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Il ristorante era assolutamente pazzesco. Eleganti sedie abbinate a preziose tovaglie sui tavoli di legno, pareti in pietra e soffitto a volta rendevano l'atmosfera antica ma sofisticata allo stesso tempo. Ci accomodammo ad un tavolo in un angolo della sala e James si fece portare immediatamente una bottiglia del loro champagne più pregiato. Il cameriere annuì e ci porse i menù. Optai per qualcosa di semplice, risotto alla zucca con scaglie di cioccolato fondente, uno dei miei piatti preferiti. Lo so, non lo direste mai che zucca e cioccolato stanno bene insieme, ma vi assicuro che è così. Jamie invece scelse un piatto di spaghetti ai frutti di mare. Dopo le ordinazioni arrivò la nostra bottiglia di champagne.
"Permetti?" Chiese, avvicinandola al mio bicchiere.
"Ma certo." Risposi, il liquido dorato colò nel mio bicchiere, formando un sottile strato di schiuma bianca, che scomparve poco dopo.
"E allora cin cin." Disse James, alzando il suo calice, e lo stesso feci con il mio.
Brindiamo alla tua stupidità o al futuro premio Nobel per esserti tagliato i capelli prima del dovuto?
I nostri bicchieri si toccarono ed entrambi bevemmo un sorso.
La cena andò alla grande, l'unico problema era che entrambi avevamo alzato un po' troppo il gomito, ma poco importava. Chissà come riuscimmo a tornare sani e salvi a casa, per fortuna James sembrava più lucido di me. Persi quasi completamente la ragione, a furia di bere champagne. E non mi resi conto della figura da ebete che stavo facendo. Mi voltai verso di lui mentre stavamo entrando in casa e, con finta aria innocente e sobria me ne uscii con un: "papà, ho bevuto stasera. Ti arrabbierai?"
"Io non sono tuo papà, Erika." Rispose lui ridendo. "E non mi arrabbio se bevi quando ci sono anche io." Concluse, chiudendo la porta alle nostre spalle. Cominciai a ridere come una scema, strinsi James per le spalle, circondandolo con un braccio, e anche lui rise, cercando di andare verso le scale.
"Ehi, ehi, dove vai? Vieni qui." Dissi con un sorriso, tirandolo verso di me per la mano, visto che cercava già di svignarsela. Lo abbracciai un po' troppo stretto per i miei standard, ma lui non si lamentò. "Grazie per la cena, capo."
"Figurati Erika, è stato un piacere." Rispose. Non ricordo se le sue mani mi stessero stringendo in quel momento, ma mi ricordo benissimo che mi presero al volo quando, qualche secondo dopo mentre cercavo di salire le scale, rischiai di sbattere la faccia contro il gradino dopo essere scivolata, e lui mi afferrò per la vita.
"Forse è meglio se faccio io." Disse. Mi prese in braccio e mi portò in camera da letto. Non volevo che mi lasciasse andare, il suo profumo era talmente buono che era quasi riuscito a cancellare gli effetti della sbronza, e stare appoggiata al suo petto mi dava sicurezza. Mi adagiò sul letto, coprendomi con le coperte, mi baciò di nuovo la fronte.
"Buonanotte Erika." Sussurrò.
"Buonanotte James." Risposi a mia volta, ormai più nel mondo dei sogni che in quello reale.
Mi svegliai d'improvviso, e fui subito più sveglia di quanto non fossi mai stata. Al buio cercai l'interruttore dell'abat-jour sul comodino ed accesi la luce. La sveglia segnava le quattro e cinquanta. Sapevo di non essermi svegliata da sola, c'era un fattore esterno che aveva causato il mio "buttarmi giù dal letto." Fattore che si manifestò di nuovo esattamente tre secondi e mezzo dopo che mi svegliai. La porta della mia camera era aperta, e la sua anche. James aveva gridato, e forte. Uscii dalla camera ed entrai nel corridoio buio, tentai di andare da James senza rimetterci qualche arto e non distruggere nessun mobile. Non appena riuscii a distinguere nell'oscurità il contorno per niente nitido del suo letto e dei due comodini ai lati, mi avvicinai ad uno di essi e accesi la luce della lampada. Le coperte erano tutte in fondo al letto, James era davanti a me, sdraiato nel letto, con addosso una maglietta grigia e i boxer, sudato dalla testa ai piedi. Continuava a muoversi a scatti e gemere. Mi allungai con il braccio verso di lui, posando la mano sulla sua spalla.
