Capitolo nono.
Mi sembra di impazzire. Tutto nella mia vita aveva preso una giusta direzione. Pian piano, ogni singolo pezzetto del mio cuore aveva cominciato a saldarsi con gli altri.
Tutto sembrava migliorare. E poi, in una sola notte, il mio leggero equilibrio mentale è crollato.
È bastata una mossa di un gruppo di sconosciuti a farmi ricadere nell'abisso. È bastato toccare un altro membro della mia famiglia per farmi crollare in ginocchio. Per desiderare di fermare il dolore.
Un dolore non opprimente, ma forte abbastanza da desiderare di scacciarlo via con metodi di cui non sono mai andata fiera.
Non vorrei farlo, non lo vorrei davvero. Ma ormai la mia anima è logora. È nera come la notte più oscura e quella poca luce che ogni tanto la rischiara, è troppo debole per vincerla.
Non mi rendo nemmeno conto di essere nel bagno della mia stanza, di fronte allo specchio, gli occhi rossi gonfi dal pianto appena passato. I capelli blu arruffati sulle spalle magre.
Tiro su col naso e mi asciugo una lacrima solitaria con la manica della felpa di Luke. Riesco a sentire il profumo di quel ragazzo che non merito salirmi al cervello e inebriarmi per pochi e intensi secondi.
Apro il cassetto degli asciugamani e cerco sul fondo. Sento il materiale freddo e liscio e lo tiro fuori ad occhi chiusi. Guardo la lametta che è stata il mio strumento di tortura per un sacco di tempo. la fisso per minuti interminabili e penso e ripenso a quanto sia sbagliato tutto questo. Poi mi accascio sul pavimento e singhiozzando, tiro su la manica del braccio sinistro.
Guardo le cicatrici chiare e in rilievo sulla pelle del mio polso e penso a quanto siano brutte. A quanto deturpino il mio corpo.
Però nemmeno il ribrezzo che provo per loro mi ferma. Appoggio la lametta sul polso, premo forte e la passo da una parte all'altra del mio braccio. Fa malissimo. Il dolore è quasi insopportabile. La pelle si macchia di rosso scuro, alcune gocce di sangue colorano le piastrelle di marmo bianco del pavimento. Le lacrime Mi bruciano le guance accaldate, ma la mia mano non si ferma. Continuo a tagliare. Prima u un polso e poi l'altro e infine le cosce.
I tagli non sono profondi, ma non per questo fanno meno male. Lascio cadere la lametta a terra e mi porto le mani alla bocca per non urlare. Ho fatto ciò che mi ero ripromessa di non fare mai più. Mi sono fatta male. Un male atroce, lacerante. Ma non mi sento affatto meglio come tempo prima. Sto peggio. E la voglia di tagliarmi è sempre presente. Ma la piccola parte sana di me, quella che non è riuscita ad evitare tutto questo, mi salva dall'andare avanti.
La mattina seguente, mi sveglio presto e torno in bagno per cancellare le tracce del mio gesto.
Guardo i tagli sui polsi. Sono gonfi e rossastri. Mi fanno male ma non importa. Nessuno deve saperlo. Scuoto la testa e decido di non pensarci più e di farmi una doccia per liberarmi la mente. Dopo essermi asciugata i capelli, li leggo in una treccia e vado in camera mia a vestirmi. Mentre mi infilo un maglioncino troppo largo, guardo fuori dalla finestra. La pioggia continua a scendere a secchi da giorni. E il tempo non migliora di certo la mia situazione mentale. Decido di mettermi qualche braccialetto ai polsi, per rendere meno visibili i tagli freschi.
Sento dei rumori provenire dalla cucina. Guardo l'orologio e mi accorgo che è già ora di andare a fare colazione.
Prendo un profondo respiro e mi stampo sul viso un sorriso falso.
Poi scendo e faccio finta che vada tutto bene.
