VI. Il rumore della gente


c a p i t o l o

VI

Grace era intenta a bussare alla porta dell'ufficio del padre da quasi due minuti, quando finalmente udì la sua voce che, contrariamente a come si aspettasse, proveniva dal corridoio dietro di lei.

Poteva ben sentire che stava discutendo con Kristina e che i due stavano alzando il tono della voce. La donna era piangente e lei la immaginò mentre cercava in tutti modi di asciugarsi le lacrime, nonostante esse continuassero a scorrere imperterrite.

I due non rientravano nella visuale di Grace, ma vederli litigare non faceva parte di nessuna delle sue ambizioni. Restò girata verso la porta con un pugno serrato sulla superficie di mogano, mentre le due voci diventavano sempre più forti.

«Non può restare così per sempre, lo sai anche tu! Vorrei vederti nella sua situazione, abbi un minimo di pietà! Sappiamo entrambi che non si può più andare avanti così!» Gridò Kristina, esasperata.

«Ormai dovresti capirlo che è per il suo bene. Pensi che a me diverta questa situazione? Non credi che mi faccia male continuare a vivere nell'ombra e nascondere tutto a Grace?» La donna tentò di replicare, ma Robert le urlò di stare zitta.

Al grido di protesta di Kristina, Grace strinse ancora di più il pugno, fino a quando le sue nocche diventarono biancastre e il palmo della mano non fu trapassato dalle unghie, che infilava con sempre più forza nella carne. Serrò gli occhi e si comandò di non esplodere, di non piangere, di non urlare, ma soprattutto di non ripensare a quel maledetto giorno in cui i suoi genitori si erano urlati insulti per l'ultima volta.

Un oggetto di vetro cadde per terra, e al rumore di quest'ultimo che si infrangeva contro il pavimento seguì il botto di qualcosa che andava a sbattere contro il muro. In quel momento avrebbe voluto solamente avere il coraggio di avvicinarsi ai due e di dire a suo padre di farla finita, di lasciare la povera Kristina in pace. Una volta sole, le avrebbe chiesto di scappare finché ci fosse stato tempo.

Eppure non lo fece. Lasciò Kristina nelle grinfie di suo padre, come lui aveva fatto in passato, macchiandosi del peccato dell'indifferenza.

«Sta attenta a ciò che dici, altrimenti conosci quali sono le conseguenze, Kristina.» Affermò Robert McKrack che teneva schiacciata la sua futura sposa contro la parete. Gli occhi della donna brillarono ma più nessuna parola uscì dalle sue labbra. Si udì il suono dei suoi tacchi che riecheggiava sul pavimento, il rumore di una porta sbattuta e poi soltanto silenzio.

Fu in quel silenzio che Grace fu scossa da un singhiozzo rumoroso, soffocato in fretta per il terrore di essere riconosciuta come umana. I ricordi reclamavano la sua attenzione, ma lei stava combattendo per non rivivere quei momenti che avevano segnato l'inizio della fine, lo scatenarsi della vera tempesta. Era quando era tutto finito che in realtà era iniziata la vera distruzione.

I suoi genitori si erano urlati contro tutta la rabbia per troppo tempo, ma nonostante tutto sua madre amava ancora troppo quel suo marito che l'aveva fatta sognare e poi aveva distrutto il suo mondo. E aveva distrutto anche lei, e di conseguenza Grace, che adesso si ritrovava a fare i conti col passato.

«Grace.»

La ragazza sentì la voce di suo padre che la chiamava e si voltò lentamente. Quando incontrò il suo sguardo si vide riflessa negli occhi dolci di quell'uomo che fino a pochi istanti prima non era che una bestia aggressiva.


Occhi di un colore innaturale.

«Papà...ero venuta a dirti che...» le si fece un nodo in gola, stava ripensando alle grida di sua madre unite a quelle di Kristina e non riusciva a parlare a suo padre con naturalezza.

«Che succede Grace, non ti senti bene?»

La ragazza abbassò lo sguardo e si accorse di star stringendo ancora il pugno destro, così lasciò la presa e si accorse di star perdendo sangue. «È tutto ok papà. Vorrei partecipare alle audizioni per una band nella mia scuola, ma mi servirebbe una chitarra e...»

Le sue parole erano ostacolate dai suoi pensieri, dal peso della colpa che si stava imprimendo a fuoco non prendendosela a morte con l'ennesimo uomo che credeva di poter minacciare la vita di una donna.

Robert McKrack, che neppure immaginava cosa frullasse nella testa di sua figlia, meccanicamente frugò nella tasca interna della sua camicia e tirò fuori una carta di credito. «Divertiti piccola mia, mi fa piacere che ti sia già ambientata. Cornelia mi ha detto che esci con delle amiche...mi raccomando, fai attenzione alle compagnie di cui ti circondi.» Grace lo ringraziò ma non mosse passo fino a quando suo padre non sparì nel suo ufficio.

