non ringhiava più: aveva appena recuperato il suo trofeo macchiato di sangue. La donna sorrise ed entrambi, sparirono da dove erano arrivati. Tye si voltò, si sentì di essere fuori dal suo corpo: si vide affondare le mani nel cappotto di pelliccia della madre, vide il sangue macchiare le maniche della sua piccola giacca. Gridò così forte che la gola cominciò a bruciargli, poi qualcosa in lui scattò, e si lasciò andare. Un momento prima che toccasse il suolo, una coperta lo avvolse e due braccia gentili lo cullarono.
«Un ometto come te non dovrebbe mai stare in mezzo alla strada.» Una donna sconosciuta, apparsa da un punto imprecisato della strada, lo prese in braccio, e gli lasciò una carezza sul capo.
«Dormi piccolo, ora ci penso io a te.»
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