XIII. Amore e benzina

c a p i t o l o

X I I I

Uno spettacolo di fiamme.

Un'infinita quantità di fumo, una sola domanda.

Chi.

Nicholas aveva spalancato la porta dello stanzino, aveva provato ad entrare, ma ne aveva ricavato soltanto una brutta tosse.

Minho non sembrava alquanto alterato, anzi. Continuava a ripetere che chiunque avesse appiccato l'incendio non gli avesse fatto che un piacere: aveva anche distrutto i computer, così il preside avrebbe dovuto cedergli quelli portatili.

Tutti gli altri erano rimasti paralizzati. Gli studenti che stavano passando nel corridoio si fermarono a guardare, ma nessuno mosse un dito.

Fino a quando, per fortuna, Allyson si riscosse dallo stato di trance e schiacciò il pulsante dell'allarme. Con quel rumore assordante, tutti parvero risvegliarsi.

Shane liberò l'estintore più vicino e domò le fiamme che danzavano nella stanza.

Molti collaboratori scolastici accorsero, seguiti anche dal preside. Ma per fortuna nessuno si era fatto male.

Il preside chiese a tutti gli studenti di stare lontani dallo stanzino, di mantenere la calma e di non fare confusione.

Era arrivato anche Larry, che guardava la stanza incenerita, mentre negli occhi aveva due fiamme che parevano non essersi domate con l'estintore di Shane.

Grace era rimasta in un angolo tutto il tempo, terrorizzata.

Aveva sempre avuto paura del fuoco, senza un preciso motivo. Per lei, dove c'era fuoco, c'era pericolo. Quelle fiamme, quel fumo, l'odore di bruciato, la inquietavano.

Poco dopo il preside entrò nello stanzino, per controllare che tutto fosse spento e che quindi non fosse necessario l'intervento dei vigili del fuoco.

I suoi amici erano nella stanza di Minho per cercare di salvare il salvabile, diretti dal caporedattore. C'era anche Larry, con la maglia infilata nei pantaloni.

Che quello fosse un altro misfatto di Natalie?

"Da te? Nulla."

Ma dagli altri? Era il secondo caso della settimana. Avrebbe potuto incendiare l'intera scuola.

Sentendosi un po' a disagio nel guardare i suoi amici che lavoravano mentre lei se ne stava ferma, si addentrò nella stanza.

Si diresse verso la finestra, in modo da poter raccogliere il mucchio di cartacce mangiate dal fuoco. Ascoltava Minho parlottare, e si poteva riconoscere nel nervosismo nella sua voce.

Ma come biasimarlo?

Uno strano luccichio attirò la sua attenzione.

In prossimità della finestra vi era una piccola macchia di benzina. Con lo sguardo cercò qualcosa che potesse contenerla e, bingo! Uno dei contagocce usati nell'ora di chimica. Fortunatamente non erano stati danneggiati dalle fiamme, trovandosi in uno scaffale più alto.

Dopo aver preso il liquido e aver infilato il contagocce in una delle tasche dei pantaloni, si sporse per guardare fuori la finestra. Un altro luccichio.

Che piromani imprudenti.

«Ehi, che fai? Hai intenzione di suicidarti davanti a noi?» Chiese la voce scherzosa di Shane.

Grace sussultò e si girò di scatto, rossa in viso.

«Io...mi è caduto un braccialetto di sotto e...ora vado a recuperarlo...» rispose, per poi correre fuori la porta e di seguito in cortile.

«Tra meno di dieci minuti suona la campanella!» gridò il ragazzo a gran voce, ma senza essere ascoltato.

Finalmente la domenica.

Grace faceva bei sogni, coricata nel proprio letto, e non aveva la minima intenzione di svegliarsi.

Dopo le notti tormentate di quella settimana, un sonno tranquillo se lo era proprio meritato.

Avrebbe voluto dormire ancora un po', ma un pugno sul naso glielo impedì.

Sì alzò di scatto al centro del letto e, appena si voltò verso destra, per conoscere il suo attentatore, soffocò un urlo nel cuscino.

«Sembri un Minion», esordì una vocina.

Grace si prese del tempo per riscuotersi da quello shock mattutino, poi si mise di nuovo seduta al centro del letto e guardò la causa di tutto quel trambusto: quel maledetto bambino biondo.

«Ciao... che ci fai qui?» Chiese Grace, provando ad intavolare una conversazione.

«Mi mancavi...» rispose lui, guardandola coi due occhioni blu.

Sul volto di Grace si dipinse un sorriso amaro. «Come facevi a sapere che ero qui?» Continuò a chiedere, curiosa.

«Ci sono già stato. Mentre tu ancora non c'eri, ma anche altri giorni, ma tu sembravi non volermi qui, quindi... Ho aspettato che il mio Angelo venisse a farmi visita di sua spontanea volontà. E lo hai fatto! Solo che la volta dopo è arrivato il Buio e...»