Si sentiva distante da lui. Un po' come i personaggi dei suoi libri. Tante volte si era chiesta come i genitori non riuscissero ad accorgersi ciò che succedeva ai propri figli, ma ora capiva che alcune cose non restano tra le pagine.

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Minho Feller tardò di sedici minuti. Grace stava quasi per andare via, poiché stava congelando, quando il ragazzo urlò il suo nome scendendo le scale del municipio.

«Grace McKrack!» Quasi inciampò in un gradino e a lei scappò una risatina malvagia.

«Ciao...scusa...è...», cercò di dire il ragazzo affannato, mentre indicava il municipio. Grace alzò un sopracciglio e non disse nulla. «Si, sto molto bene, grazie. Certo che sei proprio chiacchierina eh Grace, ovvio che ora ti porto a comprare la chitarra,altrimenti cosa ci siamo incontrati a fare? No, non è lontano, tranquilla». Fece Minho, rispondendo a domande che Grace non gli aveva posto, soltanto per prenderla un po' in giro, ma non ottenne nessuna risata.

Dopo quasi dieci minuti di cammino in assoluto silenzio, che Grace non avrebbe mai violato se fosse stato per lei, Minho si fermò finalmente davanti un negozio dalle insegne lampeggianti, dall'interno del quale proveniva un pezzo metal degli anni ottanta.

La ragazza rimase incantata a guardare le vetrine immense che si estendevano per tutto l'edificio che le si presentava davanti.

Minho le passò una mano davanti agli occhi «Ehi, ci sei? Entriamo dai!» Grace annuì e seguì il ciuffo moro di Minho tra i vari scomparti dell'immenso negozio.

Per ogni strumento vi era una zona apposita, dove si trovavano tutti gli accessori oltre allo strumento stesso. Dopo non molto, i due arrivarono nello scomparto delle chitarre. Ve ne erano di tutti i tipi, dei più svariati colori e modelli.

Minho si avvicinò ad una fiammeggiante chitarra elettrica sui toni del rosso e restò a guardarla inebetito per tre minuti abbondanti.

«...Minho?»

Il ragazzo si voltò di scatto «Hai la voce! Che c'è?»

Grace sbuffò. «Come sei divertente. Credo di aver trovato una chitarra che mi piace e...», indicò una chitarra che si trovava sul secondo scaffale.

Era nera opaca, aveva le corde bianche e vi erano delle decorazioni argentee. Il ragazzo spostò un paio di volte il suo sguardo dalla chitarra a Grace e poi sorrise, alzando un pollice in su.
«Credo che sia perfetta.» Poi, senza proferire altra parola, le procurò la borsa e una serie di plettri.

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«Stai già pensando alla canzone?» Chiese Minho. I due erano usciti dal negozio e stavano camminando, ma Grace sembrava essere altrove.

«No, non ho nemmeno un briciolo di ispirazione. Sinceramente mi hai proprio spiazzata con la notizia di doverne comporre una per le audizioni.»

Il ragazzo si girò verso di lei «Ti va un frappé da "Ben e Jerry"?» Lei lo guardò un po' perplessa per il suo cambio di argomento improvviso ma, dato che la fame iniziava a farsi sentire, accettò, nonostante un frappé nel bel mezzo di un gelido novembre non fosse il massimo.

«Quando hai iniziato a suonare?» Le chiese.

Grace guardò la lunga strada che le si stagliava davanti e dopo qualche attimo di silenzio si decise a rispondere. «Quando avevo dieci anni trovai una chitarra dimenticata nell'aula di musica, c'era stato da poco un concerto di Natale. Chiesi in giro se conoscessero il proprietario, ma non presentandosi nessuno decisi di portarla a casa. Mi feci prestare alcuni libri dalla mia insegnante di canto alle elementari e da lì iniziai a studiare, a volte a scuola con lei, altre volte da autodidatta. Poi...tre anni fa ho smesso perché...sono stata abbastanza impegnata altrove.»

Minho fece segno di aver capito. «È vera la voce che circola in giro? Sei la figlia di Robert McKrack?» Grace annuì. «Ma dove sei stata stipata per tutti questi anni? Vieni da un universo parallelo? Insomma, sei apparsa così dal nulla. Tua madre è Kristina Mellow?» chiese incuriosito il ragazzo.

Grace sospirò e ripeté come se fosse una poesia imparata a memoria. «Sono qui per questioni familiari».

Minho spalancò gli occhi. «Proprio la risposta che volevo!» Disse ironico. «Questo lo hai già detto a Nicholas Warren e io non mi accontento di ricevere le stesse risposte di quello zuccone. Sii più dettagliata, il mistero dei McKrack è un mio dilemma da anni ormai. Si dice che nascondano qualcosa, magari quel qualcosa è un qualcuno e quel qualcuno sei tu!»

