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E se ci fosse mai stata una volta in cui potessi andare in un qualche posto in pace, quella volta doveva per forza venire rovinata dopo un paio di giorni da James.

Non appena Amber mi diede la notizia subito la attaccai, accusandola di averglielo rivelato apposta. Lei si difese raccontandomi quel che le aveva fatto, e di sicuro se lo avessi avuto davanti in quel momento come minimo avrei tentato di staccargli la testa. Non me ne frega niente se sei bello e sexy, tu la mia sorellina non la devi toccare, capito? Mi scusai con Amber per averle urlato contro e tornai immediatamente a casa. Feci irruzione in casa talmente tanto velocemente che mia madre nemmeno mi vide passare, volai su per le scale in camera mia e in pochissimo tempo presi la valigia dall'armadio e preparai i vestiti e tutto il necessario da metterci dentro. In poche parole, rovesciai l'intero contenuto del mio armadio dentro la valigia, alla rinfusa, riempii il beauty case con tutte le mie cose e chiusi la valigia dopo avercelo buttato dentro. Accesi il computer e nel mentre controllai l'ora: le undici e mezza.

Tre giorni. Tre giorni, cazzo, non posso starmene tranquilla a casa mia per tre giorni che subito c'è qualche problema! Ma non poteva starsene buono a Montréal?!

Navigai per qualche minuto alla ricerca di una destinazione in cui non sarebbe mai venuto a cercarmi, quando il nome di una città catturò la mia attenzione: Miami. Non tanto per il posto in sé, che ovviamente era bellissimo, ma quel nome mi riportò indietro con la memoria a qualche anno prima.

Il vento soffiava forte in quella sera di fine autunno, calda nonostante fossero gli inizi di dicembre. Io, James, Anne e Brendan soggiornavamo lì per qualche giorno, costretti dagli impegni sull'agenda del mio capo. James si fermò un paio di volte lungo la strada di ritorno all'hotel, ad osservare le ultime sfumature del tramonto dietro di noi, il vento soffiava il profumo di salsedine nelle mie narici e un brivido mi scosse violentemente. Tra i quattro ero quella vestita più leggera, e naturalmente ne patii di più le conseguenze. Anne e Brendan si avviarono da soli verso l'albergo, vedendo James fermo nuovamente sul lungoceano.

"Non andiamo anche noi?" Chiesi, dopo che mi ebbe espressamente vietato di andare insieme a sua moglie e suo figlio.

"No, avevo solo voglia di stare un po' con te." Rispose, quando i due furono abbastanza lontani da non sentirci. Un altro brivido mi percorse la schiena, lui se ne accorse e si tolse la giacca, per posarla poi sulle mie spalle.

"Non avrà freddo così?" Chiesi, stringendomi nella sua giacca. Lui si appoggiò alla ringhiera di fronte a noi e osservò le prime stelle in cielo.

"Fa niente." Un'altra folata di vento fece svolazzare la mia gonna e la sua camicia, ci scompigliò i capelli. Per quanto tentai di nascondere il fatto che stessi morendo di freddo, non lo feci abbastanza bene, lui mi guardò con la coda dell'occhio per un istante, il gesto mi spinse ad avvicinarmi e stringergli il braccio con una mano. Alla fine lasciai che quella voglia di abbracciarlo che sentivo in fondo allo stomaco prendesse il sopravvento, forzando leggermente la presa su di lui lo girai verso di me e lo circondai con le braccia, appoggiando la testa al suo petto. Non mi stupì il fatto che lui ricambiò subito il mio abbraccio, stringendomi. Quello fu il nostro primo abbraccio da tre anni a quella parte, e fu esattamente come lo avevo immaginato. Nessuno dei due ebbe il coraggio di allontanarsi né di proferire parola, tanto che cullata dal rumore delle onde del mare e del profumo di lui insieme al suo calore mi sarei potuta addormentare lì, in quella posizione, nel giro di qualche minuto. Quando un brivido scosse entrambi mi allontanai, spezzando la magia di quel momento.

"Mi scusi." Dissi, con lo sguardo basso.

"No, non scusarti." Sorrise, prima di posare una mano sul mio braccio e con l'altra sulla mia nuca avvicinarmi per lasciarmi un bacio sulla fronte.