Grace lo azzittì mettendogli una mano sulla bocca. «Qualcosa mi dice che non dovresti essere qui, quindi parliamo piano...» poi si diresse verso l'armadio e mise la camicia da notte nera su quella bianca.

Il bambino sgranò gli occhi e prese a tremare, sussurrando "Buio". Allora Grace tolse velocemente quell'indumento scuro.

Il bambino sorrise, era sul punto di chiamarla "Angelo", ma Grace corse velocemente a prendere la camicia da notte rosa, che credeva di non indossare mai.

«E tu chi sei?» Le chiese allora il bambino.

«Io? Sono sempre la stessa persona, sono l'Angelo, il Buio e la cosa a cui non hai ancora trovato un nome. Ma nulla di questo esiste, io sono solo Grace.»

«Quindi... tutto quello non esiste?»

«No... ma può farlo nella tua testa. Ora... chi sei tu?»

«Io mi chiamo Nathan. Il mio nome ha una lettera in più rispetto al tuo», disse sorridendo.

"Almeno abbiamo un nome, Nathan."

"Nat."

Il bambino tossì a ruota libera, come se non avesse avuto nemmeno le forze per coprirsi la bocca.

«Posso farti una domanda?» Gli chiese la ragazza.

«Me l'hai appena fatta», rispose lui scherzosamente.

«Hai dei genitori?»

Nathan parve pensarci un po', poi annuì. «Mamma e papà. Sono i miei genitori, sì.»

«E... come si chiamano?» Azzardò Grace.

«Cornelia ha detto che...» Grace lo bloccò.

«Cornelia? Ti ha detto di non dirmi nulla, vero? Quindi sa che ci siamo incontrati, ma non avremmo dovuto. Perché non avremmo dovuto?!» Disse la mora, pensando ad alta voce.

Poi osservò bene il bambino, Nathan.

Aveva gli occhi blu, i capelli biondi.

Era sicuramente il "lui" a cui si riferiva Cornelia quando parlava degli Oreo nel latte.

Era un nottambulo, appassionato di Shakespeare fin da quell'età.

«Tuo padre... si chiama Robert e... tua madre Kristina, vero?»

Nathan si guardò attorno, come ad assicurarsi che nessuno fosse lì a spiarlo, poi sussurrò «Sì.»

Il mondo parve bloccarsi.

Aveva trovato la causa, la causa di tutto.

E senza volerlo, aveva davanti a sè suo fratello, il suo fratellastro, per essere più precisi.

«Forse è... meglio che tu vada, Cornelia potrebbe scoprirti e...» biascicò Grace.

Il bambino annuì, sparendo dietro la porta.

Grace restò a fissare incredula il punto dove, fino a pochi minuti prima, si trovava suo fratello.

Avrebbe dovuto odiarlo, perché in fin dei conti era probabile che la sua vita fosse stata scombussolata a causa sua, ma lui cosa poteva farci? Non aveva certo scelto di nascere, come tutti d'altronde.

Perché Kristina non poteva dirle di lui? Perché tutti continuavano a nasconderle segreti?

Lanciò un'occhiata al cassetto della sua scrivania. Non poteva dire di fare diversamente: stava nascondendo prove, le prove di quell'incendio nello stanzino di Minho. Ma aveva intenzione di raccogliere più informazioni prima di puntare il dito contro qualcuno.

Si vestì e scese a colazione, sperando di trovare sia Kristina che suo padre, e le speranze non furono vane.

Lì incontrò sulle scale, così diede loro il buongiorno, ancora mezza assonnata.

A tavola, osservò per bene entrambi.

Kristina. Una donna che vuole spaventarti, ma a lungo andare, non ci riesce più. Delicata quando vuole. Un nuovo livido sulla scapola, cercato di nascondere con la cipria, invano.

Suo padre. Un uomo all'apparenza buono, con cui quella sera doveva andare al cinema. Ma un mostro. Tra quanto tempo avrebbe iniziato a picchiare anche lei? Avrebbe dovuto denunciarlo? Kristina si sarebbe arrabbiata?

Cornelia. Una povera donna poco benestante finita col distribuire tazze fumanti a prima mattina. Cioccolato fondente dentro una confezione di cioccolato al latte.

Nathan. Ormai aveva solo lui nella testa. Nemmeno la cotta più grande della sua vita, che non esisteva, avrebbe potuto occupare tutto quello spazio.

E lei... lei era semplicemente la complicata Grace.

Attorno a lei, sentiva tre voci parlottare a proposito dell'allestimento della casa per le feste natalizie. Di che colore avrebbero comprato gli addobbi quell'anno? L'albero dell'anno precedente sarebbe andato bene? Le luci per l'esterno si erano rovinate?

A Grace, al momento, importava solo del suo latte bianco, di Nathan e della sua tosse. Era già capitato che tossisse così violentemente in sua presenza.

Mille pensieri frullavano per la sua testa.

Quella sera sarebbe andata al cinema con suo padre, chissà a quale proiezione avrebbero assistito.