Lei sbuffò. «I miei genitori si sono separati quando avevo sette anni, sono venuta qui per avere più possibilità con lo studio»

Il moro la squadrò da testa a piedi. «Mm...facciamo che non me la bevo ma faccio finta di crederci.»

Una volta arrivati al bar ordinarono i loro frappé. Improvvisamente, una ragazza corse al loro tavolo e abbracciò Minho, ridendo sonoramente. Grace la riconobbe molto velocemente. Aveva i capelli rosa raccolti in due treccine, gli occhi di una strana tonalità di castano chiaro e degli occhiali dalla montatura trasparente che luccicavano per la presenza di alcuni strass. Era la ragazzina che faceva parte della band, la più piccola.

Solo dopo essersi sciolta dall'abbraccio si accorse della presenza di Grace. Inclinò la testa di lato e mentre giocava con una treccina incurvò dolcemente le labbra rosee.

«Ciao...io sono Magdalene Bukovski e sono una sua amica», disse indicando Minho. «Tu...?»

"Ecco, un'altra relazione umana" pensò Grace.

«Io sono Grace McKrack.» rispose secca.

Minho guardò Grace con aria quasi di rimprovero per il modo brusco con il quale aveva risposto alla dolce Magdalene. «Mag, lei si è iscritta alle audizioni.»

Magdalene annuì felice. «Io suono il basso, sono entrata nella band lo scorso anno.»

Grace mugolò un semplice "mm" per poi riprendere a bere il suo frappé al pistacchio.

Magdalene sospirò e guardò Minho «Allora...ci vediamo in giro...» poi sembrò ricordarsi di qualcosa e si girò verso la porta d'entrata del bar.

«C'era Larry che voleva salutarti ma non è entrato perché stava mangiando un sandwich e "non entro in un bar mangiando cibo comprato altrove"» concluse ridendo.

Minho si alzò e si passò una mano tra i capelli, era una vera e propria fissazione! «Io vado a salutare un attimo questo mio amico» e poi uscì con la ragazza.

Sola.

Nonostante le voci delle persone che le ronzavano attorno la infastidissero, quando non c'era nessuno si sentiva sola. Non che non amasse la solitudine, anzi, ma era diverso, perché lei di solito sceglieva di stare da sola. E adesso era di nuovo sola, era sola anche con mille persone intorno, perché non ce n'era una che la conoscesse, che lei conoscesse, non c'era nessuno, ma c'era troppa gente, solo gente.

Era sempre stata sola, gli unici momenti in cui era stata forse in vera compagnia erano volati via, come la polvere col vento.

Fino a quando aveva sette anni, lei stava bene, almeno in famiglia. Poi era tutto saltato all'aria. Aveva continuato ad amare sua madre, anche nei momenti di pura follia, ed era sicura che nonostante tutto sua madre la amasse. Aveva convissuto con lei fino allo scoppio della bomba.

Era saltato tutto all'aria, e adesso era lì, in quella città immensa con persone attorno a lei che non sembravano vederla. Dopo quegli avvenimenti, nonostante già di suo non fosse molto socievole, i suoi rapporti con gli altri si erano ridotti allo stretto necessario: non faceva che isolarsi e farsi isolare.

Una delle sue psicologhe le aveva detto che si trattava di un comportamento post traumatico, ma cosa ne sapeva lei? Cosa ne sapevano tutti? Lei era sempre stata così, fin da quando era uno scricciolo, si ripeteva.

Grace si ritrovò a stringere il cappotto con troppa forza e cercando di non esplodere si alzò, pagò il conto per il suo frappé e raccolse le sue cose, per poi uscire.

Minho la vide e la chiamò, invano.

Era già dall'altro lato del marciapiedi e con la testa era nel suo letto a dormire, aveva bisogno solo e soltanto di quello, dormire. Dormire, sognare, distaccarsi da quel mondo che lei odiava, con anima e corpo.

Morire, dormire. Dormire, forse sognare.






***

Ciao! Questo capitolo, pur avendo un ritmo abbastanza lento, è molto significativo. Abbiamo assistito ad una brutta discussione tra i coniugi McKrack, ci sono stati tanti riferimenti al passato e quindi si è venuto a sapere che Grace è anche stata in cura da alcuni psicologi. La frase "Ma cosa ne sapeva lei? Cosa ne sapevano tutti?" è un piccolo riferimento a "La stazione dei ricordi" di Ultimo, che è a parer mio un poeta. "Morire, dormire. Dormire, forse sognare."  Ovviamente il grande Shakespeare. 

Beh, che dire, ci vediamo nel prossimo capitolo! Non perdete occasione per segnalarmi eventuali errori e/o imprecisioni. Un bacio a tutti voi❤

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