"James, James!" Dissi, scuotendolo. Lui però non accennava a svegliarsi.
"James! Jamie!" Dissi, stavolta a voce alta. Ancora niente. Cambiamo nome.
"Charles! Chuck!" Dio mio, nemmeno se lo chiamo col soprannome che si è conquistato sul set?
"Chuck! Signor Tumnus!" Urlai. Stavolta, oltre ad aver finito, o quasi, l'elenco dei nomi con cui avrei potuto chiamarlo, riuscii anche ad ottenere una risposta. Ma non una risposta tranquilla, bensì uno scatto a sedere compiuto in un millisecondo che mi fece spaventare, ritirai di scatto la mano e mi allontanai di un po'. Il suo gesto fulmineo fu subito seguito dal recuperare la coperta dal fondo del letto e coprirsi fino alla vita.
"Erika, che diavolo ci fai qui?" Chiese, mentre cercava di fare abituare gli occhi alla luce improvvisa della stanza.
"Mi hai... mi ha svegliato. Credo fosse un incubo. L'ho dovuta chiamare in cinque modi diversi per riuscire a svegliarla!" Risposi. "Piuttosto, sta bene?"
"No, porca di quella miseria! Non ti entra proprio in quella cacchio di testa che devi smetterla di darmi del lei?" Chiese, più incavolato che mai. Poi, all'incirca un secondo dopo, scoppiò a ridere.
E io che credevo che stessi davvero male, deficiente!
Gli detti uno schiaffo leggero sul braccio.
"Mi hai fatto prendere un colpo con la prima frase, cretino!" Risposi, ridendo.
"Ehi, hai dato del cretino al tuo capo?"
"Era per ridere!"
"Guarda che potrei anche licenziarti eh?!"
"Nel bel mezzo della notte?"
"Hai ragione, ne riparliamo domattina." Rispose serio. A quel punto rimasi senza parole. "Sto scherzando." Disse, dopo qualche secondo. Espirai, con una mano sul petto.
"Ora passiamo davvero alle cose serie. Va meglio?" Chiesi.
"Direi di si, grazie per esserti preoccupata."
"Nessun problema, non è la prima volta che mi capita di dover svegliare qualcuno in preda ad un incubo."
"Davvero?"
"Sì, una volta è successo alla mia migliore amica."
"Amber?"
"Sì, come fa... come fai a ricordarti il suo nome?" Non potevo credere che si ricordasse il nome della mia sorellina. Glielo avrò detto sì e no tre volte, era matematicamente impossibile che se lo ricordasse.
"È uno dei nomi che mi piacciono, uno dei pochi insieme al tuo."
E pensare che io odio il mio nome.
"Grazie." Risposi, con un leggero sorriso. "Dunque... vuoi parlarmene?" Sapeva a cosa mi riferivo.
"No, lascia stare." Rispose, appoggiandosi alla testiera del letto e tirando le gambe vicino al corpo. Io ero ancora seduta sul bordo del letto, con i piedi sul pavimento. Tirai le gambe su sul letto, mi sedetti sul fondo, rivolta verso di lui, a gambe incrociate, avevo ancora il vestito con cui ero andata a cena.
"A me puoi raccontarlo Jamie, di qualunque cosa tratti."
"Era su di te il sogno. E c'ero anche io. Ma non ero veramente io, ero Charles. Tu eri in una gabbia di vetro insonorizzata, e gridavi, non ti sentivo. Cercavo di aiutarti, ma c'era una forza che mi teneva fermo immobile, non riuscivo a muovermi. A un certo punto mi sono accorto del fumo bianco che c'era nella gabbia con te. A quel punto ho cominciato a sentirti gridare, ma dentro la testa. Il fumo si faceva sempre più denso e le tue grida sempre più deboli, eri un'ombra nera in mezzo al fumo bianco che cercava di rompere il vetro, e continuavi a chiamarmi con il pensiero, finché non sei diventata troppo debole da non riuscire più a reggerti in piedi, allora ti sei lasciata cadere per terra, e hai appoggiato una mano contro il vetro. Era l'unica cosa scura in mezzo al fumo che potevo ancora vedere di te." Il suo racconto mi fece salire le lacrime agli occhi, mi accorsi che lui non cercava di trattenere le sue, che ormai segnavano il suo viso. Non aveva il coraggio di guardarmi e io mi sentivo troppo male a vederlo così. Non appena si accorse che mi stavo muovendo verso di lui si voltò, in tempo per stringermi tra le braccia. Lo abbracciai, nascondendo il viso nell'incavo tra il collo e la spalla. Mi avvicinò a sé, finche non mi trovai seduta su di lui, le sue dita intrecciate dietro la mia schiena.
