XXV
Aveva corso fino allo sfinimento. Si voltò dietro di sé per controllare l'assenza del suo assalitore. Non ebbe neppure il tempo di emettere un sospiro di sollievo, che si ritrovò con la canna di una pistola alla gola. Terrorizzata, prese a tremare. Non credeva di dover morire così. Aveva pensato molto spesso alla sua morte, ma non aveva mai preso in considerazione l'idea di poter morire così giovane. I suoi sospiri si fecero sempre più veloci, il cuore sembrava volerle esplodere.
«Sta' calma, piccola Grace», sibilò il suo assalitore. «Non ti faremo il piacere di ucciderti così in fretta, per nulla. Devi soffrire.»
Grace riconobbe la voce di Jason Kess, un brivido le percorse la schiena, mentre si tratteneva dal battere i denti. Vide una figura staccarsi dal muro che si trovava alla fine del vicolo cieco. Era coperta da un cappuccio e non riusciva ad identificarla.
Fino a quando.
Fino a quando non alzò lo sguardo verso di lei, per un intervallo di tempo adatto per farle scorgere due occhi azzurri.
La figura si inginocchiò dinanzi a lei e le prese un braccio, mentre lei guardava inerme la scena della sua fine. Sentiva l'arto andarle a fuoco: le stava scottando la pelle con un accendino, lo stesso accendino che lei nascondeva nel cassetto dall'incendio dello stanzino di Minho. Sentì poi un bruciore diverso, quello che si percepisce quando ci si taglia. Un rivolo di sangue sgorgò sulla sua pelle immacolata. Notò il bagliore di una scheggia di vetro. Fu allora che si accorse della bottiglia di vodka distrutta che si trovava a qualche metro da lì.
Fece un gesto azzardato. Calpestò il piede di Jason Kess – di nuovo – e, approfittando della sua distrazione, gli strappò la pistola di mano con la mano che l'altra figura aveva lasciato libera. Facendo quel gesto, però, la figura inginocchiata davanti a lei si irritò e prese a tagliarla con più vigore. Grace tirò via il suo braccio, procurandosi però un taglio ancora più profondo. Riprese la sua fuga, inseguita dai due artefici della sua morte.
Ma voleva morire combattendo.
Vide una luce alla fine di un corridoio buio, ci si diresse. Convinta di essere salva, si lasciò cadere sulle ginocchia, ma si accorse troppo tardi di essere finita in una stanza in fiamme. Gridò.
Si svegliò di soprassalto. Istintivamente controllò il suo braccio destro: era tutto intero. Si rilassò nuovamente sul cuscino, guardando il soffitto. Le luci si vedevano a malapena, i primi bagliori dell'alba facevano capolino dalla tenda lasciata mezza aperta la sera precedente.
Si alzò e, dopo aver preso gli indumenti che avrebbe indossato quel giorno, si diresse in bagno, per rilassarsi un po' nella vasca.
Gli ultimi giorni erano stati molto stressanti e non avevano dato nessun risultato. Non aveva avuto modo di parlare con suo fratello del motivo per cui fosse segregato in camera, perché le loro conversazioni avevano avuto come centro il quesito da risolvere. La band non si era più riunita per suonare e Larry pareva non voler avere a che fare con loro, perché si diceva troppo scosso da poter riuscire ad indagare sulla morte misteriosa della propria migliore amica. Intanto, i Bukovski erano in procinto di cambiare casa, quindi lei e i suoi amici dovevano sbrigarsi, ma si trovavano ad un punto di non ritorno.
Grace si guardò allo specchio e si scoprì non molto diversa dal giorno in cui aveva osservato il suo riflesso in quel bagno per la prima volta. Eppure le pareva di essere cambiata, durante quei quattro mesi. Delle profonde occhiaie marchiavano i suoi occhi blu, più spenti che mai. Gli zigomi erano infossati e la pelle non brillava come avrebbe dovuto fare sul viso di una giovane diciassettenne. Era più pallida che mai e - come le aveva fatto notare Allyson -, era dimagrita di parecchio. Sembrava malata.
Mentre saltellava su un piede solo per infilarsi gli stivali, si accorse di un rivolo di sangue che le fuoriusciva dal naso.
"Se volevo essere in anticipo, ora arriverò in netto ritardo!"
Tamponò la narice con della carta igienica, poi si avvicinò al lavandino per sciacquarsi con dell'acqua fredda.
Scese a fare colazione un quarto d'ora dopo, senza di essersi nemmeno truccata, quel giorno che invece sarebbe stato davvero necessario.
Mentre le passava un cucchiaino da zucchero, Cornelia la studiò con lo sguardo. «Non hai dormito?» Domandò, facendo allusione alle occhiaie.