Sto riponendo nell'armadietto i quaderni di algebra, quando sento la strana sensazione di essere osservata. Mi volto e, come immaginavo, a fissarmi c'è quella ragazza del giornale scolastico. Il suo sorriso furbo e curioso di informazioni sulla mia vita non mi convince per niente. Sospiro mentre chiudo l'armadietto e mi volto verso di lei.
« Cosa vuoi? » le domando un po' acida. Lei non batte ciglio e questo mi fa intendere che siano in molti ad usare questo tono con lei.
« volevo farti quelle famose domande per l'articolo, ovviamente » mi risponde lei con una calma e una semplicità impressionanti. Io sbarro un po' gli occhi. Onestamente pensavo che, vedendo la mia reazione del giorno prima, si fosse decisa a lasciar perdere questa storia. Ma a quanto pare, la ragazza è più decisa e determinata di quello che sembra.
« Non so se ne ho il tempo... » rispondo cercando una scusa per filarmela. Ma lei, con il suo sorriso smagliante, mi prende in contropiede e mi assicura che ci vorranno solo 10 minuti. Penso che in fondo, non ci sarebbe nulla di male ad accontentarla, così mi fa quelle famose e poche domande. In realtà non mi chiede molto. Solo il motivo della mia depressione, quando è cominciata, quali sono stati i momenti più difficili e come ho fatto a riprendermi e quali consigli do a chi soffre dei miei stessi problemi. Mentre parlo un po' titubante, lei prende nota su un piccolo block notes rosso scuro. Cerco di leggere quello che scrive, ma la sua grafia è qualcosa di illeggibile. In meno di 10 minuti ha finito e se ne va soddisfatta e saltellante per il corridoio, con un sorriso vittorioso stampato in faccia.
Ad educazione fisica il mio umore peggiora. Ieri notte mi ero completamente scordata che oggi avremmo avuto nuoto. Non mi ero posta il problema quando mi sono tagliata le gambe. Ma ora, qui, nello spogliatoio, con solo il costume blu scuro addosso, mi sento fuori luogo e osservata da tutti. Le altre ragazze mi seguono con gli occhi e bisbigliano sottovoce chissà quali insulti e commenti sul mio fisico.
Inoltre, la mia magrezza non aiuta la mia autostima, che pian piano ricala a picco. Stamattina mi sono accorta di essere dimagrita di un chilo e duecento grammi. Non è un buon segno. Non dovrei dimagrire nemmeno di un etto. Non mi fa bene. Ma tutto quello che sta succedendo con Luke e i ragazzi, mi rende nervosa e ansiosa. E così quegli sprazzi di depressione ritornano e la voglia di mangiare se ne va.
Mi avvolgo nell'accappatoio di spugna bianco ed esco dallo spogliatoio seguita dall'aumentare dei commenti delle altre ragazze.
Dopo appena una decina di vasche, il mio fisico si stanca e l'allenatore, che non è mai stato un sant'uomo, inizia ad agitarsi per il mio scarso impegno e fisico non allenato.
Se solo si rendesse conto della situazione del mio corpo, dello stress che è costretto a sopportare un corpo anoressico che si sta curando, forse mi tratterebbe diversamente. Oppure quell'uomo è stronzo nel profondo e anche se fossi una reduce di guerra senza una gamba mi riempirebbe comunque di insulti.
In ogni caso, forse per lo stress, unito a tutte queste vasche, il mio corpo inizia a vacillare è a stancarsi rapidamente. La mia testa inizia a farsi pesante e capisco che non posso restare in acqua un minuto di più. Faccio quei pochi metri di bracciata per raggiungere la scaletta e tirarmi su uscendo dall'acqua.
Appena sono fuori, sento solo la voce tonante del coach e la vista mi si annebbia. Poi segue uno strano e leggero fischio alle orecchie e le gambe mi diventano di gelatina.
Non mi accorgo nemmeno di essere crollata a terra. Sento solo il mio nome ripetute volte in maniera ovattata, sento caldo nelle membra e nella testa. Poi tutto diventa buio.
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