IV. Un cielo per una stella


c a p i t o l o

IV


Grace si aspettava una delle più brutte punizioni della sua vita per la multa che aveva portato a casa, invece suo padre non diede per nulla peso alla cosa, anzi: quando lei si presentò nel suo studio con lo sguardo basso e con la multa tra le mani, lui scoppiò a ridere e le chiese, sinceramente divertito, se avesse usato insulti abbastanza convincenti durante la discussione con il controllore.

Lei sorpresa, sorrise e osservò tutti i movimenti che il padre effettuava mentre parlava. Perché non le aveva mai detto nulla della sua vita lavorativa? Quando era andato via da Beatty era un uomo come un altro, che aveva appena lasciato il suo lavoro di manager musicale per andare via dalla casa dove avevano abitato per sette anni tutti insieme. Rimpianse i bei tempi passati, in cui sentiva di vivere una vita normale.

Forse il vero inferno di Grace era iniziato proprio lì, quando era rimasta sola con la madre, distrutta dal dolore per la separazione con suo marito. La ragazza si riscosse dai suoi pensieri e sulla porta apparve Kristina, che le dedicò uno sguardo di rimprovero. Quella donna le metteva i brividi. «Robert, di là sembra che ci siano problemi», poi fece uno strano movimento con la testa che sembrava una specie di messaggio in codice.

Robert si alzò dalla sedia e scostò un po' Grace per passare. Poi, prima di uscire dalla stanza, le disse di non preoccuparsi.

Lei rimase lì, al centro della stanza, combattuta dalla curiosità e dalla voglia di capire cosa stesse succedendo sotto i suoi occhi senza che lei se ne accorgesse. Però non poteva e non voleva cacciarsi nei guai dopo essere appena arrivata, poiché le sembrava aver fatto abbastanza per quella giornata. Inoltre, si rendeva conto di essere sempre stata frenata dalla forza di catene invisibili, che non le permettevano di compiere azioni che in realtà desiderava ardentemente attuare.

Improvvisamente si ricordò della strana idea che le era venuta in mente durante la via del ritorno. Corse in camera sua a prendere il portafoglio e dopo aver indossato un cappotto bianco scese da Cornelia e le disse di star andando a fare shopping con una sua amica. Non poteva avere un'amica migliore di sé stessa, si disse.

Il primo acquisto che Grace fece fu una piantina della città, perché non aveva la minima intenzione di perdersi. Si diresse ad un bar, "Ben & Jerry", e decise che quello sarebbe stato il suo punto di partenza e di ritorno. Los Angeles era piena zeppa di negozi di tutti i tipi, di persone che camminavano come formiche. Il centro era il caos più totale.

Era e non era al punto stesso il posto adatto a lei. Non amava i luoghi affollati, ma sapere che lei fosse solo una di quelle tante persone, e che quindi l'attenzione non fosse concentrata su di lei, la rasserenava. Era solo una di quelle innumerevoli persone, una semplice ragazza che camminava sul marciapiedi nel rumore del traffico. A nessuno interessava della sua storia, neppure a lei.

Comprò una serie di felpe e jeans di vari colori, un paio di scarpe da ginnastica e, quando le rimasero solo pochi spiccioli nel portafoglio, decisa a non portare a casa nemmeno un quarto di dollaro, corse in un negozio di elettronica. Nonostante mancassero alcuni mesi a Natale, ebbe la fortuna di trovare una serie di luci bianche fredde a pochi spiccioli. Si procurò anche una confezione di puntine. Si diresse nuovamente al bar e, da lì, tornò a casa.

Si rese conto troppo tardi di aver superato l'orario di rientro: sarebbe dovuta tornare da un'ora ormai, per la cena, la quale si svolgeva molto presto, diversamente dalla sue abitudini. Temette una possibile reazione di Kristina e rabbrividì. La donna era sulla rampa di scale. «Hai fatto tardi signorina, che non succeda mai più», disse dura la donna, senza degnarla di uno sguardo. «Stasera niente cena, ne ho già parlato con tuo padre.»

"Cosa ho fatto di male per meritarmi una simile punizione, il cibo è una delle poche gioie della vita."

«Scusa Kristina, non succederà mai più.» Ancora una volta, Grace si sentì protagonista di uno dei tanti libri che aveva letto, in cui la bambina pestifera aveva commesso un errore e pagava non allietando il suo stomaco. Non le era mai capitato di saltare la cena per una punizione. La donna la guardò e annuì, poi salì al piano di sopra e svanì in uno dei tanti corridoi. Grace la imitò poco dopo, ma prima aspettò che lei andasse via.

Arrivata in camera sua disfece le buste e piegò per bene i vari abiti. Li ordinò in base ad una serie di abbinamenti e li nascose sotto il materasso del letto. Sapeva che prima o poi si sarebbe venuto a sapere di quella sua piccola ribellione, ma credeva ancora di poter contare sulla complicità di Cornelia. Prese gli indumenti che avrebbe dovuto indossare il giorno seguente e li mise nello zaino. Per le scarpe si sarebbe inventata una scusa abbastanza credibile. Indossò la camicia da notte, appuntandosi di comprare anche una tenuta notturna migliore, e una volta nel letto, si accorse di aver dimenticato qualcosa: le luci.