Grace lo scoprì soltanto una volta arrivati: suo padre voleva farle una sorpresa.

Quando i due uscirono dal cinema con due enormi secchi di pop corn, avevano appena finito di guardare "Rongue One", ambientato nell'universo di Star Wars.

Alla piccola McKrack parve di ritornare bambina: quando era più piccola, adorava andare al cinema in compagnia di suo padre, che spesso le faceva credere che la mamma non lo sapesse, per rendere tutto più emozionante. Una volta tornati a casa però, la madre chiedeva "com'era il film?", allora Grace si girava accigliata verso il papà, che scoppiava a ridere ogni volta.

Grace sorrise ripensando a quei bei ricordi.

Poi, così dal nulla, le tornò in mente che aveva dimenticato di fare i compiti di algebra e andò nel panico totale.

Grace era sopravvissuta ai compiti e anche all'ora di algebra. Si stava dirigendo verso l'aula di filosofia, quando incontrò Allyson, che la prese a braccetto ridendo.

Le due ragazze parlottarono del loro week-end, ma una volta arrivate sulla soglia, una ragazza dai capelli color miele le bloccò.

«Sono Lucky, Lucky Bee. Sto organizzando una festa a casa mia per i miei diciassette anni. - Porse loro una piccola locandina, - avevo pensato che vi avrebbe fatto piacere partecipare. Spero di vedervi venerdì!» Detto questo, sparì, letteralmente.

Grace guardò Allyson alzando un sopracciglio. La rossa scrollò le spalle ed entrò nell'aula, seguita dalla sua amica. Si accaparrò il posto in prima fila per vedere bene il suo amato Arold. A Grace scappò una risatina.

La lezione fu abbastanza monotona, perché il professore non era in gran forma. Suonata la campanella, le due ragazze si divisero per seguire altri due corsi, poi si ritrovarono in mensa in compagnia della band e Minho Feller.

«Ma ha invitato proprio tutti!» Esordì Magdalene. «Ci andremo, vero ragazze?»

Allyson fece segno di no con la testa, ma Grace e Magdalene riuscirono a persuaderla.

«Dai Allyson, è la mia prima festa qui, voglio vedere di cosa si tratta! Kristina si divertirà un mondo ad acconciarci...» fece la mora.

«E poi... c'è anche Jason... Jason Kess!» Disse Magdalene, soffocando un gridolino.

Jason Kess era la cotta storica di Magdalene, tutti i suoi amici ne erano a conoscenza.

Allyson rise. «E va bene, ma lo faccio solo per voi.»

Le ragazze furono interrotte dalle risate starnazzanti di Shane, Larry e Minho, che guardavano Nicholas disperarsi al tavolo dei giocatori di football, al quale sedeva di nuovo Mike Swanson.

Nicholas stava guardando la locandina della festa di Lucky Bee e, dopo essersi alzato, si diresse verso la band, con un'espressione da funerale.

«NON CI ANDRÒ MAI! L'ULTIMA VOLTA È STATO TRAGICO, T R A G I C O!» Il biondo si lasciò cadere su una sedia accanto a Magdalene.

Grace, che guardava confusa la scena, venne messa al corrente dei fatti dell'anno precedente da Shane. «Lucky ha una cotta per Nick dal primo anno, o forse dalle scuole medie. Ogni anno, alla sua festa, usa la scusa di essere ubriaca per gettarsi tra le sue braccia e, ogni anno, lui scappa a gambe levate dalla festa. Quindi non vuole venire, ma... che festa di compleanno di Lucky Bee potrebbe mai essere senza di lui?»

Nicholas gli lanciò un'occhiata truce, poi notò le frolle abbandonate nel piattino di Grace e chiese «Le mangi quelle?»

Alla negazione della ragazza, prese il piatto e le mangiò senza il minimo riguardo: il suo stomaco era un buco nero.

Per un po' tutti restarono in silenzio, ma si notava che ognuno avrebbe voluto dar voce ai propri pensieri, ad esempio per l'incendio di due giorni prima. Ma nulla, nessuno accennò ad alcuna tragedia quel giorno a pranzo (escluso l'invito per Nicholas).

Alla fine delle lezioni, Grace si diresse come di consueto alla fermata dell'autobus. Una volta aperte le porte di quest'ultimo, salì a bordo e trovò Nicholas a bloccarle la strada per il suo amato seggiolino.

«Ehy Warren, mi fai passare o no?» Chiese tranquilla. «Sai, penso che questa signora dietro di me voglia proprio passare», aggiunse sussurrando.

Nicholas si riscosse dai suoi pensieri e si scostò, passandosi una mano tra i capelli e scusandosi con la signora.

Grace, approfittando della sua distrazione, corse al suo posto abituale, ma dopo un po' fu seguita dal ragazzo.

«Va bene, vieni. Devo raccontarti un bel po' di cose...»

Semi-revisionato il 10/03/2020.

Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top