speciale 1k

Beatty, 2005

Una brezza leggera faceva danzare le fronde del maestoso salice piangente situato al centro di un quartiere di quel piccolo paesino.

Nel parco, molti bambini giocavano con la palla, si rincorrevano, si contendevano lo scivolo, si divertivano insieme.

I genitori parlottavano tra loro, elogiando i propri pargoli. Ogni tanto, qualcuno di loro richiamava i bambini, per ricordare e raccomandare loro di fare attenzione, di comportarsi bene, di non litigare.

Regina dell'altalena, era una bimba docile, ma al tempo stesso molto rigida per la sua età. Dondolava felice, allungando e piegando le gambe, per darsi più spinta.

La madre la controllava da lontano, quasi temendo che qualcuno capisse che quella fosse sua figlia, la sua bambina.

La piccola, dal canto suo, guardava la madre ammirata. L'aveva sempre trovata molto bella, elegante e gentile. Era da un po' che le aveva affibbiato un nomignolo, che spesso usava come apprezzamento nei suoi confronti.

Biancaneve.

La donna le ricordava molto la principessa, sia per il suo aspetto, che per il suo modo di fare. Lei aveva ereditato quasi tutta la sua fisionomia, tranne che gli occhi blu, profondi come il mare, che la rendevano, per l'aspetto, figlia di suo padre, Robert McKrack.

Grace - era quello il nome della bimba - non poteva avere idea del fatto che, in futuro, quello sarebbe diventato un nomignolo per lei.

Non poteva pensare che, ogni qualvolta lo avesse sentito, avrebbe pensato a quella giornata, mentre lei si dondolava felice sull'altalena del parco.

La donna le fece un segnale con la mano: il gesto che generalmente si usa per indicare la pistola, ma con le dita che si piegano verso sinistra. Nel loro linguaggio, significava che era ora ti tornare a casa.

La piccola Grace, si diede un'ultima spinta, poi inchiodò con noncuranza per terra e corse verso sua madre, scontrandosi con un bambino, che prese ad urlare.

Non erano nemmeno caduti.

Il suo nome era Christopher ed era in classe con lei, nella 1^B.

Era solito schernirla, ma la bimba sapeva sempre rispondergli a tono. Adesso, avrebbe sicuramente pensato che le fosse andato contro volontariamente.

Senza preoccuparsi troppo della reazione esagerata del suo "amico", riprese la corsa verso la sua mamma, che strinse la piccola manina nella sua.

Insieme camminarono verso casa, dove probabilmente, già le aspettava il papà della piccoletta.

«Mamma, a cena mi cucini le alette...le alette di pollo?»

Mamma.

«No Grace, le abbiamo già mangiate ieri. Sai che fanno male!»

La bimba continuò a camminare fissandosi la punta delle microscopiche scarpe, senza più proferire parola.

La mamma era arrabbiata, di nuovo.

Arrivate a casa, constatarono che Robert McKrack doveva ancora fare ritorno.

Diana - così si chiamava la donna - controllò l'orologio a pendolo che si trovava addossato alla parete opposta alla porta d'entrata.

Le sette e trentatré.

Diana si diresse verso il telefono fisso e iniziò a digitare il numero di suo marito, che ancora una volta tardava ad arrivare.

Nessuna risposta.

Provò altre tre volte, ma ancora nulla.

Finché.

Finché qualcuno non bussò alla porta. Diana corse ad aprire e trovò la figura imponente di suo marito, che teneva nella mano destra una busta della spesa.

Dietro le gambe della donna, fece capolino Grace, che guardava il papà sorridente.

«Papà! Cosa hai comprato?» Chiese, mentre correva ad abbracciarlo.

«Ehi piccola! Come è bella oggi la mia principessa!» Esclamò, mentre faceva il solletico alla bambina, leggermente piegato sulle gambe.

La bimba rideva a perdifiato, contorcendosi e facendo lunghi sospiri. «Papà basta - un'altra risata - così mi fai morire!»

Robert si fermò, guardandola.

Si alzò e poggiò la busta della spesa sul tavolo, poi la capovolse rivelandone il contenuto: una busta di pop corn, una di patatine, due lattine di birra e una di coca cola.

«Serata cinema!» Esclamò contenta la bimba, battendo le mani.

«Un'altra volta. È la terza della settimana, domani Grace ha scuola e poi io non-»

«Suvvia Diana, guarda com'è felice...» disse il marito, indicandole la piccola Grace.

Diana sospirò e andò verso il lavabo, anche se non c'erano piatti sporchi.

«Dopo io e te dobbiamo parlare. Di cose serie.»

Ne parlarono molto presto, con poca calma.

Grace non tardò a capire che doveva correre in camera sua, chiudere la porta, mettere la testa sotto il cuscino e pregare che tutto finisse in fretta. Era da un po' di tempo, che ogni sera al ritorno dal lavoro, il suo papà e la sua mamma litigavano, si urlavano contro.

Diana riteneva che suo marito avesse un'altra donna, perché non riusciva a spiegarsi quei continui viaggi di lavoro. La sua professione non ne prevedeva molti, anzi, non ne prevedeva affatto.

Grace non le credeva, non le aveva creduto fino a quando non era entrata nella casa di suo padre a Los Angeles.

Grace aveva sempre visto la sua mamma come la persona migliore al mondo, anche quando aveva iniziato a fare ciò che aveva fatto. Anche quando era ad un passo dal commettere l'irreparabile.

Diana non aveva mai voluto una figlia.

Amava Robert, ma non voleva avere pesi, tant'è che non si erano neppure sposati.

Grace era sempre stata un errore, che però non aveva avuto il coraggio di cancellare quando era ancora in tempo.

Voleva che Grace non fosse sua figlia.

E per quanto assurdo potesse sembrare, non le aveva mai voluto davvero bene, non quanto una madre dovrebbe amare sua figlia.

Lei amava solo Robert, e quando se ne era andato, aveva perso tutto.

Tranne Grace.

Ma sarebbe stata pronta a sacrificarla, se ce ne fosse stato bisogno.

Grace era solo un mezzo.

Il fine? Nemmeno lo conosceva.

Voleva solo che quella bambina irriverente, così simile a lei, sparisse dalla sua vita.

Lei non era Biancaneve, non poteva esserlo. Diana Thompson era giunta a definirsi la matrigna cattiva.

Era ora che anche i cattivi avessero la propria rivincita.

Perché cattivi si diventa col tempo, non ci si nasce.

E lei lo era diventata con l'assalto di quella bambina nella sua vita.

Le aveva succhiato l'anima.

Era la parte vincolante. Un giorno si sarebbe stancata di Robert, sarebbe corsa tra le braccia di un altro uomo.

Questo si diceva.

Fino a quando.

Fino a quando non era nata Grace, che aveva sancito la fine della sua libertà.

Avrebbe dovuto tenere conto di lei, per il resto della vita.

Trascorsero dodici mesi, altri dodici mesi di prigionia.

Poi Diana ebbe la sua gloria, ma anche il suo dolore.

Grace venne accecata dal terrore.

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Ciao a tutti, ho deciso di regalarvi questo capitolo speciale per un grande traguardo: mille visualizzazioni. Non credevo che sarei arrivata a questo, che saremmo arrivati a questo... eppure, eccoci qui.

Questo capitolo può esservi d'aiuto per conoscere un po' meglio Diana che, spoiler, tra non molti capitoli, apparirà.

Un bacione a tutti voi

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