Nello scendere di fretta dal letto quasi cadde, prese la sua serie di lucine e le poggiò sulla scrivania. Le bastarono un po' di nastro adesivo, un po' di competenze in campo astronomico e tanta rabbia da sfogare sulle lampadine di troppo. Quasi un'ora dopo, aveva realizzato una volta celeste fatta di luci. Ora arrivava la difficoltà maggiore: doveva attaccare il tutto sul soffitto. Guardò la finestra, e subito dopo il ramo: si stava tuffando a capofitto in un altro guaio, nel vero senso della parola.

Si avvicinò alla finestra e la spalancò. Scavalcò lo stipite del balcone e si arrampicò sul ramo, poi scese lentamente. Arrivata con i piedi per terra si diresse verso il punto in cui le era sembrato di vedere una scala il giorno prima e fortunatamente si trovava ancora lì. Dopo averla presa diede uno sguardo veloce alla situazione e subito le saltò in mente un modo per riuscire a portarla su. Salì su uno dei muretti che circondava l'aiuola nella quale si trovava l'albero e appese la scala al ramo. Poi scese dal muretto e si arrampicò sul ramo al quale aveva appeso la scala. Da lì la spostò sul balcone e entrò in camera.

Pian piano fissò per bene tutti i lati del suo cielo artificiale e alla fine attaccò la spina alla più vicina presa della corrente. Per riportare la scala in giardino effettuò lo stesso procedimento, ma questa volta a ritroso. Quando ritornò in camera sua si tuffò sul letto, sfinita. Un sorriso fece capolino sul suo viso quando, guardando il soffitto, vide il suo lavoro finalmente al completo. Senza quasi accorgersene si concesse al sonno, felice di essere riuscita nel suo intento, senza finire nei guai e senza essere vista da nessuno.

O almeno, era quello che credeva.

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Grace si svegliò prima che Cornelia andasse a chiamarla, per dare un ultimo controllo al suo piano. Cercò nell'armadio un abito abbastanza comodo da togliere e mettere, e per suo immenso dispiacere ne trovò uno fucsia. Si disse che la sua dignità stava per andare a fare una bella passeggiata a Los Angeles. Indossò le scarpe da ginnastica e chiuse per bene lo zaino, poi scese di sotto a fare colazione, correndo per sedersi ed evitare che qualcuno notasse le scarpette che indossava. Nessuno doveva accorgersene, altrimenti, come avrebbe detto Mary Harrison, adios. Sotto quell'abito stavano in maniera deplorevole.

«Oh, buongiorno cara, già sveglia?» Chiese dolcemente Cornelia che stava ancora scaldando il latte.

«Sì, stamattina devo... incontrare una mia amica prima di andare a scuola,vorrebbe che le spiegassi un po' di filosofia dato che l'altro giorno non era presente ed ha perso la spiegazione», mentì, congratulandosi con se stessa per essere riuscita ad inventarsi una bugia così su due piedi.

Cornelia le servì la colazione e la guardò forse per la prima volta. Quando si erano viste al suo arrivo aveva notato subito i suoi occhi, ma probabilmente non aveva mai guardato oltre il colore dei suddetti. Il visino della ragazza non era perfetto, vi erano alcuni graffietti sbiaditi che si notavano solo se visti ad una certa luce. Aveva delle labbra non troppo sottili, di un rosso sangue, nonostante l'assenza di qualunque tipo di rossetto. Improvvisamente Grace spezzò il silenzio rivolgendosi all'unica persona presente nella stanza. «Chi è la donna che viene qui ogni mattina?»

Cornelia alzò le sopracciglia come per chiederle di cosa stesse parlando.

«Non mi prenda in giro, sa benissimo di cosa parlo. È una donna adulta, ha un sorriso anche troppo dolce per i miei gusti. È venuta qui ogni mattina da quando sono arrivata, tranne che di domenica. Ha una macchina rossa, un vecchio modello, e la parcheggia fuori il cancello. Chi è?»

La donna guardò fuori dalla finestra, come per controllare che l'auto rossa non fosse parcheggiata lì. «È una cara amica della signora Kristina». Grace inclinò la testa verso destra e dopo annuì, anche se non credeva ad una sola parola che quella donna aveva pronunciato.

"Potrai anche essere la mia migliore amica, ma sono certa che non verrai ogni giorno a casa mia allo stesso orario."

La corvina terminò la colazione e salutò in fretta Cornelia, poi si avvicinò alle scale ed urlò un «Ciao!», per poi scappare fuori. Corse nel bar vicino ad una fermata di distanza da quella di casa sua e andò in bagno a cambiarsi, poi si sedette su una panchina ad aspettare l'autobus.