Non potevo andare a Miami, per quanto i ricordi del nostro abbraccio mi chiedevano di tornare là. Prima che fosse troppo tardi per fermare le lacrime e il groppo un gola che cominciavo a sentire, scrissi nella barra di ricerca di Booking.com il nome della prima città che mi venne in mente: New York. Acquistai il biglietto per il primo volo del pomeriggio, ovvero tre ore dopo. Nel momento in cui dovetti pagare online il biglietto, cercai come una disperata la mia carta di credito nel portafoglio. Tra tutta la roba che c'era dentro, vi trovai qualche vecchio scontrino e un biglietto che James mi aveva scritto parecchio tempo prima.

Sei l'assistente migliore del mondo.

L'inchiostro era un po' sbiadito e si vedeva chiaramente che era rimasta scritta anche la parte dietro. Lo voltai.

Però ricordati che stasera non ci sono, il che vuol dire che non puoi uscire. J.

Sorrisi automaticamente. Riposi il biglietto nel portafoglio, poi trovai quel che stavo cercando. Acquistai il biglietto aereo e lo stampai, poi chiusi la valigia e recuperai la mia borsetta dalla scrivania. Scesi le scale col telefono e il foglio del biglietto in mano e la valigia al seguito, al fondo di esse però trovai mia madre a bloccarmi la strada.

"Te ne vai di nuovo?" Chiese, calma, a braccia incrociate.

"Non lo voglio più vedere." Dissi, tentando di superarla. Lei mi impedì di fare un passo di più.

"Erika, ascoltami. James è la persona più dolce e sensibile che io abbia mai conosciuto dopo tuo padre, se sta facendo di tutto per venire da te è perché ci tiene davvero, non lo fa per riavere indietro Erika Watney, la sua assistente, lo fa per riavere indietro Erika Watney, la donna che ama. Cerca di capirlo." La guardai negli occhi e rimasi in silenzio per qualche secondo, un attimo di esitazione che mi fece crollare a metà, parte di me voleva restare per aspettarlo e parte di me voleva che io andassi via.

"No mamma, non penso che lo capirò mai." La spostai gentilmente sulla sinistra e le passai accanto, percorsi il corto corridoio e aprii la porta, fermandomi sulla soglia. "Ci vediamo presto, quando si saranno calmate le acque." Dissi, voltandomi a guardarla.

"Non mi dici neanche dove vai?" Chiese.

"Glielo diresti." Risposi. La sua espressione contrariata non mi abbandonò nemmeno quando fui sul vialetto di casa ad aspettare il taxi che avevo chiamato poco prima. Per fare presto caricai da sola la valigia nel bagagliaio e salii, chiedendo all'autista di portarmi in aeroporto. Non mi sarei facilmente scordata dell'espressione di mia madre e soprattutto, me ne resi conto solo una volta sul volo per New York, non mi sarei mai perdonata quel che le avevo detto riguardo a James, perché in fondo in fondo anche io sapevo che sul fatto che non lo avrei mai capito, avevo mentito e anche spudoratamente.

James' POV

Per tutta la durata del volo ebbi i nervi a fior di pelle. Riuscii a rilassarmi solo una volta che la hostess mi ebbe gentilmente offerto un caffè lungo. Guardai fuori dal finestrino pensando a qualche giorno prima, quando Erika mi aveva abbandonato appena salito in aereo. Una volta atterrato e passata la zona del duty free all'aeroporto, recuperai subito la mia valigia e mi precipitai fuori alla ricerca di un taxi per raggiungere casa di Erika sperando con tutto me stesso di trovarla ancora là.

"Dove vado, signore?" Mi chiese il tassista una volta che mi sedetti in auto.

"Ehm..." tirai fuori il portafoglio dalla tasca dei jeans e cominciai a cercare in qualunque posto avessi mai potuto scrivere il suo indirizzo, perché ero sicuro di averlo scritto da qualche parte. Lo cercai inutilmente per cinque minuti abbondanti. "In periferia... nord. Anzi, scusi, sud."

"Va bene." Rispose, mettendo in moto.

"Lei vada, la guiderò io una volta là."