Grace scosse la testa. «In realtà ho dormito parecchio. Forse sono per lo stress», concluse con una scrollata di spalle. Accostò la tazza alla bocca e prese a sorseggiare la sua bevanda candida.
Cornelia osservò la ragazza ancora per un po', poi si diresse verso il lavello della cucina. «Stamattina ti accompagna tuo padre», annunciò.
La corvina alzò un sopracciglio. «Come mai?»
«Vuole fare una chiacchierata col preside della scuola in merito a quello che è accaduto il diciassette dicembre. Dice di volergli far fare causa», spiegò la donna con pazienza.
Grace annuì. Non aveva ancora capito quale ruolo avesse quella donna in tutta la storia.
Arrivata fuori la scuola, suscitò lo scalpore di tutto il cortile: aveva portato con sé Robert McKrack!
I sussurrii diventarono presto esclamazioni. Fino a quando i due si separarono: Grace avrebbe aspettato il suono delle due campanelle, mentre suo padre entrò con noncuranza nell'edificio scolastico.
Lei si avvicinò ai suoi amici, che la accolsero con un largo sorriso. Constatò l'assenza di Larry, che non si presentava a scuola da quattro giorni. Avevano provato a chiamarlo più volte, non ottenendo nulla. Aveva semplicemente scritto sul loro gruppo whatsapp "scusate, voglio stare solo", quindi loro avevano accettato la sua decisione e non lo avevano più importunato.
Grace sospirò.
Si appoggiò al muretto più vicino, lasciando cadere lo zaino tra i suoi piedi.
«Sei sicura di sentirti bene?» Domandò Allyson, con fare materno.
Grace annuì e le sorrise.
«In questi giorni sembri un po'...», continuò la rossa.
Grace fece segno di no con la testa. «Va tutto bene Al!»
Poi, al suono della prima campanella, balzò in piedi, con la mano sul cuore, per cantare l'inno nazionale con tanta enfasi, come non aveva mai fatto, solo per dimostrare all'amica di non star bene, ma benissimo!
Al suono della seconda campanella, inciampò nello zaino che aveva lasciato ai suoi piedi e, fortunatamente, Shane le evitò di rompersi il setto nasale.
Per tutta la giornata, Allyson non fece che guardarla preoccupata.
"Che esagerazione, tutto per un paio di occhiaie!"
A mensa, come era ormai di routine, Minho fece passare il suo metal detector sul pranzo dei suoi amici e anche sul suo. Inoltre, c'era sempre qualcuno che gli chiedeva il piacere di controllare anche il proprio, per non rischiare di farsi esplodere lo stomaco.
Ma mentre gli altri si preoccupavano del fatto che potesse esserci una bomba sotto il proprio naso, loro si preoccupavano di dover scovare chi fosse il responsabile di tutte quelle disgrazie.
Avevano un nome, un solo nome, che era quello di Natalie Ramirez.
Ma nella lettera di Magdalene, c'era scritto che avesse accettato la scelta della loro amica di non piazzare la bomba nella mela di Grace e di non far più parte di 'loro'.
Quindi non poteva averla uccisa lei.
Ma chi erano 'loro'?
Chi era 'Lui'?
Grace si accasciò sul tavolo, premendo le dita sulle tempie.
«Emh...Biancaneve?»
Lei alzò la testa verso di lui. «Non ci capisco niente, niente, niente. Non stiamo aiutando in nessun modo, ci stiamo sgretolando, Larry non ha più intenzione di stare con noi, i Bukovski si trasferiranno tra - contò sulle dita i giorni della settimana - quattro giorni e noi non siamo riusciti a scoprire nulla! Forse è stata semplicemente la nostra immaginazione, questa potrebbe essere una...una lettera falsa, scritta da lei per - la sua voce fu rotta dal pianto - distrarci e non pensare che gli unici artefici della sua morte siamo noi e-»
Nicholas le mise l'indice davanti la bocca e la strinse a sé e per un attimo lei si lasciò andare.
Fino a quando, Minho non notò che sulla soglia della mensa ci fossero il preside e suo padre. «Grace...c'è tuo padre...forse...»
Lei annuì e si scostò da Nicholas, non dopo avergli sorriso. Forse l'idea di non truccarsi non era stata così male: almeno non sembrava un panda. Provò ad asciugarsi le lacrime che le avevano bagnato le guance e si voltò verso la porta.
Suo padre le fece segno di raccogliere tutte le sue cose: dovevano andarsene. Grace aggrottò la fronte, confusa, poi raccolse le sue cose e le infilò nello zaino. Salutò gli amici, altrettanto confusi, se lo mise in spalla ed uscì dalla mensa.
«C'è qualcosa che non va?» Le chiese il padre, notando che aveva pianto.