"Non potrà mai accadere, questo lo sai, vero?" Dissi, a bassa voce.
"Lo so. Ma era talmente nitido quel sogno che ho creduto davvero che fosse reale. Promettimi Erika che non te ne andrai." Mi allontanai quel tanto che bastava a sedermi sul letto.
"Perché dovrei andarmene? E poi dove vuoi che vada? Non resisteresti un giorno senza di me." Riuscii a strappargli un sorriso.
"Domani pomeriggio, cioè oggi, torniamo a casa, ce ne staremo là un paio di settimane."
"Va bene. Solo... Amber mi ha chiesto una notte per andare a dormire da lei, a te va bene?"
"Certo, perché non dovrebbe?" Risponde, con un sorriso.
"Perfetto, grazie." Dissi, continuando a guardarlo negli occhi e sorridendo. Restammo così per un po', a guardarci negli occhi senza un motivo preciso, come avevamo fatto la sera prima.
"Rimani?" Chiese, sistemando il suo cuscino e sdraiandosi. Mi guardò con quei suoi meravigliosi occhi azzurri e io incatenai lo sguardo al suo.
"No James, Sono venuta solo ad assicurarmi che andasse tutto bene." Sbadigliai e feci per alzarmi, ma una forza improvvisa al braccio mi tirò giù verso il materasso, mi trovai in un attimo sdraiata su un fianco, con il braccio di James attorno alla vita e la mia schiena attaccata al suo petto.
"Jamie, non posso restare." Dissi, un attimo dopo che si voltò per spegnere la luce.
"Perché?" Chiese, sentii il suo fiato finirmi tra i capelli.
Perché? E me lo chiedi anche? Potrei darti un milione di perché per giustificare che quello che sto facendo, ovvero stare sdraiata con te in questo letto, è sbagliato. Potrei partire dal fatto che tu sei un uomo sposato e io la tua assistente, potrei dirti che ormai hai quasi trentasei anni, è questione di pochi giorni, ed è ora che tu ti renda conto che non si può stare in un letto con un'altra persona che non sia tua moglie e sperare di non essere beccati la mattina dopo se lei torna presto. Oppure potrei dirti che è sbagliato semplicemente perché è sbagliato. Il nostro rapporto deve essere di lavoro, tutto qui. E invece lo stiamo già forzando in un'amicizia. Anche se quest'ultimo perché non mi dispiace. E potrei continuare all'infinito, se solo ne avessi voglia.
Ma tra tutti i perché sul fatto che non potevo stare in quel letto a dormire con lui, scelsi proprio il più idiota di tutti.
"Ho lasciato la luce accesa in camera." Esordii.
"Chissene frega della luce. Può anche rimanere accesa. L'unica cosa di cui mi frega è che tu stia qui con me." Rispose, stringendomi un po' di più.
"Sei ancora scosso per quell'incubo?"
"Non più, grazie a te che mi hai svegliato. E grazie anche a quell'abbraccio."
"Figurati." Risposi. Sentivo il battito del suo cuore pulsare contro la schiena, il suo respiro che piano piano si faceva più pesante e il suo braccio forte attorno al mio corpo. Sorrisi al ricordo di dieci minuti prima, quando lo chiamai col nome di alcuni suoi personaggi dei film in cui aveva recitato. Sorriso che lui non poteva vedere, che svanì nell'oscurità al ritmo del mio respiro, che si fece regolare man mano che passavano i secondi, finché non persi conoscenza.
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Wtf?! Non faccio in tempo a scrivere nell'altro capitolo che siamo a 200 visualizzazioni, che adesso siamo già a 360. Ma voi siete pazzi.
Grazie mille <3
Questa è omaggio u.u
~Jess
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