Alla fine ci fu quasi una lite tra me e lui perché ogni volta che gli davo un'indicazione poi mi rendevo conto che era sbagliata. Alla fine, vedendo che era sull'orlo di perdere la pazienza, riconobbi la via di Erika e mi feci lasciare al suo principio. Lo pagai anche più del dovuto per la sua pazienza e tentando di non inciampare nella valigia mentre la scaricavo dal taxi, percorsi i cento metri che mi separvano dalla casa. Mollai la valigia sul suo vialetto e mi precipitai alla porta, suonando il campanello.

"Erika sono James, ti prego, aprimi!" Gridai, rivolto al piano di sopra. Non passò molto che mi venne aperto, ma dalla donna sbagliata.

"James, che ci fai qui?" Chiese la madre di Erika.

"Signora Watney, sto... sto cercando Erika. È in casa?" Chiesi, agitato.

"No, è andata via stamattina." Le sue parole mi lasciarono di stucco, alquanto turbato. Mi passai una mano tra i capelli.

"Grazie signora, mi scusi il disturbo." Risposi, e feci per andarmene, ma lei mi trattenne per un braccio.

"Aspetta James, vieni dentro, sei appena arrivato, sarai stanco." Disse.

"No grazie, parto subito." Dissi, con un sorriso. Però me ne accorsi, della stanchezza e del fuso orario che si facevano sentire.

"Insisto, rimani pure a dormire se ti va." Disse.

"Non vorrei recare troppo disturbo."

"Ma quale disturbo, figurati. Solo dovrai accontentarti della camera di mia figlia, non ho altro."

"Mi va più che bene." Risposi, percorrendo a ritroso il vialetto per prendere la valigia e tornai verso la casa.

"Vieni pure James, ti accompagno di sopra." Disse, salendo le scale. La seguii di sopra, in quella zona della casa a me sconosciuta. Il corridoio non era molto lungo, era interrotto solamente da tre porte, il bagno e le due camere. Le stanze da letto, agli estremi opposti della casa, erano entrambe grandissime, e il bagno lo era altrettanto. Non appena entrai in camera di Erika, sentii il suo profumo, e ciò mi mandò quasi in crisi.

"Fai come se fossi a casa tua, ti aspetto a cena per le otto."

"È sicura che non dò fastidio? Posso ripartire anche subito, per me non è un problema." Risposi, mentre mettevo la valigia in un angolo della camera, accanto alla scrivania.
"James, non devi preoccuparti, d'accordo? Se hai bisogno di qualcosa io sono di sotto." Disse, per poi uscire dalla stanza. Chiusi la porta alle mie spalle prima di lasciarmi andare a un sospiro. Mi passai una mano tra i capelli e mi guardai intorno. La camera di Erika era piuttosto vuota, una libreria piena per metà, la finestra, una scrivania con fogli, penne, una stampante e computer portatile e il letto, perfettamente rifatto. Vagai per qualche secondo con lo sguardo lungo le pareti e poi la mia attenzione venne catturata dal computer, lo schermo era spento ma una spia stava lampeggiando. Mi sedetti e provai a sfiorare il touchpad, lo schermo si accese. Fortuna volle che non aveva una password, quindi accedere ad esso fu più semplice del previsto. In quel momento mi sentii molto un hacker, violare in questo modo la privacy di Erika mi sembrava sbagliato, ma se serviva a trovarla lo avrei fatto e anche senza pensarci due volte. Aprii Google Chrome e cercai la cronologia. Ciò che mi si parò davanti agli occhi mi lasciò interdetto solo per un secondo. La cronologia di quel giorno era incentrata unicamente su un sito di viaggi last minute. Cliccai sull'ultimo movimento e venni reindirizzato al sito. La schermata confermava la prenotazione di un volo per il pomeriggio, alle due e mezza.

Si ma... per dove?

In fondo alla pagina trovai una scritta.

Il riepilogo del tuo viaggio qui.

Ci cliccai sopra, la stampante si mise in funzione e qualche secondo più tardi lasciò cadere sulla scrivania un foglio. Lo presi. I miei occhi vagarono per quel foglio trovando tutte informazioni che non mi servivano, quando finalmente mi presi un momento per leggerlo parola per parola, trovai ciò che mi serviva.

Aeroporto internazionale JFK, New York.

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E ai miei amati elfi, auguro un buon 2017, siete i lettori migliori del mondo.

~Jess

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