«Potrei farti la stessa domanda», rispose lei.
«Parleremo in macchina.»
Grace salutò il preside Cook e si diresse verso l'uscita, con suo padre che le faceva da guida. Lei sognava solo il suo letto morbido, che sperava non le preservasse altri incubi. Le spiegazioni di suo padre potevano anche aspettare, soprattutto nel caso in cui fosse stata una ramanzina indirizzata a lei.
Per cosa poi?
Le sue risposte non tardarono ad arrivare. Non appena lei chiuse la portiera della macchina, suo padre allacciò la cintura e, girate le chiavi, non smise più di parlare.
«Come sai, sono andato a parlare col preside Cook degli avvenimenti di lunedì diciassette dicembre, e anche di quelli precedenti. Abbiamo discusso a lungo, come hai potuto ben notare, ma come al solito lui non è stato in grado di essere professionale e di venirmi incontro. Io tengo all'incolumità di tutti gli studenti della St. Thomas, ma soprattutto alla tua, di incolumità. Nessuno deve più torcerti un capello, oppure pagherò un alto contributo alle istituzioni e farò chiudere quella maledetta scuola. Nel caso in cui ti stessi chiedendo se siamo giunti ad un accordo, sì, il tuo bravo padre riesce sempre a trovarne uno. Al carissimo preside Cook ho posto due condizioni: lasciare la cattedra, la scuola e ogni cosa che abbia il minimo contatto con la tua vita, oppure accettare una bella denuncia da parte mia con annessi incontri in tribunale. Ovviamente, per questioni burocratiche, non gli conviene. Quindi dalla settimana prossima ci sarà un nuovo preside, che deve prima avere il mio consenso. Voglio qualcuno che si assuma le proprie responsabilità: la prossima vittima potrebbe essere chiunque. E noi non possiamo restare a bocca chiusa e con le mani sopra la testa. È tempo di mettere le mani sopra delle maledette armi.»
Robert accostò in un parcheggio a pagamento, poi si girò indietro, per prendere una busta. Se la poggiò sulle gambe e tirò fuori una Beretta M9 con una scatola piena di colpi, porgendola a Grace, che lo guardava scioccata.
«Devi tenerla sempre nello zaino, nel caso in cui dovesse servire», poi gliela strinse nel palmo della mano. «Tranquilla, per il momento è scarica», aggiunse.
Grace osservò la pistola e la infilò nella tasca anteriore dello zaino, che non apriva mai. «Grazie», disse confusa.
Robert annuì e rimise in moto, percorrendo la strada verso casa.
«Perché mi hai fatta uscire prima?» Domandò Grace, mentre lui posteggiava nel garage.
Lui scrollò le spalle. «Ero lì e per tre ore ho voluto risparmiarti il viaggio in autobus. Ti ho vista molto stanca», spiegò.
Grace annuì ed entrambi scesero dall'auto. Prima di bussare, Robert poggiò una mano sulla spalla di sua figlia. «Non dirlo a Kristina, per nessuna ragione.»
-
Dopo cena, Grace scese in soggiorno, dove Kristina stava guardando una serie che passavano in tv. Si schiarì la voce per annunciare la sua presenza. La donna si voltò verso di lei, sorridente.
«Hai bisogno di qualcosa?» Chiese con fare gentile.
Grace annuì. «Posso fare l'aerosol? Sembra che la tosse non voglia andar via...»
Kristina annuì, alzandosi dal divano. Si diresse verso un mobiletto adibito ai medicinali e tirò fuori l'apparecchio dell'aerosol, con annessa soluzione fisiologica e altri medicinali necessari. Spiegò a Grace in quali quantità avrebbe dovuto mettere le varie medicine e tornò sul divano.
Grace si mise seduta alla sua scrivania e accese l'apparecchio. Prima però, si curò di prendere il Walkie-talkie dal suo zaino, nel caso in cui Nathan avesse fatto la sua abituale 'telefonata della sera'.
Infatti così fu. Sentì la voce del fratellino attraverso il loro mezzo di comunicazione e spense l'aerosol.
«Ehi Grace», disse lui, incerto.
«Ciao Gufetto! Hai novità?»
«Eccome! Ho capito che ogni indizio serve ad indicare una lettera, così ho formato il nome...sei pronta a sentirlo?»
Lei sospirò.
«Sì.»
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salve cari lettori! Diciamocelo, ultimamente mi sto proprio facendo desiderare, ma non sto avendo molto tempo a disposizione per sistemare i capitoli prima di pubblicarli e non vorrei mettere/ omettere qualche avvenimento.
Allora, secondo voi chi ha ucciso Magdalene? Vi regalo un nuovo quesito, provate a risolverlo!
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