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Le due ore di economia trascorrevano lentamente. Grace cercò di prendere più appunti che poteva, ma non riusciva a capirci nulla. Sperava con tutta sé stessa di non prendere un debito in quella materia perché suo padre non glielo avrebbe perdonato.

I professori amavano prenderla di sorpresa mentre era distratta, infatti quando la professoressa Littermak le chiese come dovessero essere gli obiettivi del marketing, prima di tutto sobbalzò, poi iniziò a pregare che cadesse una risposta da cielo.

Diede un'occhiata fuggitiva ai suoi appunti, ma aveva lasciato scritto "gli obiettivi del marketing devono essere: ". Intanto al primo banco un ragazzo si sbracciava per farsi notare dalla professoressa, che invece gli faceva segno di abbassare la mano per far parlare Grace. Le dedicò un sorriso che voleva quasi farle capire che si stava prendendo gioco di lei. «Di nuovo signorina McKrack? È la seconda volta che ci vediamo ed è la seconda volta che non sa rispondere alla domanda che le pongo. Qui il dubbio mi sorge spontaneo. Cosa è venuta a fare in questa scuola? Soltanto per portare in giro la presunzione tipica dei McKrack? Oppure, ci sarebbe un'altra risposta, che spero sia quella giusta. Lei non è interessata a questa materia ma è costretta a venire, e dato che la fa senza voglia non riesce ad applicarsi e ad avere buoni risultati.»

Grace fu molto irritata dal modo di fare dell'insegnante. Si disse che era distratta e meritava una ramanzina, ma quella era una vera e propria mancanza di rispetto. Non riusciva ad accettare che persino i professori avessero pregiudizi su di lei.

La professoressa prese in fretta un modulo dal cassetto della cattedra e riprese a parlare. «I giudizi che le danno gli altri professori in merito ad i suoi interventi sono del tutto positivi. Io credo che lei debba lasciare questo corso, per il suo bene.»

Grace non sapeva cosa dire. La professoressa si era rivolta a lei prima come una furia, ripetendole le parole che erano ormai diventate abituali per le sue orecchie. Poi le diceva cosa poteva fare "per il suo bene". La gente era proprio matta. «Ha ragione professoressa, a me non importa del marketing, del commercio e di tutta quella robaccia di cui si occupa mio padre. Vorrei far capire alle persone che io, i miei modi di fare, non dipendono da mio padre. Semplicemente preferisco altro, come le stelle, la filosofia, la musica. Mi aiutano ad esprimere me stessa e...» si accorse troppo tardi di aver parlato ad alta voce, di essersi esposta davanti a venti persone e di aver detto alla professoressa che non le importava della sua materia. Odiava quei momenti in cui finiva col perdere il controllo di sé stessa.

La professoressa le sorrise dolcemente e alla parola "musica" il ragazzo del primo banco si girò di scatto verso di lei. Lo riconobbe in fretta: era uno dei ragazzi che aveva visto il primo giorno nel gruppetto con Allyson Swanson.

«Mi fa piacere che abbia molti interessi, io credo che lei sia una ragazza piena di incentivo, ce ne vorrebbero di più così», poi spostò il suo sguardo sul ragazzo al primo banco. «Vada pure Mirror», disse quasi ridendo.

«Gli obiettivi del marketing devono essere mirati, rilevanti, misurabili e realistici.»

Si sentì un applauso provenire dal fondo dell'aula e la professoressa si schiacciò una mano in fronte, per poi riprendere la sua lezione.

Suonata la campanella Grace si avviò verso la porta, ma fu fermata dal "ragazzo del primo banco". «Ehi», le rivolse un sorriso gentile. «Io sono...»

Con aria quasi annoiata Grace terminò con: «Shane Mirror. No, ti giuro di non avere bisogno di nuovi amici pur essendo arrivata da poco. A mai più», e poi lo salutò con la mano, ma lui la fermò tirando lievemente la borsa.

«Come facevi a...»

«Sapere il tuo nome? Ho letto la lista dei ragazzi prima di entrare e ho collegato il tuo cognome al nome, quindi...» e poi sorrise in modo inquietante.

«Ah...capisco. Ho sentito che ti piace la musica, magari potrebbero interessarti le audizioni per entrare in una band...la band di cui faccio parte...cosa suoni?»

Grace alzò un sopracciglio. «Come mai questa richiesta cortese? Sono una sconosciuta..inoltre non penso di stare molto simpatica alla tua ragazza...»

Shane la guardò confuso. «Quale ragazza?»

Grace ridacchiò. «Occhi verdi e capelli rosso fuoco, ti dice niente?»

Shane avvampò: «Allyson...non è la mia ragazza!»

Grace ghignò: «Però ti piace.» Non se lo aspettava, eppure una parte di sé che quasi neppure conosceva, era scappata fuori.

Shane scosse la testa come un forsennato. «Tu mi fai paura», disse arretrando con fare teatrale.

«Oh, proprio l'effetto che volevo ottenere». E detto ciò, Grace sparì nel corridoio, sorpresa da sé stessa.
















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